L'orazione "Pro Milone" di Cicerone

Materie:Appunti
Categoria:Latino

Voto:

1.5 (2)
Download:1871
Data:16.07.2001
Numero di pagine:32
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
orazione-pro-milone-cicerone_1.zip (Dimensione: 25.63 Kb)
trucheck.it_l-orazione-pro-milone-di-cicerone.doc     83 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

MARCO TULLIO CICERONE
PRO MILONE
CAP I
Sebbene io creda, o giudici, che sia cosa vergognosa provare paura mentre mi accingo a parlare in difesa di un uomo valorosissimo e non sia affatto conveniente che, mentre lo stesso T. Annio [Milone] si preoccupa più della salvezza dello Stato che della propria, io non possa portare in questo suo processo un’uguale grandezza d’animo, tuttavia l’inusitato aspetto del foro in questa nuova procedura atterrisce gli occhi che, dovunque si posano, cercano invano l’antica consuetudine del foro e il vecchio aspetto dei processi. Infatti il vostro consesso non è circondato, come si soleva fare, dal circolo di ascoltatori, non dal solito pubblico siamo stretti intorno; quelle guardie, che davanti a tutti i templi vedete, anche se sono state collocate a causa della forza dei Clodiani, tuttavia non possono non produrre in chi parla una qualche apprensione, tanto che neanche durante i discorsi e il dibattito, benché siamo protetti da una difesa salutare e necessaria, possiamo essere sicuri e senza ombra di timore. Se ritenessi questi provvedimenti presi contro Milone, cederei alla circostanza avversa, o giudici, e non riterrei infatti che fra tanto spiegamento di armati, vi fosse posto per la mia orazione; ma mi consola e mi conforta la saggezza di Cneo Pompeo, uomo sapientissimo e giustissimo, il quale certamente non riterrebbe degno della sua giustizia consegnare alle armi dei soldati quel medesimo che aveva affidato come imputato alla sentenza dei giudici, né degno della sua saggezza armare il cieco furore della folla con la sua autorità di pubblico magistrato. Per questo motivo, quelle armi, i centurioni, le coorti non sono un pericolo per noi, ma significano un presidio, e non soltanto ci esortano alla tranquillità, ma anche al coraggio, e non solo promettono aiuto alla mia difesa, ma anche il silenzio di chi ascolta. Infatti il resto della folla, che è veramente composta di cittadini, ci è tutta favorevole; e ognuno di coloro che voi vedete intenti, sin da dove può vedersi una qualche parte del foro, e aspettanti l’esito di questo processo, non solo è favorevole al valore di Milone, ma anche è convinto che oggi si lotta per lui, per i suoi figli, per la patria, per i suoi beni
CAP II
Un genere solo di persone è implacabile e ostile verso di noi; il gruppo di quelli che era nutrito dal furore di Clodio per i saccheggi, gli incendi e tutti i danni pubblici; quelli che anche sono stati spronati nell’assemblea di ieri a suggerirvi i vostro verdetto. Ma se vi sarà qualche grido da parte di quelli, voi dovrete esortare a trattenere in patria qual cittadino che sempre ha disprezzato per la vostra salvezza quel gruppo di scellerati e le loro fortissime urla.
Quindi non perdetevi d’animo, o giudici, e, se avete qualche timore, deponetelo. Infatti se mai voi avete avuto potere di giudicare degli uomini onesti e valorosi, se mai avete potuto giudicare dei cittadini benemeriti, se mai infine fu data a uomini scelti fra la classi più nobili l’occasione propizia di dimostrare con fatti e con parole verso i cittadini onesti e coraggiosi quella loro simpatia, che spesso avevano manifestato nel loro atteggiamento e nei loro discorsi, in questo momento voi avete tutto questo potere, quello cioè di stabilire se noi, che sempre fummo rispettosi della vostra autorità, dobbiamo, infelici, piangere, o se, dopo essere a lungo stati tormentati da cittadini scelleratissimi, si possa una buona volta rianimarsi grazie a voi, alla vostra integrità, fermezza e saggezza.
Infatti, o giudici, che cosa può essere detto e immaginato di noi due d più travagliato, di più tormentato, di più duramente provato, noi che nonostante fossimo spinti alla vita pubblica dalla speranza dei più grandi onori, non possiamo essere liberi dal timore di crudelissime sofferenze?
In realtà ho sempre pensato che Milone avrebbe dovuto affrontare tempeste e uragani soltanto nelle onde delle assemblee, poiché si era sempre schierato con gli onesti contro i prevaricatori: ma in tribunale e in questa assemblea, in cui giudicano uomini valorosissimi provenienti da tutti gli ordini sociali, non avrei mai creduto che i nemici di Milone avrebbero avuto, grazie a tali uomini, qualche speranza non solo di spegnere la sua salvezza, ma anche di incriminarne la gloria.
Tuttavia in questo processo non ci serviremo, o giudici, per allontanare da lui questa accusa, del tribunato e di tutte le azioni di Tito Annio compiute per la salvezza dello Stato. Se non lo vedrete con i vostri occhi che fu Clodio ad insidiare Milone, rinuncerò a pregarvi di condonare questo delitto a Milone, in virtù dei molti famosi meriti verso lo Stato, né vi chiederò di voler ascrivere alla virtù di Milone più che alla felicità del popolo romano la morte di Clodio, se quella morte si rivelerà essere la vostra salvezza. Se invece le insidie di quello saranno più evidenti sotto questa luce, allora in seguito vi scongiurerò con tutte le mie forze, o giudici, che, se avremo perso tutte le altre libertà, almeno ci sia lasciata questa: che sia lecito difendere la nostra vita dalla prepotenza e dalle armi dei nostri nemici.
CAP III
Ma prima che io arrivi a quella parte del mio discorso che è il fondamento della causa, mi sembra che debbano essere confutate quelle parole spesso proferite in senato dai nemici e nelle assemblee dai malvagi agitatori, e poco fa dagli accusatori, in modo che, eliminato ogni errore, possiate conoscere chiaramente il fatto che deve essere giudicato. Dicono che non sia più lecito vivere, per colui che dichiara apertamente di aver ucciso un uomo…
Insomma, in quale città stoltissimi uomini possono sostenere questa tesi? Forse in quella che sperimentò il primo giudizio capitale con M. Orazio, uomo valorosissimo, che, sebbene la città non fosse ancora libera, fu tuttavia liberato su richiesta dell’assemblea del popolo, nonostante avesse detto di aver ucciso la sorella per sua mano. O forse c’è qualcuno che non sa ciò che dibattendo su un omicidio, si è soliti dire o che il fatto non è mai avvenuto o che è stato fatto giustamente e rettamente per legittima difesa?
A meno che non crediate che P. Africano fosse stupido, poiché interrogato sediziosamente in assemblea dal tribuno C, Carbone su ciò che pensasse della morte di Tiberio Gracco, rispose che gli sembrava che fosse stato ucciso giustamente. Se non fosse lecito eliminare i cittadini scellerati, il senato, quel Servilio Aala, oppure Nasica, o Opimio o Mario, o io stesso mentre ero console, non potrebbero non essere considerati infami. Dunque, o giudici, non senza motivo anche nelle leggende grandissimi scrittori raccontano che colui che aveva ucciso la madre per vendicare il padre, nonostante i pareri contrastanti dei giudici, non solo per decisione divina, ma anche per quella della saggissima dea Atena, fu liberato.
Che se poi addirittura le dodici tavole ammettono che un ladro notturno sia ucciso in ogni modo, e invece di giorno solo se è armato, chi è quello che, in qualsiasi maniera il ladro sia stato ammazzato, ritiene di dover esser punito, vedendo che per uccidere un uomo, la spada ci è fornita a volte dagli stessi legislatori?
CAP IV
Ebbene, se vi è un qualche caso in cui si può giustamente uccidere, e ce ne sono molti, è certamente non solo giusto, ma anche necessario difendersi dalla violenza con la violenza. Un tribuno militare tentando di violare l’onore a un soldato nell’esercito di Caio Mario, parente di questo generale, fu ucciso da questo a cui tentava di far violenza. Infatti l’onesto giovane preferì reagire a proprio rischio anziché subire vergognosamente. E questo (Mario) lo assolse dal delitto e lo liberò dal pericolo.
A un ladrone e ad un assassino quale ingiusta morte si può dare? A che cosa servono queste nostre scorte armate di pugnali? Non sarebbe lecito averli, se in nessun modo fosse possibile utilizzarle. E’ dunque questa, o giudici, una legge non scritta ma naturale, che non abbiamo imparato, appreso, letto, ma in verità tratta fuori dalla natura stessa, l’abbiamo presa, l’abbiamo assorbita, alla quale non siano stati educati, ma creati, non insegnati, ma ne siano imbevuti, che se la nostra vita cadesse in qualche agguato, si imbattesse nella violenza e nella armi di assassini o nemici, ogni mezzo per procurarsi la salvezza sarebbe giustificato. Infatti le leggi tacciono in mezzo alle armi e non vogliono essere aspettate perché, colui che volesse attenderle, dovrebbe pagare una ingiusta pena, prima di esigere quella giusta. Tuttavia assai saggiamente e, per così dire, tacitamente c’è una legge che difende la potestà che non proibisce di uccidere un uomo, ma che vieta che si vada in giro armati con intenzione di uccidere un uomo, così da essere giudicato colpevole poiché si cerca l’intenzione non l’arma di chi l’ha usata solo per difendersi, non si giudichi che abbia avuto l’arma per uccidere.
Perciò questo punto rimanga ben fermo nel processo, o giudici; infatti non dubito che vi proverò la mia difesa, se ora terrete presente che non si può dimenticare: si può uccidere legittimamente chi ti tende insidie.l
CAP V
Segue ora quell’argomento che più volte è stato ripetuto dai nemici di Milone, che la rissa, in cui Publio Clodio fu ucciso, il senato l’avrebbe giudicata come un attentato alla repubblica. Al contrario il senato non solo con sue parole la approvò, ma anche con manifestazioni di simpatia. Infatti più volte quella causa fu discussa da me in senato, riscuotendo assensi, né taciuti né nascosti, di tutti i senatori! Quando infatti nelle riunioni più affollate del senato furono trovati 4 o al più 5 che non approvassero la causa di Milone? Lo attestano quei mezzi morti discorsi di questo bruciacchiato tribuno della plebe, nei quali ogni giorno invidiosamente accusava la mia bravura, dicendo che il senato decideva non secondo ciò che sentisse giusto, ma secondo ciò che io volessi. Certo che se si deve chiamare potere quella modesta autorità che mi sono guadagnato grazie a grandi meriti in buone cause nei confronti della repubblica o se grazie a questi faticosi lavori ispiro qualche simpatia presso i buoni, sia pure chiamato così, purché noi la usiamo per la salvezza dei buoni e contro la follia dei malvagi. Il senato tuttavia non pensò mai di istituire questa nuova procedura, anche se è conforma alla legge. C’erano infatti delle leggi, c’erano delle commissioni d’inchiesta per le stragi e per la violenza, né la morte di Publio Clodio aveva portato tanta tristezza e lutto al senato, da istituire una nuova procedura. Chi può credere che il senato abbia pensato di costituire un nuovo giudizio per la sua morte, quando infatti gli era stata strappata dal senato la possibilità di creare un tribunale per giudicarle su quell’impuro sacrilegio? Perché, quindi, il senato stabilì che l’incendio alla curia, l’incursione alla casa di Milone, e questa stessa rissa furono fatti contro la repubblica? Poiché in una città libera non ci può essere alcuno scontro fra cittadini non contro la repubblica. Infatti non è desiderabile alcuna difesa contro nessuna forza, ma talvolta è necessaria; a meno che quel giorno in cui fu ucciso Tiberio Gracco, o Gaio. o quello in cui fu repressa la rivolta di Saturnino, anche se furono repressi dalla repubblica, tuttavia non danneggiarono la repubblica.
CAP VI
E così io stesso ritenni, quando era evidente la strage avvenuta nella via Appia, che chi si era difeso non era andato contro la repubblica, tuttavia essendoci nel fatto ferocia ed insidia, biasimai il fatto e lasciai che giudicassero i magistrati. Che se, per colpa di quel furioso tribuno della plebe, al senato fosse stato lasciato procedere ciò che aveva ritenuto, noi non avremmo nessuna nuova procedura. Infatti il senato aveva deciso che il processo si svolgesse secondo le antiche leggi, solo che avesse la precedenza. La votazione fu divisa, avendolo chiesto non so chi; infatti non è necessario che io preferisca le azioni vergognose di ciascuno. Così la rimanente delibera del senato, a causa di un intervento di corrotti, non fu approvata.
Ma Cneo Pompeo avanzò una proposta di legge circa la strage, e la sua causa. Parlò infatti della strage, che fosse avvenuta nella via Appia, nella quale P. Clodio fu ucciso. Perché parlò? Evidentemente perché si facesse l’inchiesta. Cosa si sarebbe dovuto scoprire oltre? Da chi? Ma anche questo era risaputo. Pensò infatti che Milone anche se reo confesso potesse difendersi giustamente. Cosa che se non l’avesse pensata, che potesse essere assolto colui che apertamente dichiarava e vedendo che noi apertamente dichiaravamo, se avesse ordinato l’inchiesta [????] se a voi avesse ordinato l’inchiesta; se a voi avesse dato la …..che lo assolve o che lo condanna. In realtà a me sembra che Cn. Pompeo non avesse giudicato niente di troppo grave contro Milone, ma che avesse anche stabilito che voi cercaste nel giudicare ciò che fosse necessario. Infatti al reo confesso diede non una pena, ma una difesa; egli cercò la causa dell’omicidio, non l’omicidio.
Già sarà egli stesso a dire certamente se pensa che ciò che fece di sua spontanea volontà sia da attribuirsi a Publio Clodio o alla circostanza.
CAP VII
Qualche tempo fa, un uomo di nobili natali, che sempre si era schierato a difesa del senato e quasi ne era diventato un patrono, fu barbaramente ucciso in casa propria durante l’anno del suo tribunato. Sto parlando di Druso, zio dell’illustre Marco Catone, presente tra noi in qualità di giudice. In occasione della sua morte il popolo non venne consultato né, tanto meno, il senato aprì un’inchiesta. Dai nostri padri abbiamo saputo quanto dolore abbia provocato in questa città la tragica scomparsa dell’Africano, ucciso in piena notte mentre dormiva tranquillo nel suo letto! Chi dinanzi ad un simile atto di violenza non pianse, chi non fu fortemente colpito vedendo che non si era atteso che morisse per cause naturali quell’uomo, che tutti, se fosse stato possibile, avrebbero desiderato immortale? Si è forse avviata un’istruttoria sull’uccisione di Publio Africano? No, nel modo più assoluto. E perché mai? Perché nessuna differenza intercorre tra la morte di un nobile e quella di un comune cittadino. E’ evidente che, finché si è vivi, la condizione di chi ha potere e di chi non ne ha, non è la stessa: però, quando c’è di mezzo un delitto, è giusto che lo si sottoponga alle medesime leggi e, di conseguenza, alle medesime pene. A meno che voi non vogliate considerare un po’ più assassino chi ha ucciso un padre ex console rispetto a chi ha tolto la vita ad un padre oscuro! Oppure, come qualcuno afferma con insistenza, riteniate la morte di Clodio più atroce perché avvenuta lungo la Via Appia, che è la testimonianza dell’operato dei suoi antenati. Come se l’ideatore della strada, il famoso Appio Claudio Cieco, l’avesse costruita non pensando all’utilità pubblica, ma perché i suoi discendenti vi potessero tendere agguati impunemente! Forse per questo, quando Publio Clodio ha ucciso lungo la Via Appia un illustre cavaliere romano, Marco Papirio, si è pensato bene di non punirlo per il delitto commesso, perché lui, un nobile, aveva sì ucciso un cavaliere, ma lo aveva fatto sulla strada degli antenati! Ora, invece, basta pronunciare il nome della via ed ecco che subito si scatena una tragedia degna del miglior teatro greco! Quante scene patetiche quando si parla di questa Via Appia - e non si fa altro, ultimamente -, bagnata del sangue di un assassino, sovvertitore dello stato! Niente, invece, neanche una parola, quando era insanguinata per l’uccisione di un uomo onesto e innocente! Ma probabilmente non è il caso che torni tanto indietro con la memoria: poco tempo fa è stato catturato nel tempio di Castore un servo di Clodio, inviato dal suo padrone per uccidere Pompeo; sorpreso con un pugnale in mano, ha confessato tutto. Ecco perché Pompeo, da quel momento ha preferito tenersi lontano dal foro, dal senato, dai luoghi pubblici. Barricato in casa sua, si è dovuto difendere con le spranghe alle porte, non con l’autorità della legge e del tribunale. Tuttavia, si è forse avanzata qualche proposta di legge particolare? Si è stabilita una nuova procedura? Niente affatto. Eppure, erano presenti i requisiti richiesti per giustificare un’istruttoria straordinaria: il fatto, l’uomo, l’occasione, insomma gli elementi fondamentali di una causa giuridica. Quel servo stava in agguato nel foro, anzi proprio nella sala d’ingresso del senato, pronto a dare la morte ad un uomo, sulla vita del quale poggiava la salvezza di questa città: e per di più in un momento tanto delicato per la repubblica che la sua morte avrebbe significato la fine per Roma e per tutte le sue genti! A meno che non si dovesse punire quel crimine perché non era stato portato a termine, come se le leggi punissero soltanto la riuscita degli atti criminosi e non le intenzioni degli uomini. Certo, buon per noi che il crimine non sia stato commesso: una punizione, nondimeno, sarebbe stata necessaria. Quante volte io stesso, giudici, sono sfuggito alle armi e alle mani lorde di sangue di Publio Clodio! E se la mia buona stella, o quella del senato, non mi avesse sempre salvato, chi avrebbe istruito il processo per la mia morte?
CAP VIII
Ma noi siamo proprio pazzi: abbiamo il coraggio di mettere a confronto Druso, l’Africano, Pompeo, me stesso con Publio Clodio! Tutti quei misfatti furono tollerati, ma nessuno rimane insensibile pensando alla morte di Clodio: il senato è addolorato, l’ordine equestre verso lacrime amare, la cittadinanza intera è in preda alla disperazione; i nemici poi sono in lutto, le colonie afflitte e persino le campagne si struggono nel rimpianto di quell’uomo tanto incline al bene, indispensabile per lo stato, dall’indole tanto mite! Non fu certo quello il motivo, giudici, perché Pompeo stabilisse di dover istituire un processo, ma quell’uomo saggio e dotato di una mente acutissima, addirittura divina, considerò molti aspetti; che Clodio gli era stato nemico, Milone, invece, amico; ebbe timore che, se anche lui nell’euforia generale si fosse rallegrato, sembrasse troppo incerta la sincerità della sua riconciliazione. Fece molte altre riflessioni, ma si preoccupò in modo particolare della severità con cui avreste giudicato, per quanto egli stesso avesse aperto l’inchiesta con inflessibilità. E così dalle classi sociali più alte scelse persone eminenti, e non è affatto vero che nella scelta dei giudici abbia escluso, come alcuni vanno dicendo, i miei amici. Infatti il favore di cui godo non è limitato entro l’ambito dei miei amici più intimi, che non possono essere numerosi, visto che è impossibile vere dimestichezza con molte persone, ma, se ho un qualche potere, lo devo al fatto che mi ha unito agli onesti la mia attività politica. Pompeo, scegliendo tra loro gli uomini migliori, e credendo che soprattutto tale dovere riguardasse la sua lealtà, non poté scegliere uomini che non fossero ammiratori del mio operato. Ma quanto al fatto che volle a tutti i costi che tu, Lucio Domizio, fossi presidente di questo processo, non chiese nient’altro se non giustizia, serietà, bontà d’animo e lealtà. Io credo che Pompeo ritenne necessario un ex console, se stimava che dovere dei cittadini più autorevoli fosse opporsi alla mutevolezza della folla e alla temerarietà di gente senza scrupoli. Tra tutti gli ex consoli ha eletto te; infatti, già da ragazzo avevi fornito esemplari testimonianze del tuo disprezzo per il furore popolare.
CAP IX
Perciò, per giungere finalmente alla discussione del capo d’accusa, giudici, se è vero che non è inconsueto confessare un delitto e se, a proposito della nostra causa, il senato espresse un giudizio non diverso da quello che noi avremmo voluto; se, infine, l’autore stesso della legge, pur non essendovi alcuna contestazione del fatto, tuttavia volle che ci fosse una discussione, e se scelsero tali giudici e si prepose un tale presidente, perché decidessero con giustizia e oculatezza, non vi resta, giudici, che stabilire chi tra Clodio e Milone tese l’agguato. Pertanto, affinché attraverso la mia argomentazione possiate più facilmente comprendere, vi prego di prestare attenzione mentre vi espongo brevemente i fatti. Publio Clodio, deciso a sovvertire lo Stato con qualunque mezzo illecito durante la pretura, vedendo che nel corso dell’anno precedente i comizi erano stati differiti e che perciò non avrebbe potuto esercitare la pretura per molti mesi, e dato che non aspirava alla carica, come gli altri, ma voleva evitare di avere come collega Lucio Paolo, cittadino di straordinario valore, e aveva bisogno di un anno intero per rovesciare il sistema repubblicano, con mossa improvvisa rinunciò alla candidatura per quell’anno e si propose di nuovo per il successivo; e ciò non, come accade, per una qualche credenza superstiziosa, ma, stando alle sue parole, per avere a disposizione tutto un anno intero in cui esercitare la carica di pretore, cioè sovvertire lo Stato. Gli veniva il pensiero che la sua pretura sarebbe stata molto indebolita se Milone fosse stato eletto console; vedeva infatti che stava per diventare console con il pieno consenso del popolo romano. Si schierò allora dalla parte degli avversari politici di Milone, ma in modo da organizzare da solo, e anche senza il loro consenso, tutta la campagna elettorale, e in modo da reggere sulle sue spalle, come ripeteva, tutti i comizi. Radunava le tribù, faceva da tramite, istituiva una seconda tribù Collina arruolando masse di disperati. Ma quanto più Clodio fomentava disordini, tanto più Milone prendeva forza di giorno in giorno. Quando quell’uomo, dispostissimo a compiere ogni atto illecito, si accorse che il suo irriducibile nemico, dotato di grandissimo coraggio, sarebbe divenuto sicuramente console, e vide che veniva considerato tale non solo a parole, ma anche era stato spesso designato dai voti del popolo romano, iniziò ad agire apertamente e a dichiarare senza alcuna remora che occorreva eliminare Milone. Aveva fatto scendere dall’Appennino schiavi rozzi e incivile, che anche voi avete conosciuto, con i quali aveva devastato i boschi di proprietà dello Stato e aveva saccheggiato l’Etruria. Lo scopo non era per nulla oscuro: andava infatti dicendo che a Milone non si poteva certo portare via la sua carica di console, ma la vita sì. Lo fece capire spesso in senato, lo disse durante le assemblee del popolo; addirittura, quando Marco Favonio, un uomo dotato di grande coraggio, gli chiese con quale speranza infuriasse così finché Milone era in vita, gli rispose che Milone sarebbe morto nell’arco di tre, quattro giorni al massimo; Favonio allora riferì immediatamente queste sue parole al qui presente Marco Catone
CAP X
Frattanto, sapendo Clodio (né invero era difficile sapere ciò) che il 18 Febbraio Milone doveva recarsi doveva recarsi a Lanuvio per un viaggio annuale, legittimo, necessario per nominare il flamine (perché Milone era potestà di Lanuvio), immediatamente il giorno prima egli partì da Roma per tendere un agguato a Milone, davanti al proprio fondo, come risulta dal fatto.
E partì in modo che non intervenne ad un comizio turbolento al quale mancò la sua violenza, tenuto in quello stesso giorno; comizio che non avrebbe mai abbandonato se non avesse voluto scegliere il luogo e il tempo per il delitto. Milone poi, dopo essere stato quel giorno in senato, fino a che questo fu chiuso, tornò a casa, mutò le calzature e le vesti, si trattenne un poco mentre la moglie, come accade, si prepara, quindi partì a tal ora che ormai Clodio, se pur quel giorno voleva venire a Roma, poteva tornare.
Gli si fa incontro Clodio, succinto, a cavallo, senza carrozza, senza bagagli, senza giocolieri greci, come era solito, senza la moglie, il che non accadeva quasi mai, mentre questo insidiatore che si sarebbe preparato a quel viaggio per compiere la strage, veniva in carrozza con la moglie, il mantello, con grande e impacciante e muliebre e graziosa compagnia di ancelle e servi.
Si imbatté in Clodio, dinanzi al fondo di lui, verso l’ora XI e giù di là. Tosto mandati da un luogo più alto, con le armi si avventarono contro, affossano il cocchiere e l’uccidono.
Mentre poi costui, gettato il mantello saltò giù dalla carrozza e arditamente si difende, quelli di Clodio, sguainate le spade, in parte aggirano la carrozza per assalire Milone alle spalle; in parte, poiché lo credevano già ucciso, cominciarono a colpire i servi di lui che venivano dietro; di questi quelli che erano fedeli al padrone e di animo pronto, parte furono uccisi, parte, vedendo che si combatteva presso la carrozza, erano impediti di recare soccorso al padrone e sentendo dallo stesso Clodio che Milone era stato ucciso e invero credendolo, i servi di Milone (giacché lo dirò schiettamente, non per addossare la colpa ad altri, ma perché così accadde) senza ordine, all’insaputa e al di fuori degli occhi del padrone fecero ciò e in tale circostanza ciascuno avrebbe voluto che facessero i suoi servi
CAP XI
I fatti accaddero così come li ho esposti, o giudici; fu soprattutto l’insidiatore, la forza vinta dalla forza, o piuttosto schiacciata l’audacia dalla virtù. Non dico qual vantaggio lo Stato, non dico quale voi, non quale tutti i buoni abbiano conseguito; ammesso pure che ciò nulla giovi a Milone, il quale è stato con questo destino di non poter neppure salvare se stesso senza salvare a un tempo lo Stato e voi. Se egli non poteva fare ciò a buon diritto, non ho nulla da dire in sua difesa; se invece e il diritto ai popoli civili e la necessità ai barbari e l’uso alle genti o la natura stessa alle fiere insegnò a respingere sempre ogni violenza, con ogni mezzo, dal corpo, dal capo, dalla propria vita, non potete giudicare delittuoso questo fatto, senza giudicare a un tempo che tutti quelli che incappano nei ladroni devono perire, o per le armi o per la vostra sentenza. Ché se ciò avesse immaginato, certo sarebbe stato preferibile per Milone offrire la gola a Clodio da lui, non una sol volta né allora per la prima volta minacciata, anziché lasciarsi scannare da voi, perché non s’era lasciato scannare da quello.
Ma se nessuno di voi la intende così, viene ormai in discussione cotesto: non che sia stato ucciso, cosa che confessiamo, ma se a ragione o a torto, il che fu discusso spesso in molte cause.
Che l’agguato sia stato teso è manifesto, ed è ciò che il senato giudicò fatto a danno dello Stato; da qual dei due sia stato teso, è incerto: su ciò dunque fu proposto che si facesse inquisizione. Così e il senato riprovò il fatto, non la persona, e Pompeo propose l’inquisizione sul diritto, non sul fatto. (Stefano Frontoni)
CAP XII
Di che altro dunque bisogna dibattere se non quale dei due abbia teso l’agguato all’altro? Non altro, certo: se questo a quello che egli non rimanga impunito, se quello a questo, che noi allora siamo assolti dall’imputazione.
In che modo dunque si può provare che Clodio tese un agguato a Milone? Basta, in quella belva così audace e scellerata, mostrare che ci fu per lui una grande ragione, che a una grande speranza mirava con la morte di Milone e a grandi vantaggi.
E così per siffatta gente deve valere il motto di Cassio “a chi fu di vantaggio”, sebbene i buoni da nessun vantaggio sono tratti a far male, i cattivi spesso lo sono per un piccolo vantaggio. Invece coll’uccisione di Milone, Clodio attendeva questo: non solo diventava pretore senza avere un console col quale non poteva comprare nessuna scelleratezza, ma anche di essere pretore con quei consoli coi quali, se non complici, almeno conniventi, certamente pensava di potere farla franca in quei suoi delitti meditati; i quali consoli, come egli stesso pensava, non amerebbero ostacolare le sue violenze, anche potendo, ritenendo di dovere a lui un grande beneficio e , se volessero ostacolarlo, potrebbero a mala pena forse fiaccare l’audacia di un uomo così scellerato, ormai resa forte dall’abitudine. O forse voi soli ignorate, o giudici, voi soli vi aggirate come stranieri in questa città, le vostre orecchie sono volte ad altro, né badate a tutti questi discorsi sparsi per la città, quali leggi, se si devono chiamare leggi e non fiamme incendiarie della città, pestilenze dello Stato, egli stava per imporre a noi tutti e per darci fuoco? Tira fuori, o Sesto Clodio, quella cassetta delle vostre leggi, che si dice abbia preso via di casa e abbia sottratto in mezzo alle armi alla turba notturna come un Palladio, certo un nobile dono e un formulario per il tribunato, da poterne fare un presente ad alcuno, se l’avesse trovato, che reggesse il tribunato a tuo capriccio. Ecco, egli mi ha fulminato con quei suoi occhi coi quali soleva guardare allora quando a tutti faceva ogni tipo di minaccia. Davvero mi abbaglia questo luminare della Curia.
XIII
Nessun vantaggio la morte di Clodio avrebbe recato a Milone, il quale, durante la lotta elettorale, non poteva temere i Clodiani, perché i cittadini romani avrebbero dato il voto a lui. Uccidendo Clodio avrebbe perduto il favore di gran parte della popolazione. Solo a Clodio, perciò, avrebbe portato vantaggio la morte di Milone.
XIV
Se si passano in rassegna gli atti di violenza compiuti da Clodio (contro Q.Ortensio, contro Vibiano e Papirio, e contro lo stesso Pompeo), e le reazioni di Milone, si nota come quest’ultimo non abbia mai agito con l’intenzione di sopprimere l’avversario, ma solo per salvaguardare la città dalle sue scelleratezze. Infinite occasioni avrebbe trovato se avesse voluto.
XV
Milone non usò atti violenti contro Clodio, anche se avrebbe potuto approfittare della gioia che aveva invaso gli animi dei cittadini quando Cicerone ritornò dall’esilio. Egli ricorse alle vie legali. Quante occasioni favorevoli avrebbe avuto, se avesse pensato di eliminare il suo nemico! Quando i Clodiani insultarono Pompeo che in tribunale parlava in difesa di Milone; quando Clodio, inseguito, si nascose nel sottoscala di un negozio di libri; ed ancora durante i comizi.
XVI
Milone non aveva pensato di sopprimere Clodio quando si erano offerte buone occasioni; a maggior ragione non poteva pensare di farlo in un momento così delicato, quando cioè era in gioco la sua candidatura a console. Clodio, al contrario, non preoccupato della sua impunità, abituato a violare la legge, avrebbe tratto vantaggio con la soppressioni di Milone. Tutti sapevano che egli aveva dichiarato che Milone avrebbe avuto soltanto tre giorni di vita
XVII
Milone si recò a Lanuvio perché spinto dalla necessità. Clodio doveva rimanere a Roma, perché impegnato in una riunione. Tutti sapevano che Milone doveva partire. Certamente Milone non poteva pensare di incontrarsi con Clodio lungo la via Appia dato che, come affermarono i testimoni, Clodio aveva stabilito di fermarsi nella sua villa e la decisione di ritornare a Roma era stata presa all’improvviso.
XVIII
Vedete, o giudici quali importanti circostanze si siano chiarite per queste testimonianze. In primo luogo certamente Milone ne è liberato dall’accusa di esser partito con l’intenzione di tendere un agguato a Clodio sulla via ; poiché egli non doveva in alcun modo incontrarlo. Poi (non vedo infatti perché io non deva trattare anche la mia causa) sapete, o giudici, che ci fu uno il quale nel parlare di questa causa disse che la strage era avvenuta per mano di Milone, però per il consiglio di qualcuno più grande. Certo uomini abbietti e perduti disegnavano me come ladrone e sicario. Sono convinti dai loro stessi testimoni quelli che dicono che quel giorno Clodio non sarebbe tornato a Roma, se non avesse sentito della morte di Ciro ; respirai, mi riebbi ; non temo più che (ad altri) sembri ch’io abbia divisato una cosa che non potevo neppure sospettare. Ora esporrò le cose rimanenti. Giacchè si presenta questa difficoltà : “Dunque neanche Clodio premeditò l’agguato, perché doveva rimanere nell’Albano.” Se pure non aveva intenzione d’uscire di villa per (compiere) la strage. Vedo infatti che colui che si dice annunziasse la morte di Ciro, non abbia annunziato ciò, ma l’avvicinarsi di Milone. Giacchè che cosa poteva annunziare di Ciro, che Clodio partendo da Roma aveva lasciato morente ? Io fui con lui, con lui suggellai il testamento (di Ciro), egli poi l’aveva fatto palesemente e aveva istituito eredi e lui (Clodio) e me. Infine il giorno dopo all’ora decima gli si annunziava la morte di colui che il giorno prima all’ora terza aveva lasciato spirante ?
CAP XIX
D’accordo, ammettiamo pure che le cose siano andate così: per quale motivo, però, si affrettò a tornare a Roma, perché si avventurò in strada in piena notte? Quale causa poteva addurre per la sua fretta? Il fatto che fosse un erede? Innanzitutto, non c’era motivo che rendesse necessaria tanta fretta; inoltre, se ce ne fosse stato uno, cosa vi era, insomma, che egli potesse guadagnare in quella notte e che potesse perdere, se fosse giunto a Roma la mattina del giorno dopo? E come Clodio, invece di tentare quel viaggio, avrebbe dovuto evitare di arrivare di notte in città, così milone, ammesso che volesse tendere un agguato, se sapeva che Clodio stava per arrivare in città di notte, avrebbe dovuto appostarsi e aspettare. Lo avrebbe ucciso di notte
Chiunque gli avrebbe creduto, se avesse negato, lo avrebbe ucciso in un luogo pericoloso e pieno di briganti. Chiunque gli avrebbe creduto, se avesse negato: tutti lo vogliono salvo, persino adesso che confessa. Sarebbe stato incolpato del delitto anzitutto quel luogo, riparo di sbandati: quindi né la muta solitudine né la notte scura avrebbero tradito Milone. In seguito, si sarebbero concentrati i sospetti su molti che erano stati offesi da Clodio, derubati, privati dei loro beni, su molti che anche solo lo temevano, infine si sarebbero citati in giudizio tutti gli abitanti dell’Etruria.
E quel giorno Clodio, di ritorno da Ariccia, si fermò certamente nella sua villa di Alba. Ebbene: se davvero Milone sapeva che quello era stato ad Ariccia, doveva tuttavia immaginare che Clodio, pur volendo tornare a Roma quel giorno, si sarebbe concesso una sosta nella sua abitazione, che si trovava sulla strada. Perché non gli andò incontro prima, per impedirgli di fermarsi alla villa, e perché non si appostò nel luogo dove sarebbe giunto a notte fonda?
Fin qui vedo che tutto è chiaro, giudici; Milone aveva ogni interesse che Clodio fosse vivo, il secondo non desiderava altro che la morte di Milone per realizzare i progetti a cui aspirava ardentemente; lo odiava, quindi, con tutte le sue forze, mentre in Milone non c’era odio per lui; Clodio aveva la costante abitudine di agire con violenza, Milone invece soltanto di respingerla; a Milone la morte era stata annunciata e apertamente resa nota, nulla di simile fu mai udito per bocca di Milone; Clodio, inoltre, conosceva il giorno di quella partenza, mentre Milone non era al corrente del suo ritorno; per lui il viaggio era necessario ma per Clodio era piuttosto fuori luogo; Milone aveva annunciato a tutti che quel giorno avrebbe lasciato Roma, Clodio aveva tenuto nascosto che quel giorno sarebbe tornato; uno non mutò la decisione presa in alcun particolare, l’altro inventò un pretesto per motivare il suo cambiamento di programma; infine, se Milone avesse voluto tendere un agguato, avrebbe dovuto aspettare la notte nei pressi della città; Clodio, se anche non avesse temuto Milone, avrebbe dovuto tuttavia provare un po’ di paura ad avvicinarsi in piena notte alla città!
XX
Vediamo ora il punto capitale, lo stesso luogo, dell’agguato, dove vennero alle mani, a qual dei due infine fosse più conveniente. Ma vi è forse ancora, o giudici, su ciò alcun dubbio e c’è da pensarvi più a lungo?
Dinanzi alla proprietà di Clodio, in cui, per quelle smisurate fondamenta, poteva comodamente aggirarsi un migliaio di uomini robusti; in un possesso del nemico assai elevato, Milone credeva forse di aver vantaggio e per quel motivo aveva scelto quel luogo come convenientissimo allo scontro, ovvero in quel luogo fu aspettato invece dall’altro, il quale aveva pensato di attaccarlo contando sul vantaggio del luogo stesso? I fatti parlano da sé o giudici, che sono sempre prova incontestabile. Se non ascoltaste il racconto di queste cose, ma le vedeste dipinte, sarebbe evidente qual dei due fosse l’insidiatore, qual dei due non avesse alcun triste proposito, mentre l’uno era trainato in carrozza, coperto con il mantello, con la moglie seduta accanto; quale di queste cose non è di sommo impaccio, il mantello, o il veicolo, o la compagna? Chi meno pronto alle armi di lui che era avvolto nel mantello, impacciato nella carrozza, quasi incatenato per colpa della moglie? Vedete ora Clodio prima uscire dalla villa all’improvviso: perché? Di sera, che bisogno c’è? Lentamente come conviene, soprattutto in tale stagione?. Si dirige alla villa di Pompeo. Per vedere Pompeo? Sapeva che era ad Alsio. Per vedere la villa? C’era stato mille volte. Cosa c’era dunque? Indugio e lentezza calcolata; finché costui venisse, non volle lasciare il posto.
XXI
Suvvia, ora paragonate il viaggiare di questo ladrone succinto con gli impedimenti di Milone. Quello prima era sempre con la moglie, quella volta era invece senza; mai se non in carrozza, allora a cavallo; giocolieri greci ovunque andava, anche quando si affrettava al campo Etrusco; allora compagni inutili nessuno. Milone, che non ne conduceva mai; allora per caso conduceva ragazzi suonatori per la moglie e una frotta di ancelle. Quello, che sempre menava con se donnacce, sempre ganimedi, sempre sgualdrine, allora non aveva nessuno, se non gente da poter dire che l’uno aveva appostato l’altro, Dunque perché fu sopraffatto?
Perché non sempre il viandante è ucciso dal ladrone, talvolta il ladrone è ucciso dal viandante; perché sebbene Clodio in pieno assetto avesse incontrato gente impreparata, pure lo stesso Clodio era come una femmina che avesse incontrato uomini. [?] Però Milone non era mai così impreparato contro di lui da non essere quasi abbastanza preparato. Sempre egli pensava, e quanto importava a P. Clodio che egli perisse, e quanto fosse odiato da quello, e quanto quello fosse capace di osare. D’altronde sapeva che la sua vita era esposta e quasi aggiudicata ad una grandissima taglia; mai si gettava nel pericolo senza scorta e senza difesa. Aggiungi gli accidenti, aggiungi l’esito incerto degli scontri, e il dio oscillante della guerra il quale spesso travolge ed abbatte per mano del nemico abbattuto che stava già per espugnarlo e ne esultava; aggiungi l’imperizia del capo, rimpinzato di cibo, avvinazzato e sbadigliante, il quale lasciatosi a tergo l’avversario preso in mezzo, non si preoccupò degli ultimi compagni di lui, ed essendo incappato in quelli, che ardevano d’ira e disperavano della vita del padrone, finì per pagare quel fio che i servi fedeli gli richiesero in cambio della vita del padrone. Perché dunque Milone diede loro la libertà? Certo temeva che non lo scoprissero, che non potessero resistere al dolore, che non fossero costretti dai tormenti a confessare che P. Clodio era stato ucciso sulla via Appia dai servi di Milone. Che bisogno c’è di tormenti? Che cerchi? Ha egli ucciso? Ha ucciso. A buon diritto o a torto? Questo non riguarda il carnefice; sul cavalletto della tortura infatti si fa questione del fatto, il diritto spetta ai giudici.
XXII
Milone diede la libertà ai suoi schiavi solo per ricompensarli del loro generoso comportamento, non perché temesse le loro testimonianze estorte con la tortura. Alle deposizione degli schiavi di Clodio i giudici non possono dare alcuna importanza: a parte il fatto che l’interrogazione degli schiavi di Clodio non è legale (solo in un reato di sacrilegio si interrogano gli schiavi perché diano un giudizio sull’operato del padrone), come avrebbero dovuto dare risposte diverse dal desiderio dell’accusatore, che prometteva loro la libertà?
XXIII
Poiché non vedete ancora abbastanza, mentre la stessa cosa risplende di così tante luminose prove e indizi, che Milone, con animo puro ed integro, non reo di alcuna scellerataggine, per niente atterrito, non scoraggiato per alcun rimorso, tornò a Roma, ricordatevi, per gli dei immortali, quale sia stata la prontezza del suo ritorno, quale sia stato l’ingresso nel foro mentre bruciava la curia, quale sia stata la sua grandezza d’animo, quale sia stato il volto, quale sia stata la parola. Né poi si consegnò solo al popolo, ma anche al senato, né solo al senato, ma anche al pubblico presidio e alle forze armate, né solo a queste, ma anche in balia di colui al quale il senato aveva affidato tutta la cosa pubblica, tutta la gioventù d’Italia, tutte le armi del popolo Romano; al quale mai per certo egli si sarebbe consegnato, se non confidava nella sua causa, soprattutto quando (Pompeo) sentiva tutte le cose, temeva grandi cose, molte ne sospettava, credeva ad alcune.
Grande, o giudici, è la forza della coscienza, e grande è sia negli innocenti che nei colpevoli, tanto è che non temono quelli che non commisero nulla, e i colpevoli pensano che gli balena sempre innanzi agli occhi il castigo.
Né poi senza una forte ragione la causa di Milone fu favorita al senato. Quegli uomini sapientissimi vedevano la natura del fatto, la presenza d’animo, la costanza nel difendersi.
O forse avete dimenticato, o giudici, nella recente notizia dell’uccisione di Clodio non solo i discorsi e i pareri dei nemici di Milone, ma anche di alcuni male informati?
Sostenevano che egli non sarebbe tornato a Roma. Sia, infatti, che egli avesse fatto ciò con l’animo sconvolto dall’ira, onde acceso d’odio uccise il nemico, ritenevano che egli facesse tanto conto della morte di Clodio, da esiliarsi volontariamente, dopo aver saziato il suo odio col sangue del nemico; e che avesse voluto con la morte di lui liberare la patria, non avrebbe esitato quell’uomo forte, dopo aver recato con suo rischio la salvezza al popolo Romano, a sottostare di buon animo alle leggi, recherebbe con sé una gloria immortale, a voi lascerebbe godere tali beni da lui stesso salvati.
Molti tiravano anche fuori Catilina e i suoi mostruosi congiurati: ” Si getterà fuori, occuperà qualche luogo, farà la guerra alla patria”. Miseri talvolta i cittadini che ben meritarono dello Stato, nei quali gli uomini non solo dimenticano i più nobili fatti, ma anche ne sospettano di delittuosi! Onde quelle furono false dicerie che certo sarebbero apparse vere, se Milone avesse commesso alcuna azione che non potesse onestamente e giustamente difendere.
XXIV
Milone si comportò dignitosamente ed intrepidamente di fronte alle accuse degli avversari. Pompeo (data la su posizione di signore di Roma) fu costretto ad ascoltare tutte le dicerie. Correva voce che Milone avesse tentato un assalto notturno alla casa di Cesare e che si presentasse armato nelle adunanze del senato. Alla prova dei fatti si scoperse che era solo una calunnia.
XXV
Milone è preoccupato perché sa che Pompeo nutre dei sospetti contro di lui. Si può facilmente dimostrare quanto assurdo sia il pensare che Milone possa compiere un’azione di forza contro il console. D’altra parte, è logico che Pompeo si serva dei poteri a lui conferiti dal senato e dal popolo. Perché deve difendere le istituzioni repubblicane; e se avesse avuto un colloquio con Milone, si sarebbe reso conto della sua innocenza.
XXVI
Appare evidente che Pompeo non vuole la condanna di Milone. Lo dimostra il fatto che volle istituire una nuova procedura perché l’innocenza dell’imputato apparisse dal regolare giudizio dei magistrati. Ed anche lo spiegamento di tante milizie fu voluto per impedire un’eventuale violenza da parte dei Clodiani.
XXVII
Ma non mi muove, o giudici, il processo per conto di Clodio, né sono così pazzo e così ignaro ed estraneo ai vostri valori sentimenti, da non sapere cosa pensiate della morte di Clodio. Intorno alla quale se già non volessi togliere la colpevolezza, allo stesso modo in cui ho agito, pure Milone potrebbe impunemente gridare verso l’alto e vantarsi gloriosamente: “Uccisi, uccisi, non Sp. Melio, che coll’alleggerire il costo del frumento e con le elargizioni del suo patrimonio, poiché sembrava che lusingasse troppo la plebe, fu sospettato di ambire al regno; non Tiberio Gracco, il quale sediziosamente annullò la magistratura del collega, gli uccisori dei quali riempirono il mondo della gloria del proprio nome: ma colui (oserebbe infatti dirlo dopo aver liberato la patria a suo rischio), il cui nefando adulterio nobilissime donne scoprirono nei santissimi letti degli dei; colui col cui sangue il Senato giudicò più volte che si dovesse espiare la profanazione dei riti solenni; colui del quale L. Lucullo, interrogati gli schiavi, affermò con giuramento di aver constatato che aveva commesso esecrabile incesto con la sorella germana; colui, che con le armi dei suoi chiavi cacciò fuori dai confini quel cittadino [Cicerone stesso –N.d.R.], che il Senato, che il popolo romano, che tutte le genti avevano giudicato il salvatore della città e della vita dei cittadini; colui, che diede i regni e li tolse, spartì il mondo a quanti volle; colui che compiute parecchie stragi nel foro, ricacciò in casa con la violenza armata un cittadino di singolare valore e gloria [Pompeo -–ndr.]; colui al quale nulla mai parve illecito né nei delitti né nei piaceri; colui, al quale nulla mai parve illecito né nei delitti né nei piaceri; colui che incendiò il tempio delle Ninfe, per distruggere le memorie pubbliche impresse nei pubblici registri del censimento; colui infine per il quale non c’era più alcuna legge, alcun diritto civile, alcun termine di possessi; che si impadroniva dei fondi altrui, non con l’inganno legale, non con ingiuste pretese e giuramenti, ma con la forza di truppe e insegne di accampamenti; che non solo gli Etruschi (che cordialmente li disprezzava), ma con armi e accampamenti si sforzò di cacciare dai suoi possessi il nostro giudice, qui presente, P. Vario, fortissimo e ottimo cittadino; che correva per le ville e i giardini di molti con gli architetti e con le pertiche (per misurare); che sul Gianicolo e sulle Alpi segnava il confine dei suoi sperati possessi; che non avendo ottenuto dal nobile e forte cavaliere romano, M. Paconio, che gli vendesse un’isola del lago di Prilio, in quell’isola trasportò ad un tratto su barche materiali, calce, pietrame, sabbia, e mentre il padrone guardava dall’altra riva, non esitò a costruire una fabbrica sul terreno altrui; che a T. Furfanio, qui presente, a che uomo, o dei immortali! (a che infatti parlerò di Scanzia, una povera donna, a che del giovanetto P. Aponio? All’uno e all’altro dei quali minacciò la morte, se non si fossero in favor suo ritirati dai giardini che possedevano) ma osò dire a T. Furfanio, che se non gli avesse dato quanto denaro chiedeva, avrebbe portato un morto nella casa di lui, il sospetto del qual misfatto sarebbe caduto sopra un tal uomo; Clodio il quale spossessò di un suo fondo il fratello Appio, uomo a me legato da strettissimo affetto, mentre era lontano; che attraverso il vestibolo della casa d’una sorella, cominciò così a costruire una parete, a gettare fondamenta a guisa che non solo privò la sorella del vestibolo, ma le tolse ogni accesso alla soglia.
XXVIII
L’allarmante stato di ansia, che incombeva sulla cittadinanza rassegnata a vivere sotto l’incubo della violenza, si dissolse con la morte di Clodio. E certamente l’ansia e il terrore delle future azioni violente avrebbero raggiunto la massima tensione se Clodio avesse ottenuto la pretura. Ecco perché la notizia della morte di Clodio fu accolta con gioia.
XXIX
Né temo che possa sembrare, o giudici, ch’io vomiti queste invettive contro di lui più con piacere che per amor di vero, infiammato dall’odio della mia inimicizia. Giacché, se il mio odio doveva essere peculiare, però egli era talmente nemico comune di tutti, che l’odio mio s’aggirava quasi egualmente entro l’odio comune. Non si può dire abbastanza e nemmeno pensare quanto egli fosse scellerato, quanto fosse delinquente. Ma state dunque attenti, o giudici; questa appunto è l’indagine sulla morte di P. Clodio. Immaginate entro di voi (giacché il nostro pensiero è libero e contempla ciò che desidera allo stesso modo come noi discerniamo ciò che vediamo), immaginate dunque nel pensiero l’idea di questa mia proposta: se potessi far sì che assolviate Milone, ma alla condizione che P. Clodio risuscitasse...perché avete atteggiato il volto a timore?
In che modo non vi spaventerebbe egli se fosse vivo, quando per un vano immaginare vi impressiona anche morto? E che? Se lo stesso Pompeo che è di tal valore e fortuna, che potè sempre fare quelle cose che nessuno può all’infuori di lui, se egli, dico, avesse potuto scegliere tra il proporre il giudizio sulla morte di Clodio e richiamarlo dagli inferi, quale delle due cose credete che farebbe a preferenza? Anche se per l’amicizia volesse richiamarlo dall’oltre tomba, per amore della repubblica non l’avrebbe fatto. Dunque voi sedete vendicatori della morte di uno, al quale se credeste di potergli restituire la vita, non vorreste, e fu proposto il giudizio sull’uccisione di uno, che, se per la legge stessa potesse tornare in vita, la legge non sarebbe mai stato proposta. Dunque se fosse l’uccisore volontario di costui, pur confessando dovrebbe temere la pena da parte di quelli che ha liberato? I Greci tributano onori divini a quelli che uccisero i tiranni. Quali cosa non vidi io ad Atena, quali in altre città della Grecia! Quali cerimonie sacre istituite in onore di tali uomini, quali canti, quali poemi! Sono quasi consacrati agli onori religiosi ed alla memoria dell’immortalità. E voi non solo non tributante alcun onore al salvatore di un così gran popolo, al vendicatore di tanta scelleratezza, ma anzi lascerete che sia tratto al supplizio? Confesserebbe, confesserebbe dico, se l’avesse ucciso e con gran animo e volentieri, l’averlo fatto per amore della comune libertà cosa che per lui sarebbe non solo da confessare ma anche da gridarla ai quattro venti.
XXX
Se anche Milone avesse ucciso Clodio con premeditazione, dovrebbe gloriarsi della sua azione, e dovrebbe pure conseguire fama immortale, avendo liberato Roma da un tiranno. La sua forza morale è tale che, se la cittadinanza non gli concede il premio meritato egli sopporta l’ingratitudine con coraggio, felice per l’opera benefica compiuta. Inoltre è evidente nella soppressione di Clodio l’intervento della divinità già tante volte benevola verso il popolo romano.
XXXI
Fu la volontà divina a dare l’ispirazione a Clodio perché tendesse l’insidia a Milone e a guidare la mano di quest’ultimo a sopprimere l’avversario. Fu la volontà divina che finalmente si vendicò dei numerosi sacrilegi, delle infinite profanazioni di luoghi e di cose sacre, di tutte le violenze commesse da Clodio. Ed è significativo il fatto che Clodio sia stato trucidato presso il tempietto della Bona Dea, così che potrebbe sembrare un tremendo da parte della stessa dea, di cui egli aveva profanato il culto.
XXXII
La punizione divina si manifestò anche nei meschini funerali di Clodio. E perché la vendetta fosse più crudele, gli dei vollero che il funerale improvvisato si svolgesse in prossimità della curia, là dove spesso da vivo aveva commesso così grandi violenze.
XXXIII
Con l’uccisione di Clodio Roma si liberò da un grave incubo. Gli atti di violenza, tuttavia, da parte dei suoi partigiani, continuarono. Se, eliminato il capo, i gregari compirono tali azioni, chissà che cosa avrebbero potuto commettere, se fosse rimasto in vita!
XXXIV
Milone attende la sentenza con coraggio e fermezza. L’oratore si rivolge ai giudici invocando clemenza e perdono. Egli dice che il suo protetto, se sarà condannato, sopporterà l’esilio dignitosamente, senza pentirsi dell’azione commessa, lieto di avere liberato i concittadini da un tiranno.
XXXV
Non possono condannare Milone i senatori che mostrarono continua benevolenza verso di lui; né il popolo che ottenne sempre da lui molti benefici e che sicuramente lo avrebbe eletto console. Se è condannato, è solo perché si temono eventuali, ma assurde, future azioni violente. Milone tuttavia, qualsiasi debba essere la sentenza, è sicuro di conseguire una gloria immortale.
XXXVI
Tu sovente mi tenesti questo discorso, lontano dai presenti; ma, udendo essi, io ti tengo questo, o Milone: " Io non posso lodarti abbastanza di cotesto atteggiamento di spirito, ma quanto più divina è cotesta virtù, con tanto maggior dolore mi sento strappare da te.
E neppure, se mi vieni strappato mi rimane almeno lo sfogo per consolarmi, di potermi adirare contro quelli dai quali avrò ricevuto sì gran colpo.
Infatti non ti strapperanno a me i nemici miei, ma i migliori amici, non talvolta scarsamente, ma sempre mi fecero i maggiori benefici."
Non mai, o giudici, m'infliggerete un dolore così grande ma nemmeno questo stesso, da farmi dimenticare quanto mi abbiate sempre stimato.
Che se vi colse tal dimenticanza, o se trovaste in me alcunché da biasimare, perché non rivalersene piuttosto sul mio capo che su quello di Milone?
Giacché, se avessi a morire, sarò vissuto magnificamente prima di vedere questa sì grande sciagura.
Ora una sola consolazione mi sostiene, che a te, T.Annio, non venni mai meno in alcun dovere dell'amicizia, della devozione, della pietà. Io affrontai per te le inimicizie dei potenti, io spesso offersi il mio corpo e la vita all'armi dei nemici tuoi, io per te mi gettai supplichevole ai piedi di molti, i beni, le fortune mie e quelle dei miei figlioli esposi a uno stesso pericolo nelle tue sfortune; in questo stesso giorno alfine, se qualche violenza si appresta, se alcuna lotta capitale si presenta, la invoco su di me. Che rimane ormai? Che mi resta a fare per i tuoi meriti verso di me, se non considerare come mia quella sorte qualsivoglia che sarà tua?
Non rifiuto, non protesto, e vi scongiuro, o giudici, che i benefici che voi m'avete fatti, o li accresciate salvando quest'uomo, o vediate che andranno perduti con la rovina di lui.
XXXVII
L’oratore considera mostruoso il fatto che Milone debba essere condannato; immagina di sentire già il dolore e il rimorso di non aver potuto salvare un amico dal quale aveva ricevuto tanti benefici; si rivolge ai giudici ricordando il loro zelo e la loro premura quando si era trattato di approvare la legge che lo avrebbe richiamato in patria dall’esilio; dice che, se Milone sarà condannato, il suo dolore sarà maggiore di quello sofferto quando dovette andare in esilio.
XXXVIII
Oh se gli dei immortali avessero fatto in modo che (con tua pace, o patria, mi sia permesso di dirlo; temo infatti di parlare in maniera offensiva nei tuoi confronti, parlando con equità in favore di Milone) Publio Codio non solo vivesse ancora, ma fosse anche pretore, console, dittatore, piuttosto che assistere a uno spettacolo del genere! Oh dei immortali, che uomo eccezionale è questo e quanto degno di essere da voi assolto, o giudici! “Assolutamente no”, interviene lui; “anzi, è giusto, invece che Clodio abbia subito il castigo meritato; noi, se è necessario, subiamo, anche se non ne abbiamo colpa”. Vi sembra possibile che un uomo simile, fatto apposta per la patria, debba morire in qualche altro luogo che non si la patria, e forse, non per la patria? Conserverete il ricordo del suo grande animo e tollererete che non ci sia in Italia un sepolcro per il suo corpo!
Ci sarà qualcuno che vorrà scacciare in questa città chi, una volta uscito da qui, sarà conteso da tutte le città?
Fortunata quella terra che accoglierà un simile eroe! Ingrata e sventurata, invece, questa nostra patria, se deciderà di allontanarlo e perderlo così per sempre.
Ma è giunta la fine; il pianto mi impedisce di parlare, e costui vieta che io lo difenda con le lacrime. Io vi supplico e vi scongiuro, o giudici: abbiate il coraggio di esprimere la vostra intima convinzione, quando si tratterà di formulare la sentenza.

PROSPETTO FINALE DEI BRANI
Cap I
Marco Montersino
Cap II
Luca Lazzaroni
Cap III
Stefano Battista
CAP IV
Andrea Garoglio
Cap V
Paolo Jeantet
Cap VI
Paolo Ienna
Cap VII
Tarcisio Fassero
Cap VIII
Germaine Dall’Armellina
Cap IX
Andrea Merlino
Cap X
Francesco Brayda
Cap XI
Stefano Frontoni
Cap XII
Filippo Bertoglio
Cap XIII-XVII
Riassunto
Cap XVIII
Emanuele Bena
Cap XIX
Giovanni Baulino
Cap XX
Amedeo Di Rovasenda
Cap XXI
Maurizio Leccese
Cap XXII
Riassunto
Cap XXIII
Matteo Milanesi
Cap XXIV-XXVI
Riassunto
Cap XXVII
Alessandro Rougier
Cap XXVIII
Riassunto
Cap XXIX
Ilaria Remo
Cap XXX-XXV
Riassunto
Cap XXXVI
Simone Comba
Cap XXXVII
Riassunto
Cap XXXVIII
Francesco Burdese

Esempio



  


  1. giorgia

    analisi testuale della pro milone di cicerone