Verga, verismo e I Malavoglia

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano

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Testo

Verga e il verismo
Nato a Catania nel 1840, fu il massimo esponente del verismo. La sua prima formazione romantico-risorgimentale si svolse a Catania, dove abbandonando gli studi giuridici, decise di dedicarsi esclusivamente alla letteratura. Trasferitosi a Firenze nel 1865 compose i suoi primi romanzi Una peccatrice e Storia di una Capinera. Successivamente a Milano frequentò l'ambiente degli Scapigliati, rappresentando in modo fortemente critico il mondo aristocratico-borghese (Eva, 1873; Tigre Reale, 1873; Eros,1875). In seguito alla scoperta del naturalismo francese matura la sua svolta decisiva verso il verismo che sarà segnato dai racconti e dai romanzi di ambiente siciliano (Vita dei campi, 1880; I Malavoglia, 1881; Novelle rusticane, 1883; Mastro don Gesualdo, 1889). Lo scrittore crede nel progresso ma si interessa ai vinti e ai deboli; la sua è una visione della vita tragicamente pessimistica che si pone in antitesi con l'ottimismo imperante nei suoi tempi. Rappresenta un mondo di primitivi in lotta con il destino avverso cui inesorabilmente soccombono quando si staccano dalla religione, dalla famiglia e dal lavoro. Il linguaggio verghiano è arditamente innovatore: dando spazio al linguaggio dialettale riesce a raggiungere effetti di grandiosa coralità. Alla produzione narrativa si accompagnò quella teatrale, connotata sempre da una intensa drammaticità (Cavalleria rusticana, 1884; La lupa, 1884; In portineria, 1885; Dal tuo al mio, 1903). Lo scrittore muore nella sua città natale nel 1922.
Giovanni Carmelo Verga nacque a Catania, secondo di sei figli, il 2 settembre 1840 al numero 8 di via Sant'Anna da Giovan Battista Verga Catalano e Caterina Di Mauro Barbagallo originaria di Belpasso (paesino a circa 15 Km a ovest di Catania), ed era discendente del ramo cadetto dei baroni di Fontanabianca, appartenente alla nobiltà antica di Vizzini, un grosso borgo che si trova a metà strada sulla via che porta da Catania a Ragusa, e che ha cercato di rivendicare i natali dello scrittore. Un documento dell'8 settembre 1840 dell'archivio arcivescovile di Catania attesta che la nascita del Verga era stata "rivelata" in quello stesso giorno insieme al battesimo avvenuto nella chiesa dei Santi Apostoli, alla presenza dei due padrini, gli zii don Giuseppe e donna Domenica Verga. Lasciati gli studi di legge per entrare, nel 1861, nella Guardia Nazionale, manifesta fin da giovane un grande interesse per la letteratura, pubblicando a soli 22 anni il romanzo storico "I carbonari della montagna". Già in quest'opera è visibile l'ardore patriottico dell'autore, e il suo impegno politico per l'annessione della Sicilia al Regno d'Italia; questi si fanno più evidenti con il secondo romanzo, "Sulle lagune" (1863) e con la fondazione del giornale "Roma degli Italiani". Nel 1865 si trasferisce a Firenze, pubblicando i romanzi "Una peccatrice" (1866) e "Storia di una capinera" (1871), quest'ultimo di grande successo. Si sposta poi a Milano, dove entra in contatto con scrittori del calibro di Arrigo Boito, Giuseppe Giacosa, Federico De Roberto; pubblica i romanzi "Eva" e "Tigre reale" (1874), "Eros" (1875) e la raccolta "Primavera e altri racconti"(1876). In una lettera del 1878 espone il suo progetto di un ciclo di romanzi, il cui comune denominatore sarebbe dovuto essere la teoria evoluzionistica darwiniana e il cui modello i romanzi di Zola, dal titolo "I vinti". Nel 1880 esce la raccolta di novelle "Vita dei campi"; l'anno successivo il primo romanzo del ciclo dei vinti e il suo capolavoro, "I Malavoglia"; nel 1882 il romanzo "Il marito di Elena"; nel 1883 le raccolte di novelle "Per le vie" e "Novelle rusticane". Nel 1884 ha la soddisfazione di veder rappresentata in teatro una sua novella contenuta in "Vita dei campi", la "Cavalleria rusticana", che Pietro Mascagni tramuterà in opera lirica nel 1890. Nel 1888 esce il secondo romanzo del ciclo dei vinti, il "Mastro don Gesualdo". Raggiunta l'agiatezza economica e la tranquillità sentimentale, dopo alcune relazioni anche adulterine, nel 1894 si ritira a Catania e pubblica ancora una raccolta di novelle, "Don Candeloro"; nel 1903 esce il dramma "Dal tuo al mio", nel 1911 inizia il terzo romanzo del ciclo, "La duchessa di Leyra", che però rimane fermo al primo capitolo. Nominato senatore nel 1920, muore nel 1922.
Verga, a differenza di altri scrittori, non espose le proprie idee sulla letteratura e sull’arte in opere compiute; preferisce invece immergersi nel suo scrupoloso e concreto lavoro di scrittore. Il canone fondamentale a cui si ispira è quello dell’impersonalità (per altro comune ai veristi), che egli intende innanzi tutto come "schietta ed evidente manifestazione dell’osservazione coscienziosa". Verga vuole indagare nel misterioso processo dei sentimenti umani presentando il fatto nudo e schietto come è stato "raccolto per viottoli dei campi, press’a poco con le medesime parole semplici e pittoresche della narrazione popolare", sacrificando "l’effetto della catastrofe, allo sviluppo logico, necessario delle passioni e dei fatti verso la catastrofe resa meno imprevedibile ma non meno fatale"; l’obiettivo è quello di giungere a un romanzo in cui l’affinità di ogni sua parte sarà completa, in cui il processo della creazione rimarrà un mistero, la mano dell’artista rimarrà invisibile e "l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé". Verga vuole rappresentare la lotta per la vita ripercorrendo la scala sociale, dai livelli più bassi a quelli più elevati e questo sia per la sua esigenza personale di rimeditare la propria esperienza umana e artistica e anche per estendere l’indagine che si era in genere limitata ai ceti popolari, alle classi più alte. Le tecniche narrative
riguardano il rapporto tra autore e materia rappresentata, le tecniche espressive, la sintassi e il lessico. La novità di Verga sta nella distinzione tra autore e narratore e nella definizione e invenzione del narratore regredito. L’autore per essere impersonale deve rinunciare ai suoi pensieri e giudizi, alla sua morale e cultura perché non deve esprimere se stesso ma si deve nascondere impedendo così al lettore di percepire la sua presenza. Verga cerca di realizzare l’eclissi dell’autore delegando la funzione narrante a un narratore che è perfettamente inserito nell’ambiente rappresentato, regredito al livello sociale e culturale dei personaggi rappresentati che assume la loro mentalità e non fa trapelare l’idea dell’autore. Il narratore assume così, un aspetto camaleontico evidente soprattutto nei Malavoglia. Verga vuole essere impersonale fino in fondo e, oltre a rinunciare alla sua mentalità ai suoi ideali e principi rinuncia anche alla sua lingua e cerca di adottare un tipo di espressione più vicina possibile agli umili rappresentati; l’autore cerca, infatti, di studiare la sintassi del dialetto siciliano e tenta di riprodurre tale struttura della frase nella lingua italiana, citando spesso proverbi che appartengono alla cultura locale. L’autore utilizza anche la tecnica del discorso indiretto libero tutte le volte che ha bisogno, nel descrivere fatti e luoghi, di far risuonare i modi tipici del linguaggio popolano e di identificarsi col pensiero della gente del posto. E’ utilizzato anche l’artificio dello straniamento realizzato attraverso un modo di raccontare i fatti secondo cui quello che è normale appare strano e viceversa.
Il Verismo fu un movimento letterario e artistico, sviluppatosi sul finire dell’Ottocento, che propugnava l’estrema aderenza alla verità.
Il verismo, sviluppatosi in Italia fra il 1875 e il 1890, pur richiamandosi alla tendenza realistica del romanticismo che fa capo a Manzoni e prendendo forma nell’ambiente fervido di stimoli culturali della scapigliatura lombarda, si ricollega direttamente alle teorie positivistiche e al grande modello del naturalismo francese. Mentre gli scrittori realisti francesi avevano dietro di sé una società matura e consapevole e potevano quindi fare delle loro opere uno strumento di azione rinnovatrice, i nostri scrittori veristi si trovavano dinanzi a masse culturalmente sprovvedute e incapaci di recepire il messaggio sociale a esse rivolto. Di qui la condizione di isolamento dello scrittore verista che assume un atteggiamento più contemplativo che attivo e volge la sua attenzione alle sofferenze delle plebi contadine, ma è incapace di sottrarsi al paternalismo e di additare concrete possibilità di riscatto. Accanto a questa fondamentale differenza tra naturalismo francese e verismo italiano (orientato il primo verso le classi sociali produttive dal proletariato all’alta borghesia, volto il secondo a descrivere il mondo agricolo-provinciale e le plebi contadine) è da rilevare il carattere moderato, meno rigido, con cui fu applicata la teoria zoliana del “romanzo sperimentale” e lo stesso canone dell’impersonalità. Teorizzato da L. Capuana, il verismo ebbe in Sicilia il suo massimo rappresentante in G. Verga, accanto al quale è da ricordare il concittadino e amico F. De Roberto. In Calabria il verismo si presenta nelle contrapposte versioni del documentarismo socialmente impegnato di V. Padula e della cronaca pittoresca e folclorica di N. Misasi. La chiassosa e dolente civiltà partenopea ha i suoi affettuosi interpreti in Matilde Serao e in S. Di Giacomo, mentre la remota civiltà racchiusa nel paesaggio sardo viene evocata, con arte sospesa tra verismo e decadentismo, da Grazia Deledda.
In Italia centrale l’allucinato paesaggio dell’Agro Romano ha il suo appassionato cantore in C. Pascarella, mentre le zone più selvagge e pittoresche dell’Abruzzo sono sublimate nella sgargiante scenografia delle dannunziane Novelle della Pescara; in Toscana il verismo si attenua nel bozzettismo folcloristico di R. Fucini, o viceversa si irrobustisce nella risentita moralità di M. Pratesi. Nell’Italia settentrionale, infine, la lezione verista si riflette nella Milano di E. De Marchi, con la sua atmosfera grigia e stagnante, e si avverte negli scorci di vita piemontese di G. Giacosa e negli sfondi di paesaggio veneto di A. Fogazzaro. Dopo aver nutrito la formazione di L. Pirandello, il verismo ha trovato rinnovata fortuna, nel secondo dopoguerra, in coincidenza con la fioritura del neorealismo.
Il Verga ebbe una concezione dolorosa e tragica della vita. Pensava che tutti gli uomini fossero sottoposti a un destino impietoso e crudele che li condanna non solo all’infelicità e al dolore, ma ad una condizione di immobilismo nell’ambiente familiare, sociale ed economico in cui sono venuti a trovarsi nascendo. Chi cerca di uscire dalla condizione in cui il destino lo ha posto, non trova la felicità sognata, ma va incontro a sofferenze maggiori, come succede a’Ntoni Malavoglia e a Mastro Don Gesualdo. Con questa visione un po’ pietrificata della società il Verga rinnova il mito del fato ( cioè la credenza in una potenza oscura e misteriosa che regola imperscrutabilmente le vicende degli uomini), ma senza accompagnarlo con il sentimento della ribellione in quanto non crede nella possibilità di un qualsiasi cambiamento o riscatto. Per il Verga non rimane che la rassegnazione eroica e dignitosa al proprio destino. Questa concezione fatalistica e immobile dell’uomo sembra contraddire la fede nel progresso propria delle dottrine positivistiche ed evoluzionistiche. In verità, Verga non nega il progresso, ma lo riduce alle sole forme esteriori ed appariscenti; in ogni caso, è un progresso che comporta pene infinite. La visione verghiana del mondo sarebbe la più squallida e desolata di tutta la letteratura italiana se non fosse confortata da tre elementi positivi. Il primo è quel sentimento della grandezza e dell’eroismo che porta il Verga ad assumere verso i "vinti" un atteggiamento misto di pietà e di ammirazione: pietà per le miseria e le sventure che li travagliano, ammirazione per la loro rassegnazione. Secondo elemento positivo è la fede in alcuni valori che sfuggono alla dure leggi del destino e della società: la religione, la famiglia, la casa, la dedizione al lavoro, lo spirito del sacrificio e l’amore nutrito di sentimenti profondi ma fatto di silenzi, sguardi furtivi e di pudore. Il terzo elemento è la saggezza che ci viene dalla coscienza dei nostri limiti e ci porta a sopportare le delusioni.

I MALAVOGLIA

Le vicende si svolgono nei primi anni dell’unità d’Italia, tra il 1863 ed il 1876 ad Acitrezza. Prendono le mosse da una piccola speculazione commerciale che padron ‘Ntoni intraprende per migliorare le condizioni della famiglia, aggravatasi quando il nipote ‘Ntoni va a fare il soldato e viene meno il suo lavoro. Padron ‘Ntoni acquista a credito dallo zio Crocifisso una partita di lupini, che Bastianazzo imbarca sulla "Provvidenza" per andare a venderli. Durante il tragitto una tempesta provoca la perdita del carico di lupini e la morte di Bastianazzo. A questa seguono altre disgrazie: la morte di Luca nella battaglia di Lissa, la morte di Maruzza per il colera, la perdita della casa del Nespolo per l’insolvenza del debito e degli interessi, il traviamento di ‘Ntoni, che, tornato cambiato dal servizio militare, non si adatta alla vita di stenti, si unisce a una compagnia di contrabbandieri e ferisce con una coltellata il brigadiere don Michele, che lo ha sorpreso in flagrante con gli altri. Durante il processo l'avvocato imposta la difesa sostenendo l'attenuante dell'amore per 'Ntoni che sapeva di una relazione della sorella Lia con Don Michele. ‘Ntoni è condannato a cinque anni di carcere e Lia, considerandosi colpevole verso il fratello scappa di casa e si perderà. Il disonore getta nella costernazione i Malavoglia: padron ‘Ntoni, affranto, si ammala e muore all’ospedale. Intanto Alessi, che ha sposato la Nunziata, con la sua laboriosità riscatta la casa del Nespolo, dove torna ad abitare insieme alla sorella Mena la quale rifiuta di sposare compar Alfio, perché si sente anche lei disonorata per la perdizione di Lia. Nei Malavoglia si scontrano due concezioni della vita: la concezione di chi, come padron ‘Ntoni si sente legato alla tradizione e riconosce la saggezza dei valori antichi come il culto della famiglia, il senso dell’onore, la dedizione al lavoro, la rassegnazione al proprio stato; e la concezione di chi, come il nipote ‘Ntoni, si ribella all’immobilismo dell’ambiente in cui vive, ne rifiuta i valori ed aspira ad uscirne con il miraggio di una vita diversa. La simpatia latente del Verga è per padron ‘Ntoni e per il nipote Alessi, che ne riproduce il carattere e ricostruisce il focolare domestico andato distrutto. Attorno alle vicende dei Malavoglia brulica la gente del paese che partecipa coralmente ad esse con commenti ora comprensivi e pietosi, ora ironici e maligni.
Lo stesso Verga narratore sembra essere uno del posto che racconta e commenta col distacco impassibile del cronista, vale a dire di un anonimo narratore orale; da ciò nasce l’impressione di un Verga narratore camaleontico, che assume di volta in volta la maschera e l’opinione di tutti coloro che entrano in scena. Anche il paesaggio partecipa alla coralità della narrazione, ora quasi compiangendo, ora restando indifferente alla sorte degli uomini. Per quanto riguarda la lingua, il Verga accettò, per sua stessa confessione, l’ideale manzoniano di una lingua semplice, chiara, antiletteraria. Egli riuscì a creare una prosa parlata, fresca, viva, popolare, che riproduce, nella sintassi e nel lessico, il dialetto siciliano. Nei Malavoglia è rigorosamente applicato il canone dell’imparzialità e dell’obiettività. Nella prefazione al romanzo, Verga sottolinea come lo scrittore di fronte alla propria storia non abbia il diritto di giudicare, ma solo di tirarsi fuori dal campo della lotta per "studiarla senza passione". Nella pratica poetica quest'idea si traduce in una tecnica di grandissima originalità. Abbondano i discorsi indiretti liberi, cioè gli interventi dei personaggi non mediati attraverso la elaborazione del narratore. Anche le parti connettive del romanzo non lasciano mai trasparire la sovrapposizione dell’autore e sembrano uscire dalla bocca di un anonimo paesano, che sia come un portavoce dell’intera comunità di Acitrezza. Per rafforzare questo effetto Verga si avvale di un discorso indiretto tutte le volte che ha bisogno, nel descrivere fatti e luoghi, di far risuonare i modi tipici del linguaggio popolare e di identificarsi con il pensiero della gente del posto. Inoltre utilizza più di 150 proverbi che esprimono in modo pittoresco la mentalità dell'ambiente sociale rappresentato.

TRAMA Il romanzo racconta la storia di una famiglia di pescatori che vive e lavora ad Aci Trezza, un piccolo paese vicino Catania. La famiglia è nota e rispettata da tutti e poteva considerarsi economicamente agiata grazie soprattutto ai proventi ricavati dalla pesca con la barca chiamata la “Provvidenza”. La catena delle disgrazie inizia con l’acquisto a credito di un carico di lupini da trasportare in barca. Purtroppo una tempesta fa affondare la nave. Muore così Bastiano figlio del capo famiglia Padron Ntoni, marito di Maruzza e padre di cinque figli:’Ntoni, Mena, Lia, Luca, Alessi. Tutti cominciano ad arrabattarsi per saldare il debito dei lupini affondati con la barca, ma presto durante il servizio militare di leva nella battaglia di Lissa muore Luca. Distrutti dai dispiaceri, i Malavoglia non riescono a saldare il debito e così viene tolta loro la casa di famiglia , detta la “Casa del nespolo”. Ormai tutto il paese vede di malocchio i Malavoglia che cercano in tutti i modi lavorare per ottenere i denari per maritare le figlie e per riacquistare la Casa del Nespolo. A moltiplicare le fatiche arriva il colera che si porta via la Longa. Patron Ntoni resta così solo con Alessi e ‘Ntoni a sostenere i nipoti orfani del padre e della madre. Ntoni ribellandosi alle condizioni dei vinti prende una cattiva strada che lo porta a cinque anni di prigione, causando prima la pazzia , poi la morte del nonno e la fuga della sorellina Lia. Da ultimo resta così Alessi che, dopo essersi sposato, con l’aiuto della sorella Mena ricompra la Casa del Nespolo e tenta di ricostruire l’onore distrutto dei Malavoglia.
NARRATORE E’ onnisciente, conosce tutti i fatti e spesso li anticipa, come la morte del giovane Luca. Si limita a raccontare le azioni senza esprimere giudizi personali. Sembra un narratore popolare che condivide il modo di comportarsi, i pregiudizi, la mentalità, la cultura del mondo di cui parla, anche perché i luoghi del romanzo sono gli stessi nativi dell’autore. Il punto di vista è esterno.
PROTAGONISTA Può essere considerata l’intera famiglia dei Malavoglia, presentata direttamente dal narratore all’inizio del romanzo. Come per tutti gli altri personaggi non c’è presentazione fisica, quasi a significare che tutte le persone che vivono in queste pagine possono essere considerati dei tipi. Il narratore non si fa mai portavoce dei pensieri dei personaggi, ma li lascia parlare liberamente .La famiglia viene paragonata alle dita della mano: padroni Ntoni era il “patriarca”, sapeva molti proverbi simbolo della saggezza popolare, Bastianazzo definito “ grande e grosso”, La Longa (Maruzza) era la buona massaia e poi seguivano i figli: ‘Ntoni che si ribellerà ai destino dei vinti, Luca più giudizioso, Mena che lavorava e tesseva sempre tanto da essere soprannominata “Sant’Agata”, Alessi che rappresenta la fiducia nel futuro ed infine la piccola Lia. Questi personaggi sono la personificazione tipologica della famiglia di pescatori sconvolta dalle disgrazie ma che cerca sempre di andare avanti a testa alta; il loro spessore psicologico è dato dalle loro stesse parole attraverso il discorso diretto libero.
Padron ‘Ntoni: è il capofamiglia, il più anziano. È un uomo caparbio che non rinuncia mai a fare il suo dovere. Amante del mare e quindi del suo mestiere di pescatore. Inizialmente il narratore non descrive in modo dettagliato il personaggio, dice solo che è un vecchi curvo, ma in seguito, quando si ammala, lo descrive con maggiore attenzione, come se attraverso la descrizione fisica emergesse anche il profilo psicologico e affettivo. Padron ‘Ntoni non si oppone alla società del suo tempo, né la subisce, la rispetta, con tutte le sue credenze e tradizioni. Il suo animo sereno nel primo capitolo va cambiando attraverso le disgrazie che dovrà affrontare. Negli ultimi capitoli troviamo un uomo stanco della vita, che, ormai giunto ad una età avanzata, non aspetta che la morte.
Bastianazzo: è il figlio di Padron ‘Ntoni, è un uomo di buon cuore e lavoratore. Muore ancora giovane in mare durante una tempesta.

Maruzza (la Longa): è la moglie di Bastianazzo. Si dà da fare per contribuire al bilancio familiare. La sua serenità svanisce con la morte prematura del marito, e poi del figlio Luca. Il dolore per le numerose perdite la invecchia precocemente. La sua vita viene spezzata da una grave malattia: il colera.
‘Ntoni: è il figlio maggiore di Bastianazzo e Maruzza. È un ragazzo giudizioso, anche se a volte troppo impulsivo. Col passare degli anni, la sua voglia di lavorare diventa sempre minore, si ribella alla sua condizione di miseria e povertà, in un modo insolito: smette di lavorare e va a cercare guai all’osteria. Questa vita lo porterà a scontare cinque anni di galera. Dopo essere stato rilasciato, lascia il paese d’origine.
Mena: è una figlia giudiziosa e riservata. È soprannominata Sant’Agata per il suo assiduo lavoro al telaio. Dopo la morte della madre sa educare la sorella minore Lia e mandare avanti la casa. Le disgrazie e i dispiaceri la invecchiano assai precocemente: a soli ventisei anni le sembra già di essere vecchia. È molto influenzata dalla società del suo tempo, infatti decide di non sposarsi con Alfio Mosca, di cui era innamorata, perché questo avrebbe riportato sulla bocca di tutti la triste sorte della sorella.
Luca: “un vero Malavoglia”, giudizioso e di buon cuore, come il padre, muore prematuramente in guerra.
Alessi: è un bravo ragazzo, si dà da fare per tirare su la famiglia dopo la morte del nonno, del padre, della madre e la “fuga” di ‘Ntoni . Riesce a riscattare la casa del Nespolo e ricostruisce la famiglia dei Malavoglia. Sposa una brava ragazza, Nunziata.
Lia: La più piccola della famiglia Malavoglia. Finisce sulle bocche di tutti dopo il processo del fratello, e per questo lascia Aci Trezza. Nessuno avrà più sue notizie. Solo Alfio Mosca sa la verità.
ALTRI PERSONAGGI
Il “secondo protagonista” del romanzo è l’intero paese, composto da personaggi uniti da una stessa cultura ma divisi da antiche rivalità, tipi che parlano e si confondono tra loro creando un effetto corale che nei primi capitoli quasi disorienta il lettore. La Santuzza, l’ostessa che simboleggia l’inganno, don Michele, il brigadiere corrotto, don Silvestro, il segretario che gestisce come una marionetta il sindaco, Alfio Mosca, il carrettiere rassegnato al suo destino di lavoratore, Campana di Legno, un ricco e avaro signore sono alcuni tra i più importanti. Al contrario di ciò che si può pensare anche l’asino di Alfio Mosca ha un’importanza nell’economia del romanzo. Questo animale è il simbolo dei vinti, dei poveri che devono soltanto lavorare per guadagnare una miseria: “Carne d’asino - borbottava ‘Ntoni - ecco cosa siamo! Carne da lavoro!”.
TEMPO Le vicende durano circa otto o nove anni ( Alfio Mosca nel quindicesimo capitolo dice che erano passati otto anni da quando aveva lasciato Aci Trezza), mentre il tempo del racconto non è omogeneo. Sono frequenti le ellissi e spesso vengono narrate intere giornate. Il ritmo è quindi abbastanza accelerato, frammentario e solo in alcuni punti viene rallentato da piccole riflessioni e descrizioni. L’elemento dominante è la scena e in questi punti tempo del racconto e tempo della storia coincidono. Sono praticamente assenti flashback e anticipazioni. Le indicazioni temporali sono solamente quelle legate alle feste liturgiche e all’alternarsi delle stagioni, elementi tipici che caratterizzano lo scorrere del tempo nella cultura contadina.
LUOGHI L’intero romanzo è ambientato ad Aci Trezza, piccolo paese vicino Catania. Il paesino è solo il contenitore delle vicende caratterizzato da luoghi tipici: la piazza, luogo dei pettegolezzi, l’osteria dei perdigiorno e luogo di sotterfugi, la casa come nido domestico. Il mare e il cielo coi suoi “Tre re” sono presenze vive e palpabili che osservano distanti e pacifici le vicissitudini dei personaggi.

STILE Il romanzo crea l’illusione che a parlare sia il mondo raccontato. Verga applica la formula verista, filtra il racconto attraverso i pensieri e i discorsi dei personaggi; questa viene definita la tecnica del “discorso rivissuto” che dà come conseguenza un effetto di vivacità. Dice lo stesso Verga per giustificare il suo oggettivismo: “Chi osserva questo spettacolo non ha diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione e rendere la scena nettamente coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà come è stato o come avrebbe dovuto essere”.
CONTESTO Il contesto è culturale. Dato che si tratta di un romanzo verista, Verga coglie la realtà del suo tempo, perciò punta sulla cultura e sul modo di pensare dei pescatori.Tra le righe del romanzo si legge la presenza forte, occulta, ma soprattutto nemica dello Stato, incombente sul piccolo mondo dei pescatori col suo servizio di leva, le sue imposte, la sua iniqua giustizia.
TEMA E SIGNIFICATI Come abbiamo già sottolineato e come lo stesso Verga ci dice nella prefazione, la tematica affrontata è quella della lotta per i bisogni fondamentali dell’uomo, la tematica del lavoro e della fatica incessante per ottenere risultati distrutti poi dalle disgrazie, la tematica dei vinti. Vari possono essere gli spunti carichi di significati metaforici: l’asino di Alfio Mosca, la Provvidenza che affonda può forse simboleggiare la mancanza di fiducia in Dio, il destino dei vinti è simile a quello dei forzati perché non possono evadere la miseria, il ruolo della donna segregata in casa al telaio, il matrimonio visto come vero e proprio affare.

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