L'epistolografia

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Testo

L’epistolografia

La lettera è un testo d’argomento vario, indirizzato ad un preciso destinatario. L’epistolografia nacque, secondo Cicerone, dalla necessità di informare gli assenti (Ad fam. II, 14,1: ut certiores faceremus absentis). Ma ben presto anche la lettera fu classificata come un genere letterario, se ne classificarono i tipi diversi e se ne definirono progressivamente le caratteristiche e le regole, fino ad arrivare a formulare un vero e proprio stile epistolare. Già nel mondo greco si era sviluppato un dibattito sui modi per scrivere lettere. La distinzione fondamentale che regolava l’epistolografia era la distinzione tra lettera privata (argomenti personali e immediati, linguaggio quotidiano) e lettera pubblica (d’argomento politico o comunque indirizzate a divulgare il pensiero dello scrivente). Le lettere private erano quelle non destinate alla pubblicazione; quelle pubbliche, invece, anche se a volte indirizzate ad un particolare destinatario, erano scritte pensando ad un’ampia diffusione. Naturalmente, oltre al contenuto, tra lettere pubbliche e lettere private cambiava anche la forma, come scrive Cicerone: aliter enim scribimus quod eos solos quibus mittimus, aliter quod multos lecturos putamos (Ad fam. XV, 21, 4) Scriviamo in questo modo quando pensiamo che le nostre lette saranno lette solo dai destinatari, e in modo diverso quando pensiamo che le leggeranno in molti.
Non ci sono pervenuti documenti dall’epistolografia privata nel mondo greco, anche se dobbiamo supporre che fosse certamente diffusa l’abitudine di scrivere lettere. Possiamo ricordare, a titolo d’esempio, la lettera privata che, secondo Cornelio Nepote (Temist. 9), l’ateniese Temistocle avrebbe scritto al re Artaserse, per offrirgli la sua collaborazione. Ci sono invece stati tramandati famosi esempi di lettere pubbliche di carattere filosofico-politico-morale, indirizzate ad amici e discepoli da filosofi ed oratori, che in realtà si rivolgevano ad un pubblico assai vasto. Così Platone scrisse lettere di tema filosofico, Isocrate, oratore del IV sec. a.C. indirizzò lettere a re, principi e magistrati per determinati obiettivi politici, mentre Epicuro diffuse spesso i suoi consigli filosofici attraverso la forma epistolare (ad esempio la Lettera a Meneceo).
Nel mondo romano continuò la distinzione tra lettere aperte (scritte per un preciso destinatario, ma in realtà pensate per un pubblico più vasto) e lettere private. Tra le prime vanno ricordate le due lettere aperte (attribuite a Sallustio) e indirizzate a Cesare e, nell’epistolario di Cicerone, una lettera indirizzata a Pompeo (anno 63 a.C.) e una a Cesare (anno 49 a.C.), che non contengono nulla di privato e sono destinate alla più ampia diffusione. Lettere aperte sono anche quelle dottrinali indirizzate da San Paolo alle comunità dei fedeli, e quelle filosofico-morali di Seneca, che, formalmente indirizzate all’amico Lucilio, furono in realtà pubblicate dall’autore e destinate al pubblico dei lettori. La prima e più importante raccolta di lettere private di tutta l’antichità è quella contenuta nell’epistolario di Cicerone, una raccolta di 769 lettere divise in 37 libri (ma circa un migliaio sarebbero quelle che non ci sono pervenute). Un tipo particolare di lettera, intermedia tra pubblica e privata, è quella che, non pensata originariamente per la pubblicazione, fu successivamente rivista per questo scopo dall’autore: un esempio di queste lettere private adattate per la pubblicazione ci è offerto dall’epistolario di Plinio il Giovane, che nel pubblicare le sue lettere private guardava in realtà ai posteri (cfr.VII, 20,2), prefigurando un pubblico capace di apprezzare la varietà e la letterarietà di quei testi.
Dal I sec. a.C. a Roma si diffusero anche delle composizioni poetiche chiamate lettere, ma che appartengono in realtà al genere della poesia satirica o elegiaca, e furono chiamate epistole solo perché indirizzate ad un destinatario determinato. Ne furono autori Orazio (Epistulae) e Ovidio (Epistulae ex Ponto, Heroides).
Sul modello ciceroniano e pliniano scrissero epistolari anche M. Cornelio Frontone e, nella seconda metà del IV sec d.C., Aurelio Simmaco.

Lo stile epistolare (quello usato nella corrispondenza) dei latini è condizionato dal fatto che, mentre noi usiamo i tempi verbali e gli avverbi in rapporto al momento in cui scriviamo, i latini li usavano pensando al momento in cui il destinatario avrebbe ricevuto la lettera. Così veniva osservata una particolare forma di legge dell’anteriorità: si usava spesso l’imperfetto o il perfetto al posto del presente, il piucchepperfetto al posto del perfetto (imperfetto italiano) e la perifrastica attiva con eram al posto del futuro. Per quanto riguarda gli avverbi, si usavano eo die (quel giorno) per hodie (oggi), pridie (il giorno prima) per heri, e postridie (il giorno dopo) per cras (domani). L’intestazione della lettera era così strutturata: il nome del mittente era posto al nominativo, seguito, in dativo, dal nome del destinatario (con i suoi titolo o con un affettuoso suo); a volte compariva anche la sigla S.D. (salutem dicit) o una simile. La conclusione era costituita dai saluti, espressi con le formule vale/valete o simili.

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