Liber Catulliano

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Testo

Gaio Valerio Catullo
LIBER

V - Viviamo e amiamo
Viviamo, mia Lesbia, e amiamo,
e le chiacchiere dei vecchi troppo severi
valgano tutte quante la più vile moneta!
I giorni possono tramontare e poi risorgere:
ma quando muore il nostro breve giorno,
dormiremo una notte infinita.
Dammi mille baci, e poi cento,
e poi altri mille, e poi altri cento ancora,
e poi continuamente altri mille, e poi cento.
Poi, quando ne avremo accumulati migliaia e migliaia (di baci),
li mescoleremo, affinché non sappiamo (quanti baci ci siamo dati),
o affinché nessun malvagio possa invidiarlo,
sapendo che noi ci siamo dati tanti baci (“venendo a sapere che c’è tanto di baci”).

VI – Quanti baci mi bastano?
O Lesbia, mi chiedo quanti baci tuoi
mi siano abbastanza e mi avanzino.
Quanto grande numero (di granelli) di sabbia libica
c’è a Cirene che produce laserpizio
tra l’oracolo di Giove che avvampa (dal caldo)
e il sacro sepolcro di Batti;
o quante stelle, quando la notte tace,
vedono gli amori furtivi degli uomini:
che tu baci di altrettanti baci
basta e avanza al folle Catullo,
che i curiosi possono contare
né colpire con male lingue.

XCII – Che io sia dannato se non è vero che la amo
Lesbia parla sempre di me e non smette mai
di parlare di me: sarei perduto se Lesbia non mi amasse.
Da cosa lo capisco? Perché sono altrettanti gli indizi dell’amore:
la accuso continuamente, ma sarei perduto se non l’amassi.

CIX – Un nuovo patto
O vita mia (Lesbia), tu mi dici
che questo nostro amore sarà giocondo e perpetuo tra di noi.
O grandi dei, fate in modo che (lei) possa promettere il vero,
e che dica ciò con sincerità e con l’animo (il cuore),
affinché sia lecito a noi continuare questo eterno patto
di santa amicizia per tutta la vita.

LXXXV – Odio e amo
Odio e amo. Forse chiedi come (perché) accade ciò.
Non lo so, ma sento che è così e me ne tormento.

VIII – Lesbia non vuole più
O povero Catullo, cessa di essere folle,
e considera perduto ciò che vedi essere morto.
Splendettero un tempo per te dei giorni luminosi,
quando tu solevi andare là dove ti guidava la fanciulla
amata da noi quanto nessuna altra donna sarà amata.
Qui avvenivano allora quei numerosi scherzi (giochi d’amore)
che tu volevi e che la fanciulla non rifiutava.
Splendettero davvero per te dei giorni luminosi.
Ora lei non vuole più e non inseguire lei
che fugge e non vivere infelice,
ma sopporta con mente salda, tieni duro.
Addio fanciulla, ormai Catullo tiene duro,
e non ti cercherà né chiederà di te se non vuoi.
Ma tu soffrirai, quando nessuno ti vorrà.
Disgraziata, guai a te, quale vita ti rimane?
Chi verrà da te? a chi sembrerai graziosa?
chi amerai ora? di chi sarei detta essere?
chi bacerai? a chi morderai le labbra?
Ma tu, Catullo, ostinato, tieni duro.

LXXI – Desiderare o voler bene
O Lesbia, un tempo dicevi di amare solo Catullo,
né di preferire Giove al posto mio.
Allora ti amai (ebbi cara) non tanto come il popolo (ama) l’amante,
ma come il padre ama i figli e i generi.
Adesso ti conosco: sebbene arda d’amore ancora più intensamente,
tuttavia per me sei di gran lunga più spregevole e più volubile.
Come è possibile, chiedi (a te stessa)? Poiché tale ingiuria spinse l’amante
ad amare di più, ma a voler bene di meno.

I – Il nuovo libretto
A chi dono il nuovo grazioso libricino
rifinito or ora con l’arida pomice?
A te, o Cornelio: infatti tu eri solito
ritenere che le mie sciocchezze valessero qualcosa,
fin dal in cui osasti solo tra gli Itali
raccontare la storia universale con i (3) libri
dotti e impegnativi, per Giove!
Perciò prendi come tuo questo libricino per quello che è
e per quello che vale; o vergine musa, fa sì
che rimanga eternamente per più di una generazione.

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