Primo Levi: tesina di italiano

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Testo

PRIMO LEVI

La vita e il percorso letterario
Lo scrittore nasce a Torino nel 1919 da una famiglia borghese agiata d'origine ebraica. L' esistenza scorre tranquilla e il giovane Levi mostra una particolare inclinazione per gli studi scientifici, in special modo per la chimica, materia in cui si laurea, iniziando una professione che non abbandonerà più, neanche dopo la guerra e dopo aver iniziato a scrivere e avere ottenuto positivi riconoscimenti come
narratore. Levi non nasce quindi scrittore; da giovane studente non ha vocazione per la letteratura e per i mondi possibili della dimensione poetica,è semmai affascinato da un'altra scrittura, quella della
chimica, caratterizzata da un linguaggio preciso e netto nel quale
l'apparente caos della materia si dispone in ordine come una lingua perfetta, con il suo, dizionario elementare e la sua grammatica. Questo interesse per la scienza e il fascino esercitato su di lui dal linguaggio della chimica, mai abbandonati da Levi, sono importanti per comprendere il suo modo nitido di strutturare la narrazione,dominata dal bisogno di conoscere, decifrare, portare a chiarezza razionale quanto si presenta oscuro e magmatico. Da questo bisogno d'ordine mentale nascerà la sua ossessione di analizzare l'abisso del lager in cui la storia umana e precipitata.
Alla chimica Levi deve molto: grazie ad essa trova il modo di
sopravvivere al coperto nel durissimo inverno di Auschwitz, grazie
ad essa conosce un po' di tedesco, strumento fondamentale per
sopravvivere nel lager. Ma al modello di conoscenza proprio della
chimica deve anche l' ossessionante bisogno di decifrare per il resto
della vita quel magma oscuro, quel pozzo di inferno che dall'abisso
è uscito alla luce del sole, ha dominato e ha rischiato di vincere
nella Seconda guerra mondiale.
Fino allo scoppio della guerra il giovane Levi vive attorno alla
chimica, ma il conflitto cambia tutto, obbligandolo ad essere e a
pensarsi come non si era mai sentito: un ebreo, cioè un diverso e
un inferiore. Il varo di leggi razziali anche in Italia obbliga Primo
Levi a schierarsi contro il fascismo. Simpatie verso il regime non ne
aveva avute neanche in precedenza, ma la cruda scoperta di essere
insieme ad altri non più dei cittadini, ma dei diversi da isolare perché portatori di impurità di stirpe, lo obbliga a schierarsi netta-
mente dall’altra parte.
In una delle tante interviste concesse nel dopoguerra, Primo Levi
parla di questa strana condizione: essere obbligati a schierarsi contro qualcosa non perché la propria coscienza abbia compiuto un suo percorso di formazione e chiarezza, ma perché l’altro, il regime,
ti ha dichiarato nemico e ti ha costretto ad una presa di coscienza.
Questo processo descritto da Levi come una “restituzione del libero arbitrio” . Dalle leggi razziali e da questa coscienza offerta dal nemico, inizia un percorso di sofferenza e conoscenza.
Costretto ad una svolta, Levi alla fine del 1942 entra, nel Partito
d'azione clandestino e l’8 settembre del ‘43, il giorno dell’armistizio della scomparsa dello Stato c dell’abbandono degli italiani a se stessi, sceglie la Resistenza, entrando nei gruppi partigiani di "Giustizia
e Libertà" che agiscono in Val d'Aosta.
L’esperienza della Resistenza dura poco tempo: Levi viene catturato e
inviato nel campo di concentramento di Fossoli, nei pressi di Modena. E la prima esperienza concentrazionaria dello scrittore: vi
sono partigiani, prigionieri politici, ma soprattutto ebrei, intere famiglie con donne, vecchi, bambini. E il primo, contatto con una costruzione umana storica tutta da spiegare: la reclusione di una "razza” la cui unica colpa non è di avere infranto le leggi, ma di essere stata definita, da un certo momento in poi, colpevole di un reato paradossale, e cioè appartenere ad una razza, esistere e per questo soltanto essere un pericolo da eliminare.
Del campo di concentramento di Fossoli Levi non ha un brutto
ricordo, naturalmente in confronto alle esperienze successive. In
fondo, rispetto a quello che verrà dopo, questo campo non e ancora un inferno. L’inferno arriva nel febbraio del 1944, quando il campo
passa sotto le truppe di occupazione tedesca e i prigionieri, tutti raccolti insieme sotto la cifra "ebrei, diversi, oppositori" vengono
inviati nei lager dell'Europa centrale.
Auschwitz, famigerato luogo della memoria, e la destinazione: la
bocca più profonda e infuocata dell'inferno che gli uomini hanno costruito da se e per se. Qui inizia la penetrazione nell'abisso, lucida e terrificante per chi muore, per chi si trasforma in aguzzino, per chi sopravvive, per chi l’ha creato, per chi vi si e adattato, per chi si sente in colpa per il solo fatto di esserne uscito vivo, per chi, proprio per questo, deve giustificare a se prima che agli altri il proprio
essere ancora in piedi a respirare e parlare e scrivere, con l’enorme compito di capire.
Il campo di Auschwitz diventa cosi per Primo Levi l’osservatorio razionale di quella pericolosa e incomprensibile creatura che è l’essere umano. Dopo Auschwitz Levi diventa scrittore: continua a fare il chimico di professione ma la narrativa diviene il luogo in cui fa i conti con se stesso, con la memoria, con la storia
Nel 1946 scrive Se questo è un uomo, che pubblica l’anno successivo. E il racconto, esistenzialmente caldo ma narrativamente lucido e fermo, della deportazione e della sopravvivenza dei pochi che si sono salvati da Auschwitz.
Poteva essere il racconto catartico dell'olocausto che, oggettivando in parole leggibili da altri il dramma che sembrava inenarrabile,avrebbe potuto placare l’anima ferita, ma cosi non fu. Levi riprende la sua attività di chimico, ma la ferita non si è rimarginata è il pensiero torna all'inferno vissuto.
Dopo, diciassette anni dal primo romanzo, nel '63, esce La Tregua,
l’ideale continuazione di Se questo è un uomo. L'opera narra la storia
dei sopravvissuti di Auschwitz, che intraprendono il lungo ritorno
verso casa e in questo tragitto si mescolano al resto di un'umanità
sofferente che viaggia lungo un'Europa martoriata dalla guerra,
Aleggia nel racconto la severa levità di un incubo superato, ma se si
pensa alla distanza cronologica tra i fatti narrati e il momento della
trascrittura ci si rende conto che il tempo non ha sanato gli squarci
della storia, che c'è ancora da ricordare e ancora da capire su quegli
anni tragici. Seguono circa venti anni nei quali il chimico Levi continua a frequentare la scrittura disegnando attorno all’abisso che ruota intorno allo stesso fulcro. Nel 1967, pubblica una
raccolta di racconti, Storie naturali, operette narrative che a partire da
fenomeni naturali e scientifici conducono il lettore a esaminare contraddizioni morali e razionali. Il tono generale e ironico ma è Levi stesso a dichiarare come questi racconti, a volte anche divertenti, non facciano altro che sondare la contraddittorietà dei valori e dei principi razionali che l’umanità presuntuosamente si e data.
La stessa cosa Levi farà con la raccolta Vizio di forma del 1971,nella
quale il titolo più esplicitamente suggerisce l’idea di una smagliatura nella compattezza della ragione e del reale.
Nel 1975 esce Il sistema periodico, un'altra raccolta di ventuno racconti in cui scienza, autobiografia e storia si sovrappongono. Sono incentrati su elementi chimici da cui emerge la storia: il fascismo, la resistenza, la deportazione, il difficile reinserimento, ma anche il fascino della scoperta scientifica.
Nel 1978 esce La chiave a stella, che segna forse il punto più lontano toccato dall'orbita compiuta da Primo Levi rispetto al cuore più
intenso della sua esistenza. Vi si racconta la storia dell'operaio piemontese Faussone, che attraverso il proprio lavoro di montatore
meccanico specializzato, vissuto con grande dignità, incontra popoli
e culture diverse, ne e incuriosito e cerca di capire. Cercare di capire,
questo resta sempre l’obiettivo di Levi. Da tale punto inizia un movimento a spirale di ritorno al nucleo oscuro da cui era partito con Se questo è un uomo.
Nel 1982, circa venti anni dopo La tregua, esce Se non ora, quando?
che riprende il tema del ritorno avventuroso dopo la guerra. Il romanzo ha un taglio complessivamente ottimistico, perché descrive
il viaggio di un gruppo di partigiani ebrei russi prima verso l’Italia e
poi in Palestina. E un viaggio della speranza ed è indicativo che Primo Levi sia tornato a stringere la sua orbita verso il fuoco geometrico della guerra mondiale e del genocidio. Quattro anni dopo, nel 1986, viene dato alle stampe il suo ultimo romanzo, che è quasi una chiusura del cerchio, un ritorno al punto di partenza: il lager. Il romanzo è intitolato i sommersi e i salvati ed e tutto centrato sulla logica del lager dal punto di vista degli internati. Dopo quarant'anni lo scrittore torna impietosamente a scandagliare le logiche di sopravvivenza o di disperato abbandono di chi è gettato nel
mondo concentrazionario come vittima. E 1'ossessione del sopravvissuto al massacro, che inconsciamente sente come colpa la vita che da allora gli è stata concessa. E un romanzo-saggio illuminante dell'oscurità che non solo i carnefici ma anche le vittime si trascinano dietro, come un peso angosciante. Forse questa è stata la ferita insanabile di Primo Levi: quanti morti costa un sopravvissuto? Nel 1987 lo scrittore si toglie la vita. Non se ne conoscono i motivi, ma l’ultimo romanzo-saggio lascia un messaggio sul quale per sempre si dovrebbe pensare:gli uomini sono capaci di costruire meccanismi mostruosi di morte grazie ai quali la vittima si fa carnefice di se stesso.
Chiave di lettura: l’ossessione dell’abisso umano vissuto, ricordato, narrato
Se si vuole comprendere Primo Levi, è necessario accettare di confrontarsi nudamente e crudamente con l’abisso che c’è nell’animo umano e nella sua storia. Ma non un abisso poetico e mitico, più pensato o intuito che vissuto, né con un abisso individuale, quello nel quale ognuno va a trovare la sua perdizione e del quale i poeti maledetti hanno lasciato versi paradigmatici e splendidi.
qual è l’abisso di levi?
Levi non si confronta con una dinamica di questo tipo, egli ci fa entrare con lucidità “scientifica” (da chimico quale era il suo mestiere) entro un abisso pienamente storico, attuale, vissuto, che ha coinvolto milioni di persone i lager nazisti.
come lo trasforma?
Egli trasforma questa esperienza in un osservatorio su se stesso, sul sé di ogni uomo, sulla storia umana, scavando, quasi con ossessione conoscitiva, sia nel cuore delle vittime sia in quello dei carnefici. Ci si deve quindi confrontare con una letteratura a tutto tondo e in espansione, perché tocca la storia, la psicologia, il profondo: è un vissuto singolo e collettivo che con grande fatica e sofferenza cerca di fissarsi sulla pagina scritta. E importante sottolineare l’aspetto razionalistico di questa scrittura, perché è quello che porta fuori dalla semplice letteratura di testimonianza e dai romanzi-documento che numerosi sono usciti su questo argomento. Primo Levi è la prova di questo: una letteratura del vissuto, ma di un vissuto che dalla vicenda singola si dilata all’intera storia e condizione umana. E una narrativa del mondo impossibile e impensabile fattosi reale e apocalittica storia, tanto da divenire un’ossessione da ricordare, scrivere, tramandare, capire. c?
che cos’è Auschwitz?
Auschwitz è stato un campo di lavoro forzato e di sterminio. In quel luogo, degli esseri umani hanno utilizzato altri esseri umani come carne viva su cui esercitare tutti i demoni che affiorano dal profondo: bieco sfruttamento, sevi zie, torture, piacere della morte altrui, genocidio. Freud ha insegnato che dentro l’uomo albergano forze oscure, che ogni individuo si porta addosso la sua zona di ombra; ma quando tutto questo non è più nevrosi o furia omicida del singolo ma diviene sistema razionale, scientifico, legale, statale, amministrati vo, quando riesce ad organizzare una struttura che coinvolge come vittime e carnefici, con tutte le stratificazioni interne di viltà, acquiescenza, sordità, coinvolgimento, milioni di persone, che pensare dell’essere umano? Quanto gran de è l’ombra che giace nel nostro fondo?
qual è l’altro sentimento presente?
Insieme al bisogno di capire, il senso di colpa del sopravvissuto è l’altra parte del Levi scrittore. Egli non ha mai attribuito a se stesso la forza di essere sopravvissuto all’inferno dei lager, ma ha sempre parlato di fortuna: la fortuna di essere arrivato ad Auschwitz nel 1944, quando anche “l’impura” manodopera dei” diversi” poteva servire ai destini del Reich e quindi andava sfruttata ma non sterminata; la fortuna di aver superato per caso o per errore la selezione per il forno crematorio; la fortuna di essere riuscito a tornare a casa in mezzo a milioni di uomini che si sono invece persi. Certo, è una grande fortuna essere ancora vivi, ma quanto pesa? Quanta memoria non personale ma collettiva bisogna portarsi addosso? Che colpa il sopravvissuto porta per coloro che sono morti? Dall’essere un sopravvissuto nasce la narrativa di Primo Levi e in questo modo si può capire l’intensità dei livelli di significato presenti nei suoi maggiori romanzi.
qual è la prima dimensione presente nei suoi romanzi ?
Vi è in primo luogo la dimensione del ricordo personale, la memoria di una discesa agl’Inferi mai pensata e immaginata eppure concreta e vissuta. Levi più volte ha dichiarato di aver iniziato a scrivere per evitare che quel l’esperienza venisse rimossa e trasformata in una parentesi da dimenticare, prima in sé che negli altri. Scrivere, quindi, per ricordare a se stessi e man tenere memoria di una condizione d’angoscia talmente profonda che, appena passata, si tende a nascondere nei recessi della mente.
qual è la seconda dimensione ?
Di qui scaturisce la seconda dimensione del bisogno di scrivere: il dove- dimensione? re morale, nei confronti di tutti, non solo di raccontare ma di lanciare dal passato recente e bruciante un avvertimento pieno di angoscia. Quello che è accaduto è veramente capitato e tutti ne sono eredi. Tutti, vittime e carnefici, devono ricordare, perché è necessario comprendere che la capacità di organizzare scientemente e meticolosamente la disumanizzazione sia degli oppressi sia degli oppressori.
di quale tipo è la forma letteraria?
In tal modo la forma di Primo Levi è contemporaneamente autobiografica e distaccata, come se le ferite personali riuscissero ad assumere dignità di scrittura e messaggio solo divenendo uno specchio per tutti: per chi ha subito, per chi ha fatto, per chi ha taciuto sapendo, per chi non ha voluto vedere, per chi pur da vittima si è reso complice, per chi in futuro vorrà non vedere e dimenticherà.
qual è l’ultima dimensione nella sua scrittura?
Vi è infine un’ultima dimensione della scrittura di Levi che unifica il tutto: il capire Tutte le dimensioni precedenti sono possibili solo se inserite entro questo compito che lo scrittore si è dato: comprendere come e perché, quali pulsioni scattino, perché nel pieno della civiltà trovi così ampio spazio la barbarie.

SE QUESTO E’ UN UOMO
LA SCRTTURA COME TESTIMONIANZA DELLA DISCESA NELL’ABISSO
Se questo è un uomo è in primo luogo un resoconto documentato di un anno di sopravvivenza ad Auschwitz. Ma è anche l’analisi dei meccanismi relazionali che si creano nell’universo dei campi di concentramento, in cui la lotta tra vittime e aguzzini apre uno spietato ventaglio di modelli di sopravvivenza da parte delle vittime: complicità, sotterfugi, miserie e glorie, dignità e abiezione, conservazione di sé e disperazione senza scampo.
È quindi anche studio dell’animo umano e dei mostri che vengono alla luce, nascosti! e coltivati dal profondo di ogni individuo. Essi rimangono latenti finché la vita o la storia offrono loro la possibilità di manifestarsi.
È. infine, analisi di un fenomeno storico: l’antisemitismo trasformato in Stato. Passato attraverso questa esperienza, il chimico ebreo sente sorgere in sé il bisogno di scrivere. oggettivare, narrare, formulare ad altri la propria assillante domanda: perché e com’è successo? E tra le vittime, che cos’è accaduto?
Questa poesia, terribile e intensa, racchiude in sé tutta la ragione dello scrivere di Primo Levi: testimoniare. E un «Voi» potente quello che riecheggia nei primi versi, un “Voi” che sottintende lo stato di diversità. di distacco che caratterizza chi non è stato tra i dannati della terra, chi non può sapere. Così tutti i versi successivi, retti da quel condizionale «se». tutte le proposizioni relative che scandiscono le terribili tappe della vita nei lager. altro non sono se non il tentativo di rendere con le parole ciò che le parole non possono esprimere.
L’immagine del ventre della donne freddo come una rana d’inverno comunica potentemente l’orrore, la bestialità di una condizione umana che trasforma ciò che per natura è la calda fonte della vita nella viscida, gelida tomba della morte. I sei versi successivi sono tutti scanditi da verbi che alternano la rabbia e l’invocazione, che conficcano a forza, nello svolgersi quotidiano della vita normale, questo orrore disumano, questo bubbone da estirpare: «Meditate», «Vi comando», «Scolpitele», «Ripetetele». Se questo non farete, la maledizione biblica, quella più terribile, quella che colpisce gli affetti più cari, quella che trasforma un uomo in un rifiuto della società, vi colpisca. Così com’è accaduto a noi.

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