Odi di Orazio

Materie:Appunti
Categoria:Latino

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Testo

ODE TEMI

- I,4 Quando l’uomo ha raggiunto l’equilibrio interiore, è pronto ad afferrare l’attimo che fugge. La meditazione Oraziana sulla fugacità del tempo raggiunge in quest’ode uno dei suoi vertici: la bellezza della primavera trascina con se la malinconia del tempo che trascorre inesorabile. Ma la primavera bisogna viverla intensamente.
- I,9 Se la primavera invita all’amore e all’esultanza dei sensi, anche l’inverno, nonostante il suo gelo, può offrire momenti di estrema dolcezza a chi è capace di assaporarli fino in fondo. Vicino al focolare si sta bene, e si capisce che la gioia non è rimasta sepolta sotto la neve, che cade incombente: si può tenere lontano il freddo dal cuore magari con l’aiuto di un buon bicchiere di vino. Al futuro penseranno gli dei, i giovani pensino alla danze e all’amore.
- I,11 I versi sono indirizzati a una giovane donna il cui nome, Leuconoe significa in greco “dalla candida mente” e suonerebbe allusivo al tema centrale dell’ode. Ella infatti, ingenuamente, vorrebbe conoscere la vita che l’attende e x questo interroga la cabala e gli astri. Ma x Orazio è meglio la sciar perdere l’astrologia e cogliere l’attimo che fugge, assaporando con saggezza ciò che ha da offrire.
- III,13 Importa riconoscere la perfezione classica di questa poesia, tanto essenziale ed elegante nelle sue linee descrittive che essa stessa, come la fonte cui è ispirata, si potrebbe definire SPLENDIDIOR VITRO.
- I,37 Azio, 2 settembre dell’anno 31 a.C:sconfitta di Cleopatra e Antonio. Alessandria d’Egitto, agosto dell’anno 30 a.C: morte di C. e A. Roma non ha + nulla da temere: la guerra è veramente finita. Al diffondersi della notizia, tutti i romani esultano. Anche Orazio esulta: compone questo carme glorificando, si, il vincitore, ma + che altro esprimendo la sua gioia x’ la regina nemica di Roma è morta e con lei è scomparsa la minaccia del mondo orientale su quello occidentale.Prova ne è il fatto che Ottaviano è nominato solo di sfuggita, ed Antonio, vergogna di Roma, viene dimenticato del tutto. Campeggia invece, isolata, la figura di Cleopatra, regina funesta circondata da un gregge di uomini turpi.
- I,1 Molti pensano che quest’ode fosse stata composta alla fine dei 3 libri, a causa della maturità artistica che caratterizza la fattura dell’ode stessa, e a causa dell’appassionata riflessione dell’autore sulla propria natura di poeta, che accomuna quest’ode a III,30. la dedica a Mecenate è poco + di un pretesto. Orazio individua il proprio destino nella poesia: non x isolarsi o x proclamarsi diverso o superiore a tutti gli altri, ma x calare il proprio ideale di vita tra quelli degli altri uomini, quasi a ribadire che il “mestiere” di poeta è necessario ne + ne meno di tutti gli altri.
- III,30 Al momento di concludere e pubblicare i tre libri delle odi, Orazio constata con orgoglio che l’auspicio espresso nell’ode I,1, di poter essere ricordato tra i poeti lirici, si è pienamente realizzato. Tuttavia non è solo la consapevolezza di essersi rivelato un buon poeta che rende Orazio certo dell’immortalità. E’ anche il vanto di essere stato il primo dei Latini a condurre il canto lirico eolico ad armonie italiche, non tanto nel senso di aver semplicemente introdotto a Roma i metri greci (già Catullo), quanto +tosto nel senso di aver rivestito di spirito romano il canto eolico. Orazio era tornato alla pura ed alta lirica di Saffo, Pindaro ed Alceo. Da Alceo è potuto derivare il canto nuovo degno di Roma, il LATINUM CARMEN, una lirica che non prescinde dalla finezza della poesia alessandrina, ma ha insieme la nitida eleganza del mondo greco e la solida concretezza di quello romano.

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