Materie: | Appunti |
Categoria: | Geografia |
Voto: | 1.7 (3) |
Download: | 495 |
Data: | 27.07.2001 |
Numero di pagine: | 86 |
Formato di file: | .doc (Microsoft Word) |
Download
Anteprima
egitto_9.zip (Dimensione: 66.9 Kb)
trucheck.it_egitto.doc 188.5 Kb
readme.txt 59 Bytes
Testo
Egitto (Stato)
(al-Jumhuriya Misr al-'Arabiya) Stato dell'Africa nord-orient., comprendente in territorio asiatico, al di là del Canale e del golfo di Suez, la penisola del Sinai e la striscia di Gaza. Affacciato al Mediterraneo a N e al Mar Rosso a E, confina con Israele a NE, con la Libia a W e con il Sudan a S: confini convenzionali questi ultimi, stabiliti all'epoca del protettorato britannico. L'E. si identifica sostanzialmente con la valle del Nilo, la sottile striscia verde, irrigata e tutta densamente popolata, che si snoda tra le superfici desertiche, ampliandosi nel grande ventaglio deltizio volto al Mediterraneo. Tale identificazione fa dell'E. un Paese pressoché unico. Esso è, come scrisse Erodoto, un «dono del Nilo»; le acque del grande fiume dispensano infatti vita in una terra per il resto arida, desolata, continuazione dell'ambiente sahariano. Da sei-sette millenni il Nilo è asse coagulatore di attività e insediamenti umani, fattore primario di una civiltà «idraulica» che si può considerare tra le più alte, e più arcane, tra quelle fiorite nell'antichità; ancor oggi gli uomini vi sono concentrati in una misura che ha riscontro in poche altre regioni del globo, e se ciò contribuisce a fare dell'E. un Paese vitalissimo, al tempo stesso crea problemi di assai ardua soluzione. Tramite tra Asia occid. e Africa sett., l'E. ha sempre avuto un ruolo fondamentale nelle vicende di quest'area, detta, con un termine di derivazione coloniale, Medio Oriente; ruolo che, se era riuscito a mantenere in epoca nasseriana, allorché l'E. appariva come il difensore del mondo arabo dalle ingerenze europee, è stato gradualmente ridimensionato e per problemi interni e per l'affermarsi di altri Paesi, quali p. es. la Siria, sulla sempre più intricata scena mediorientale.
LO STATO
In base alla Costituzione dell'11 settembre 1971, più volte modificata, l'E. è una Repubblica di tipo presidenziale. Capo dello Stato è il presidente della Repubblica, eletto per 6 anni a suffragio universale (la sua candidatura è proposta però dall'Assemblea nazionale), il quale esercita il potere esecutivo con l'ausilio dei ministri da lui nominati. Il potere legislativo e il controllo politico spettano all'Assemblea nazionale, i cui membri (454, dei quali 10 di nomina presidenziale) sono eletti a suffragio universale ogni 5 anni. Amministrativamente l'E., che si estende per 1.001.449 km2, compresi 59.202 km2 in Asia (il cosiddetto «territorio utile», quello cioè abitato e coltivato, si riduce a soli 55.088 km2) e ha una popolazione di 61.900.000 ab. (stima 1995), si divide in 26 governatorati; capitale è Il Cairo. Lingua ufficiale è l'arabo; nel commercio sono però largamente usati il francese e l'inglese. Il 93% della popolazione è di religione musulmana; la minoranza più cospicua è quella dei copti, che assommano a oltre un milione.
GEOMORFOLOGIA
Il territorio egiziano è una sezione dei grandi tavolati africani: ha perciò una struttura essenzialmente rigida. Lo zoccolo archeozoico, costituito da gneiss e graniti antichissimi, affiora su estese superfici nella parte sud-orient. del Paese, mentre altrove risulta sottoposto a strati di epoche diverse, formati da rocce sedimentarie d'origine sia continentale sia marina. Esso è anche interessato da intrusioni magmatiche più recenti di graniti, dioriti e sieniti (rocce queste con cui sono stati costruiti tanti monumenti antichi), presenti nella zona di Aswân (Assuan) e nei rilievi che orlano il Paese lungo il Mar Rosso. Le vicende geologiche da cui è derivata l'attuale configurazione dell'E. sono più o meno le stesse che hanno caratterizzato le altre regioni dell'Africa. Allo spianamento dello zoccolo precambriano è seguita la formazione degli strati di materiale continentale continuata in fasi diverse sino al Cretaceo; a questo processo sedimentario si devono le arenarie nubiane che coprono vaste superfici dell'E. meridionale. Nel Cretaceo si ebbe l'inizio del grande episodio tettonico, terminato nel Cenozoico, che portò al distacco tra Africa e Asia occid. e alla nascita del Mar Rosso, e al quale si collega l'origine dei rilievi che orlano il Paese a Est. Tali rilievi lasciano affiorare le formazioni archeozoiche, con potenti intrusioni granitiche e con espandimenti vulcanici; raggiungono altitudini comprese tra i 1500 e i 2000 m, culminando nei 2187 m del Gebel Shâyib el Banât (massima elevazione del Paese, esclusa la penisola del Sinai). Nel Cenozoico si ebbero estese ingressioni marine, cui si devono gli strati calcarei presenti nel Medio e Basso Egitto. Sino a tale periodo inoltre l'idrografia era diversa: il Nilo, fiume di dimensioni e portata minori dell'attuale, correva in corrispondenza delle depressioni che si aprono nel Deserto Occidentale; alla formazione del nuovo corso contribuirono alcune fratture meridiane apertesi all'epoca dei movimenti tettonici connessi con la nascita del Mar Rosso. L'assestamento idrografico iniziò nel Pleistocene e si accompagnò alla cattura, molto a monte dell'E., del Nilo Azzurro a opera del Nilo Bianco. Il fiume si aprì il corso tra strati sedimentari; subì inoltre mutamenti del suo profilo, con conseguente abbandono di vecchi terrazzi, restringimento del letto, formazione delle bande alluvionali e dell'ampio ventaglio deltizio. La valle del Nilo ha dimensioni e forme diverse in rapporto anche alle strutture geologiche che attraversa. Nella Nubia è priva di fasce alluvionali e il fiume corre (anzi correva prima della creazione del l. Nasser) tra rive rocciose, arenacee; a valle di Aswân, dopo cioè la prima cateratta, il fondovalle si apre e cominciano i suoli alluvionali, fertilissimi, di terra scura, in gran parte d'origine basaltica, che fanno la ricchezza dell'Egitto. La valle nilotica divide il territorio egiziano in due parti: a W il Deserto Libico, od Occidentale, e a E il Deserto Arabico, od Orientale. Quest'ultimo è una regione montuosa, solcata da corsi fluviali fossili che tendono verso la valle del Nilo; essa termina sul golfo di Suez e sul Mar Rosso con una breve cimosa pianeggiante, alla base degli stessi rilievi, tutta costipata da conoidi di deiezione formati dagli antichi corsi d'acqua che hanno inciso il versante dei monti. Il Deserto Orientale forma nel complesso un'area che, data la presenza di un'idrografia per quanto essenzialmente fossile e in ogni caso propria dell'ambiente desertico, è più abitabile di quella che si stende a W del Nilo. Il Deserto Libico è invece un territorio piatto e sabbioso, costituito da tavolati che raggiungono eccezionalmente l'altitudine di 1893 m nel Gebel el Auenat nell'estremità sud-occid., al confine con la Libia e il Sudan. Eccetto tali rilievi periferici, è mosso solo dalle lunghe e monotone scarpate degli altopiani e dalle depressioni che si aprono nella parte centr. e sett. e che rappresentano il motivo morfo-tettonico peculiare di questo deserto. La depressione più estesa è quella di Qattâra, che ha il fondo a -133 m, fiancheggiata da quella più piccola di Sîwa. Altra marcata depressione è quella di El Faiyûm, non lontana dal corso del Nilo, da cui artificialmente riceve le acque per mezzo di un antico canale che ne alimenta la ricca oasi. Altre depressioni, meno profonde, si aprono a S, tra i tavolati nubiani. Il Deserto Libico si affaccia al Mediterraneo con una costa formata a W da basse scarpate rocciose; il litorale assume una morfologia particolare in corrispondenza del delta, la cui fronte rispecchia, con il suo profilo regolare, la simmetria dell'apparato, oggi imperniato sui due rami di Rosetta e Damietta. Caratteristiche lagune (buheiret) si succedono lungo il contorno deltizio, chiuse da cordoni sabbiosi. La penisola del Sinai, che completa il quadro del territorio egiziano, è una zolla rimasta isolata tra i golfi di Suez e di !Aqaba: quest'ultimo è la prosecuzione della fossa siro-palestinese, mentre il primo corrisponde alla linea strutturalmente e convenzionalmente divisoria tra Asia e Africa, che continua lungo l'istmo, oggi inciso dal Canale di Suez. Il Sinai costituisce nel complesso una regione con una sua spiccata individualità. È un territorio montuoso che culmina a S nel Gebel Caterina (2637 m), un massiccio granitico dal quale scendono valli fluviali fossili; è un ambiente aspro, arido, ma qua e là costellato di oasi.
IDROGRAFIA E CLIMA
Idrograficamente l'E. è il Nilo, in modo esclusivo; di nessuna importanza sono gli uidian che scendono dai rilievi orient., mentre areica è tutta la sezione occid. del Paese. Il Nilo percorre in territorio egiziano 1508 km, frazione limitata del suo lungo percorso, ma il «miracolo» dell'E. si deve alla ricchezza d'acqua che il fiume riesce a portare in una plaga desertica e così lontana dalle sue sorgenti. Il regime del Nilo è notoriamente determinato da quello dei suoi due grandi rami sorgentiferi: il Nilo Azzurro e il Nilo Bianco. Le piene avvengono allorquando si ha il cospicuo apporto del Nilo Azzurro, nei mesi estivi: il 19 luglio è considerato il giorno d'inizio della piena. La decrescita comincia in modo consistente verso la metà di ottobre; nel periodo di magra giungono le acque del Nilo Bianco. Le dighe oggi controllano totalmente il fiume, le cui acque in passato esondavano fertilizzando naturalmente il terreno. In effetti il controllo delle acque, sia pure in misura limitata, era esercitato anche nell'antichità, ma l'irrigazione controllata su vasta scala, interessante cioè larghe superfici agricole, si impose soltanto nel secolo scorso, con la creazione di grandi dighe e di estesi sistemi di canali. Il primo grande sbarramento fu quello di Qalyûb, poco a monte della biforcazione dei rami deltizi di Rosetta e Damietta, cui seguirono quelli di Isna, Asyût, Nag !Hammâdi; la diga più imponente è quella di Aswân, costruita all'inizio del secolo e più volte ingrandita, cui si è successivamente aggiunta, 10 km a monte, la «diga alta», la realizzazione più importante dell'E. moderno: essa ha portato alla formazione del l. Nasser (in parte però sudanese), elemento che ha rivoluzionato l'intera geografia della regione. La superficie irrigua maggiore resta sempre però quella del delta, tutta intessuta di canali di irrigazione e di scolo, resi necessari questi ultimi per tenere basso il livello della falda freatica, che nuoce alle coltivazioni, e per dissalare i terreni. • La valle del Nilo è in sostanza un'unica grande oasi in una regione a clima sahariano. Gli influssi mediterranei si fanno sentire, molto marginalmente, solo nell'area costiera, agendo sia sul valore delle precipitazioni sia su quello delle temperature. Ad Alessandria si hanno valori termici oscillanti tra i 13-14 ºC di gennaio e i 26-27 ºC di luglio; al Cairo, più internamente, le medie di luglio si aggirano sui 28-29 ºC. Nel Medio e nell'Alto E. la continentalità accentua le escursioni termiche annue e giornaliere, mentre la latitudine più elevata determina medie di luglio di 32- 33 ºC (in gennaio non superano i 15 ºC). Per quanto riguarda le precipitazioni, sulla costa si hanno valori annui molto più bassi di quelli dell'area mediterranea: ad Alessandria cadono 166 mm annui di pioggia che scendono ad appena 40-50 mm al Cairo; ad Aswân si possono avere anni di seguito senza piogge. Il clima egiziano è condizionato dai predominanti influssi delle masse d'aria tropicali-continentali. Le manifestazioni cicloniche proprie dell'area mediterranea si verificano nei mesi invernali, durante i quali cadono le precipitazioni (i giorni piovosi nel Basso E. non superano i 25, per gran parte concentrati in dicembre). Agli scambi d'aria tra Mediterraneo e l'interno si devono i venti etesii, richiamati verso S dalle basse pressioni provocate dal riscaldamento delle superfici desertiche; dall'interno soffia invece, tra marzo e giugno, il khamsin, vento caldo, soffocante, proveniente dai quadranti merid., attratto dalle basse pressioni mediterranee. La vegetazione si raccoglie lungo il Nilo e nelle oasi ed è quasi tutta introdotta e controllata dall'uomo. Pianta sovrana è la palma da dattero, diffusa anche per la funzione di riparo che essa esercita con la sua ombra sulle colture erbacee e orticole. Prima delle trasformazioni operate dall'uomo, le aree inondate stagionalmente dalle acque nilotiche erano occupate da erbe acquatiche, papiri, piante di loto, ecc., vegetazione di cui si trovano ormai piccoli lembi marginali. Nelle zone desertiche si hanno povere associazioni cespugliose lungo gli uidian, con piante di mimose, tamerici e acacie nei tratti relativamente più favorevoli.
GEOGRAFIA UMANA
Il popolamento della valle del Nilo assunse i caratteri di un coagulamento umano lungo il fiume allorquando si ebbe l'accentuazione dell'aridità che ha portato all'attuale desertificazione dell'Africa settentrionale. Le acque fluviali consentivano infatti, con l'irrigazione, un'agricoltura intensiva che si offriva come risorsa fondamentale per un numero elevato di uomini, rifluiti dalle circostanti regioni in fase d'inaridimento. Come in Mesopotamia, l'alta concentrazione di uomini è stata al tempo stesso condizione indispensabile per lo sfruttamento idraulico, possibile appunto con una notevole disponibilità di manodopera, impiegata nei lavori di canalizzazione e nella realizzazione delle grandi opere proprie d'una società essenzialmente urbana, strutturata gerarchicamente. L'organizzazione sociale era infatti il riflesso diretto della particolare forma di sfruttamento economico fondato su un complesso rapporto con la natura. Essa presupponeva cioè un potere centrale, incarnato dal faraone, che col suo dispotismo, imposto attraverso un rigido burocratismo (il tutto convalidato dalla classe religiosa), poteva mantenere efficiente l'apparato produttivo. L'affermazione della civiltà egiziana fu un processo lento e si ebbe con l'unificazione politica della grande oasi nilotica; essa conobbe i suoi momenti più alti durante l'Antico Regno e, un millennio più tardi, all'epoca del Nuovo Regno, col quale il mondo egizio si espanse verso S, nella Nubia. In questo periodo la popolazione lungo la valle del Nilo sembra fosse di 7 milioni di individui, ridottisi via via nelle epoche di decadenza, epoche che si spiegano con la mancanza di un potere centrale in grado di tener viva l'organizzazione economica e, in sostanza, l'apparato idraulico su cui si reggeva l'agricoltura. Il periodo di maggior decadenza economica e demografica si ebbe nel sec. XIV, sotto il dominio dei Mamelucchi; da allora praticamente l'E. non si è più ripreso, se non in epoca recente. Alla fine del sec. XVIII vi erano nel Paese appena 2,4 milioni di ab., ma a partire dalla seconda metà del secolo scorso si verificò la grande ripresa demografica, che ha portato la popolazione dai 6,7 milioni registrati col primo censimento ufficiale del 1882 agli 11,2 milioni del 1907, ai 14,2 del 1927, ai 18,9 del 1947, sino agli attuali 53 milioni. In media, negli ultimi anni la popolazione è aumentata di un milione di unità all'anno; l'alto tasso d'incremento è imputabile alla forte natalità (34‰), implicita nella concezione stessa della famiglia musulmana, mentre il quoziente di mortalità, elevato fino a tutto il secolo scorso per le diffuse malattie (malaria, bilharziosi, ecc.), è in seguito assai diminuito (10‰). Nell'ultimo decennio l'incremento demografico è aumentato al 2,9%; a esso non dà praticamente nessun contributo il movimento migratorio. Nel secolo scorso immigrarono in E. numerosi stranieri (Inglesi, Italiani, Greci, ecc.) occupati in attività diverse, imprenditoriali, commerciali, finanziarie, concentrati prevalentemente nelle città del Basso E. e nella zona del canale; dopo le nazionalizzazioni del 1952 gran parte di essi hanno lasciato il Paese e oggi gli stranieri sono in numero insignificante. Gli Egiziani formano un gruppo etnico abbastanza omogeneo. Tra i fellahin, i contadini, così come tra i copti, commercianti e artigiani che vivono in prevalenza nelle città, si ritrovano spesso le tracce delle più antiche popolazioni, quali appaiono raffigurate sui vari monumenti, e che dovevano rappresentare un miscuglio tra africani e arcaiche genti mediterranee; successivamente ebbe inizio il processo di semitizzazione, esaltatosi durante la conquista araba e l'islamizzazione del Paese. Procedendo verso S l'elemento nero, africano, si fa più numeroso e diventa generale nella Nubia. In territorio egiziano vi sono anche genti nomadi, cuscitiche, come i Bisharin, stanziati nell'E. sud-orient., dove compiono migrazioni tra la costa e la valle del Nilo. La popolazione è quasi interamente concentrata nella valle e nel delta del Nilo, dove si registrano densità tra le più alte del mondo: la media generale, computata sulla superficie coltivata, è di 963 ab./ km2, valore che si eleva in certe zone, come nel governatorato di Qalyûbîya, a 2512 ab./km2, e in quello di Gîza a 3497 ab./km2 (i dati si riferiscono al censimento del 1986, quando la complessiva popolazione era di 48 milioni di abitanti). Le densità più basse si hanno nell'Alto E., che oggi è rimasto pressoché disabitato nella zona del l. Nasser: le popolazioni nubiane sono state trasferite in nuovi comprensori agricoli creati appositamente, tra cui Kom Ombo. Aree di tenue popolamento sono anche la fascia costiera mediterranea e la penisola del Sinai; nelle oasi infine abitano non più di 30.000 persone. La popolazione vive per il 55% nelle campagne, in villaggi o in gruppi sparsi di case (ezbahin). Le case sono semplici, spesso di fango e di mattoni (frequenti questi nella zona del delta), di pietra nell'Alto Egitto. L'urbanesimo vanta una tradizione che risale all'epoca faraonica: Tebe, nell'antichità, era una città prestigiosa e così pure importante era Menfi, che si sviluppò quando gli interessi del mondo egizio cominciarono a spostarsi verso Nord; nel sec. IV a. C., con la supremazia ellenistica nell'area mediterranea, si affermò Alessandria. Il Cairo ha assunto il ruolo di massimo centro del Paese dopo l'avvento degli Arabi; all'origine della sua fortuna è la posizione a breve distanza dal delta e dalla costa, grazie alla quale funge da raccordo tra la valle del Nilo e il Mediterraneo. La grande espansione della città è iniziata però nel secolo scorso, con le aperture commerciali del Paese al mondo moderno, e si è accentuata in questo secolo, con l'immigrazione di vere e proprie masse di fellahin, attratte dalle molteplici attività della capitale. Il Cairo con il suo agglomerato urbano conta oggi 13.500.000 ab., la maggiore metropoli dell'Africa, con un abitato estesissimo cui fanno da appendice grosse città satelliti come El-Gîza, Imbâba, Heliopolis (in pieno deserto), El Matarîya, ecc.; oltre a essere un centro culturale e artistico di eccezionale interesse, ospita le maggiori imprese industriali e commerciali, ma per la sua funzione di capitale è anche sede di attività burocratiche e amministrative che ne fanno al tempo stesso una città «dissipatrice» e in ogni caso caratterizzata da gravi squilibri economici e sociali. Alessandria, sul Mediterraneo, è una tipica città portuale di aspetto prevalentemente europeo; essa è il primo porto del Paese e ospita oltre 3 milioni di abitanti. Città portuali sono anche Porto Said e Suez, valorizzate dalla loro posizione sul Canale di Suez (che fu chiuso al traffico dal 1967 al 1975). La regione del delta raggruppa varie importanti città, centri commerciali di aree agricole fittamente popolate, alcune sedi di industrie, come Tanta, El-Mahalla el-Kubra, El-Mansûra, Damanhûr, ecc. Nella valle del Nilo invece i centri sono maggiormente distanziati l'uno dall'altro; i principali sono El-Minya, Asyût, Qena, Luxor, Aswân, tutti sorti su antiche città faraoniche: in particolare Aswân è il massimo polo dell'Alto E., in fase di valorizzazione anche industriale. Infine tra i centri d'oasi, per lo più villaggi, spicca El-Faiyûm, situato nella vasta e popolosa oasi omonima.
ECONOMIA: GENERALITÀ
L'E. è un Paese povero (con un reddito medio pro capite nel 1994 di 710 dollari annui, si colloca in una fascia assai bassa nell'area del Terzo Mondo ed è in assoluto il più povero tra gli Stati arabi), con un tasso molto alto di disoccupazione e di analfabetismo e con un'economia basata, oggi come nel più lontano passato, su un'agricoltura che vive sullo sfruttamento delle acque del Nilo. Le potenze coloniali, rappresentate soprattutto, ma non solo, dalla Gran Bretagna e conniventi con la monarchia, protrattasi sino al 1952, avevano sì avviato un non trascurabile processo di modernizzazione del Paese (p. es. con la costruzione delle ferrovie e l'apertura del Canale di Suez, il potenziamento della cotonicoltura e in genere dell'agricoltura in senso commerciale, la realizzazione delle prime industrie, ecc.), ma avevano operato nell'esclusivo vantaggio di pochi gruppi al potere, mentre erano rimaste invariate, se non peggiorate, le condizioni dei fellahin, cioè della gran massa degli Egiziani. Caduta la monarchia, l'E. ha conosciuto orientamenti economici praticamente opposti, senza peraltro trovare il rimedio al gravissimo sottosviluppo nazionale. Con Nasser infatti fu sperimentata una politica economica nettamente socialista e dirigista e le strutture produttive del Paese cominciarono a operare nell'ambito dei piani quinquennali di sviluppo. Furono nazionalizzate le grandi imprese, le banche, le compagnie di assicurazione, mentre lo Stato si faceva imprenditore, incorporando non solo le industrie di base ma talvolta anche varie aziende minori e assumeva la gestione dei circuiti commerciali con l'estero; in campo finanziario era operata una rigida chiusura nei confronti dei capitali occidentali. Parallelamente veniva attuata la riforma fondiaria e furono ridistribuite le terre confiscate ai latifondisti (prima del 1952 meno del 3% della popolazione era proprietaria di oltre il 55% dell'arativo, mentre si calcola che l'87% dei contadini fosse totalmente privo di terre); tuttavia ciò diede origine a una miriade di microfondi, in grande maggioranza inferiori a 2 ha, che rimanevano (e rimangono) ancorati a tecniche produttive assai arcaiche. La mancata realizzazione di ulteriori interventi governativi, come p. es. la creazione di cooperative, non ha quindi consentito una reale riconversione dell'agricoltura, che è tutt'oggi in massima parte di mera sussistenza, a eccezione delle piantagioni di cotone; anzi il Paese è costretto a gravose importazioni di generi alimentari. A partire dagli anni Settanta l'E. dava l'avvio a una svolta economica in senso apertamente liberista e oggi si può configurare come un Paese a economia mista, in cui tuttavia la presenza statale va man mano perdendo di potere nei confronti della nuova borghesia imprenditoriale. Tale svolta, che è naturalmente anche politica (l'E. è passato infatti dallo scacchiere filosovietico a quello filoamericano), ha innescato una serie di processi che stanno portando a un radicale mutamento dell'assetto produttivo, ma il cui esito è ancora una volta incerto. Se da un lato affluiscono i dollari del Canale di Suez (chiuso nel 1967 nel corso della guerra con Israele e riaperto nel 1975) e cospicui aiuti finanziari sono elargiti dagli Stati Uniti e dai Paesi arabi conservatori (Arabia Saudita in primo luogo), dall'altro lo smantellamento delle barriere doganali e quindi il libero accesso delle merci occidentali hanno gravemente danneggiato talune produzioni locali, che per l'inefficienza o la scarsa specializzazione degli impianti non hanno retto alla concorrenza straniera. Del pari l'afflusso del capitale estero (tedesco, francese, italiano, ecc. ma soprattutto statunitense), attirato al solito dall'enorme abbondanza di manodopera a costi estremamente bassi e dalle favorevolissime agevolazioni fiscali, viene indirizzato a forme d'industrializzazione volte al pressoché assoluto interesse delle multinazionali stesse, senza tradursi in un reale impulso alla crescita economica del Paese, sicché il tasso d'aumento del prodotto nazionale è appena pari se non inferiore all'altissimo incremento demografico. È da dire che, al di là delle linee di politica economica via via adottate, l'estremamente critica situazione del Paese è in gran parte il risultato di una serie di fattori umani e naturali, che finiscono col rendere pressoché vano qualsiasi sforzo per sottrarre l'E. alla morsa del sottosviluppo. Elemento negativamente prioritario è la sovrappopolazione; tenuto conto della vastità della superficie desertica (ca. il 96% del totale), il carico demografico sulle zone coltivate è probabilmente il più alto del mondo. La mancanza di foreste e di aree a pascolo e a prato impedisce attività economiche altrove anche fondamentali; le risorse minerarie non sono certo straordinarie; lo stesso petrolio, che pure è una delle basi economiche del Paese, ha una produzione che appare molto modesta se paragonata a quelle della maggior parte dei Paesi arabi. Le industrie manifatturiere, che impegnano il 13% della popolazione attiva, risentono ancora di bassi livelli di efficienza. Ciò crea un grave deficit nella bilancia commerciale e una disoccupazione altissima, ormai assolutamente radicalizzata. Paese di emigrazione, durante gli anni Ottanta l'E. ha notevolmente risentito della cospicua riduzione dell'apporto economico fornito dalle rimesse dei lavoratori all'estero, in buona parte rimpatriati a seguito delle difficoltà degli Stati arabi produttori di petrolio che li ospitavano. Inoltre, negli ultimi anni sono sempre più aumentati, nonostante la ferma opposizione del governo, gli episodi di intolleranza religiosa, che rischiano di compromettere i progressi già realizzati sulla via dello sviluppo.
ECONOMIA: AGRICOLTURA, ALLEVAMENTO E PESCA
Nonostante i continui progressi il settore primario non permette di soddisfare neppure la metà del fabbisogno alimentare, rivelando, nel complesso, ancora una forte arretratezza e precarietà. La maggior parte dei terreni coltivati (complessivamente 2,6 milioni di ha, pari al 2,6% della superficie territoriale, in corrispondenza del delta e della valle del Nilo) è irrigata: proprio tale necessità, largamente imposta dalle condizioni climatiche, ne limita del resto insieme alla crescita urbana l'ulteriore allargamento. Solo 400.000 ha sono soggetti ancora all'inondazione periodica del Nilo, mentre ben superiore estensione hanno le terre irrigate in permanenza, grazie ai grandi sbarramenti di Aswân, Isna, Nag Hammâdi, ecc. L'irrigazione permanente e controllata consente di praticare in rotazione sino a tre colture annue (ne consegue che la superficie seminata è molto più ampia di quella classificata come «coltivata»), ma presenta il risvolto negativo di non poter più contare sul fertile limo nilotico e di richiedere elevati quantitativi di fertilizzanti chimici. Le colture invernali (scitui) comprendono soprattutto frumento, cipolle e legumi, le estive (sefi) riguardano in prevalenza cotone, canna da zucchero, riso e piante oleaginose, le autunnali (nili) sono massimamente rappresentate da mais e altri cereali a breve ciclo vegetativo, come il miglio. La coltura un tempo predominante del cotone ha subito una forte contrazione e oggi i raccolti risultano inferiori alla forte richiesta del prodotto egiziano sui mercati internazionali. Tra i cereali prevale il mais (41 milioni di q), seguito dal frumento (19 milioni di q) e dal riso (28 milioni di q, corrispondenti a meno della metà del fabbisogno), coltivato soprattutto nel delta e nel più recente periodo soggetto per effetto della diminuzione delle acque del Nilo a contrazione della superficie coltivata. Il miglio (5,8 milioni di q) è proprio invece dell'Alto Egitto. Patate (17 milioni di q), fagioli, fave, cavoli, cipolle e pomodori sono prodotti di largo consumo, ma sono in parte anche esportati. Nel quadro delle colture industriali, è largamente diffusa la canna da zucchero, che consente una produzione annua di 10 milioni di q di zucchero; seguono sesamo, arachidi, lino, olivo. Notevole incremento ha avuto l'agrumicoltura (oltre 17 milioni di q tra arance, limoni e mandarini), mentre per i datteri (ca. 5,5 milioni di q) l'E. si colloca al primo posto nel mondo insieme con l'Iraq. • L'allevamento è complessivamente poco sviluppato, se si eccettuano i volatili da cortile (35 milioni di capi); ovini e caprini (2,8 milioni di capi in totale) sfruttano i terreni marginali e poveri della valle del Nilo; per i bovini (2 milioni di capi) si ricorre in gran parte alla coltivazione di foraggere; non molto elevato è del pari il numero dei bufali (2,6 milioni), i tradizionali animali da lavoro del fellah. • Scarso rilievo economico ha egualmente la pesca (250.000 t), che viene anche praticata negli stagni e nei laghi del delta; spugne, coralli e madreperla si aggiungono ai prodotti ittici.
ECONOMIA: RISORSE MINERARIE E INDUSTRIE
Come si è detto, le risorse minerarie non sono eccezionalmente importanti, anche se nel 1975 sono stati restituiti all'E. i ricchi giacimenti petroliferi del Sinai, passati in mano israeliana nel 1967. Oltre al petrolio (complessivamente ca. 45 milioni di t; l'estrazione, la raffinazione e la vendita sono controllate da un apposito ente di Stato, l'Egyptian General Petroleum Corporation) e al gas naturale (4800 milioni di m3) abbondano solo i fosfati (1.200.000 t) e il salmarino (1 milione di t), cui si aggiungono meno rilevanti quantitativi di zolfo, amianto, manganese e minerali di ferro. Il petrolio è in parte utilizzato per la produzione di energia elettrica, che tuttavia è per oltre un terzo d'origine idrica; ciò è soprattutto dovuto ai grandiosi impianti della cosiddetta «diga alta» di Aswân, grazie alla quale la produzione è pressoché quintuplicata rispetto al 1970, (40.460 milioni di kWh nel 1991); negli anni più recenti è stata avviata la costruzione di numerose centrali termiche (dal 1989 sono in funzione quelle di Asyût, Abukir, Suez e Damanhur). • L'industria, pur essendosi sviluppata negli ultimi decenni, ha strutture tuttora piuttosto fragili, mostrando carenze particolarmente gravi nei settori di base; tuttavia sono stati creati, in specie all'epoca di Nasser, alcuni complessi siderurgici (750.000 t fra ghisa e acciaio) e meccanici, rappresentati però essenzialmente da stabilimenti di montaggio di autoveicoli, mentre un notevole impulso è stato dato all'industria chimica, specie dei fertilizzanti, ma che altresì produce acido solforico, nitrico e cloridrico, soda caustica, ecc. La maggiore industria è tuttora quella cotoniera (ca. 800.000 t fra tessuti e filati di cotone), attivo è anche il setificio e in espansione la produzione delle fibre artificiali. Gli altri principali settori riguardano la lavorazione dei prodotti agricoli locali, annoverando perciò zuccherifici, complessi molitori, pastifici, oleifici, birrifici, conservifici, distillerie di alcol; importante, benché si avvalga solo di merce di importazione, essendone in E. proibita la coltura, è la manifattura di tabacchi (49.000 milioni di sigarette). Il settore industriale comprende altresì cementifici, cartiere, fabbriche di pneumatici e di apparecchiature elettriche (radio, televisori, ecc.), oltre naturalmente alle raffinerie di petrolio e ai complessi petrolchimici.
ECONOMIA: VIE DI COMUNICAZIONE E COMMERCIO
La varia distribuzione delle attività nel delta e nella valle del Nilo è all'origine di cospicui scambi, che trovano ancor oggi nella navigazione fluviale una via di comunicazione largamente utilizzata. Il fiume è però affiancato dalla strada e dalla ferrovia che verso S, con la navigazione sul l. Nasser, consentono i collegamenti con il Sudan. Da questa dorsale principale, la Alessandria-Tanta-Il Cairo-Aswân, si dipartono diverse ramificazioni che servono soprattutto il delta e la zona del Canale; alcune strade raggiungono il Mar Rosso e le oasi del Deserto Occidentale, mentre una linea ferroviaria si sviluppa lungo la costa mediterranea, sino al confine con la Libia. Alessandria, che è anche collegata al Nilo per mezzo del canale Mahmudiya, è il principale sbocco del Paese sul mare, mentre Il Cairo è al vertice di tutte le comunicazioni interne, nonché attivissimo scalo aereo internazionale (compagnia di bandiera è la Egyptair). Fondamentale via di comunicazione è naturalmente il Canale di Suez, sottopassato dal 1980 da un tunnel, e per il quale transitano annualmente in media ca. 20.000 navi, con una stazza di oltre 350 milioni di t.: le opere di ampliamento (in larghezza e profondità), la cui ultimazione è prevista per la metà degli anni Novanta, dovrebbero aumentare l'importanza già notevole dei diritti di passaggio per l'economia egiziana. Notevoli, comunque, sono gli investimenti recenti nel sistema delle comunicazioni, in particolare stradali (oltre 1000 km di autostrade realizzati in pochi anni), nel quadro di un processo di integrazione territoriale che spinge ad aprire le frontiere, soprattutto in direzione dell’Arabia Saudita, collegando la sezione meridionale della valle del Nilo alle coste del Mar Rosso. Il settore turistico rappresenta un elemento significativo della politica economica liberista scelta ormai dall’E., per le evidenti implicazioni finanziarie (investimenti esteri) e sociali. Per questo si è cercato di operare una diversificazione dei flussi turistici valorizzando soprattutto i litorali: a partire dalla fine degli anni Ottanta, infatti, sono stati realizzati centri specializzati per il turismo balneare e sportivo di massa, sia lungo la costa del Mar Rosso (p. es., Hurghada), verso cui si vorrebbe indirizzare soprattutto la clientela internazionale, sia lungo quella del Mediterraneo (p. es., Marsa Matrûh), su cui si orienterebbero, invece, i flussi interni. • Quanto agli scambi con l'estero, la bilancia commerciale denuncia un passivo allarmante: le esportazioni, rappresentate essenzialmente da cotone – grezzo e lavorato –, petrolio e prodotti petroliferi, non coprono nemmeno metà delle importazioni, consistenti soprattutto in generi alimentari, macchinari e mezzi di trasporto. L'interscambio si svolge eminentemente con gli Stati Uniti e la Francia per le importazioni, con l'Unione Sovietica e l'Italia per le esportazioni.
ISTRUZIONE E SERVIZI D'INFORMAZIONE
Il sistema moderno dell'istruzione egiziana inizia nella seconda metà del sec. XIX con la creazione della prima scuola organizzata. Lo sviluppo dell'insegnamento presentava però molte difficoltà dovute alla mancanza di personale docente e alla carente struttura sociale del Paese. Nel sec. XX si cercò di dare notevole impulso alla scolarizzazione della popolazione; nel 1923 fu istituito il diritto all'istruzione primaria, gratuita e obbligatoria. A cominciare dal 1950 tutte le scuole furono poste sotto la responsabilità del Ministero dell'Educazione; con una legge del 1953 si favorì la creazione di scuole professionali e tecniche. Il Paese è diviso in distretti scolastici. La scuola primaria, obbligatoria, dura fino a 12 anni d'età, non vi sono esami; a questo livello vi sono anche scuole speciali per ciechi, sordomuti e per subnormali. La scuola secondaria dura 6 anni e comprende due cicli di 3 anni ciascuno, il primo con finalità prevalentemente pratiche (industriali, commerciali e agricole), il secondo, dal quale si accede all'università, si divide in due indirizzi: scientifico e umanistico. L'istruzione professionale ha avuto un forte sviluppo a causa della carenza nel Paese di tecnici e operai specializzati. L'insegnamento superiore è impartito in 13 università fra le quali l'università di Ain Shams (Il Cairo, 1950), di Alessandria (1942), di Asyût (1957) e del Cairo (1908); vi sono poi l'università americana del Cairo (1919) e quella di al-Azhar (Il Cairo, 970, modernizzata e sviluppata nel 1961) che costituisce il principale centro di cultura religiosa dei Paesi musulmani d'Africa e d'Asia. Nel 1972 sono state fondate le università di Tanta e di Mansoura e nel 1974 quella di Zagazig. Secondo dati governativi, nel 1986 la percentuale di adulti analfabeti era del 49,3. • La stampa è la più importante dei Paesi arabi: uno fra i primi quotidiani pubblicati è al-Ahram, fondato nel 1875 e attuale organo ufficioso dello Stato. Altri quotidiani di vasta diffusione sono: Al-Akhbar e Al-Gomhourya. Vi sono poi una cinquantina di pubblicazioni periodiche fra le quali si distinguono Akhbar al-Yaum e Al-Musawar. Nel 1958 il governo di Nasser soppresse la censura, però per ogni periodico è necessaria una licenza di pubblicazione concessa dall'Unione Nazionale. La radio ha tre programmi: nazionale, secondo programma culturale ed emissioni in lingua estera. La TV (introdotta nel 1960) è diffusa principalmente nella zona del Cairo. Nel 1987 erano in circolazione nel Paese ca. 1.500.000 apparecchi radio e 4.150.000 televisori.
ORGANIZZAZIONE MILITARE
Le forze armate di terra dispongono di ca. 320.000 uomini a cui vanno aggiunti 500.000 tra riservisti e guardia nazionale. Gli effettivi dell'esercito si suddividono in brigate di fanteria e in brigate corazzate di artiglieria e di paracadutisti. La difesa antiaerea è organizzata autonomamente e dispone di ca. 5000 addetti. L'aviazione è stata ristrutturata su basi più moderne dopo la guerra del 1967; le forze aeree egiziane dispongono di ca. 30.000 uomini e di 500 velivoli di produzione sovietica, cinese, francese e statunitense. La marina comprende 18.000 uomini e ca. 90 unità. Le principali imbarcazioni da guerra sono sottomarini, cacciatorpediniere e alcune moderne motovedette lanciamissili. Il servizio di leva obbligatorio dura tre anni per la truppa e uno per gli ufficiali.
PREISTORIA
Tra le tracce più antiche di presenza umana nel territorio egiziano vi sono manufatti considerati preacheuleani nei dintorni di Tebe e grossolani manufatti triedrici, genericamente riferibili a un Acheuleano inferiore, rinvenuti sui terrazzi alluvionali più alti della piana di Abbassieh, a E del Cairo. Materiali acheuleani sono segnalati da diversi siti come Arkin, Khor Abu Anga, le oasi di Dakhla e di Kharga (Acheuleano finale), Bir Sahara. In quest'ultimo sito, industrie musteriane associate a fauna a rinoceronte bianco, un cammello estinto, bufalo, antilopi e facoceri sono comprese tra ca. 45.000 e 32.000 anni fa. Un Musteriano di tecnica Levallois si trova sui terrazzi superiori della già citata piana di Abbassieh e nell'oasi di Kharga. Siti ateriani, presenti ad esempio sia a Bir Sahara sia nell'oasi di Kharga, sarebbero succeduti al Musteriano intorno a 40.000 anni fa. Il Paleolitico superiore è attestato nell'oasi di Dungul, a Gebel Lagama, dove si conosce una sequenza compresa tra ca. 30.000 e 26.000 anni a. C., a Nazlet Khater, sito di estrazione della selce datato a poco più di 31.000 anni fa, da cui proviene anche una sepoltura ritenuta probabilmente contemporanea. Le fasi superiore e finale del Paleolitico sono note col nome di Fakhuriano (nella regione di Esna) dal sito di Dair el Fakhuri (ca. 18.000 anni fa), con lamelle a dorso abbattuto e a ritocchi continui, perforatori e intaccature e denticolati, associati a fauna a bue primigenio, alcelafo, gazzelle, ippopotamo, ecc., e di Sebiliano, nome dato ad industrie microlitiche rinvenute a Sebil vicino a Kom Ombo, con presenza di tecnica ancora Levallois, datate intorno a 11.000 anni fa. Molto numerose le tracce relative ai tempi neolitici, nei quali si avevano villaggi di capanne, tombe con abbondante corredo funebre, prodotti fittili, oggetti di ornamento e amuleti, nonché un'intensa attività agricola e l'allevamento del bestiame. A questo riguardo, va sottolineato come, nonostante recenti teorie attribuiscano la neolitizzazione più antica a sviluppi autonomi verificatisi nel Sahara, l'evidenza archeologica sembra ancora privilegiare la teoria dell'introduzione di alcune specie dal Vicino Oriente. Tipici sono tra gli utensili litici taluni coltelli a grande lama ricurva con accurata lavorazione bifacciale. È infine al Neolitico che si ritiene possano risalire le più antiche espressioni di arte rupestre egiziana, copiose specialmente nella zona di Luxor. Con l'Età del Rame, detta anche periodo predinastico, fioriscono, specie nel Medio E., le facies culturali del Badarianot, Amraziano e Gerzeano.
STORIA: DALLE ORIGINI ALLE DINASTIE TINITE (3200 A.C.-2778)
Abbonda nell'antico E. la documentazione storiografica (liste di re, annali dei singoli faraoni, iscrizioni biografiche, stele commemorative, documenti amministrativi pubblici e privati, testi letterari), tuttavia il primo a porsi il compito di una narrazione coerente e completa delle vicende del suo popolo, nell'ambito e in funzione della cultura tolemaica, fu Manetone. A lui si deve la divisione dei periodi storici per dinastie, ossia per gruppi o famiglie di sovrani, in numero di 30 da Menes alla conquista di Alessandro Magno. Le fonti a disposizione sono spesso letterarie (dirette o indirette), ma grande peso ha anche la documentazione archeologica. Fonti diverse (da quelle cuneiformi alla Bibbia, alle fonti classiche) integrano i dati indigeni. I problemi di cronologia sono alquanto complessi poiché gli Egiziani non datavano secondo un sistema assoluto, ma per anni di regno, ricominciando il computo a ogni nuovo sovrano. Il calcolo è reso possibile da liste di re che pure possediamo (quella già citata di Manetone, la pietra di Palermo, le liste di Saqqâra e Abido, il Papiro dei Re di Torino); ma lo stato delle fonti e il fatto che, specie in periodi di torbidi, più re regnarono contemporaneamente, rende assai complessa la ricostruzione di un quadro cronologico esatto. Tuttavia si conoscono tre date esatte, basate su osservazioni astronomiche, per i regni di tre faraoni: Sesostri III, Amenofi I e Thutmose III, e concordanze con altri avvenimenti del Vicino Oriente permettono il computo di datazioni assai probabili, anche se con qualche tratto di convenzionalità. L'inizio dell'età storica si situa intorno al 3200-3000 a. C. (o intorno al 2850 secondo la cosiddetta cronologia corta). In tale epoca, dopo un periodo su cui si è molto congetturato, ipotizzando regni del Nord e del Sud, dapprima divisi, poi unificati e di nuovo divisi, il regno del Sud, che aveva come capitale Hierakonpolis, conquistò il Nord, la cui capitale era Buto, unificando il Paese sotto l'autorità personale del sovrano. Le lotte per l'unificazione sono testimoniate da figurazioni più che da testi. Una mostra il re Narmer (forse si tratta del Menes di Manetone, unificatore dell'E. e fondatore di Menfi) con le due corone del Nord e del Sud, segno che l'unificazione è già avvenuta. Le prime due dinastie sono dette tinite (età tinita, 3000-ca. 2778) dalla capitale This, situata nei pressi di Abido, e hanno lasciato imponenti testimonianze archeologiche nelle tombe dei sovrani e dei loro familiari e seguaci rinvenute ad Abido e a Saqqâra. Per quanto le vicende e perfino l'ordine di successione dei sovrani presentino vaste zone di incertezza, si assiste in questo periodo al formarsi di uno Stato centralizzato, sottoposto all'autorità di un re-dio (gli competono infatti i titoli di «Horus» e «Le due Signore» che lo identificano appunto con queste divinità) coadiuvato da una già efficiente schiera di funzionari, il che permette la progettazione e l'attuazione di lavori a largo raggio, come lo scavo di canali e la costruzione di dighe, primo indispensabile passo verso l'ampliamento dell'agricoltura e la trasformazione dell'economia.
STORIA: L'ANTICO REGNO (2778 A.C.-2220 CA.)
Con la III dinastia si entra nell'Antico Regno (2778-2220 ca.) propriamente detto. Il passaggio pare non sia stato violento perché Gioser, il I re della III dinastia, è probabilmente figlio di Khasekhemui. La capitale passa a Menfi e l'organizzazione burocratica dello Stato si amplia con l'apparire di una nuova figura di funzionario, diretto coadiutore del sovrano, che poi si chiamerà tati (visir). Il regno di Gioser I sembra un momento fondamentale nello sviluppo della cultura egiziana, testimoniato dalle costruzioni in pietra della piramide a gradoni di Saqqâra. Più oscuri sono i regni dei successori. La IV dinastia inizia con Snofru, di cui si conoscono spedizioni in Libia, in Nubia e nel Sinai. I regni dei successori, Cheope, Chefren e Micerino, sono noti quasi esclusivamente attraverso le loro imponenti costruzioni funerarie, le piramidi di Gîza, che testimoniano di un'economia accentrata nelle mani del sovrano e di una sapiente organizzazione del lavoro collettivo. Le necropoli annesse alle piramidi ospitano mastabe di funzionari, spesso imparentati col sovrano. I titoli e le funzioni mostrano come il potere sia fortemente accentrato e come, praticamente, tutta la burocrazia ruoti, anche fisicamente, attorno al re. Un sistema così compatto non poteva durare a lungo: la IV dinastia finisce oscuramente e la V dinastia mostra i segni di una crisi ormai in atto. I primi tre sovrani (Userkaf, Sahura e Neferkara), secondo la leggenda, sono figli del dio Râ e della sposa di un sacerdote di Eliopoli e i loro successori, oltre ad avere nomi composti con Râ, portano tra i loro titoli quello di «figlio di Râ», indicando con ciò una dipendenza dal Sole (prima erano invece identificati col dio Horus e le due dee dinastiche). È questo un chiaro segno del potere che il clero (in questo caso il clero eliopolitano) va assumendo a fianco dell'autorità regale. Nello stesso tempo un altro elemento centrifugo si ha nelle grandi famiglie della nobiltà provinciale che si trasmettono ereditariamente, di padre in figlio, le cariche prima assunte per nomina regale. I sovrani della VI dinastia tentano di controllare questa spinta centrifuga, ma sono costretti continuamente a concessioni di autonomia politica e amministrativa verso il clero e famiglie nobiliari. Il primo re di questa dinastia fu Teti, di cui non si sa molto; gli succedettero Userkara, Pepi I e i figli Merenra I e Pepi II. Quest'ultimo, salito al trono a 6 anni, regnò per ben 94 anni, ed è proprio sotto di lui che si compie la decadenza dell'Antico Regno. Nulla sappiamo di preciso sulle cause ultime della fine della dinastia, culminata in una rivoluzione sociale che traeva la sua origine da cause assai più antiche e di cui approfittarono i nobili provinciali per crearsi una loro autonomia nei paesi di origine.
STORIA: IL MEDIO REGNO (2000 A.C.-1785)
Il I periodo intermedio (2220-2065 ca.) fu un'epoca dalle caratteristiche feudali, in cui l'E. appare frazionato in piccoli potentati autonomi foggiati sul modello della monarchia centrale. Intorno al 2300 a. C. una casata, stabilita in Eracleopoli, controlla la regione centrale (IX e X dinastia), ma viene poi a conflitto coi nomarchi di Tebe, finché, verso il 2065, un re tebano, Mentuhotep I (dell'XI dinastia), afferra di nuovo saldamente nelle sue mani l'E. unificato e dà inizio al Medio Regno (2000-1785 ca.). All'XI dinastia, dei Mentuhotep, succedette la XII, costituita dai membri di una famiglia di visir. Il primo sovrano è Amenemhat I, il cui regno finì bruscamente, pare per una congiura di palazzo. Gli succedette il figlio Sesostri I che intraprese vaste conquiste in Nubia. Meno noti i regni dei successori Amenemhat II e Sesostri II. Sesostri III fu invece uno dei più grandi faraoni della storia egizia e il suo nome ricorre anche nelle leggende narrate dagli storici greci. Fece fortunate campagne in Palestina e in Nubia, dove stabilì fortezze. Il figlio Amenemhat III si occupò principalmente dello sfruttamento agricolo ed economico dell'E., specie del Faiyûm. Sotto i successori Amenemhat IV e Sobekneferura (una regina) avviene una rapidissima decadenza che dà inizio al II periodo intermedio (1785-1580 ca.), periodo che presenta tuttora molti punti oscuri, a cominciare dalla sua durata che oggi è valutata a ca. 200 anni (o ancor meno) in luogo dei 1583 dati da Manetone. L'E. appare di nuovo smembrato: nella regione tebana continua, almeno formalmente, la regalità indigena con la XIII e la XIV dinastia, mentre nel Delta iniziano, dapprima lentamente sotto forma di infiltrazioni e poi in forma sempre più violenta, le invasioni di popolazioni nomadi asiatiche, i cosiddetti Hyksos (principi dei popoli stranieri). Ben presto essi si stabiliscono in Avaris, nel Delta orient., dove costruiscono una fortezza, spingendosi poi fino a Menfi, e a un certo momento fino a Gebelein, a sud di Tebe, forti del possesso di nuove armi, di cavalli e carri da guerra. Una volta sedentarizzati assumono usi e costumi degli Egiziani e costituiscono delle vere e proprie dinastie (la XV e la XVI) con titoli e cerimoniale regali. Per un certo periodo vi furono rapporti di tolleranza reciproca con i Tebani, che avevano anch'essi costituito una dinastia, la XVII. Fu solo intorno al 1580 a. C. che si arrivò allo scontro diretto tra gli Hyksos e gli Egiziani in grado ormai di far leva sul nazionalismo indigeno, mortificato dall'invasione. Uno dei re della XVII dinastia tebana, Seqnenra, probabilmente morì in battaglia (la sua mummia presenta un'ampia ferita alla fronte); il suo successore Kamose continuò la lotta che fu portata a termine da Ahmose, il fondatore della XVIII dinastia. Costui assediò Avaris e la conquistò, inseguendo gli invasori fin nella Palestina meridionale.
STORIA: IL NUOVO REGNO (1580 A.C.-1085)
Si iniziava così, in questo clima di vittoria e nell'esaltata rinascita di uno spirito nazionale, il Nuovo Regno (1580-1085 ca.), uno dei periodi più floridi e fortunati dell'antico Egitto. La profonda crisi del II periodo intermedio non era però passata invano; gli Egiziani cominciarono a rendersi conto che i territori a est dell'E. potevano costituire una minaccia e, per difendersene, occorreva attaccare e sottomettere le popolazioni siro-palestinesi nel loro stesso ambiente. Questa fu la politica attuata dallo stesso Ahmose e seguita dai suoi successori Amenofi I, Thutmose I e Thutmose II. Come prima conseguenza di queste campagne si ebbe in E. un afflusso di ricchezze che, unito alle aumentate conoscenze di popoli diversi, introdusse esigenze di lusso e di raffinatezza assieme a nuove credenze che cambiarono profondamente il modo di vivere. Una battuta di arresto in queste campagne asiatiche si ebbe sotto la regina Hatshepsut, ma il suo successore Thutmose III riprese con eccezionale vigore la politica espansionistica in Asia. Egli portò a termine 17 campagne militari, volte a riconquistare Siria e Palestina e a perseguire i Mitanni che fomentavano le rivolte fin oltre l'Eufrate. Queste campagne avevano scopo intimidatorio più che di vera e propria conquista: il faraone si accontentava infatti di assicurarsi la fedeltà dei capi dei Paesi vinti, attuando così una specie di protettorato. Tuttavia la fluidità del mondo asiatico, teatro di continue lotte locali e continuamente premuto da invasori provenienti da est (prima i Mitanni, poi gli Ittiti e più tardi gli Assiri, i Neobabilonesi e infine i Persiani) rese il sistema assai aleatorio e richiese continui interventi armati. Né si perse di vista la Nubia, che anzi venne annessa più strettamente e posta sotto l'autorità di un viceré, «il Figlio Regale di Kush». A Thutmose III succedettero Amenofi II e Thutmose IV, sotto i cui regni cominciò a profilarsi in Asia la nuova minacciosa potenza degli Ittiti, che cozzando coi Mitanni indussero questi ultimi a riavvicinarsi all'Egitto. Amenofi III, figlio e successore di Thutmose IV, cercò di mantenere in pace l'impero, creando alleanze anche per mezzo di matrimoni con principesse straniere. Intanto all'interno andava sempre più affermandosi il potere del clero di Ammone, al cui tempio affluiva gran parte delle ricchezze asiatiche e nubiane. Intorno al 1350 la crisi scoppiò per opera di Amenofi IV, figlio di Amenofi III, sfociando in una rivoluzione religiosa che abolì tutti i vecchi dei riconoscendo come unico dio Aton, il «disco solare». L'unico intermediario tra Dio e gli uomini divenne il sovrano stesso, ristabilendo così quella figura di re-dio, unico arbitro delle vicende umane, che dalla prima età menfita era andato perdendo ogni vitalità. Insieme venne esautorata anche la vecchia nobiltà, in quanto i funzionari erano di nomina regale e non legati alle vecchie famiglie (almeno formalmente). Il suo distacco dal passato è sottolineato dal cambiamento di nome, da Amenofi (Ammone è in pace) in Ekhnaton (Colui che è giovevole ad Aton), e dalla fondazione di una nuova capitale, Akhetaton (L'orizzonte di Aton). Ben presto tuttavia clero e nobiltà ripresero il sopravvento e lo stesso sovrano fu costretto a tentare una riconciliazione che però non valse a salvare la sua riforma. Alla sua morte gli succedette, forse solo per pochi mesi, Semenkhara, seguito poi da Tutankhamon. Dopo un breve regno di Ai, la XVIII dinastia terminò con l'ascesa al trono di Horemhab, un ex-generale, proveniente da una famiglia di nomarchi, la cui attività fu volta soprattutto a deprimere le autorità provinciali restaurando il potere centrale assai provato dall'ultima crisi. La XIX dinastia, che con Ramesse I succedette senza scosse a Horemhab, portò al potere una famiglia di militari originaria del Delta. Essi mantennero la capitale a Tebe, ma nello stesso tempo conservarono legami assai stretti con la loro città di origine e, con fine intuito politico, affiancarono al dio nazionale Ammone i loro dei Seth, venerato a Tani, Ptah, il dio dell'antica capitale Menfi, e Râ, il potente dio di Eliopoli. Con ciò ottennero di poter controllare tutto il Paese dalla Vallata al Delta e insieme di limitare, senza troppo urtarne la suscettibilità, l'influenza del clero di Ammone. Il successore di Ramesse I, Seti I, contrastò vittoriosamente le ribellioni in Asia, fomentate dagli Ittiti, e le invasioni delle tribù ariane provenienti dalla Libia. La lotta contro gli Ittiti fu proseguita dal figlio Ramesse II, forse il più famoso dei sovrani egiziani, che ebbe un regno lunghissimo e si segnalò soprattutto per la sua attività di costruttore. Ai primi anni del suo regno, intorno al 1294, risale la famosa battaglia di Qadesh contro gli Ittiti, che ebbe esito incerto anche se poi fu sfruttata da Ramesse, con abile propaganda, come una splendida vittoria personale. Il vero successo della battaglia si ebbe però nella stipulazione di un trattato di pace, suggellato da un matrimonio tra il faraone e la figlia del re degli Ittiti, in cui, oltre alla reciproca convivenza, i due popoli si impegnavano alla mutua difesa, soprattutto in vista di un nuovo pericolo proveniente da Oriente: gli Assiri. La situazione rimase stazionaria sotto il regno di Merenptah, che respinse energicamente dal suolo stesso dell'E. gli invasori Popoli del Mare, provenienti dalla Libia: ma precipitò sotto gli ultimi sovrani della XIX dinastia. Un ultimo soprassalto di energica ripresa si ebbe sotto Ramesse III della XX dinastia che, ispirandosi alle imprese del suo omonimo predecessore, combatté e vinse i Popoli del Mare e le tribù coalizzatesi sul fronte libico, ma la fine oscura del re, perito forse per una congiura di palazzo, dette il via alla decadenza. Ormai l'E. non poteva più contare sul suo isolamento, nuove forze entravano in gioco sconvolgendo gli antichi equilibri, armate potenti premevano sia da Oriente, sia dal mare, sia dalla Libia, fresche di nuove energie e dotate di armi più potenti. Era la crisi del passaggio dall'Età del Bronzo all'Età del Ferro e l'E., privo di minerali utili e ancorato alle sue tradizioni ormai millenarie, restava al di fuori, sorpassato, mentre la sua stessa estensione e il tradizionale antagonismo tra Delta e Vallata ne impedivano un'efficace difesa. Gli ultimi re della XX dinastia, Ramesse IV-XI, sono comparse insignificanti.
STORIA: LA BASSA EPOCA (1085 A.C.-332)
Verso il 1085 (bassa epoca, fino al 332 a. C.) il potere passò nelle mani di un sommo sacerdote di Ammone, Herihor, che, pur in presenza di una misera figura di re, Smendes (fondatore della XXI dinastia), assunse titoli regali. Vi furono così due capitali, una religiosa a Tebe e una politica a Tani, nel Delta, mentre le istituzioni si andavano sfasciando sotto la vana copertura di accademici orpelli. Si rappezzarono templi, si nascosero le mummie dei faraoni perché non si riusciva più a difenderle nelle loro tombe, si trafficava con i Paesi orient., ma non si poteva impedire che i messi egiziani venissero vilipesi in terra straniera. Nel frattempo mercenari di origine libica, prestanti servizio nell'esercito, si erano stabiliti a Eracleopoli e tra essi emerse una famiglia i cui membri assunsero cariche sacerdotali e civili finché, intorno al 950 a. C., uno di loro, Sheshonq, occupò il trono fondando la XXII dinastia che assunse i caratteri di una dittatura militare, avente come capitale Bubasti nel Delta. Sheshonq riprese anche le campagne in Asia, arrivando fino a Gerusalemme, di cui saccheggiò il tempio, e riuscì anche, per un certo tempo, ad assicurarsi un controllo sul clero di Ammone, creando una nuova figura sacerdotale da contrapporre al gran sacerdote di Ammone: la «Divina Adoratrice» o «Sposa del Dio», scelta tra le principesse della famiglia reale. Ciò però non valse a frenare i torbidi e le divisioni interne, ormai troppo radicate nel Paese, al punto da dare di nuovo origine a una società di tipo feudale, che perdurò nelle dinastie XXIII e XXIV. La situazione si complicò con l'arrivo in E. di conquistatori nubiani (forse discendenti da sacerdoti egiziani esiliatisi a Napata), con a capo Piankhy, figlio di Kashta. Egli penetrò in E. presentandosi come restauratore della genuina tradizione egiziana; se ne tornò quindi a Napata, lasciando a Tebe, in sua vece, un governatore. Le ribellioni ripresero, costringendo il figlio di Piankhy, Shabaka, a riprendere la lotta. A Shabaka succedettero Shabataka e poi Taharqa, sotto il cui regno gli Assiri invasero l'E. due volte (671 e 669), questa volta spingendosi fino a Tebe. Sotto Tanutamon, l'ultimo sovrano della XXV dinastia, gli Assiri conquistarono per la terza volta l'E. (664), respingendo la dinastia etiopica nel Paese d'origine, dove poi diede vita al regno meroitico. Nel 663 un principe di Sais, Psammetico, approfittando delle divisioni interne degli Assiri e forte dell'aiuto del re di Lidia Gige, che gli inviò mercenari greci e carii, riuscì a ristabilire l'unità interna dell'Egitto fondando la XXVI dinastia, l'ultimo periodo di fioritura dell'E., in cui un cosciente ritorno alle tradizioni riportò nella letteratura e nell'arte i modi e il linguaggio dell'Antico e Medio Regno, vagheggiati come favolosa età dell'oro. I Greci penetrarono in E. come mercenari e mercanti, ampliando gli orizzonti della cultura indigena. All'esterno intanto la potenza neobabilonese si era sostituita a quella assira e con essa cozzarono Nekao, che fu sconfitto da Nabucodonosor, e Apries, che fu poi detronizzato dal suo generale Amasi. Il figlio di Amasi, Psammetico III, fu a sua volta sconfitto dal re persiano Cambise, che nel 525 invase l'E., installandovi una satrapia. La XXVII dinastia di Manetone è appunto costituita dai sovrani persiani Cambise, Dario I, Serse, Artaserse, Dario II (525-404). L'E. fu reso di nuovo indipendente da Amirteo di Sais, l'unico re della XXVIII dinastia (404-398), e riuscì, pur con alterne vicende, a conservare la libertà per altre due dinastie indigene, la XXIX con capitale Sebennito e la XXX con capitale Mendes (entrambe nel Delta). Tuttavia nel 341 l'E. ricadde sotto il dominio persiano cosicché Alessandro Magno, quando nel 332 conquistò il Paese, apparve come un liberatore e fu proclamato «Figlio di Ammone» dall'oracolo dell'oasi di Sîwa.
STORIA: L'ETÀ GRECO-ROMANA
Dopo la morte di Alessandro Magno, iniziò il regno dei sovrani tolemaici, nato dalla spartizione dell'impero di Alessandro tra i suoi generali (i Diadochi) e dall'assegnazione della regione a Tolomeo Lago, che nel 304 vi assunse il titolo di re sull'esempio di quanto aveva fatto Antigono di Siria. La dominazione tolemaica rappresentò nel complesso un periodo di pace e di benessere e durò per tre secoli, fino al 31 a. C., quando la flotta di Cleopatra e Marco Antonio fu sconfitta ad Azio da Ottaviano. I Tolomei, fin dai primi tempi della loro dominazione, cercarono di ingraziarsi la popolazione indigena proclamandosi eredi dei faraoni e assumendone tutto il cerimoniale, professando ossequio agli antichi dei (molti templi, tra i più importanti dell'E., furono rifatti o costruiti ex novo in questo periodo) e creando addirittura divinità ibride come Zeus-Serapide, ma non arrivarono mai a fondere le due popolazioni. Si ebbero così due culture che vissero affiancate, senza amarsi e senza comprender si: da una parte il mondo ellenistico che ha trovato in Alessandria la sua più brillante capitale, e dall'altra il mondo egiziano, sopravvissuto a se stesso e chiuso ormai in un accademico e bigotto isolamento. Dell'amministrazione faraonica, i Tolomei conservarono e potenziarono l'organizzazione burocratica, il sistema fiscale, il carattere ufficiale imposto anche alle trattative private con la stesura di contratti depositati presso un notaio. Vi sono notizie di rivolte, specie nella Tebaide, la regione più lontana dal potere centrale e in cui più viva restava la tradizione, specie sacerdotale, finché nell'84 a. C. Tebe fu distrutta da Tolomeo IX Latiro. Un tentativo di far leva sul nazionalismo più vasto fu compiuto dall'ultima regina d'Egitto, Cleopatra VII, l'unica che parlasse la lingua egizia, ma il suo sogno finì con la sconfitta di Azio. I Romani, conquistato l'E., ne fecero una provincia a statuto speciale rispetto alle altre province dell'Impero, governata dagli stessi imperatori per mezzo di un prefetto di rango equestre. Inoltre il territorio era interdetto ai personaggi di rango senatorio. E gli imperatori, come già i Tolomei, si considerarono eredi dei faraoni e si fecero spesso rappresentare in abito e stile egizi, col nome in geroglifici racchiuso in un cartiglio. Le istituzioni tolemaiche furono generalmente conservate e ci si appoggiò più all'elemento greco che a quello indigeno, tanto che, quando nel 212 Caracalla concesse la cittadinanza romana a tutti i cittadini dell'impero, gli Egiziani, tranne i più illustri, ne restarono esclusi. Nei sec. I e II l'E. fu considerato «il granaio dell'impero» e da questa pesante situazione uscì fortemente impoverito, mentre sempre più si accentuava lo sfacelo delle classi abbienti, costrette a compiti amministrativi di cui dovevano sostenere anche le spese. Con la riforma dioclezianea l'E. venne diviso in tre province e venne a far parte della Diocesis Orientis governata da un prefetto avente sede in Antiochia. In questo periodo l'elemento ellenizzato, tranne che in Alessandria, andò perdendo la sua supremazia, mentre si fece strada di nuovo quello indigeno. Nello stesso tempo si andava sempre più diffondendo, specie tra gli indigeni, il cristianesimo e si sviluppava una nuova lingua erede dell'antico egiziano, ma scritta in caratteri greci: il copto. Tuttavia anche l'avvento del cristianesimo non placò le lotte civili; anzi, dapprima si ebbero le fanatiche persecuzioni degli ultimi pagani, poi le contese, sempre violente, tra melchiti e monofisiti in cui si rispecchiava forse la sempre viva tensione tra mondo alessandrino e mondo indigeno, contadino, il primo volto a raffinate speculazioni teologiche, mentre il secondo, più rozzo ed elementare, diede vita al fenomeno del monachesimo. Nel 451 la ribellione del patriarca Dioscoro, che, avendo accettato l'eresia monofisita, era stato condannato dal Concilio di Calcedonia, staccò definitivamente la Chiesa copta dall'autorità di Bisanzio, sanzionando un conflitto che era anche politico. Nel 616 i Persiani, guidati da Cosroe, invasero l'E., tenendolo in loro potere fino al 628 e, dopo una brevissima riconquista bizantina, intervennero gli Arabi che nel 641 lo invasero al comando di !Amr ibn al-As, battendo i Bizantini a Heliopolis.
RELIGIONE: GENERALITÀ
Per la difficoltà di ridurre la religione egiziana a un unico sistema organico, gli studiosi, partendo dai miti cosmogonici, vi hanno individuato tre complessi principali arcaici (a partire dal III millennio), collegati ad altrettante città e sedi di culto: Eliopoli (la «Città-del-Sole»), Menfi (la capitale dei costruttori di piramidi), Ermopoli (la «Città-di-Ermete», ossia del dio egiziano Toth che i Greci identificarono col loro Ermete). La cosmogonia eliopolitana ha per protagonista il dio Sole (Râ), la menfitica il dio Terra (Ptah, detto anche Ta-tenen, Terra-che-si-solleva, con allusione alla sua emergenza dal Nun, il caos acquatico primordiale), e l'ermopolitana un gruppo solidale di 8 dei (ogdoade) intesi come un'unica entità cosmogonica ripartita per 4 aspetti in 4 coppie (un dio e una dea per coppia): Nun e Nunet (l'acqua primordiale), Heh e Hehet (lo spazio infinito), Kek e Keket (le tenebre), Ammone e Amonet (ciò che è nascosto). Ogni mito, però, non ha valore a sé stante, perché, p. es., l'ogdoade è un'emanazione di Râ. L'individuazione delle tre cosmogonie «fondamentali» non è utilizzabile nella ricerca di una forma religiosa che trascenda i singoli elementi, né questa forma religiosa sembra poter risultare dalle divinità dell'antico E., perché anche in questo caso si è finito per assegnare singole divinità a singoli centri cultuali, spiegando poi la loro emergenza nella cultura egiziana con l'importanza politica assunta da quei centri nel corso del tempo; e, come per i miti cosmogonici, ci si è trovati di fronte a «sintesi» o «teocrasie» come quella di un Amon-Râ derivata dalla fusione del dio Râ di Eliopoli con il dio Ammone di Tebe. Anche in questo caso si ha una subordinazione delle concezioni divine a una forma religiosa che le trascende. Questa si fa intelligibile solo muovendo dalla concezione della regalità sacra, perché la regalità s'identifica con la forma religiosa egiziana: senza trascendere né esserne trascesa. Il che è bene espresso dal rito con cui il faraone, in quanto personificazione dell'E. stesso, adorava la propria immagine, come rappresentazione di tutta la sacralità. Quell'unità culturale che noi chiamiamo E. è sorta con la concezione della regalità (sacra): l'unificazione politica del Paese viene senza alcun dubbio attribuita all'istituto regale; non è assurdo, dunque, pensare che lo stesso istituto abbia acquisito l'unificazione culturale, e perciò anche religiosa, dell'Egitto. Quando si parla di religioni etniche, come fu l'egiziana, non bisogna attribuire a esse contenuti validi di per sé (siano miti cosmogonici o concezioni divine), ossia credibili in assoluto come verità di «fede». In una religione etnica ogni contenuto (e quindi anche le cosmogonie e gli dei) contribuisce all'edificazione politico-sociale di quel popolo che ne è portatore, e va pertanto considerato esclusivamente alla luce di questo suo fine. Per l'E. l'istituto regale è la ragion d'essere del popolo egiziano, per cui la religione egiziana è e si esplica soltanto in sua funzione e quindi si può dire che ogni mito e ogni divinità, in E., esistano e siano documentati in funzione del re. Sopra questa o quella cosmogonia c'è il mito del concepimento divino di ogni singolo re. Al di là della concezione eliopolitana del dio Râ, o di quella tebana del dio Ammone, o della teocrasia Amon-Râ, c'è l'idea che il faraone sia figlio di Amon-Râ. Si arriva a dire, come è documentato, che è il faraone a illuminare con i raggi solari, è lui a far germinare la terra, ecc., quasi che non ci fosse bisogno di un dio-sole, di un dio-terra, ecc. È in questo quadro che si spiegano le «sintesi» e le «teocrasie» e finalmente la famosa riforma «monoteistica» di Amenofi IV (1360-40 a. C.), il quale, perseguendo una sua politica ordinatrice dell'impero egiziano, ha creduto di poter vanificare tutte le entità divine riducendole alla forma emblematica del «disco solare» (Aton). E il difetto di questa riforma – rilevabile a posteriori dalla sua sfortuna – non è nell'impossibilità di vanificare gli dei tradizionali, ma in una contraddizione interna: gli dei tradizionali non avevano una realtà culturale scindibile dalla regalità, e pertanto eliminandoli si minava alla base lo stesso istituto regale. Ossia: il re riformatore perdeva la capacità di fare la riforma. Del resto la riforma di Amenofi mirava alla costituzione di un organismo politico supernazionale, in cui il nuovo dio Aton doveva provvedere non soltanto agli Egiziani ma anche alle altre genti dell'«impero», e questa tendenza universalistica contrastava con la sostanza della religione etnica tradizionale.
RELIGIONE: IL MITO DI OSIRIDE
Il complesso mitico-rituale del dio Osiride emerge tra gli altri culti in vista dell'individuazione di una realtà religiosa pan-egiziana. Ciò è possibile perché in questo complesso si cala completamente la sacralità dell'istituto regale; in esso si risolvono le contraddizioni inerenti alla condizione umana e mortale del faraone, chiamata a esprimere un'idea divina e immortale che la trascende. In altri termini: la vita del faraone che finisce con la sua morte è una «vicenda» che si svolge necessariamente sul piano della storia, mentre ciò che egli rappresenta (l'E.) deve essere un'entità sottratta al divenire storico, e quindi alla morte. C'è bisogno di un «superamento» della morte del faraone che assicuri continuità all'Egitto. Tale superamento, che in uno Stato moderno sarebbe ottenuto da una costituzione, nell'antico E. era ottenuto mediante il mito osirico. I protagonisti del mito sono: Osiride, figlio del dio-terra Geb e della dea-cielo Nut (intesi come principi cosmogonici assoluti); la sua sorella-sposa Iside; il fratello antagonista Seth; il figlio Horus. La vicenda mitica: Seth uccide Osiride e ne fa a pezzi il corpo; Iside ricompone il cadavere del marito e ha da lui un figlio, Horus; questi uccide Seth, vendicando il padre e sostituendolo sul piano della «vita»; Osiride continuerà a esistere ma sul piano della «morte»: diventerà il dio dei morti. In questo mito d'indubbie origini predeistiche (gli dei infatti dovrebbero essere immortali) si cala la sacralità del faraone «mortale» e «dio» a un tempo. Non si tratta dell'identificazione meccanica del faraone con Osiride, ma della fondazione dei valori della regalità mediante una «vicenda» mitica che la sottrae alla storia, liberandola della «vicenda» storica determinata dalla vita e morte di ogni singolo faraone. Soltanto alla sua morte il faraone veniva «osirizzato», ossia, mediante un rito, identificato con Osiride; il suo successore, invece, assumeva il titolo di Horus. Iside in questo contesto è presente per il suo nome significativo: vuol dire «trono». Quanto a Seth, la sua posizione è ambigua: sta probabilmente a rappresentare la «deperibilità» del faraone (e dunque la sua parte «cattiva»: non divina), su cui tuttavia Horus (ossia lo stesso faraone vivente) ha la meglio; ma è da notare che qualche re della II dinastia si fa chiamare Seth invece di Horus, il che sottrae Seth a un giudizio etico (il «nemico malvagio») e lo riduce al ruolo di antagonista necessario allo sviluppo della vicenda mitica in cui deve calarsi la vicenda regale della morte e della successione al trono. Da notare infine che, oltre all'identificazione della regalità con il complesso osirico, si ha anche l'inverso, ossia l'identificazione di Osiride con la regalità: il dio nel mito era immaginato come un re dell'E. (il primo re) e, dopo morto, come il re dei morti. Rispetto a quel punto di partenza, per la comprensione della forma religiosa egiziana, che ci è parso essere l'istituto regale, Osiride dunque diventa necessario a differenza degli altri che sono soltanto contingenti. Se teoricamente il faraone può sostituire tutti gli dei settoriali o locali, altrettanto avviene per Osiride: se il faraone può sostituire un dio-sole e un dio-terra, Osiride si sostituisce, col sistema delle «teocrasie», nel campo d'azione del dio-sole Râ (formula: Amon-Râ-Osiride) e del dio-terra Ptah (formula: Ptah-Sokaris-Osiride). Il dio Toth di Ermopoli cede a Osiride il carattere di «incivilitore» o «fondatore della civiltà», per ridursi a suo «scriba». E si potrebbe continuare così, ma in sostanza Osiride, come il faraone, è l'E. stesso: la morte del dio è equiparata all'inondazione del Nilo; il rito che la evocava aveva luogo nell'ultimo mese della stagione dell'Inondazione; e nel primo giorno della stagione dell'Emersione, quando il suolo egiziano fecondato dal Nilo risorgeva a nuova vita, si erigeva la colonna djed (nella scrittura ideografica significante «stabilità»), che poteva essere intesa come la «colonna vertebrale di Osiride». Quanto sopravvisse alla fine dell'E. dopo la sua ellenizzazione e la conquista romana fu proprio il complesso osirico; ma indice della nuova situazione (non c'era più l'istituto faraonico, né l'E. come entità politico-culturale) fu lo spostamento di importanza da Osiride a Iside, alla quale dea s'intitolarono i «misteri» (isiaci) sorti sul modello greco dei «misteri eleusini». Il «superamento della morte» che Osiride prospettava al faraone si risolveva, a livello della gente comune, nella credenza in una vita oltretombale che non trova riscontro in alcuna delle antiche culture mesopotamiche e mediterranee. Le idee egiziane sull'oltretomba muovono dal riconoscimento di una parte indeperibile dell'uomo (le due «anime»: il ka, «forza vitale» che viene trasferita nell'immagine funeraria, e il ba, una specie di «doppio» che con la morte si libera dal corpo per la nuova vita), ma soprattutto si fondano sull'acquisizione al diritto di una vita oltretombale mediante una vita adeguata all'ordine costituito, un «ordine cosmico» personificato dalla dea Maat, il cui nome significa «verità» o «giustizia» (è un concetto intraducibile); in altri termini mediante la perfetta subordinazione al faraone che di quell'ordine è promotore e garante. Chi muore si presenta al giudizio di Osiride che commisura il suo cuore a Maat, mediante l'immagine di una pesa: se risulterà «giusto» sarà salvo, se «ingiusto» morrà una seconda volta e definitivamente. In Osiride, dunque, si risolve il problema della morte, non soltanto come superamento della contraddizione insita nell'istituto regale, ma anche della contraddizione insita nella condizione umana. Tutto ciò, ovviamente, nei limiti della condizione «egiziana», perché essere egiziani significò in vita venire rappresentati da un faraone, e dopo la morte da Osiride.
RELIGIONE: PANORAMA SPAZIO-TEMPORALE DELLE DIVINITÀ EGIZIANE
In epoca preistorica è già attestata la credenza in una vita ultraterrena, accompagnata al culto di animali, di piante e di oggetti. Lo zoomorfismo è una caratteristica costante della religione egiziana (in genere, corpo umano e testa di montone, di vacca, di falco, di cane, d'ibis, ecc.), a ricordo forse di antichi culti totemici. Tra la fine della preistoria e l'inizio dell'età storica il panorama delle divinità offre già un quadro completo e ben individuato nelle singole località: a Elefantina, nella estremità merid. del Paese, era venerato Khnum, dio dalla testa d'ariete, con le compagne Satis e Anuki; a Edfu un dio-falco, Horus; a el-Kab la dea-avvoltoio Nekhbet, a Hieraconpolis un altro Horus; a Hermonthis un altro dio-falco, Month; altri dei-falchi avevano un proprio culto in altre città della Vallata e del Delta; a Koptos aveva il proprio culto un dio antropomorfo e itifallico, Min, datore di fecondità e protettore delle vie carovaniere; a Dendera era venerata la dea-giovenca Hathor, connessa con Horus: dea celeste e funeraria, presiedeva all'amore e alla guerra, mutevole nell'aspetto di donna o di vacca; ad Abido era fiorente il culto alla dea Khenty-Amentyw, con aspetto di cane; ad Akhmin ricompare il dio Min; ad Asyût, Anubi, il curatore dei cadaveri, e Upuant, la guida dei morti, entrambi con aspetto canino; a Ermopoli dominava il saggio Toth, distributore della sapienza e dio della scrittura e della luna, con aspetto di babbuino o d'ibis; nel Faiyûm, zona di laghi, era venerato il dio-coccodrillo Sobek; Menfi onorava Ptah, dio creatore, assieme alla sposa Sechmet e al figlio Nefertum; a Sais, la dea Neith in forma umana; a Buto, una dea-serpente; a Busiride, prima Anegti e poi Osiride; a Sebennito, gli dei Shu e Tefnut; a Behbet, Iside; a Mende, un dio-ariete; a Bubasti, la dea-gatta Bastit; al confine orient. il dio-falco Sopdu. All'inizio dell'epoca storica, per il fenomeno del sincretismo, diverse divinità s'identificarono fra loro scambiandosi aspetto, attributi e funzioni oppure costituendosi in triadi a carattere familiare: si ebbero così la triade menfita formata da Ptah, Sechmet e Nefertum, la tebana con Ammone, Mut e Khonso, la più diffusa e popolare di Osiride, Iside e Horus, presente ancora in epoca tarda. Sorgevano frattanto i grandi sistemi teologici, fondati su divinità a carattere universale e raccolte in gruppi: la Grande Enneade con il dio primordiale Aton, da cui sono generati Shu (l'aria) e Tefnut (l'umidità); da questi nascono Geb (la terra) e Nut (il cielo), che a loro volta generano Osiride, Iside, Seth e Nefti; secondo il sistema teologico di Ermopoli, da un originario caos acquatico sono generate quattro coppie di dei: i maschi-serpenti e le femmine-rane; dalla stessa acqua s'innalza un primo coacervo di terra, nido di un misterioso uovo, dal quale nasce il sole; di ben diverso valore speculativo è la teologia menfita, che dice il mondo opera della parola creatrice di Ptah. Miti e leggende accompagnano l'evoluzione religiosa: di questi è tipico il ciclo di Osiride. Un altro ciclo si formò attorno a Râ, dio del sole, signore del mondo. La purezza della religione egiziana fu contaminata, all'inizio del Nuovo Regno, dai culti di divinità asiatiche, fra cui principali quelli a Qadesh, Reshef e Astarte; nel contempo, come antidoto alle difficoltà del vivere quotidiano, la devozione del popolo s'indirizzò verso divinità minori e locali, come Bes, Toeri e Mert-Seger, oppure rielaborò il culto d'Iside e di Osiride fuori degli schemi ufficiali e con forti connotazioni patetico-umane; frequente si fece pure il ricorso agli oracoli e ai sogni per ottenere un responso diretto dalla divinità o per avere una rapida giustizia dove la burocrazia religiosa era troppo lenta o inefficace. Questo processo si accentuò nella Bassa Epoca con l'affermazione di culti locali e la loro contemporanea degradazione fino a formulazioni abnormi. Nel periodo tolemaico il sincretismo completò la contaminazione della religione egiziana in un forzato connubio con gli dei greci: tipico è il dio Serapide, nuova forma di Osiride-Api. Il cristianesimo spazzerà via con la sua foga giovanile gli antichi dei: nel 391 venne bruciato il Serapeo di Alessandria e nel sec. VI chiuso il tempio di File, ultimo rifugio della religione egiziana.
DIRITTO
In mancanza di raccolte giuridiche, la sola fonte che fornisca qualche indizio sull'esistenza di leggi è lo storico Diodoro Siculo. Questi ipotizza che già Menes abbia legiferato, ma è fortemente improbabile che si trattasse di leggi scritte; nel corso del primo millennio a. C. si sarebbero avute diverse codificazioni: Bocchoris (720-15), Psammetico I (663-09), Amasi (569-26). La notizia sembrerebbe confermata da reperti nella tomba di Rekhmara, visir dell'Alto E. durante la XVII dinastia, raffiguranti quaranta rotoli di papiro, che ragionevolmente dovrebbero contenere testi di leggi. Un decreto penale di Horemhab sopra una stele di Karnak fa pensare che leggi scritte esistessero almeno dalla XIX dinastia. Di estremo interesse sono i papiri che, avendo conservato numerosi atti della prassi, consentono di ricostruire alcuni aspetti del diritto privato, seppure con discontinuità: molto rari per l'epoca più antica, abbondano nei tempi più recenti e sono redatti in lingua demotica.
ORDINAMENTO GIURIDICO E ISTITUZIONI
Il faraone riuniva sotto la sua autorità l'Alto e il Basso E. incarnandosi nelle loro divinità principali. Nel campo amministrativo le più importanti funzioni furono dapprima esercitate da un visir (tati, l'uomo per eccellenza) che, dietro investitura faraonica, aveva il potere di «dare leggi, conferire cariche, accertare i confini per distinguere un possessore da un suo vicino» (secondo il Köhler una sorta di cesaropapismo). Col tempo però si accentuò la tendenza ad affidare specifiche competenze a un certo numero di alti funzionari: tesoriere, cancelliere, economo, archivista. L'importanza della burocrazia, e in particolare degli scribi, si accrebbe durante il Nuovo Regno, tanto che alcuni parlano di «socialismo di Stato»: il territorio era diviso in 42 nómoi, ognuno retto da un nomarca, e comprendente città e villaggi con propri capi, assistiti da notabili locali, che avevano funzioni amministrative e giudiziarie. I rapporti tra il faraone e i nomarchi furono, durante i secoli, più volte turbati dalle tendenze separatistiche di questi ultimi. Altrettanto complessi furono i rapporti tra il faraone e l'aristocrazia sacerdotale che cercò sempre di esercitare una notevole influenza politica mediante la conferma oracolare della legittimità del faraone, contro la tendenza della corte a confinare i sacerdoti a esclusive funzioni religiose. Non è possibile accertare l'esistenza di schiavi durante l'Antico e Medio Regno, anche se è probabile che in quell'epoca i prigionieri di guerra fossero utilizzati come schiavi pubblici. È invece accertata l'esistenza di schiavi privati durante il Nuovo Regno. Appare certo che lo schiavo potesse compiere atti giuridici: agire contro il padrone, possedere un piccolo patrimonio e crearsi una famiglia. • Per quanto concerne l'organizzazione familiare, i documenti relativi all'Antico Regno ce ne presentano uno stadio già sviluppato: spiccato era l'individualismo, con conseguente limitazione della potestà paterna e dell'autorità maritale, per cui tanto la moglie quanto i figli godevano di propria capacità giuridica. Il matrimonio era su base prevalentemente monogamica, ma esisteva anche la poligamia. Durante il Nuovo Regno i mutamenti economico-sociali affermarono nella struttura familiare la responsabilità del padre o, in sua mancanza, del figlio maggiore. Egli rispondeva, dinanzi al faraone, del lavoro imposto alla famiglia e dell'esecuzione delle prestazioni relative: tale fenomeno determinò l'accentuarsi dell'autorità paterna. Un ritorno all'individualismo, con caratteri ancora più marcati, si ebbe durante l'epoca saitica in cui si ristabilì la piena parità giuridica fra gli sposi. Per contrarre matrimonio era ora indispensabile il consenso degli sposi e la donna poteva disporre dei suoi beni e aveva, al pari del marito, il diritto di divorziare: in questo caso ella riprendeva la sua dote e il marito era tenuto a consegnare i propri beni ai figli nati dal matrimonio. Il problema successorio trova gli studiosi ampiamente divisi riguardo sia alla successione ab intestato sia a quella testamentaria. Nel primo caso, la differenza fondamentale è tra chi sostiene la successione del figlio più anziano e chi afferma l'uguale posizione di tutti i figli, escludendo ogni privilegio. È possibile che entrambe le ipotesi siano valide con riferimento a diversi contesti socio-economici; nel secondo, pare debba escludersi l'esistenza del testamento vero e proprio: esistevano invece atti inter vivos in cui una parte o tutti i beni del disponente erano assegnati a una o più persone; il documento, quasi certamente, era trattenuto dal disponente fino alla sua morte, come garanzia. Durante il Nuovo Regno, l'«erede» diveniva tale soltanto se provvedeva alla sepoltura del defunto. Questa specie di testamento scomparve nel corso del I millennio a. C. Un soggetto poteva trasferire la proprietà di tutti o parte dei suoi beni, di solito immobili, a sacerdoti che provvedessero a tutto quello di cui il disponente abbisognasse dopo la sua morte. • Riguardo alla proprietà fondiaria, teoricamente la terra era di proprietà del faraone che poteva concederla in godimento a templi o a privati; in realtà, accanto al dominio prevalente del faraone, pare esistesse anche la proprietà privata: infatti, fin dall'Antico Regno, i documenti ci informano di privati che disponevano liberamente delle loro terre; nei periodi feudali, la terra si concentrò nelle mani di pochi grandi proprietari. Almeno fino alla XVIII dinastia l'obbligazione contrattuale si costituiva mediante un giuramento (contratto formale) o l'accettazione di una controprestazione (contratto reale). Il giuramento veniva prestato dalle due parti: l'una asseriva di aver eseguito la prestazione, l'altra prometteva di eseguire la controprestazione. Dalla XIX dinastia, il giuramento comparve sempre meno frequentemente, finché, alla fine del Nuovo Regno, non risultò più necessario.
SCIENZA E TECNICA
La documentazione pervenutaci relativa all'antica scienza egiziana, sviluppatasi fino al sec. XII a. C., attesta la sostanziale assenza di un metodo realmente speculativo nell'affrontare i problemi di ordine scientifico. La scienza, infatti, fu appannaggio esclusivo dei sacerdoti che se ne servivano a scopi politici e religiosi mentre agli scribi era lasciato il compito di trasmettere un corpus di nozioni tecnico-scientifiche indispensabili per la risoluzione di problemi quasi identicamente ricorrenti, fra cui primario fu quello dell'utilizzazione delle piene periodiche del Nilo. Per la matematica, il più importante dei papiri ritrovati, detto Rhind, fu compilato da uno scriba di nome Ahmes nel 1660 a. C. ca., ma riproduce un documento di epoca molto anteriore. Esso comprende 84 problemi che esemplificano i metodi di calcolo utilizzati dagli Egizi. Il sistema numerico era decimale, ma non era noto il valore posizionale di una cifra, e venivano utilizzate solo frazioni a numeratore uno, a eccezione di 2/3. Il carattere pratico si manifesta anche per la geometria, sviluppata soprattutto in funzione dell'agrimensura e della costruzione di edifici; essa si limitava a regole apprese empiricamente per calcolare la superficie di alcune figure e anche di solidi. Notevole è il fatto che per il calcolo della circonferenza veniva applicato un valore di 3,1604, cioè assai prossimo a quello di s. Le osservazioni astronomiche sono documentate dalle iscrizioni e raffigurazioni del cielo dipinte sui sarcofagi; da queste si ricava che gli Egizi dividevano le stelle della fascia equatoriale in trentasei gruppi, ognuno dei quali, quando sorgeva all'orizzonte immediatamente prima dell'alba, indicava l'inizio di un periodo di dieci giorni. L'anno aveva inizio al levare eliaco di Sothis, o Sirio, la stella che appare in corrispondenza delle periodiche inondazioni del Nilo, e il calendario comportava 12 mesi di trenta giorni ciascuno, cui venivano aggiunti 5 giorni supplementari che corrispondevano alle feste delle principali divinità. La medicina raggiunse un livello notevole anche se fu intimamente legata a concezioni religiose e quindi accompagnata a pratiche magiche; fiorì anche, accanto alla medicina sacerdotale, una pratica medica popolare, professata da personaggi simili agli uomini-medicina tipici della cultura africana. Famoso è il processo di mummificazione che ha conservato fino a noi i corpi dei faraoni e dei nobili delle più antiche dinastie egiziane. Nel papiro chirurgico di Smith (1700 a. C.), si trovano 48 precise descrizioni anatomiche e sintomatologiche seguite da prescrizioni e chiarimenti complementari. Nel papiro medico di Ebers, compilato nel 1600 a. C., si trova la descrizione di ben 47 malattie con i sintomi del caso seguiti da una diagnosi e da una prescrizione che attesta il buon livello raggiunto dalla farmacopea fondata su una profonda conoscenza della botanica e dell'erboristeria. In architettura e in idraulica furono raggiunti grandiosi risultati grazie soprattutto all'elevata abilità manuale di una mano d'opera a basso costo (servitù del tempio, schiavi); furono così realizzate le piramidi, che richiedevano il trasporto e la squadratura di enormi massi, e la canalizzazione del Nilo, senza impiegare strumenti meccanici più complessi della leva, del rullo e del piano inclinato. Per quanto riguarda le applicazioni tecniche, l'E. contava su una fiorente metallurgia, soprattutto dell'oro, su una produzione rilevante di ceramica, vetreria, tessuti, oggetti in legno, generi alimentari conservati, produzione spesso basata sul lavoro «a catena» sia di schiavi sia di liberi (si passava, con una serie di operazioni manuali «specializzate», dalla materia prima al prodotto finito). Ciò favorì le ricerche sui materiali che, unitamente a quelle sulle proprietà di erbe e composti naturali, vengono considerate come le prime elementari nozioni di chimica. Pur avendo notevoli commerci con l'estero, anche con i Paesi delle coste etiopica (il paese di Punt) e sudarabica, la tecnica navale egiziana non fu brillante, limitandosi ad adattare per i trasporti di mare le imbarcazioni usate per la navigazione fluviale.
LINGUE E SCRITTURE
I quesiti posti in E. dall'apparire di una lingua scritta all'alba del III millennio a. C. sono di molteplice natura e concernono la lingua, la scrittura come sistema funzionale e la scrittura come rappresentazione grafica. Queste tre componenti, nel corso della loro lunga storia, seguono vicende disuguali anche se in certa misura tra loro corrispondenti. • In E. fin da principio è attestata una sola lingua nazionale, chiamata appunto «egiziano». Essa costituisce gruppo a sé stante all'interno della famiglia camitosemitica, accanto a cuscitico, berbero e semitico (rapporti sono stati riscontrati anche con lingue negre). Storicamente non consta che essa fosse imposta al Paese da un popolo invasore. Siccome fino al sopravvento della lingua degli invasori arabi, che avvenne dopo il sec. X dell'era volgare, la lingua egiziana rimase il principale veicolo di cultura in E. per quattro millenni, essa subì modificazioni significative nella struttura e nel lessico, producendo varie lingue successive che stanno tra loro in rapporto genetico. Queste trasformazioni comportano il passaggio da una fase sintetica a una fase spiccatamente analitica. Dalla lingua più anticamente attestata, detta antico egiziano, si passa gradualmente al medioegiziano o egiziano classico, completamente formato già verso il 2100 a. C. In questo idioma furono composte le maggiori opere letterarie, religiose e scientifiche, ed esso fu adoperato fino a quando si scrisse in geroglifici, come lingua dotta e sacra dell'Egitto. La parlata usata dal popolo continuò tuttavia in rapida evoluzione e ricevette dignità ufficiale con la «rivoluzione» di El Amârna (1300 a. C.). Tale favella, il neoegiziano o egiziano tardo, presenta caratteri profondamente analitici e una forte penetrazione di parole straniere, secondo una tendenza che continua in demotico (attestato dal 600 a. C.) e in copto (dal sec. III d. C.). La lingua copta, espressione anche dell'E. cristiano, è differenziata in parecchi dialetti (in ordine di tempo: akhmimico e subakhmimico, fayumico, saidico, bohairico), l'ultimo dei quali è la lingua liturgica della Chiesa copta. Delle lingue straniere parlate in E. solo alcune hanno lasciato tracce: l'accadico, come lingua diplomatica del II millennio a. C.; l'aramaico, usato dalle colonie semitiche al tempo dell'impero persiano; il cario, proveniente dall'Anatolia; soprattutto il greco, che con i Tolomei divenne lingua dell'amministrazione. • La scrittura indigena dell'E. è un'invenzione originale della fine del IV millennio a. C. Pur nella sua complessità offre una serie di accorgimenti che la rendono logica e funzionale e ha subito nel tempo solo trasformazioni secondarie, benché da essa si sia probabilmente sviluppata l'idea dell'alfabeto in Asia. Il principio consiste nel combinare rappresentazioni di cose e di suoni. Vige un criterio di semplificazione e di economia, sia nel disegno delle forme, sia nell'adozione di segni diacritici, sia nell'esclusione delle vocali dalla lettura delle parole. Si ottengono così solo schemi consonantici, accompagnati da segni che non si leggono, ma precisano sia il senso sia il suono dei vocaboli (determinativi). Ogni parola tende a un'ortografia costante; tuttavia il mutare della lingua porta alla preferenza di grafie storiche o pseudoetimologiche (tipiche del neoegiziano e del demotico). È da menzionare anche l'uso dei segni con valori segreti (criptografia). Il sistema dura vitale fino in età romana, ricreando al suo tramonto nuovi numerosi usi e forme di segni (tolemaico). La lingua copta si scrive invece con un alfabeto greco, ma presenta un fonetismo fortemente alterato. • La scrittura egizia disegna i suoi simboli o «geroglifici» copiandoli dal mondo della valle del Nilo, con una sensibilità estetica che si mantiene attraverso tutte le età, pur con gusto e stile diversi. Accanto alle forme figurate per la scrittura corrente si adattano fin dalle origini forme semplificate, dette ieratico. Nello stesso tempo la scrittura amministrativa evolve verso criteri di assai maggiore semplicità e sbocca nel demotico. Nei primi secoli della nostra era, dopo vari tentativi, l'alfabeto greco fu definitivamente adattato per scrivere la fase linguistica nota come copto. In rarissimi casi la scrittura egizia fu adoperata per lingue diverse dall'egiziano. Solo tardi le scritture geroglifica e demotica furono adattate dalla civiltà meroitica, che adopera un numero limitato di segni con valori alfabetici. Sull'argomento si vedano anche le voci Deir el Medina, geroglifico, ostraca, papiro, scriba.
LETTERATURA: GENERALITÀ
Le lingue dell'E. son tutte attestate in forma letteraria, in un continuo accrescimento di esperienze e di moduli, che portano al loro alto perfezionamento. La conservazione delle opere è però casuale e con ingenti lacune, per la deperibilità dei materiali (papiri, pergamene, ostraca, epigrafi); inoltre solo una parte di esse è realmente documentata nel periodo che le produsse, ma l'indagine storica consente spesso una datazione attendibile. Si può infatti seguire l'evoluzione dei diversi generi nel corso delle età e quasi sempre risalire alla loro origine, a causa della precoce invenzione della scrittura. La letteratura dell'antico egiziano raggiunge già una notevole varietà di modelli. Oltre agli scritti di carattere religioso, che sono i più diffusi e riprendono in parte tradizioni preistoriche (Testi delle Piramidi), risalgono all'Antico Regno, anche se spesso trasmessi da copie posteriori, scritti morali (genere sapienziale, che culmina nelle Massime di Ptahhotep), scientifici (testi medici), speculativi (Teologia Menfita), naturalistici e geografici (rappresentazioni del mondo e della fauna nel tempio solare di Niuserrê; liste di domini funerari), giuridici (decreti regali e contratti privati), storici (costituiti soprattutto da poche autobiografie di personaggi, ma anche da cronache ufficiali come gli Annali della Pietra di Palermo), narrativo-dialogici (brevi scenette di genere raffigurate nelle tombe). Resoconti di viaggi ed esplorazioni in Asia e in Africa sono riportati dalle biografie di Weni e dei principi di Elefantina.
LETTERATURA: IL PERIODO CLASSICO
Il periodo considerato classico già dagli Egizi appartiene all'egiziano medio (dal 2100 a. C.), che sopravvisse in certi usi fino alla scomparsa dei faraoni, quando da lungo tempo tale lingua era desueta, e nel quale furono tradotte e commentate anche opere del periodo precedente (testi religiosi, Massime di Ptahhotep, il Trattato di Chirurgia del papiro Smith). Tale fase è contraddistinta da una grande produzione letteraria di ispirazione multiforme. Continua una massiccia composizione di testi religiosi e funerari (i Testi dei Sarcofagi) che incorporano inni, rituali, formule magiche, drammi sacri. La forma drammatica è conservata anche dal Cerimoniale per l'Intronizzazione di Sesostri I e dal Mito di Osiride, celebrato durante le feste di Abido. Si diffonde la narrativa con opere di vigore stilistico (Avventure di Sinuhe e Racconto del Naufrago; la collana di leggende storiche contenuta nel papiro Westcar, per citare le più famose), non senza rapporti con l'attitudine alla descrizione che si sviluppa in parecchie autobiografie private e con un intento propagandistico. Infatti alla letteratura pessimistica causata da un periodo torbido intorno al 2200-2100 a. C., con opere complesse aventi diversi tratti comuni (Dialogo del Suicida, Canto dell'arpista, Ammonimenti di Ipu), subentra dopo il rafforzamento dello Stato una direttiva politica, in forma morale (Insegnamento per Merikara), polemica (Insegnamento di Amenemhat), profetica (Profezia di Neferti), celebrativa (Panegirico regale; inni vari), satirica (Insegnamento di Kheti), che si manifesta anche nelle opere di intento più genericamente narrativo e retorico. Fra queste ultime, i Discorsi dell'Oasita facondo, di Sisobk, di Khakheperrasonb. Lo sforzo di educare una classe di amministratori comporta sia iniziative di propaganda (il già menzionato Insegnamento di Kheti, o Satira dei Mestieri), sia la creazione di un genere didascalico, rappresentato da sussidiari scolastici (Libro della Kemit) come da opere enciclopedico-lessicografiche (gli Onomastica), in cui si codifica la tendenza a classificare e catalogare, che è propria di varie attività fin dall'Antico Regno. Impulso ricevono pure l'epistolografia e la storiografia, individuabile in sezioni limitate delle opere politiche e narrative (perciò sempre ispirata dal faraone) e in taluni resoconti schematici (Annali di Thutmose III). Circa la forma, si suppone un largo uso di prosa cadenzata, oltre a una certa varietà di espedienti retorici (allitterazioni, parallelismi, antitesi), spinti talora al virtuosismo (inni redatti come cruciverba). L'esposizione avviene in prima e in terza persona; il dialogo è alla base del testo del Suicida e delle Azioni drammatiche. La letteratura scientifica è presente con trattati vari di medicina (papiri Smith ed Ebers principalmente), veterinaria (papiro di Illahun), calcolo e geometria (papiri di Mosca e Rhindi). Sotto forma specialmente figurata si possono menzionare saggi di scienze naturali (zoologia, botanica, mineralogia). Questa letteratura, tutta documentata per il Medio Regno, fu ulteriormente arricchita nelle età successive, anche se con l'influsso della parlata neoegiziana.
LETTERATURA: LE OPERE IN LINGUA NEOEGIZIANA
La letteratura in lingua neoegiziana nasce in circostanze in cui si vuol dare un volto popolare agli scritti pubblicati. Il primo monumento in tal senso sono le stele di Kamose che narrano la cacciata degli Hyksos (1580 a. C.), riproponendo il Racconto di gesta del re, tema che ebbe singolare fortuna nel Nuovo Regno. Del neoegiziano si serve poi largamente l'Età di El Amârna (1300 a. C.) per diffondere le nuove dottrine religiose (Inno ad Aton), di impostazione universale e naturalistica. Presto appaiono opere narrative in una lingua carica di reminiscenze medioegiziane (I due fratelli, Il principe predestinato), e si conoscono opere in egiziano classico tradotte in neoegiziano, come le Massime di Any e il Rituale per sconfiggere il Maligno. Particolare rilievo assumono in neoegiziano il poema epico (La battaglia di Qadesh), la lirica (canti d'amore «nel giardino», «in riva al fiume» e altri; inni religiosi), la pedagogia (antologie scolastiche dette Miscellanee per il carattere eterogeneo; nuovi Onomastica o Elenchi di cose; esercizi didattici documentati dagli scavi di Deir el Medina; costituzione di un canone di scrittori). Continua la diffusione della magia con ricche collezioni di formule profilattiche e di amuleti (le più celebri sono nei papiri di Torino, di Leida e di Londra), l'oniromanzia (papiro Beatty III), i calendari dei giorni fasti e nefasti (papiri al Cairo e Londra), gli oracoli. Rimangono diversi rituali per il culto di vari dei nei propri edifici, e una massa di papiri che accompagnavano le mummie nella tomba o Libri dei Morti. La mitologia si esprime in forma narrativa (Racconto di Horus e Seth), nasce l'allegoria (Racconto di Verità e Menzogna) e l'apologo (Giudizio del corpo e della testa); la favola esiste solo in forma figurata. Le composizioni scribali aggiungono esempi di epistolografia e di satira (Epistola satirica). La cronografia è documentata dal Canone dei Re conservato a Torino. Compilazioni geografiche si ricavano da indizi indiretti (p. es.: liste delle città e dei paesi dell'ecumene; registri di catasto in documenti amministrativi come il papiro Wilbour; descrizioni di luoghi particolari in varie occasioni; Avventure di Wenamon). Si hanno carte geografiche (miniere del Wadi Hammamat in un papiro di Torino; topografia dell'Oltretomba, come l'Amduat; mappamondi primordiali) e raffigurazioni astronomiche nei soffitti delle tombe dei re. Si descrivono le prime istituzioni politiche (Discorso per l'insediamento del visir). Si intuisce un vario interscambio con la civiltà asiatica, che continua nella letteratura demotica. Nella mitologia e nella magia fanno apparizione divinità e culti siriani (leggende di Astarte e di Anat); nel campo del diritto è da menzionare il trattato internazionale stipulato da Ramesse II con gli Ittiti; nel genere morale si riscontrano relazioni fra le Massime di Amenemope e i Proverbi di Salomone; il Poema di Qadesh e le Avventure di Wenamon sono frutto di esperienze comuni ad altri popoli mediterranei; vi è più tardi influsso mesopotamico nell'astrologia (presagi ricavati dalle eclissi).
LETTERATURA: LA LETTERATURA DEMOTICA E TEMPLARE
Nella letteratura demotica (dal 500 a. C.) si continua l'ispirazione civile, dove spiccano i due generi della sapienza e della narrativa. Mentre la prima rifà schemi antichi (Insegnamento di Ankhsheshonq), la seconda assume ora l'aspetto di cicli ricchi e complessi, che mostrano talora il romanzo in una forma perfetta (Petubasti e Setne). Ma il periodo demotico è distinto da un cospicuo numero di documenti legali (testamenti, compravendite) dei quali son pervenuti interi archivi che permettono di ricostituire il diritto civile. Si è anche annunciata la scoperta di un codice di leggi. Si allargano anche gli studi grammaticali, con paradigmi di forme, che avevano già fatto la prima apparizione nel Nuovo Regno. In demotico sono infine opere religiose, funerarie, magiche, pseudostoriche (Cronaca demotica). Contemporaneamente la cultura templare continua ad adoperare l'egiziano classico nel tentativo di dare una sintesi finale ai riti (nei templi tolemaici e romani, in cui compare anche qualche allusione alla chimica, nella preparazione di ricette), alle tradizioni religiose locali (trattati di topografia cultuale), in cui si avverte a volte anche una più larga visione del mondo (Racconto della Principessa di Battriana), alla storia e alla cronografia (la Storia dell'Egitto, in greco, di Maneto), persino alla scrittura (liste di geroglifici, con un'eco in Orapollo). Manca tuttavia una creatività originale e le tradizioni letterarie sono destinate all'oblio. Nell'anima popolare, pur nel contesto della mutata cultura copta, si conserverà l'inclinazione al romanzo, costituita dai frammenti del Romanzo di Alessandro e dal Romanzo di Cambise, cosi come riappariranno in testi gnostici e cristiani alcuni tratti dell'immaginazione antica.
LETTERATURA: L'ETÀ CRISTIANA
La narrativa egizia di età cristiana continua l'inclinazione indigena per il romanzo (Ciclo di Petubasti) e ci è documentata da scarsi resti, attestati soltanto in copto (Romanzo di Cambise), tradotti in greco (come l'introduzione alla Storia di Imhotep del papiro di Ossirinco), oppure in greco e in copto come il Romanzo di Alessandro. Questo nulla ha a che vedere con la Vita di Alessandro attribuita a Callistene, ma fu redatto in ambiente alessandrino del sec. III d. C. ed ebbe vastissima risonanza. Delle varie traduzioni dal greco (armena, siriaca, araba, etiopica, latina, ecc.) che sono note, rimangono alcuni fogli relativi a una recensione copta, che conserva episodi originali, quali le imprese in Elam e in Persia o lo stratagemma della finta morte del conquistatore. Il racconto prescinde dalla verità storica e geografica (Alessandro appare come figlio del faraone Nectanebo), contiene varianti e contraddizioni e attinge largamente al meraviglioso, onde il successo della saga, nonostante la povera qualità letteraria.
ARTE: L'ETÀ PREDINASTICA E ARCAICA
La storia dell'arte egiziana è una disciplina relativamente recente. È solo a partire dai primi decenni del secolo scorso che Champollion, il decifratore dei geroglifici, ponendosi in aperto contrasto con le affermazioni di Winckelmann e dei suoi stessi contemporanei che definivano «curiosità» i prodotti artistici dell'Antico E., osava affermarne la grandezza. Da allora gli studi e le scoperte hanno grandemente arricchito la nostra valutazione critica con l'apporto di una straordinaria quantità e varietà di materiale che le favorevoli condizioni climatiche hanno contribuito a conservare. Si tratta di materiale generalmente ben datato, grazie alle iscrizioni che quasi sempre accompagnano ogni categoria di monumenti. È tuttavia un'arte sostanzialmente anonima (pochi sono i nomi degli artisti e quasi sempre non connessi con le loro realizzazioni) e di cui si ignorano in genere i fondamenti teorici, contrariamente a quanto avviene, p. es., per la storia dell'arte greca e romana. Tralasciando i manufatti di età predinastica, che pure raggiungono livelli di notevole raffinatezza nell'industria ceramica e litica (culture di El-Badâri e di Naqâda), all'inizio dell'epoca storica le più importanti testimonianze figurative sono quelle stesse che ci forniscono i dati per la ricostruzione degli avvenimenti. Si tratta di teste di mazza e di tavolozze in schisto (analoghe a quelle che venivano usate per stemperare il belletto, ma aventi qui la funzione di offerta rituale) su cui sono raffigurati gli avvenimenti che portarono all'unificazione dell'Egitto. Tali la mazza del Re Scorpione e la tavolozza di Narmer in cui si trovano, già mature, alcune delle convenzioni e dei motivi tipologici che continueranno poi lungo tutta la storia dell'arte egizia: la rappresentazione del corpo umano come complesso di elementi frontali e laterali, l'uso di registri per indicare valori spaziali, il gusto della composizione ritmica, i canoni di misura che regolano le proporzioni delle figure. Dell'architettura di quest'epoca, trattandosi in genere di costruzioni in mattoni crudi, poco è rimasto. Le tombe e i cenotafi (Menfi e necropoli di Abido) dei sovrani e dei grandi funzionari sono già chiaramente scandite nei due elementi che saranno sempre caratteristici della sepoltura egizia: l'infrastruttura destinata a contenere il cadavere e il suo corredo e a essere chiusa definitivamente dopo il funerale, e la sovrastruttura con il luogo per l'offerta, accessibile ai vivi. Nelle tombe più ricche la sovrastruttura ha un muro perimetrale a nicchie che risale forse a modelli mesopotamici. L'ultimo frutto dell'impostazione narrativa arcaica si ha nel complesso funerario di Gioser a Saqqâra, la cosiddetta piramide a gradoni. Qui per la prima volta la tomba regale viene nettamente differenziata da quella dei funzionari, con l'adozione di una sovrastruttura composta da più mastabe sovrapposte (tombe a tumulo rettangolare, a pareti rastremate), che sarà l'antecedente tipologico della piramide. Intorno sono vari edifici che riproducono in pietra quelli più antichi di canne, legno e mattoni crudi ove avvenivano le cerimonie del culto, specie quelle volte a esaltare il re-dio.
ARTE: L'ANTICO REGNO (2778 A.C.-2220 CA.)
Nell'età menfita, soprattutto durante la IV dinastia, l'impulso accentratore della regalità divina produsse anche nelle arti i suoi frutti. Il linguaggio formale, dettato dagli artisti della capitale, diventa sommamente stringato, intellettuale, tendente a un'impassibile geometria. Il monumento tipico dell'epoca, la piramide (di cui gli esempi più famosi sono le tre piramidi di Cheope, Chefren e Micerino a El Gîza), può servire da paradigma per questa concezione. Essa forse deriva tipologicamente e concettualmente dalla piramide a gradoni, ma in realtà se ne distacca profondamente. Si ha qui e nei templi annessi, come nelle mastabe dei funzionari, un'architettura volta a creare forme geometriche pure, prive di interesse per gli spazi interni che si riducono a piccoli vani, quasi scavati nell'interno di una roccia. La medesima concentrazione e lo stesso rigore stilistico si osservano nella scultura a tutto tondo e nel rilievo. Le statue dei sovrani e dei funzionari della IV dinastia non indulgono a ricerche descrittive o espressive; l'individualità del personaggio rappresentato non è quasi mai affidata ai dati fisiognomici, ma ad altri elementi: il nome scritto, le caratteristiche tipologiche del volto, dell'atteggiamento o dell'abbigliamento. Perfino le statue dei sovrani, come quelle di Chefren e di Micerino, pur nella presenza di alcuni dati fisiognomici, sono più astratte idealizzazioni che veri ritratti. Fanno eccezione solo alcune mirabili realizzazioni alle quali sarebbe difficile negare il carattere di ritratto: la statua di Hemiunu (Hildesheim, Museo) e il busto di Ankhhaf (New York, Metropolitan Museum). Si vedano invece per confronto le due statue in calcare dipinto di Rahotep e Nofre al Cairo. Durante la V e VI dinastia questo rigore si allenta, in coincidenza con il rinascere delle spinte centrifughe da parte degli ambienti provinciali. Qui le vecchie tradizioni che non si erano mai spente, pur sotto l'influsso delle scuole della capitale, riprendono vigore, senza abbandonare le conquiste stilistiche dell'epoca precedente, e introducono nuova linfa vitale nell'astratto tessuto del rigorismo menfita. Vi è un'aspirazione all'individualità che nella statuaria produce alcuni mirabili capolavori quali lo Scriba del Louvre e lo Scekh el-Balad, e nella figurazione piana dà origine agli splendidi rilievi che ornano gli ambienti interni delle mastabe: scene di caccia, pesca, allevamento del bestiame, offerte funerarie. Simile interesse narrativo si ha in alcune statuette di personaggi deformi e di servitori intenti a macinare il grano o a fare la birra, in cui la rottura degli schemi tradizionali sarà fecondo germe di rinnovamento per le realizzazioni future. Nell'architettura si abbandona l'astrattezza geometrica in favore di un più sciolto articolarsi delle strutture e degli elementi che le compongono. Le piramidi regali più piccole hanno templi funerari in cui colonne a capitello floreale si sostituiscono ai nudi pilastri del tempio di Chefren e le pareti sono ravvivate da rilievi. Anche le mastabe dei funzionari vengono scavate all'interno per creare le stanze per il culto e la camera per la statua (serdab). I templi dedicati al culto solare riprendono forse modelli arcaici, incentrati su un pilastro all'aperto circondato da un cortile, di cui il più imponente doveva essere il santuario di Eliopoli. Il tempio di Abu Gurab, costruito da Neuserra, è l'unico di cui si possa ricreare l'aspetto, mentre scarse tracce si hanno di quello di Userkaf. Nel periodo intermedio il processo di allentamento della tensione menfita per opera degli ambienti provinciali giunge alle sue estreme conseguenze. Le botteghe provinciali, abbandonate a se stesse, senza la possibilità di innestare le proprie esperienze su una solida cultura formale, raggiungono talvolta risultati felici per vivacità e freschezza di ispirazione, ma nella maggior parte dei casi si hanno soltanto conquiste casuali o informi abbozzi. Così p. es. nelle figurazioni piane si abbandona la rigida composizione a registri per una più istintiva visione spaziale, senza però riuscire a concretare queste esperienze in un coerente linguaggio formale (decorazioni nelle tombe del Medio E. a Beni Hasan, Asyût, Nag el Deyr; nel sud a El Mu!alla, a Gebelein; e, sul confine merid., vicino ad Aswân).
ARTE: IL MEDIO REGNO (2000 A.C.-1785 CA.)
È solo con l'inizio del Medio Regno e con la riconquista dell'unità nazionale che queste esperienze vitali, confluendo nuovamente sul filone tradizionale, diventano linguaggio stilistico. Il primo importante monumento risale appunto al riunificatore dell'E., Mentuhotep I ed è il suo tempio funerario a Deir el-Bahari. Qui una piccola piramide si innalza su un basamento a due ordini circondato da porticati e un altro porticato trasversale dà accesso agli ambienti funerari scavati nella montagna. Vi si sentono le esperienze dell'architettura menfita e insieme dell'architettura funeraria provinciale, con le sue tombe scavate nella roccia, ma rinnovate da un'esigenza di rendere più mossi gli spazi. È ancora una architettura di soli esterni, ma sentiti in modo assai diverso dalla lineare purezza menfita. Anche le statue del fondatore, completamente avvolte in un bianco mantello, nella loro voluta rozzezza appaiono programmaticamente perentorie, nell'intento di affermare la riconquistata regalità. La XII dinastia si mantiene in questa linea, ponendosi con ancor maggiore coerenza alla riconquista della tradizione. I sovrani adottano di nuovo la piramide come sepoltura (anche se con assai minore impiego di mezzi), ma di essa, e in genere dell'architettura di quest'epoca, poco è rimasto. Dei templi divini, per la maggior parte distrutti per far luogo a edifici più recenti, restano un piccolo tempio a Medinet Madi nel Faiyûm e un sacello per la barca sacra a Karnak (ricostruito da blocchi reimpiegati in un pilone del tempio di Karnak), aventi entrambi una pianta assai semplice: santuario a tre celle preceduto da un atrio con colonne quello di Medinet Madi, padiglione periptero quello di Karnak. La statuaria dell'inizio della dinastia ricalca, forse un po' freddamente, i moduli menfiti (come le statue di Sesostri I da el-Lisht) e il linguaggio formale si fa più caldo e spontaneo solo verso la fine della dinastia e particolarmente nei ritratti di Sesostri III e Amenemhat III, in cui i volti dei sovrani appaiono, in contrasto con le serene e idealizzate immagini del re-dio menfita, emaciati, affaticati e oppressi dal peso del potere e delle responsabilità. Nel rilievo e nella pittura, che da questo momento vanno acquistando sempre maggiore importanza, prevale l'interesse narrativo, il gusto di riprodurre avvenimenti notevoli e atipici, come il trasporto di un colosso e l'arrivo di tribù asiatiche che è pretesto a un gioco di colori.
ARTE: IL NUOVO REGNO (1580 A.C.-1085 CA.)
Con la XVIII dinastia l'E., reduce dalla vittoria sugli Hyksos, avanza in Asia e ne riporta ricchezze che vengono distribuite tra le diverse classi della popolazione. L'allargarsi del numero dei fruitori del prodotto artistico fa sì che questo tenda a trasformarsi in prodotto di artigianato, sia pure di altissimo livello, che si avvale di tecniche raffinate e di una lunga tradizione, cui si aggiunge una sensibilità per il decorativo propria dell'arte siro-palestinese. La capitale è trasferita a Tebe, luogo di origine della dinastia e sede di culto del dio nazionale, Ammone, considerato patrono della rinascita e delle feconde conquiste asiatiche, e al quale i sovrani dedicano templi grandiosi. Sulla riva orient. del Nilo, dove aveva sede la città, si sviluppano i due templi monumentali di Karnak e di Luxor che, iniziati dai primi sovrani della XVIII dinastia, continueranno poi a essere ampliati in tutte le epoche successive. In essi lo spazio e l'architettura non sono più forme geometriche impenetrabili, ma insiemi articolati in cui si può entrare, muoversi, in cui luci e ombre vivificano interno ed esterno ormai concepiti come un tutto unico. Tra gli edifici più notevoli, il cosiddetto «salone delle feste» di Thutmose III, a pianta basilicale, col tetto a due livelli sostenuto da colonne a forma di pali da tenda, e il nucleo del tempio di Luxor, dovuto ad Amenofi III, in cui il cortile è preceduto da un grande corridoio a colonne. Sulla riva occid., invece, sorgono le necropoli in cui le tombe regali, per maggiore sicurezza, sono nascoste nelle viscere della montagna (Valle dei Re e Valle delle Regine), mentre i templi funerari, prima connessi col sepolcro, e ora totalmente scissi, sorgono nella parte pianeggiante al di qua della catena libica. Capolavoro dell'epoca è il tempio di Hatshepsut, dovuto all'architetto Senmut (uno dei pochi di cui si conosca il nome), costituito da terrazze porticate a livelli successivi, innalzantisi per mezzo di rampe fino all'alta parete rocciosa che sovrasta la regione ed entro la quale si scavano gli ambienti del santuario. L'architettura si inserisce con grande eleganza nell'ambiente naturale, sull'esempio certo del precedente tempio di Mentuhotep che sorge accanto, ma con un'audacia innovatrice ancora maggiore. La scultura, il rilievo e la pittura dell'inizio della dinastia riflettono appieno le ricerche di eleganza formale. Un linguaggio più sciolto si ha nella pittura, ampiamente usata nella decorazione delle tombe, che spesso trova accenti di estrema freschezza e vivacità, specie quando riesce a liberarsi dalle pastoie della tradizione e delle scene prefissate e inventa particolari inediti, con una tecnica di pennellata sciolta e vivace, senza linea di contorno. In questo mondo elegante e composto, di grazia sorridente, piomba la violenza della rivoluzione amarniana che, specie all'inizio, nei colossi e nei rilievi di Karnak, rovescia programmaticamente e provocatoriamente ogni ricerca di eleganza, accentuando in senso espressionistico tutte le spiacevolezze del modello che è, in questo caso, il faraone stesso. A El Amârna, la nuova capitale fondata in onore del disco solare, il linguaggio si fa più misurato senza però abbandonare quella ricerca della Maat (la verità) che è alla base di tutta la riforma di Ekhnaton. C'è l'esigenza di rappresentare la vita nel momento in cui si sta svolgendo, nel suo movimento, nel suo variare, e perciò col gusto del particolare, delle forme sgraziate in contrapposto all'ideale bellezza dei modelli precedenti. Il faraone demiurgo diventa il soggetto principe, non più ritratto aulicamente sul trono, ma colto nelle situazioni quotidiane, mentre accarezza la sposa Nefertiti o tiene amorosamente in collo le figliolette o piange disperato la morte di una di esse. Il linguaggio formale è qui incentrato su ricerche luministiche; la luce crea la forma e la fa mutare volta a volta secondo il punto di vista da cui la si osserva. Basti osservare la mirabile serie di sculture trovate nello studio dello scultore Thutmose. Con l'abbandono di El Amârna e la rinuncia agli ideali religiosi che ne erano a fondamento, anche la violenza rivoluzionaria del linguaggio artistico cade a favore di una vera e propria restaurazione, che però non potrà eliminare le conquiste ormai raggiunte: una maggior libertà nelle raffigurazioni, l'abbandono degli schemi e un ritmo sempre più narrativo e quotidiano, sia che si raffiguri il sovrano nell'intimità, sia che vengano narrate le sue imprese guerresche, come nei rilievi di Ramesse II e III, con le scene della battaglia di Qadesh e delle lotte contro i Popoli del Mare, veri manifesti propagandistici destinati a tutto il popolo. Si sviluppa in quest'epoca la pianta del tempio che diventerà canonica: pilone, cortile porticato, ipostila (sala a colonne), vestibolo, santuario. L'esterno è un nudo muraglione, animato sulla facciata dalla presenza del pilone, costituito da due alte torri rastremate ai due lati della porta; l'interno intende mostrare la sempre maggiore sacertà dei luoghi man mano che si avanza verso il sacrario, diminuendo gli spazi e accentuando le ombre. Si rovesciano qui i rapporti architettonici dell'età menfita: là si era trattato di un'architettura solo di esterni, qui invece è quasi esclusivamente l'interno che appare degno di attenzione. Vi è anche in quest'epoca uno straordinario gusto del colossale, sia nella scultura sia nell'architettura, che trova il suo apice in Ramesse II, infaticabile costruttore, e nel suo successore e imitatore Ramesse III. Al primo risalgono, tra l'altro, la grande sala ipostila di Karnak, il Ramesseo (il suo tempio funerario) e i due templi di Abu Simbel; al secondo il tempio fortezza di Medinet Habu (tempio funerario cinto da un muro con torri e ornato da monumentali figurazioni a rilievo) e il tempio di Khonsu a Karnak.
ARTE: DALLA BASSA EPOCA (1085 A.C.-332 CA.) ALL'EPOCA GRECA (332 A.C.-30 CA.)
Il periodo di decadenza seguito alla morte di Ramesse III è caratterizzato dalla produzione su larga scala di statuette di bronzo, tra cui emerge quella ageminata d'oro, d'argento e di elettro della «Divina Adoratrice» Karomama (ora a Parigi, Louvre). Intorno al 725 una dinastia nubiana penetra in E. col proposito di restaurarvi la vera tradizione egizia. Così, di fronte alle ormai stremate raffinatezze delle dinastie XXI-XXIV, si riafferma, durante la XXV dinastia, una rude vigoria che ha i suoi modelli nelle età più antiche, con un senso un po' esteriore della forza che si esprime con teste tonde e corpi pesanti, e un nuovo amore per il ritratto. Queste tendenze sono portate avanti dalla XXVI dinastia saitica, che ancora più scolasticamente si rifà ai modelli dell'Antico e Medio Regno. Si ripetono tipi, abbigliamenti, atteggiamenti ormai abbandonati da secoli, con un gusto per la perfezione tecnica, per l'impiego di materiali difficili da lavorare (pietre dure, come il basalto, raggiungono la levigatezza del bronzo). L'ultimo periodo della storia egiziana, quello della dinastia tolemaica (323-30 a. C.), vede coesistere due culture che non riescono a fondersi. Alessandria diventa centro brillantissimo di cultura ellenistica, mentre nel resto del Paese continua stancamente la cultura indigena. Vi furono tentativi di compromesso tra le due arti, specie nei primi momenti, come nella tomba di Petosiri a Ermopoli, ma non ebbero seguito. Statue di Tolomei o di imperatori romani in costume egiziano sono sovente ibridi fastidiosi. Gli unici accenti di credibilità si hanno in alcuni ritratti, dove le esperienze dell'età saitica si fondono con quelle dell'ellenismo creando un tipo che, pur restando nell'ambito dell'ellenismo, ha un suo proprio accento che lo differenzia da quello degli altri Paesi ellenizzati. E sempre nel campo del ritratto si avranno nella tarda età romana i cosiddetti ritratti del Faiyûm, dipinti su tavole o anche su tela e posti sul volto del morto. L'arte più propriamente indigena continua anch'essa con un accentuarsi di ricerche luministiche e un farsi più sensuale delle forme. Statue e rilievi di questo periodo hanno un'accentuata unità stilistica, tanto più notevole quanto più l'elemento indigeno va perdendo importanza politica. E tuttavia a quest'epoca di sfacelo risalgono alcuni tra i templi meglio conservati dell'E., estrema concessione dei regnanti alla religione e alle tradizioni nazionali. La pianta è ormai codificata nella successione dei suoi elementi, si moltiplicano cripte e corridoi nascosti a rendere sempre più chiusa e soffocata in se stessa una religione ridotta a pratica cultuale, e anche i rilievi che ornano le pareti e le colonne hanno ormai riferimento soltanto al culto. Tra gli esempi più straordinari si ricordano i templi di Dendera di Kôm Ombo,, di Edfu, dell'età tolemaica; quello di Kalabsha dell'età augustea e soprattutto il mirabile complesso degli edifici di File, cui Traiano aggiunse l'elegante chiosco. Con la diffusione del cristianesimo ha inizio nel sec. IV una nuova fioritura artistica nell'E. cristiano, che trova la sua splendida stagione nell'arte copta, sviluppatasi tra il sec. V e il VI.
MUSICA
Antichissime sono le testimonianze della civiltà musicale dell'E., «il solo Paese che narri la storia completa della sua musica dai tempi primitivi a oggi» (Farmer). Gli scavi nelle necropoli hanno accertato infatti la presenza di un'attività musicale già nel periodo predinastico. Di origine magica e totemica, la musica liturgica era amministrata inizialmente da sacerdoti-musici e fu probabilmente solo vocale fino al Nuovo Regno, poi entrarono nel tempio gli strumenti (il sistro, strumento egiziano per eccellenza, e il flauto, l'arpa, il doppio clarinetto, la lira, il tamburo, il liuto e il doppio oboe, quindi campane e campanelle di bronzo e il trìgonon greco) e al culto parteciparono anche donne musiciste. Anche la musica di corte era rigorosamente organizzata; si conosce inoltre l'esistenza di musica profana, al di fuori della corte, e di varie accademie musicali femminili. Nulla sappiamo invece delle melodie; non è rimasta traccia di notazione musicale e solo gli strumenti rivelano che la musica egiziana dovette conoscere gamme a intervalli ampi, come anche sistemi esotici cromatici. Certamente la cultura musicale egiziana esercitò influssi rilevanti sulla formazione di quella greco-romana. Nel periodo ellenistico, subita la cultura greca, Alessandria ne divenne centro universale, importante poi per il primo cristianesimo e per la prima liturgia musicale cristiana (v. copti). Qui la tecnica scoprì il primo organo (l'idraulo di Ctesibio) e la musicologia fece la somma delle sue ricerche (Claudio Tolomeo, sec. II d. C.).
DANZA
Numerose sono le testimonianze sulla danza nell'antico Egitto. Al pari della musica, essa aveva carattere sia sacro sia profano. Una placca eburnea predinastica riproducente un faraone nell'esercizio di una danza sacra, la rituale «corsa attorno al muro» propria della cerimonia d'incoronazione e, ancora, le molte immagini di danzatrici riprodotte in affreschi e bassorilievi sepolcrali – con le quali figurano le direttrici della danza nell'atto di imprimere la giusta cadenza tramite un battito di mani o uno schioccare di dita – oltre ad attestare l'importanza rituale della danza egizia, documentano la ricchezza e la varietà delle danze eseguite: lente e vivaci, acrobatiche ed erotiche, con costumi ridottissimi o arricchiti nelle varie epoche da veli, monili, elaborate parrucche. Resta notizia di grandi trattenimenti organizzati dalle più importanti amministrazioni signorili, nei quali la danza era sempre presente: sembra, inoltre, accertato anche l'uso di «quadri viventi», specie nel Medio Regno. Anche il popolo accedeva alla danza nelle grandi festività, con danze rituali (p. es., quelle in onore della dea Hator), agresti o guerresche. Di probabile origine egizia anche quella complessa serie di armoniose movenze danzate giunte fino a noi con il nome di «danza del ventre».
TEATRO
Nell'E. antico il teatro rimase confinato entro i limiti del tempio o nelle immediate vicinanze e costituì con la danza, che però sussisteva anche come attività autonoma, una componente delle azioni drammatiche che si svolgevano durante celebrazioni religiose, riti funebri, ecc. Forme di spettacolo predilette erano pure le competizioni sportive di lottatori (a corpo libero o armati di bastoni), tenute anche davanti al faraone e alla sua corte. Il teatro drammatico vero e proprio si esprimeva con un tipo di rappresentazione abbastanza simile ai misteri medievali dell'Occidente europeo, in cui si raccontavano miti come, p. es., quello di Osiride, secondo quanto testimoniato dalla cosiddetta Stele di Sciabaka, recante il testo di un libretto che serviva da guida al regista per lo svolgimento scenico dello spettacolo. Sembra comunque che il grosso pubblico potesse assistere soltanto alle parti più propriamente narrative della vicenda, mentre quelle di carattere esoterico erano riservate agli iniziati. Sono stati inoltre ricostruiti (soprattutto per merito dell'egittologo francese Étienne Drioton) testi di altri antichissimi drammi (XVIII o XIX dinastia), quali un superspettacolo sacro per le feste del dio Horo e una vera e propria moralità. Inoltre si conservano testimonianze di un teatro popolare di saltimbanchi o simili, totalmente indipendente dal culto e dalla corte.
STORIA: DAL X AL XIX SECOLO
Il Paese, entrato nella diretta sfera politico-amministrativa del califfato musulmano, andò arabizzandosi gradualmente, senza islamizzarsi del tutto, giacché le comunità copte mantennero la loro religione cristiana. Mentre l'Impero abbaside accusava a Oriente le prime gravi perdite territoriali, in E. Ahmad ibn Tulun fondava una dinastia (868-905), dando inizio alla storia egiziana entro il più vasto quadro dell'Islam. Egli cercò di emanciparsi da Baghdad e la sua politica fu perseguita anche dagli Ikhsiditi (935-969); questi furono sbaragliati da Gawhar, il valoroso generale di al-Mu!izz, artefice della conquista dei Fatimiti d'Ifriqiyah. Ormai svincolati da Baghdad, i Fatimiti fecero dell'E. il Paese più importante dell'Islam e cercarono di ridurre alla loro fede sciita gli autoctoni, specialmente con il califfo al-Hakim. Impegnati in crudeli guerre contro la Siria, perdettero territori nell'Africa sett. e alla fine anche il regno a opera di Saladino (1138-93). Sotto gli Ayyubiti (1171-1250), l'E. estese il suo controllo allo Yemen, alla Siria, alla Palestina, alla Nubia, alla Cirenaica e successivamente anche alla Mesopotamia. La potenza ayyubite però decadde presto a causa soprattutto della crescente influenza, nello stesso interno delle strutture fatimite, dell'elemento militare turco costituito in prevalenza da ex schiavi (arabo mamluk) che riuscirono ad avere nelle loro mani il potere effettivo e ressero i destini dell'E. e dei Paesi limitrofi dal 1250 al 1517. A tale data i Turchi ottomani sconfiggevano l'ultimo sovrano mamelucco, incorporando l'E. nel grande Impero turco. Nei sec. XVI-XVIII l'autorità ottomana sull'E. fu esercitata da governatori inviati da Costantinopoli: autorità contemperata di fatto da quella dell'aristocrazia feudale militare da cui erano stati espressi i precedenti sovrani mamelucchi. La spedizione napoleonica del 1798 e l'occupazione francese fino al 1801, benché conclusesi senza risultati positivi, determinarono una crisi nelle strutture politico-sociali del Paese, rivelando agli Egiziani i valori tecnici della civiltà europea. L'E. sembrava votato all'anarchia allorché Muhammad !Ali – ufficiale turco di origine albanese – riuscì abilmente a impadronirsi della situazione nel 1805 e, sgominati i Mamelucchi (1811) pose mano all'ambiziosa opera di rinnovamento sociale e di riforme, proseguita dal figlio Sa!id Pasciá e dal successore di questo, Isma!il Pasciá, che estese l'autorità del governo sul Sudan fino ai Grandi Laghi. L'intenso ritmo dei lavori pubblici (tra cui il taglio dell'istmo di Suez) portò però alla rovina la già compromessa situazione finanziaria, offrendo all'Europa l'occasione per intervenire. Motivo ultimo fu la «rivolta dei colonnelli» (1881), condotta da !Arabi Pasciá: gli Inglesi occuparono il territorio e lo tennero fino al 1914 senza una ben definita fisionomia giuridica.
STORIA: IL XX SECOLO
Dopo la I guerra mondiale le correnti nazionaliste – decise fautrici dell'indipendenza – portarono la Gran Bretagna a riconoscere la sovranità dell'E. nel 1922; fu proclamato re Fu'ad I e le relazioni con la Gran Bretagna furono regolate da un trattato d'alleanza militare; fu ridotta l'occupazione inglese e per il Sudan fu stabilita un'amministrazione condominiale. Allo scadere del trattato (1947) il sempre più acceso contrasto tra il governo e i vari partiti (acutizzatosi specialmente dopo l'infelice partecipazione nel 1948 alla guerra araba contro Israele) sfociò nel colpo di Stato organizzato dal generale Muhammad Nagib (1952) che costrinse re Faruq, salito al trono nel 1936, ad abdicare. Autoproclamatosi presidente della Repubblica e primo ministro (23 luglio 1953), Nagib venne progressivamente esautorato da Gamal !Abd al-Nasir (Nasser) che, postosi in luce in seguito all'accordo per lo sgombero delle truppe inglesi dal Canale di Suez (ottobre 1954) e, assunte di fatto in quello stesso anno le funzioni di capo di Stato, venne ufficialmente proclamato presidente nel 1956. Conclusa nel 1956 la nazionalizzazione del Canale di Suez, Nasser respinse l'attacco anglo-francese (1956) e, allacciati rapporti politico-economici con l'Unione Sovietica, costituì con Siria e Yemen la Repubblica Araba Unita (R.A.U.). Si dedicò poi alla formazione di una grande confederazione araba, che dall'Africa del Nord si estendesse al Medio Oriente e fosse sufficientemente forte da mantenersi equidistante sia dagli U.S.A. sia dall'U.R.S.S. Al suo piano però si opponevano i vasti interessi delle compagnie petrolifere e la presenza di uno Stato d'Israele sempre più dinamico e agguerrito, nonché il carattere dispersivo degli interessi dei vari Stati arabi: nel 1961 la Federazione Araba si scioglieva, mentre all'interno la mancata riforma agraria e la lentezza nell'industrializzazione facevano cadere gli entusiasmi delle masse. Nasser tentò di galvanizzare nuovamente l'opinione pubblica presentando Israele come il principale ostacolo all’unità araba, ma la tragica conclusione della «guerra dei sei giorni» (giugno 1967) dimostrò l'interna debolezza del mondo arabo e dell'E. in particolare. Per volontà di popolo Nasser rimase alla guida dello Stato, ma poté solo spendere le ultime energie per rendere meno fragili i rapporti con gli Stati arabi e manovrare fra U.S.A. e U.R.S.S. per avere un certo spazio di politica autonoma. Morto improvvisamente Nasser nel 1970, gli succedette Anwar as-Sadat, il quale s'adoperò, col sostegno dell'U.R.S.S., a rafforzare militarmente l'E. non trascurando le vie dell'alleanza interaraba (tentativo di formare una federazione tra E., Siria e Libia) e della diplomazia internazionale. Il 6 ottobre 1973, d'intesa con la Siria, l'E. attaccò di sorpresa Israele (guerra del Kippur). Dopo i successi iniziali e la controffensiva israeliana, l'E. accettò l'accordo per la cessazione del fuoco (11 novembre), negoziato dall'O.N.U., e partecipò alla successiva conferenza di Ginevra per la pace nel Medio Oriente. L'attenuarsi della tensione offrì a Sadat la possibilità di promuovere iniziative di ricostruzione e di rilancio economico come la riapertura del Canale di Suez (5 giugno 1975). Un accordo per il disimpegno nel Sinai (1975) venne raggiunto con la mediazione del segretario di Stato americano Kissinger e segnò l'avvio di cordiali intese con gli Stati Uniti e di un progressivo allontanamento dall'U.R.S.S. Il dissidio con la Libia e la polemica con l'U.R.S.S. raggiunsero toni altissimi: nel marzo 1976 venne ufficialmente resa nota la denuncia del trattato con l'U.R.S.S., nel giugno dello stesso anno fu arrestato il massimo diplomatico libico e sempre più spesso negli ultimi mesi dell'anno e nel corso del 1977 la Libia fu accusata da Sadat di fomentare disordini, finché nel luglio reparti armati egiziani varcarono le frontiere libiche. Per contro l'E. strinse rapporti di stretta collaborazione con il Sudan e l'Arabia Saudita. Nel 1977 truppe egiziane intervennero a sostegno del regime di Mobutu nello Zaire e l'E. si schierò a fianco della Somalia nella guerra dell'Ogaden. Il Paese intanto cadde in una profonda depressione economica e il malessere della popolazione si tradusse in violente manifestazioni di piazza. Nel novembre 1977 Sadat, prese la clamorosa decisione di avviare trattative dirette con Israele, seguendo una linea contestata da quasi tutti i Paesi arabi, alcuni dei quali si unirono in un «Fronte del rifiuto» (Algeri, febbraio 1978), e poco accetta anche all'interno del Paese; con il referendum del maggio 1978 Sadat imbavagliò ogni tipo di opposizione dando al suo governo un'impostazione decisamente autoritaria. Nel settembre 1978, al termine di una laboriosa conferenza a tre (Carter, Begin, Sadat) tenutasi a Camp David, l'E. siglò una cornice di accordi con Israele che portarono alla firma del trattato di pace (Washington, marzo 1979), approvato quasi all'unanimità dal referendum tenuto in E. nell'aprile dello stesso anno. Il 6 ottobre 1981, durante la parata militare per l'ottavo anniversario della guerra contro Israele (1973), il presidente Sadat fu assassinato da un commando di integralisti islamici che provocò la morte di altre otto persone. Gli succedette il vicepresidente Hosni Mubarak, designato dal Parlamento e confermato con un referendum popolare; è stato rieletto nel 1987. Nella seconda metà degli anni Ottanta, pur in un clima di agitazioni sociali, in parte alimentate da correnti del fondamentalismo islamico e accompagnate dal costante peggioramento dell'economia, il governo ha quindi perseguito con determinazione la politica estera pragmatica inaugurata dagli accordi di Camp David, vedendosene infine riconosciuta implicitamente la liceità dalla maggioranza dei Paesi arabi con il reintegro nella Lega Araba (vertice di Casablanca, maggio 1989). Parallelamente il Paese, alla continua ricerca del miglioramento dei rapporti con Israele (da cui nel marzo 1989 ha ottenuto la restituzione della zona di Taba) e di una mediazione fra questo e l'O.L.P., ha così riguadagnato il ruolo e il prestigio diplomatico tradizionali, ponendosi a capo dello schieramento moderato arabo, in sintonia con la politica di distensione attuata da U.S.A. e U.R.S.S.: sintomatici di tale collocazione sono stati prima l'appoggio all'Iraq nella guerra contro l'Iran, protratto dopo la tregua con l'accordo per un Consiglio di Cooperazione araba (febbraio 1989); quindi il deciso sostegno all'azione negoziale e più tardi bellica (partecipazione di un contingente egiziano alla forza multinazionale impegnata nella guerra del Golfo, gennaio-febbraio 1991) contro l'invasione irachena del Kuwait, avvenuta nell'agosto 1990; infine, il sostegno fornito da Mubarak, mediante concreti tentativi di mediazione tra Gerusalemme e Damasco e l'appoggio dato alle fazioni più «morbide» dell'O.L.P., all'iniziativa internazionale, e segnatamente statunitense, che ha condotto allo storico incontro tra Arabi e Israeliani alla conferenza di pace per il Medio Oriente, apertasi a Madrid il 30 ottobre 1991. Nonostante le difficoltà di una trattativa complicata da una lunghissima stagione di odio e di terrore, il ruolo dell'E. si confermava essenziale per il raggiungimento di uno storico accordo, che non casualmente veniva firmato al Cairo nel 1994, tra Israele e O.L.P. di !Arafat. Proprio questa funzione di mediazione e di moderazione all'interno di un mondo arabo percorso da nuovi fenomeni di integralismo creava, però, alcune serie difficoltà nel Paese. In forte dissenso per la collocazione internazionale, considerata troppo filoccidentale, e facendo leva su un malcontento generato da una negativa situazione economica, gruppi di fondamentalisti islamici davano vita a una vasta ondata di violenze nella primavera del 1992. La durissima repressione dello Stato, che faceva giustiziare molti integralisti, non riusciva, però, a stroncare il fenomeno che continuava a manifestarsi anche negli anni successivi con attentati contro gli stranieri, gli intellettuali, i cristiani copti, la polizia. Nemmeno le più alte cariche di governo erano esenti da una tale virulenza terroristica come dimostrano gli attentati cui riuscivano fortunosamente a scampare il ministro degli Interni, il premier A. Sidki (rispettivamente agosto e novembre 1993) e il presidente Mubarak (1995). Nonostante le centinaia di arresti e le decine di esecuzioni, infatti, anche sul finire degli anni Novanta l'E. era attraversato da attentati che colpivano in modo indiscriminato non risparmiando nemmeno intere comitive di turisti: lo stesso Mubarak, pochi giorni prima della sua riconferma alla guida del Paese (settembre 1999), scampava a un nuovo attentato a Porto Said, rimanendo leggermente ferito.
LETTERATURA
Dal sec. X alla fine del Settecento l'E. ha fornito alla letteratura araba numerosi poeti e narratori. Una gloria indiscussa dell'E. è !Omar ibn al-Farid (1182-1235), uno dei più grandi poeti mistici in lingua araba. Celebre come calligrafo, storico e giurista, an-Nuwayri (1281-1332) compilò una vastissima enciclopedia abbracciando tutto il campo dello scibile. Di ogni argomento trattò anche as-Suyuti (1445-1505), operoso e colto poligrafo, che gode di vasta fama in tutto il mondo arabo. La letteratura specificamente egiziana inizia però solo nell'Ottocento con scrittori come Lutfi al-Manfaluti Ibrahim, !Abd al-Qadir al-Mazini e soprattutto !Abbas Mahmud !Aqqad. Iniziatore della narrativa moderna è Mohammed Husayn Haykal (1888-1956), autore del romanzo Zeynab (1914), nel quale è descritta realisticamente la vita dei contadini egiziani del Delta. Già compiutamente realizzata è l'opera dei fratelli Taymur: Muhammad (1892-1921), che ha cercato di staccarsi dalla tradizione classica per creare una letteratura moderna di stampo realistico; Mahmud (1894-1973), che ha rispecchiato nelle novelle e nei romanzi la società dell'E. moderno. Nel campo della poesia emergono, a cavallo tra Ottocento e Novecento, Ahmed Shawqi (1868-1932), ancora legato alla tradizione, Ibrahim Muhammad Hafiz (1871-1932), più sensibile ai problemi del suo tempo, e soprattutto Halil Mutran (1870-1949) che esprime sentimenti e pensieri personali in una lingua e in uno stile perfetti. Tra gli scrittori che si sono trovati alla testa della lotta per la libertà s'impone Taha Husayn (1889-1973), la figura più interessante nel panorama culturale dell'E. moderno. Accanto a lui è da collocare Tawfiq al-Hakim (1898-1987), il più noto drammaturgo egiziano, autore di La gente della caverna (1933). Il panorama letterario postrepubblicano è caratterizzato dalla contesa tra due correnti, quella realistica, rappresentata da Yusuf Idris (n. 1927) Shukri !Ayyad, Salah Hafiz, !Abd al-Gaffar Makkawi, !Abd ar-Rahman as-Sarqawi (n. 1920) e soprattutto da Nagib Mahfuz, che nel 1988 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura, e quella sperimentale. Le prime manifestazioni di questa nuova tendenza si incontrano in Yusuf as-Saruni (n. 1924), che ne è considerato il fondatore, in Edward al-Kharrat (n. 1927), Fathi Ghanim (n. 1924), !Abbas Ahmad e Badr ad-Dib, che si affermano soltanto verso la fine degli anni Sessanta, quando già una nuova generazione si è fatta avanti. Tra gli scrittori più rappresentativi di questa generazione, in conflitto non soltanto con la censura, ma anche con gli scrittori più anziani che erano riusciti a monopolizzare il potere culturale, figurano Ibrahim Aslan (n. 1939), Yahyà at-Tahir 'Abdallah (n. 1942), Muhammad al-Busati (n. 1937), Gamal al-Ghitani (n. 1945), Magid Tubiya (n. 1938) e Diya' as-Sarpawi (n. 1938). Un contributo interessante è stato fornito anche da scrittrici quali Zaynab Sadiq (n. 1935), Sakinah Fu'ad e Nawal as-Sa!dawi, la cui tematica verte prevalentemente sulla condizione della donna, sulla sua nuova mentalità e funzione nella società egiziana, sul contrasto tra la generazione attuale e la precedente. Nei primi anni Novanta, la battaglia combattuta dai fondamentalisti islamici contro il laicismo dello Stato egiziano non poteva non coinvolgere gli esponenti del mondo letterario, che si sono spesso trovati, nel mirino degli estremisti. Questi, decisi a combattere la diffusione della «corrotta cultura occidentale» a opera di scrittori e autori teatrali e cinematografici, accusati anche di mettere, con le loro opere, in cattiva luce il Paese, non hanno esitato a uccidere, nel 1992, lo scrittore F. Foda (n. 1945), autore di numerosi saggi e di centinaia di articoli sul tema del «pericolo islamico», per poi colpire il premio Nobel per la letteratura Nagib Mahfuz (n. 1911), ferito a colpi di coltello nel 1994, le cui opere erano già state precedentemente messe all'indice dalle autorità religiose perché irriverenti verso l'Islam. Acquista, in questo contesto, ancora maggior valore l'opera di autori quali la scrittrice Nawal as-Sa'davi, schierata da sempre a favore dell'emancipazione della donna, Sulayman Fayyad e Ibrahim Aslam, appartenenti alla generazione che ha vissuto la disfatta del 1967 e la successiva decadenza del sistema politico e sociale egiziano, e l'autore teatrale Lenin Ramly. Nella drammaturgia emergono i nomi di ‘Ali Salim (n. 1936) e Muhammad al-Salamuni (n. 1942).
ARTE
Conquistato all'Islam tra il 639 e il 642, l'E. accolse una fioritura di arte, specie al Cairo, sede delle varie dinastie e fulcro della vita sociale, politica e culturale della regione, dove sorsero numerosi edifici, soprattutto religiosi, di grande valore architettonico, molti dei quali ancora sopravvivono. Fuori della capitale si trova il bel nilometro (miqyas) dell'isola di Roda, costruito, secondo un'iscrizione che correva lungo tutti i lati del pozzo quadrato che reggeva la colonna graduata, nell'861-862 da Muhammad al-Hasib per l'abbaside al-Mutawakkil. Al periodo fatimita (969- 1171) si possono invece riportare anche, al di fuori della capitale, una serie di mausolei della necropoli di Aswân (Alto E.), nei quali l'esuberante fantasia dei costruttori provinciali si è sbizzarrita nella ricerca più del pittoresco che dell'architettonico. Numerosi erano i centri di produzione artigianale di ceramiche, legni, vetri, cristalli di rocca, metalli lavorati e, soprattutto, di tessuti. In epoca fatimita erano attive le officine di tessitura (tiraz) di Misr, Damietta, Tinnis, Shata, Alessandria, Tuna, El Faiyûm, ecc., le cui stoffe erano di solito decorate con motivi vegetali, figure di animali e, più di rado, umane. Con i Mamelucchi e gli Ottomani, Il Cairo tornò a essere il centro della produzione artigianale. Dopo la dominazione araba, profondi mutamenti si verificarono nelle tradizioni artistiche dell'E. per l'interferenza delle correnti culturali europee, che segnarono dei loro caratteri il rinnovamento edilizio attuatosi in numerose città nel corso dei sec. XIX e XX. L'assoluta prevalenza di modelli europei non è venuta meno neanche dopo la rivoluzione, anche se sotto la nuova formula di interventi di capitali e tecnici di diversi Paesi. Nonostante l'enorme sforzo compiuto a cominciare dagli anni Cinquanta, col varo di progetti di pianificazione per le città maggiori (Il Cairo, Alessandria, Ismailia, Porto Said) e per un centinaio di villaggi, con relative opere di bonifica, l'urbanizzazione è stata malamente regolamentata (si pensi alla crescita disorganica e caotica del Cairo) e la produzione edilizia ha utilizzato mediocremente i modelli e le tecnologie europei. L'impresa più importante degli anni Sessanta, legata alla realizzazione della grande diga di Aswân, è stato il piano regionale per Aswân, dovuto al gruppo J. E. Glowczewski, Kemal Abon Hamda e Z. A. Zielinski. Particolare attenzione è stata invece posta alla conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico dell'antico E., anche grazie alla collaborazione e all'intervento di organizzazioni internazionali, come l'U.N.E.S.C.O. (campagne per la salvezza dei templi di File e di Abu Simbel).
MUSICA
Sotto le culture dominatrici araba e turca, il filone autoctono si disperse. In tempi recenti l'E. è stato uno dei primi Paesi arabi ad aprirsi verso la cultura musicale europea, ma anche fra i primi a incoraggiare lo studio e la valorizzazione della tradizione nazionale. Infatti, accanto a istituzioni legate al repertorio occid. (tale il Teatro dell'Opera del Cairo, per il quale Verdi scrisse nel 1871 Aida), altre ne sorsero, quali la Scuola di musica orientale (1925) e l'Istituto di musica orientale (1929), che hanno favorito il recupero di forme espressive indigene.
CINEMA
Il cinema egiziano è il più importante e prolifico del mondo arabo, risalendo la sua storia al 1927-28, quando furono prodotti i primi film (Leila, Zeinab) autenticamente nazionali. È anche l'unico nel continente africano che da tempo disponga di un'infrastruttura produttiva e distributiva a ciclo completo. Del resto il Festival del Cairo è stato per tutti gli anni Ottanta vetrina internazionale e punto di riferimento per tutte le produzioni dell'area. Dopo stagioni di produzione commerciale, nel 1939 fu Kemal Selim con L'operetta a tentare un'operazione più ambiziosa e senza immediati fini commerciali. Dopo la caduta di re Faruk (1952) e l'avvento della Repubblica il cinema si aprì alle lezioni cinematografiche straniere, principalmente al neorealismo. Per tutti gli anni Cinquanta, infatti, si imposero le opere di Salah Abu Seif (su tutte ricordiamo un film d'epoca successiva, Il portatore d'acqua è morto, 1977) e soprattutto di Yusuf Shahin (Youssef Chahine in Francia), il più famoso cineasta egiziano, noto anche per numerosi lavori compiuti in collaborazione con la produzione francese. Tra i film più significativi di Shahin, la cui carriera è proseguita senza interruzioni tra gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, ricordiamo almeno Stazione centrale (1958), La terra (1968), Il passero (1972), Il ritorno del figliol prodigo (1976), una delle sue non infrequenti commistioni tra dramma e musica a forti connotati politici, Alessandria... perché? (1980), La memoria (1982), l'ambizioso kolossal (con capitali francesi) Adieu Bonaparte (1985), Il sesto giorno (1987), melodramma interpretato dall'attrice-cantante egiziana Dalida, Alessandria ancora e sempre (1990), L'emigrato (1995). Il tentativo di nazionalizzazione dell'industria cinematografica finì nel 1967, favorendo la rinascita di un'industria privata che trovò comunque giovamento dall'arrivo della televisione e dalla nascita di alcuni cineclub. Negli anni Sessanta si affermarono due personalità d'eccezione, quelle di Tawfiq Salah (I ribelli, Il diario di un giudice di campagna, 1967-68) che dovette per le sue prese di posizione di estrema sinistra emigrare in Siria, e di Chadi Abdel Salam, dall'affascinante linguaggio tra la figuratività moderna e il recupero della tradizione. Purtroppo queste sono state le ultime personalità emerse nel panorama egiziano; negli anni Settanta e Ottanta, infatti, a parte il menzionato Shahin, non ci sono state affermazioni di rilievo né le sperate evoluzioni artistico-industriali.
FOLCLORE
Crogiolo di molte e antiche culture, l'E. ha ricevuto dall'islamismo un'impronta fortissima, presente tuttora in ogni aspetto della vita sociale. Grande importanza conserva il mese di digiuno del Ramadan, concluso con la «piccola festa» e seguito, 40 giorni dopo, dalla «grande festa» (!id el-kebir); dal Cairo parte ogni anno per la Mecca, in forma solenne, la kiswa, il drappo di seta nera ricamato d'oro destinato a ricoprire la Ka!ba; grandi feste accolgono nei villaggi i pochi fellahin che sono potuti andare alla Mecca e il racconto del memorabile viaggio viene dipinto con vivaci raffigurazioni sulla bianca facciata della casa del pellegrino. Emergendo su varie minoranze etniche i fellahin, lavoratori soprattutto dei campi, superano per numero la metà della popolazione e costituiscono il perno della vita del Paese. Appartenenti al più antico strato etnico e di credo musulmano o copto, essi vivono – legati alla vita del grande fiume e della campagna – nel chiuso microcosmo dei villaggi (agglomerati tutti eguali di case costruite con mattoni crudi e mota mista a paglia) e conservano intatte le secolari abitudini, come, p. es., la foggia del vestire: per le donne il milaya, velo nero avvolto attorno al capo e al collo e lungo fino ai piedi; per gli uomini, solitamente scalzi, la gallabiya (ampia tunica bianca di cotone lunga fino alle caviglie), panciotto a colori vivaci, talvolta pantofole di cuoio, sul capo una calotta di feltro o, per i più agiati, un turbante di mussolina bianca avvolgibile in venti modi diversi a denunciarne l'attività o il rango sociale. Simili a quelli antichissimi effigiati in rilievi e pitture dell'età faraonica, sono gli strumenti del lavoro contadino: l'aratro di legno (che è di origine ancor più lontana), lo saduf per attingere acqua, il norag per triturare la paglia o battere le spighe. Il fellah, che si ripaga del duro lavoro con divertimenti da poco (canzoni, musiche, il gioco del tric-trac, i racconti dello sa!ir, rapsodo del villaggio), conferisce al fidanzamento importanza pari a quella del matrimonio e conclude il contratto nuziale davanti al qadi, giudice del villaggio: la festa giunge all'apice la sera, quando la sposa lascia con il suo corteggio e il corredo la casa paterna e lo sposo raggiunge la nuova dimora seguito dagli amici e da una fanfara (Musikette Hassaballah). Meno appariscenti, i grandi sponsali borghesi obbediscono alle stesse regole: è sempre lo sposo che paga la dote e il hatem (anello di diamanti). Sono tuttora seguite nell'ambiente dei fellahin, oltre a quella del tatuaggio (per gli uomini come per le donne), le pratiche della circoncisione e dell'excisione; la morte, annunciata da lamentatrici di professione, è pianta con usi funebri antichissimi, premusulmani. Tra le numerosissime feste del calendario egiziano, spiccano la festa della primavera (Samm en Nesim, vera e propria manifestazione di sincretismo religioso) e la festa del protettore del villaggio (o giorno del molid). L'attività artigianale eccelle nella lavorazione e cesellatura a mano del rame e nella produzione, pure manuale, di stoviglie, delle anfore rotonde di El Faiyûm, di panieri (con foglie di datteri e rami di palme), di cuscini e tappeti a vivaci colori e, tra i copti, di stoffe di lino, lana e cotone. L'alimentazione ha nel fesih (pesce non vuotato marinato fra strati di salamoia) e nelle fave (full) i piatti nazionali.