Materie: | Appunti |
Categoria: | Latino |
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Data: | 25.07.2001 |
Numero di pagine: | 5 |
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Testo
Lucrezio
Sulla vita di Lucrezio non abbiamo informazioni sicure. Potrebbe essere nato nel 96 a.C., e morto intorno agli anni 50. Si pensa che sia campano, perché a Napoli c’era una fiorente cultura epicurea; inoltre la Venere del proemio della sua opera, la Venus fisica, e venerata a Pompei. Il De Rerum Natura è la sua unica opera, in sei libri di esametri.
La classe dirigente romana non si era opposta all’influenza della cultura greca, opponendosi soltanto ad alcune correnti di pensiero che contenevano elementi pericolosi per le istituzioni della repubblica. La filosofia di Epicureo era quella più antitradizionalista e anticonformista, perché insegnava che gli dei esistono ma non intervengono nelle vicende degli uomini, che il piacere è il sommo bene e che al piacere si arriva attraverso l’atarassia, l’indifferenza alle passioni. Inoltre invitava al distacco dalla vita politica. La concezione epicurea del divino sembrava mettere in pericolo l’organizzazione romana dei culti, e più eversivo sembrava l’invito al disimpegno dall’attività pubblica. Nel I secolo l’epicureismo venne tollerato. Lucrezio volle divulgare Epicureo ma in un modo diverso, scrivendo un poema epico-didascalico. Ciò destò sorpresa, poiché Epicureo aveva condannato la poesia che allontanava dalla comprensione razionale dell’universo. Lucrezio scelse la poesia di ispirazione solenne per il desiderio di raggiungere anche gli strati più alti della società con il proprio messaggio. Nella dolcezza della poesia, Lucrezio cerca l’antidoto al sapore amaro di una dottrina ardua e difficile che potrebbe impaurire i suoi lettori.
Il titolo dell’opera De rerum natura traduce quello dell’opera più importante di Epico. I sei libri dell’opera sono articolati in tre gruppi di due: la prima e l’ultima coppia trattano della fisica, la seconda l’antropologia. Dopo l’inno a Venere, inizia l’esposizione dei principi fondamentali: atomi, parti minime di materia, indistruttibili, infinite e immutabili, che si muovono nel vuoto e, urtandosi, danno origine alle aggregazioni dei corpi e dei mondi. Il moto degli atomi è rettilineo, ma interviene il clinamen, un’inclinazione che deve rendere ragione delle aggregazioni e della libertà del volere umano. Il corpo e l’anima sono costituiti da atomi. L'anima muore con il corpo. La vita dopo la morte non esiste. Il continuo movimento degli atomi fa sì che dai corpi si stacchino i simulacra, aggregati di atomi che mantengono la forma dei corpi da cui hanno origine e che vanno a colpire gli organi percettivi di altri esseri. Da qui ha origine la conoscenza. Il mondo è mortale e destinato a decomporsi. Prima del De rerum natura, la letteratura latina non aveva prodotto opere di poesia didascalica di grande impegno.
L’ethos del genere didascalico ellenistico era stato encomiastico, rendendo lode alle cose. Per Lucrezio non bisogna meravigliarsi davanti ad un fenomeno, perché ogni cosa è connessa ad un’altra. Alla retorica del mirabile, Lucrezio sostituisce la retorica del necessario. Il sublime diventa una forma stilistica in cui è condensata una forma d’interpretazione del mondo; ma anche coinvolgendo colui che è lettore del testo e spettatore della grande ed emozionante descrizione lucreziana, gli suggerisce un bisogno morale e lo promuove alla grandezza d’animo.
I toni grandiosi, gli scenari sublimi del poema di Lucrezio sono pensati per incitare ed esortare il lettore, affinché scelga un modello di vita alta e forte. La mente del lettore deve diventare specchio della sublimità universale entrata nel poema: il lettore diventa l’eroe, che si emoziona per la natura; perciò in Lucrezio compaiono molti appelli e invocazioni al lettore. La necessità di una sorta di eroismo della mente è il principio che informa la didattica epicurea. Epicureo viene presentato come un eroe.
Lo stile di Lucrezio non è solo emozionante: spesso, per convincere l’interlocutore, Lucrezio fa parlare uno stile più aggressivo e violento, la diatriba, caratterizzato da vivaci drammatizzazioni, personificazioni delle passioni, appartenente alla tradizione della satira romana. Così è tutto il finale del libro III.
Appassionato sono anche i passaggi in cui Lucrezio si rivolge al lettore invitandolo a riflettere su quanto sia crudele la religione tradizionale, citando come esempio l’episodio del sacrificio di Ifigenia, figlia di Agamennone. La volontà di mostrare a quali assurdità porti il culto degli dei spinge Lucrezio a rappresentare in un quadro patetico anche il dolore della madre di un vitello sacrificato. La religione opprime la vita degli uomini e turba ogni loro gioia con la paura. Ma se gli uomini sapessero che dopo la morte non c’è nulla, smetterebbero di essere succubi della superstizione religiosa. Il timore della morte deve essere eliminato. Nel III libro Lucrezio cerca di darne la dimostrazione. È, inoltre, necessario liberarsi da idee collaterali come la Provvidenza, che si inserisce nella logica finalistica della religiosità tradizionale. I saggi sono paragonati a colore che osservano distaccati il mare in tempesta, insegnando agli uomini come raggiungere le alte e serene regioni ben fortificate della scienza.
Lucrezio vuole evitare che su argomenti di grande rilievo la mancanza di spiegazioni razionali riconduca il lettore ad accettare le spiegazioni tradizionali della mitologia e della superstizione Dedica un’ampia parte dell’opera alla storia del mondo, originato da una casuale aggregazione di atomi. Tutta la metà del quinto libro tratta l’origine della vita sulla terra e della storia dell’uomo. Il terreno umido e il calore hanno spontaneamente generato i primi essere viventi e poi gli uomini, che conducevano una vita agreste. La natura forniva solo il necessario. Fra le tappe del progresso umano, quelle positive sono alternate ad altre negative, come la guerra. In tutta l’opera è evidente il desiderio del poeta di contrapporsi alle visioni teleologiche del progresso umano: la natura segue le sue leggi.
Il breve giudizio sull’opera di Lucrezio testimonia che Cicerone ammirava in Lucrezio non solo l’acutezza del pensatore, ma anche grandi capacità di elaborazione artistica. Lo stile doveva piegarsi al fine di persuadere il lettore, attraverso molte ripetizioni nelle quali si è visto un segno di immaturità stilistica di Lucrezio. L’invito all’attenzione del lettore doveva essere reiterato spesso; e alcuni termini della fisica epicurea dovevano stare il più possibile fissi per consentire al lettore di familiarizzarsi con un linguaggio non facile. Alla lingua latina, inoltre, mancava la possibilità di esprimere alcuni concetti filosofici, e Lucrezio inventò nuove perifrasi. La povertà della lingua non si estendeva al di fuori del lessico tecnico: Lucrezio sfrutta molti vocaboli poetici e ne crea molti, rivelando una spiccata propensione per nuovi avverbi e perifrasi.
Lucrezio possiede una vasta conoscenza della letteratura greca, sia riprendendo alcune opere greche (vd. Omero e Platone), sia riprendendo alcuni poeti ellenistici raffinati (vd Callimaco e Antipatro). Il tratto distintivo dello stile lucreziano va individuato nella concretezza dell’espressione. Evidenza e vivacità descrittiva, visibilità e percettibilità degli oggetti intorno a cui si ragiona, corporalità dell’immaginario: questi caratteri sono gli effetti obbligati che derivano della mancanza di un linguaggio già pronto.