Tema: Giovanni Boccaccio

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Testo

L'uomo re del creato
Giovanni Boccaccio, insieme con Dante e Petrarca, può essere considerato il più importante scrittore del 14° secolo, in Italia e in tutta Europa.
Può essere considerato l’inventore della novella.
Nasce nel 1313 (giugno o luglio) in Toscana (forse a Certaldo o a Firenze: oggi non si ritiene più attendibile l’ipotesi di una sua nascita a Parigi), da famiglia di origine certaldese.
Era figlio illegittimo, vale a dire nato al di fuori del matrimonio, di un mercante, Boccaccio di Chellino (prima dipendente e poi socio della Banca dei Bardi) e di una donna di cui non si sa il nome: ma venne riconosciuto e legittimato dal padre, e visse in famiglia con pari diritti rispetto ai fratelli.
Dopo i primi studi a Firenze, nel 1327 venne mandato dal padre a Napoli prima a far pratica mercantile e bancaria nella succursale dei Bardi, poi, vista la sua svogliata applicazione a questa attività, il padre lo convince a studiare diritto canonico con il maestro Cino da Pistoia, amico di Dante e Petrarca.
Qui Boccaccio visse dodici anni, i più belli della sua vita, frequentando la corte e la ricca borghesia.
In quegli anni, Giovanni studiò i Classici Latini e la letteratura cortese francese e italiana, e scrisse le sue prime opere: Filocolo (1336-38); Filostrato (1335), Teseida (1339-41), Caccia di Diana (1334-38) e le Rime (la cui composizione rimanda ad anni diversi).Ebbe anche presumibilmente relazioni amorose, che più tardi esprime nella figura di Fiammetta, identificata un tempo con una Maria figlia naturale di Re Roberto D’Angiò e maritata nella casa dei conti D’Aquino. Poi Fiammetta lo abbandonò (la reale esistenza di questa donna è però messa in dubbio dagli studiosi).
Nel 1341 dovette tornare a Firenze dal padre il quale aveva difficoltà economiche a causa del fallimento della banca di Bardi. Per Boccaccio la vita non è più serena come quella vissuta a Napoli, ma triste, aggravata dalle preoccupazioni economiche.
In questi anni difficili rafforzò il suo impegno nella letteratura: comporrà nuove opere poetiche e narrative come Ninfale d’Amleto o Commedia delle Ninfe fiorentine (1341-42), elegia di Madonna Fiammetta (1343-44); in quest’opera si vede il suo rimpianto per il mondo napoletano. Poi Ninfale fiesolano (1344-46).
Soggiorna in alcune corti della Romagna, come Ravenna alla corte di Ostasio da Polenta; poi a Forlì, da Francesco degli Ordelaffi.
Nel 1348 è di nuovo a Firenze, dove assiste alla peste e dopo la morte del padre (forse nel 1350) vi rimase per amministrare lo scarso patrimonio. Sempre nel ’50 è inviato a Ravenna per consegnare a suor Beatrice, figlia di Dante, un simbolico risarcimento per l’esilio del padre.
Cominciò a partecipare in vario modo alla vita pubblica e culturale della sua città, e, grazie alla sua fama letteraria, gli furono affidati uffici e ambascerie dal Comune di Firenze. Nel frattempo andava componendo quella che noi consideriamo la sua opera maggiore, il Decamerone, terminato nel 1351.La prima visione che ci presenta nel Decamerone è una visione di morte, dovuta dalla terribile peste cui egli aveva assistito pochi anni prima.
Nel 1351 si reca a Padova da Petrarca per restituirgli il patrimonio familiare confiscatogli dal Comune, e per offrirgli una cattedra del nuovo Studio.
In questi anni si stringe il rapporto di amicizia con Francesco Petrarca, il maestro che lo aveva convinto a dirigere la mente verso le cose eterne lasciando da parte le cose temporali. Il Petrarca lo aiutò a superare una crisi religiosa, indirizzando il Boccaccio verso una cultura letteraria di tipo “umanistico”: le opere tarde del Boccaccio saranno in latino, e fra queste va citata la “Genealogia deorum gentilium”, un grande trattato di mitologia greco-romana, che per due o tre secoli rimase il libro più consultato su questo argomento.
Questo per Boccaccio è il periodo della meditazione: si dedica soprattutto alla lettura di classici, scambiando testi con Petrarca.
Inoltre il Petrarca lo convinse a non distruggere il Decamerone: infatti il Boccaccio aveva intenzione di farlo.
Nel 1360 torna nella casa paterna a Certaldo, dove istituisce un centro di cultura umanistica con Villani, Marsili, e Coluccio.
Nel 1362 torna a Napoli nella speranza di trovare una sistemazione, ma torna a Certaldo deluso.
Si dedica allo studio dell’opera di Dante, per cui ebbe un vero e proprio culto: da ciò nasce il “Trattatello in laude di Dante”,
Nel 1373 riceve l’incarico da parte del comune di Firenze di commentare pubblicamente la Commedia di Dante nella chiesa di Santo Stefano di Badia, ma dopo pochi mesi si ammalò e non poté più leggere i suoi commenti, interrompendo al canto XVII dell’inferno.
Morì il 21 dicembre 1375 fra le ristrettezze economiche, un anno e mezzo dopo il suo amico Petrarca.
IL DECAMERONE
La sua opera maggiore è sicuramente il DECAMERONE:
è una raccolta di cento novelle raccontate a turno in dieci giorni (il titolo tradotto dal greco significa appunto “dieci giorni”), da sette ragazze e tre ragazzi.
Questi, dopo il loro incontro avvenuto nel 1348 nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze mentre infuria la peste, decidono di allontanarsi dalla città invasa dal contagio e di trascorrere due settimane in campagna.
Qui parte del tempo è dedicata alla narrazione di alcune storie.
Ogni giorno viene eletto un re o una regina che fissa il tema della giornata al quale devono attenersi tutti i dieci ragazzi, ad eccezione di Dioneo, il più divertente.
A Dioneo è concesso di raccontare sempre l’ultima storia scegliendo un tema a suo piacimento.
LO STILE
Boccaccio si distingue da Dante e Petrarca per uno stile letterario differente: infatti è centrato sulle tematiche terrene, con un relativo disinteresse riguardo le questioni religiose, morali e politiche.
Nel Decamerone descrive con grande abilità vari personaggi e le rispettive passioni, creando una visione della vita sotto tutti i punti di vista.
Il Boccaccio tenta di concludere le sue storie con un lieto fine: infatti, per quanto riguarda il Decamerone, lasciando raccontare l’ultima novella al più divertente del gruppo, fa sì che anche nelle giornate in cui è stato prestabilito un tema triste, ci sia sempre un lieto fine.
Questa opera è stata la prima a narrare un fatto realmente accaduto, la peste; infatti le raccolte precedenti erano basate soprattutto su elementi fantastici.
La struttura narrativa utilizzata da Boccaccio è piuttosto complessa: c’è infatti un narratore di primo grado, lui stesso, che racconta senza esserne il personaggio, la storia dei dieci ragazzi. Sono proprio i ragazzi ad essere i narratori di secondo grado, raccontando le loro storie.
L’opera è costituita da due nuclei principali: il mondo cavalleresco a aristocratico ormai al tramonto, e la società borghese e cittadina.
Boccaccio guarda con nostalgia al periodo cavalleresco del passato, tanto che le novelle che trattano quel periodo si trovano alla fine della raccolta, proprio per contrapporre gli ideali cavallereschi ai vizi della società borghese.
È però la borghesia la protagonista: viene rappresentata nei suoi diversi livelli e in aspetti positivi e negativi.
Nel Decamerone sono racchiusi vari tipi di novella, poiché sarebbe stato impossibile ricondurre tutte le cento novelle ad un unico schema preciso.
Si può parlare di novella-azione, vale a dire una sequenza di fatti ordinati cronologicamente e i personaggi che si muovono al loro interno.
Novella-romanzo, perché si prende molto in considerazione la mente dell’uomo e i sentimenti che lo spingono verso nuove avventure.
Novella-esemplare: il personaggio, anche nelle situazioni più complicate, utilizza i suoi valori per risolverle, agendo da esempio.
Inoltre c’è un gran senso dell’inganno: spesso si ricorre a bugie e tranelli studiati nei minimi dettagli per mettere in difficoltà l’antagonista.
Con il Decamerone, Boccaccio, oltre a perfezionare il genere novellistico, ha anche elaborato una particolare lingua letteraria, nella quale si intrecciano i livelli più alti della scala sociale e quelli più bassi.
Grazie al suo stile, il Boccaccio ha ispirato molti autori dei secoli successivi.

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