Poetica di Manzoni

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Testo

IDEOLOGIA MANZONIANA
Manzoni,nipote di Cesare Beccaria l’autore “Dei Delitti e Delle Pene”,ha avuto una formazione illuminista:ciò lo possiamo riscontrare nel suo metodo razionale e analitico con cui affronta ogni questione,nella diffidenza verso gli atteggiamenti passionali,nella critica dei pregiudizi e delle superstizioni,nello spirito di tolleranza e nel suo liberalismo moderato ma coerente.Il suo illuminismo è segnato da una profonda delusione storica,comune ai maggiori intellettuali del suo tempo come Foscolo e Leopardi. Manzoni perciò si converte al cattolicesimo di stampo giansenista, che è una corrente di pensiero che tenta di riformare la chiesa cattolica attraverso un rigorismo morale,come conseguenza di una colpevolizzazione dovuta a un’interpretazione del testo sacro simile a quella luterana che demonizza tutto ciò che è umano,materiale e civile.La conversione dall’irreligiosità illuminista al cattolicesimo non fu l’effetto di un’illuminazione fulminante o di una mutazione di prospettive intellettuali e culturali ma piuttosto fu il punto d’arrivo di una ricerca che mira a un valore unitario e universale.Questa scelta è immune dalle nostalgie medioevali e reazionarie di tanti suoi contemporanei,trova anzi nel vangelo un fondamento agli ideali di matrice illuminista di libertà, uguaglianza e fraternità e la sua fede illuminista viene rielaborata da un punto di vista religioso e arricchita dal Cristianesimo.L’avvicinamento alla religione rappresenta per M la speranza di costruire un futuro migliore combattendo la violenza, le passioni, i pregiudizi che risultano essere più forti della ragione. Il razionalismo manzoniano funziona come critica delle follie umane individuali e collettive senza una fiducia positiva nella possibilità di superarle. La sua concezione religiosa della realtà viene successivamente migliorata superando la visione pessimistica del Mondo e scegliendo in seguito una concezione provvidenziale. Ma per M non è possibile adagiarsi nella fede, in una Provvidenza che governa le sorti umane verso il bene; il fallimento degli sforzi umani,il peccato,il dolore sono problemi che assillano il suo pensiero come una continua sfida alla fede in un Dio giusto e misericordioso.M professa una totale fedeltà agli insegnamenti della Chiesa Cattolica e Dio gli appare lontano dall’uomo,interviene nella vita degli individui e dei popoli in modi che non si possono spiegare.L’umanità è marchiata dal peccato originale,incapace di fare il bene con le sue forze:solo la misericordia gratuita di Dio può salvare alcune anime elette. (conc giansenista).Un altro elemento fondamentale della cultura manzoniana è l’interesse per la storia, egli infatti analizza e studia attraverso approfondite ricerche la storia civile delle istituzioni,delle idee e dei modi di vita e la storia dei popoli e degli oppressi e non quella dei regnanti e delle loro guerre.Ma il suo senso storico non è storicista ossia non tende a giustificare le colpe o a assolvere le responsabilità individuali alla luce delle circostanze da cui sono sorti e delle conseguenze che hanno prodotto ma le giudica sulla base dei principi immutabili della morale cristiana.Gli esempi di questi atteggiamenti sono due saggi storici: “La storia della colonna infame” e “I promessi sposi” dv analizza un processo contro presunti untori svoltosi a Milano durante la pestilenza del Seicento, basato su confessioni estorte con la tortura e finito con il rogo degli imputati. La sua interpretazione del romanticismo è estranea a ogni tendenza irrazionalista o sentimentale; egli traccia una sintesi del “sistema” romantico distinguendo una “parte negativa” e una “positiva”.La prima consiste nel rifiuto della mitologia per ragioni non solo letterarie ma anche morali e religiose,dell’imitazione servile dei classici e delle regole imposte dalla tradizione retorica. Mentre la “parte positiva” si riconduce al principio che “la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l’utile per iscopo,il vero per soggetto e l’interessante per mezzo”. Il criterio del vero risponde a risponde a un’esigenza di serietà della letteratura e i temi delle sue opere devono essere attinti a ciò che è realmente accaduto nella storia.Lo storico si attiene ai dati oggettivi,agli avvenimenti esterni, mentre al poeta spetta il compito di approfondire le loro ragioni intime,i moventi interiori dei protagonisti.La creazione artistica non consiste in un’invezione gratuita che rappresenti sentimenti artificiosi e convenzionali ma in una ricostruzione,aiutata dalla fantasia,di ciò che è realmente successo nel cuore umano.Dunque l’oggetto della poesia sono i sentimenti,le passioni;il suo scopo però non è di suscitarli nel lettore ma al contrario di spingerlo a distaccarsene per criticare le azioni (al lume della ragione). Perciò è questo “l’utile”a cui deve mirare la poesia “vivificando e sviluppando l’ideale di giustizia e di bontà che ogni anima porta in sé”. Da ciò si evince la sua tendenza cristiana nel romanismo.

Le Liriche:
Gli Inni sacri, scritti in seguito alla svolta spirituale della conversione, sono il primo tentativo di Manzoni di creare una nuova forma poetica. L’opera doveva comporsi di 12 inni dedicati alle principali festività dell’anno liturgico cristiano, tuttavia il poeta ne scrisse solo 5: La Risurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e la Pentecoste. I temi di questi inni rievocano dunque storie sacre, in tal modo la poesia assume un carattere celebrativo ricco di impeto oratorio. Il ritmo è fortemente scandito, si compone infatti di settenari, ottonari o decasillabi, modello che verrà ampiamente ripreso dalla poesia romantica. I temi sono ben articolati e scanditi da parallelismi, anafore e richiami da strofa a strofa. Il discorso si sviluppa in forme dense, che mirano al massimo dell’efficacia con il minimo delle parole; per questi motivi che rendono la poetica manzoniana innovativa, gli inni sacri trovarono astio tra i lettori più tradizionalisti. Le scelte linguistiche invece non sono affatto innovative e presentano numerosi arcaismi e latinismi, il tutto espresso con un linguaggio aulico.
Marzo 1821 fu scritto quando sembrava che Carlo Alberto stesse per dichiarare guerra all’Austria per liberare Milano, e non poté essere pubblicato se non durante il 1848, quando il fatto si realizzò e le idee patriottiche furono libere di circolare. Al termine di quest’opera Manzoni fa appello agli italiani affinché si uniscano alla lotta. La scelta metrica, il decasillabo, è opportunamente martellante.
Cinque Maggio fu invece scritto quando il poeta venne a sapere della morte di Napoleone sull’isola di Sant’Elena. In strofe di settenari egli racconta della tumultuosa vita di Napoleone, per celebrare infine il trionfo della fede. La lirica è tipicamente manzoniana: ricca di rapidi scorci, contrasti grandiosi e passaggi veloci; mentre il ritmo è reso incalzante dalla presenza di parallelismi, antitesi e anafore.
Le Tragedie:
Manzoni spinge il suo genio nel provarsi nella tragedia per vari motivi, tra i quali spicca il fatto che esso fosse il genere al centro dell’interesse dei maggiori intellettuali. Egli scrivendo Prefazione al Conte di Carmagnola e Lettre à Monsieur Chavuvet, scritta quest’ultima in risposta alle obiezioni di un critico francese, egli prende posizione contro il modello classicista ispirato alla regola delle “unità aristoteliche”, che consisteva in un rapido scontro di passioni che coinvolge lo spettatore. Ad esso Manzoni contrappone il “sistema storico”, che ha il suo prototipo in Shakespeare, in cui l’azione prende luogo in tempi lunghi e in diversi ambienti: esso risulta quindi più verosimile; inoltre l’approfondimento psicologico dei protagonisti spinge il lettore al giudizio morale che preme al poeta. La composizione di tali opere fu accompagnata da accurati studi storici sintetizzati in Notizie Storiche, premesse ad entrambe, e poi in Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia.
Il Conte di Carmagnola è ispirata ad un episodio delle guerre tra gli stati italiani nel Quattrocento: il protagonista lascia il suo servizio a Milano per diventare capitano generale, nella rivale Repubblica di Venezia. Nonostante l’impeccabile condotta del conte egli, seppur innocente, desta dei sospetti che infine lo faranno condannare a morte dal Senato di Venezia.
Adelchi ha per tema la sconfitta di Desiderio, ultimo re dei Longobardi, ad opera di Carlo Magno: la tragedia si apre con il ritorno di Ermengarda figlia di Desiderio e sposa di Carlo, che viene da questo ripudiata. Nonostante il disappunto del figlio Adelchi, Desiderio muove guerra contro il papa, protetto da Carlo, per vendicare tale offesa. Dopo numerose vicende, al termine della tragedia, Ermengarda muore, Desiderio è fatto prigioniero e Adelchi muore davanti al padre ed al vittorioso Carlo.
Il tema principale che compare in queste due opere è lo scontro tra un eroe e un fato avverso; tale tematica è svolta ancora in modo schematico nel “Conte di Carmagnola”, mentre sviluppa una ricca gamma di situazioni nell’”Adelchi”. Il protagonista di quest’ultima opera, è infatti lacerato da volontà opposte: da una parte l’obbedienza al padre e l’amore per la sorella offesa lo spingono a combattere, dall’altra la coscienza religiosa gli mostra quanto questa guerra sia ingiusta. Il mondo che appare in tali tragedie è quindi profondamente corrotto e lontano da Dio. Nel momento finale della morte degli eroi manzoniani, questi hanno la rivelazione della vanità di qualunque passione o ideale e si riscattano totalmente alla volontà di Dio.
Le tragedie manzoniane hanno quella varietà di situazioni che l’autore ammirava in Shakespeare: l’azione si estende per mesi, i luoghi cambiano, e l’interesse psicologico non si concentra su pochi protagonisti bensì su una folla di personaggi. Tali opere sono però poco teatrali, l’autore stesso le fece rappresentare raramente; la ragione probabilmente sta nel fatto che i momenti più intensi sono affidati perlopiù al monologo, e i personaggi sono vittime degli avvenimenti nonostante ritengano di esserne gli artefici. La lingua e il metro sono quelli canonici della tragedia: l’endecasillabo sciolto, e il lessico aulico e arcaicizzato, nonostante Manzoni tenda ad un linguaggio essenziale, privo di ridondanze e incentrato sulla riflessione etica e psicologica.
Un’innovazione delle tragedie manzoniane è l’introduzione dei cori. Il coro nelle tragedie greche era un personaggio collettivo che commentava l’azione e ricavava il concetto morale, interpretando i sentimenti del poeta. In Manzoni i cori sono brani lirici interposti alla fine di una scena col fine di esprimere alcune riflessioni, atti dunque a suscitare nel lettore il distacco critico essenziale per Manzoni.
“Il Conte di Carmagnola” ha un solo coro che disprezza le battaglie fratricide e lo spirito particolaristico degli italiani. Esso è scritto in endecasillabi fortemente scanditi da un tono declamatorio. In questo come in tutti i cori manzoniani vi è una forte allusione alla storia contemporanea del poeta.
Nell’”Adelchi” il primo coro riprende un tema simile a quello del “Conte di Carmagnola”: protagonisti sono i Latini, che assistono agli scontri e si illudono di essere liberati dalla vittoria dei Franchi, mentre sono solo una preda destinata al vincitore. Il metro è in strofe di sonori senari doppi, di forte suggestione epica. Il secondo coro della tragedia è dedicato all’agonia e alla morte di Ermengarda: viene rappresentato il dramma straziante dell’eroina che cerca di dimenticare le passate gioie d’amore per dedicarsi completamente a Dio.
In conclusione tutti e tre i cori hanno in comune il tema dell’oppressione, delle vittime passive della storia; era questo infatti il punto centrale delle meditazioni di Manzoni, come dimostrato anche nel “Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica” dedicato alla condizione dei Latini sotto la dominazione, ignorata dalle testimonianze dell’epoca. Questo tema deve rifugiarsi nei cori poiché la natura aulica e illustre della tragedia non avrebbe consentito l’ingresso in scena da protagoniste delle masse popolari. E’ probabilmente per queste ragioni che Manzoni finita la stesura dell’Adelchi si dedica ad un genere completamente diverso: il romanzo.
Il Romanzo - La tematica
Il romanzo era il genere letterario moderno per eccellenza, l’unico che consentisse di rappresentare una realtà storica nella sua complessità, esplorando tutte le condizioni sociali senza trascurare le più umili,ricostruendo le dinamiche e le ragioni dei conflitti.Ciò si coniugava armonicamente con le aspirazioni all’utile e al vero della poetica manzoniana (“l’utile per iscopo, il vero per oggetto e l'interessante per mezzo”).Trattandosi di dover inventare un romanzo che fosse insieme storico, realistico e di idee e avendo come unico e modesto termine di confronto Walter Scott (le cui ambizioni erano più limitate), Manzoni riuscì nell’impresa di creare il romanzo moderno praticamente dal nulla non solo in Italia, ma su scala europea. La prima idea de “I Promessi Sposi” venne a Manzoni dalla lettura di una grida secentesca in cui l’impedimento violento di matrimoni era citato tra i reati da perseguire; la stesura fu accompagnata da un’accurata documentazione su fonti d’epoca. La ricostruzione storica ha larga parte nel romanzo:personaggi realmente esistiti,ampie digressioni,brani documentari direttamente trascritti(come le gride);ogni particolare è attentamente basato sulle fonti. La storia non è solo uno sfondo, ma entra nella vicenda dei personaggi e la determina: si instaura così quel rapporto fra condizioni storico-sociali e destini individuali che è uno dei grandi temi del realismo ottocentesco. Ad esempio la paura ossessiva di don Abbondio oltre ad essere una sua caratteristica individuale è il frutto di una situazione di generale insicurezza. Il vero protagonista del romanzo è il ‘600, secolo di disordine, oppressione, pregiudizi, superstizioni, ossessionato da falsi valori di onore, di puntiglio e di apparenza. Manzoni come uno storico illuminista denuncia gli arbìtri,l’ignoranza e l’irrazionalità individuale e collettiva in termini universali e infatti conclude il capitolo VIII con un’ironica autocorrezione “Così va spesso il mondo…voglio dire,così andava nel secolo decimo settimo”. Per rappresentare quest’ingiustizia radicale, Manzoni sceglie un punto di vista “dal basso”:per la prima volta nella letteratura italiana un’opera di alto impegno ha come protagonisti due popolani. La novità democratica de “I Promessi Sposi”, radicata nello spirito evangelico dell’autore è l’importanza conferita alle sofferenze del popolo a cui viene dato un ruolo centralo schernendo o esecrando la politica dei governanti. Nell’atteggiamento manzoniano verso gli umili si possono scorgere limiti del paternalismo: i personaggi “a tutto tondo” ossia con uno spessore psicologico e una storia interiore appartengono tutti agli strati alti della società(fra’ Cristoforo, la monaca di Monza, l’innominato e Don Rodrigo) mentre gli sposi hanno caratteri più elementari e reazioni più prevedibili. Gli umili sono modello di bontà: devoti, generosi e pronti all’aiuto vicendevole, ma sbagliano ogni volta che tentano di risolvere i problemi di propria iniziativa senza dare retta ai consigli dei saggi e buoni ecclesiastici. Del resto nessuno dei personaggi è veramente in grado di capire e dominare gli eventi infatti nel mondo del romanzo(come in quello delle tragedie) non c’è posto per l’azione che corregge il male, perché la giustizia non è alla portata dell’uomo.E’ proprio per questo che quando Renzo afferma “A questo mondo c’è giustizia, finalmente!” l’autore commenta subito “Tant’è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica”. Lo scioglimento positivo della vicenda è affidato all’intervento divino: la conversione dell’Innominato e la peste che elimina tutti i malvagi. Il romanzo pone dunque il problema della Provvidenza, di fronte alla scandalo del male che pervade il mondo: è possibile riconoscere nelle vicende umane la volontà di Dio? E’ possibile fare la volontà di Dio, o si può solo lasciare che “sia fatta”?E non dà risposte definitive. Il romanzo presenta dunque una complessità inesauribile e ne si possono al più cogliere tre diverse prospettive: quella democratica-evangelica,quella moderata paternalista e una visione religiosa che supera l’una e l’altra.
La costruzione dell’intreccio
La trama del romanzo è complessa: comprende un arco temporale di oltre due anni; si svolge simultaneamente in più luoghi con una grande varietà di ambienti; entra nella vita di numerosi personaggi e più volte ricostruisce in flash-back la loro vita precedente ed include digressioni storiche. I primi 8 capitoli hanno un struttura più compatta, ma poi con la separazione dei personaggi il quadro si allarga e si complica. Il rifiuto del romanzesco da parte di Manzoni si nota nell’assenza della tecnica del colpo di scena e della suspense infatti nei momenti più concitati l’autore interviene con una pausa descrittiva o con un commento a smorzare il tono e distendere il ritmo.
Le tecniche narrative
Con un artificio che aveva precedenti illustri (come Boccaccio) Manzoni finge di trascrivere il suo racconto da un manoscritto dell’epoca in cui è ambientata la vicenda. Per tutto il romanzo l’anonimo autore è chiamato in causa per giustificare un’omissione di nomi o altri particolari o per introdurre un commento morale. Nel romanzo trionfa la tecnica del narratore onnisciente: con interventi di regia spiega i cambiamenti di scena,gli spostamenti nel tempo;con frequenti commenti morali proietta sul racconto la luce di una saggezza ironica e disillusa. Si tratta di un narratore onnisciente che conosce l’interiorità di tutti i personaggi, segue le vicende in luoghi diversi; può anche anticipare sviluppi futuri, eppure l’impressione che ci dà non è quella di un perfetto dominio su un mondo compatto e solido.L’autore chiede un atteggiamento distaccato e critico nei confronti della vicenda con una riflessione morale: dalla commozione nascerà la comprensione, il dominio morale sulle passioni.Lo stile dei “Promessi Sposi” è modulato sui personaggi e sulle situazioni, imita l’andamento sconnesso del parlato popolare, impennandosi in una nobile eloquenza nei discorsi degli ecclesiastici. Anche il linguaggio del narratore è vario, ma il tono dominante è familiare e smorzato: se entrano riferimenti “alti”, letterari o mitologici sono esclusivamente in funzione ironica.La sintassi è a volte complessa, ma libera e disinvolta: l’autore introduce anacoluti (“I soldati, è il loro mestiere di fare la guerra”) e altre forme condannate dai grammatici non solo nei discorsi dei personaggi, ma nel discorso proprio.L’impasto stilistico è poi variegato da quella che è stata definita la “pluridiscorsività” manzoniana: nel discorso del narratore si odono diverse “voci”in un continuo svariare di punti di vista.
Le Tre Redazioni:
Il testo dei Promessi Sposi quale lo conosciamo è frutto di un “eterno lavoro” (così come lo chiamava l’autore) durato vent’anni e svoltosi in tre fasi:
-tra il 1821 e il 1823 Manzoni scrisse,di slancio,un romanzo che chiamava Fermo e Lucia;era completo ma provvisorio;
-poco dopo cominciò a riscrivere il testo,modificandolo profondamente;l’opera uscì nel 1827 col titolo definitivo I promessi sposi;
-negli anni seguenti ,mentre il romanzo incontrava un trionfale successo,Manzoni continuò a ritoccarne la forma linguistica, fino all’edizione definitiva,che uscì a dispense dal 1840 al 1842.
La prima stesura del romanzo - pubblicata solo nel Novecento – ha caratteri diversi nel testo definitivo. Alcuni episodi laterali della trama erano sviluppati molto più ampiamente:in particolare la storia della monaca di Monza si estendeva per ben sei capitoli,diffondendosi sulla relazione con Egidio e sull’uccisione della monaca con un abbondanza di particolari che fa pensare al romanzo nero settecentesco. Erano poi più frequenti ed estesi i commenti e le digressioni moraleggianti:si avvertiva insistente la presenza dell’autore che spiegava e analizzava cose che nella versione successiva sono più efficacemente rappresentate in atto. La lingua infine,non ancora informata alla scelta fiorentina,aveva un carattere ibrido,tra residui aulici e coloriture lombarde;le scelte stilistiche puntavano a un’espressività che caricava ogni particolare,con ironia insistente. In sintesi,la revisione mirò a ridurre le digressioni,a equilibrare meglio le diverse parti del racconto,a smorzare le punte espressive ricercando un tono medio e un colorito linguistico più omogeneo.
Meno radicali furono gli interventi tra l’edizione “ventisettana” e quella definitiva. La revisione fu quasi esclusivamente linguistica, ispirata al criterio del fiorentino parlato perseguito sempre più rigorosamente. Il risultato è di una maggiore scioltezza,con l’eliminazione di forme letterarie a favore di modi più discorsivi e familiari.
Manzoni e la questione della lingua:
Per Manzoni,come per i suoi contemporanei,non esisteva un italiano come vera lingua d’uso: la sua lingua familiare era il dialetto milanese,le lingue di cultura erano il francese,il latino,e un po’ l’italiano letterario. In una lettera a Fauriel del 1806 aveva denunciato “tanta distanza tra la lingua parlata e la scritta,che questa può dirsi quasi lingua morta”. Se nelle liriche e nelle tragedie se l’era cavata con una soluzione sostanzialmente tradizionale,il problema diventò ineludibile all’atto di scrivere un romanzo che voleva essere popolare per argomento e destinatari: una lingua letteraria avrebbe tradito l’intento. Nella prima stesura adottò una soluzione provvisoria ed empirica,che lui stesso giudicò nella Introduzione scritta per il Fermo e Lucia,”un composto indigesto di frasi un po’ lombarde ,un po’ toscane,un po’ francesi,un po’ anche latine”,concludendo perentoriamente:”Scrivo male”.
Durante la prima revisione del romanzo prese forma l’idea che la soluzione andava cercata nell’adeguamento al modello fiorentino contemporaneo parlato. La scelta del fiorentino in sé era tradizionale,condivisa dai puristi: ma mentre quelli si riferivano al fiorentino degli autori trecenteschi o cinquecenteschi,l’idea del fiorentino attualmente parlato spostava completamente l’orizzonte dalla lingua dei libri a quella dell’uso vivo. Questa soluzione è già evidente nell’edizione del 1827;appena uscito il libro,l’autore compì un lungo soggiorno a Firenze,allo scopo di assorbirne la lingua direttamente sul posto,e iniziò una minuziosa revisione,attraverso la consultazione di vocabolari e di parlanti fiorentini. Con questo tenace lavoro Manzoni è riuscito a inventare praticamente dal nulla una lingua italiana moderna, scorrevole,adatta a toccare i temi più elevati come le realtà più umili e quotidiane. Una lingua che a un secolo e mezzo di distanza è ancora sostanzialmente la nostra: basta confrontare I promessi sposi con qualsiasi romanzo coevo,per constatare come gli altri appaiano linguisticamente tanto più antiquati e impacciati.
Dopo la cessazione dell’attività creativa,la lingua fu il principale interesse di ricerca di Manzoni. Di questa lunga riflessione ci restano una montagna di appunti e abbozzi per opere non finite e pochi scritti pubblicati in vita,tra cui la Lettera a Giacinto Carena sulla lingua italiana (1846) e la relazione Dell’unità della lingua italiana e dei mezzi di diffonderla, scritta nel 1868,quando il ministro della Pubblica Istruzione lo nominò presidente di una commissione per lo studio della diffusione “della buona lingua e della buona pronunzia”. In questi scritti per la prima volta la secolare questione della lingua cessa di essere un problema puramente letterario e diventa un problema sociale:non si tratta di scegliere una lingua per la letteratura,ma di dare unità linguistica e culturale a una nazione che sta diventando uno stato unitario. Il principio teorico di Manzoni è che “L’Uso è,in fatto di lingua,la sola autorità”. Una lingua può dirsi veramente tale solo quando è usata da una comunità in tutti gli scambi comunicativi:per questo la lingua scritta non può essere il modello di riferimento per l’italiano unitario. Questo modello va ricercato in una città in cui sia già usato da tutti i ceti sociali nella vita quotidiana; da lì potrà diffondersi al resto del paese,come è accaduto per il latino,diffusosi da Roma a tutto l’impero,e per il francese,dialetto di Parigi assunto a lingua nazionale. Lo stesso dovrà accadere in Italia a partire da Firenze,ma non potrà essere il naturale risultato di una supremazia politica che Firenze non ha:dovrà essere il frutto di un’iniziativa pubblica,attraverso la scuola e la diffusione di vocabolari. La posizione manzoniana ha dei limiti teorici:dominata da un ideale monolitico,non riconosce la variabilità di usi,registri,stili intrinseca a ogni lingua,fino a negare valore alla tradizione autonoma della lingua scritta. Ma l’interesse di Manzoni non era teorico,era di politica linguistica. Le sue proposte sono state al centro del dibattito culturale dei decenni seguenti l’unità,mentre l’esempio dei Promessi Sposi è stato ancora più efficace nel processo di formazione dell’italiano moderno.

Esempio



  


  1. marika

    parafrasi risurrezione alessandro manzoni