Il Pianista di Władysław Szpilman

Materie:Scheda libro
Categoria:Italiano

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Data:22.08.2005
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Testo

NOME DELL'AUTORE: Władysław Szpilman
TITOLO: IL PIANISTA
CASA EDITRICE: Baldini&Castoldi
ANNO DIPUBBLICAZIONE: 1999
GENERE: storico-autobiografico
AMBIENTE: Il testo è ambientato nella cittá di Varsavia ai tempi della seconda guerra mondiale. I luoghi sono reali e descritti in maniera dettagliata, tanto che il lettore può percorrere con l'autore le vie di Varsavia.
TEMPO: Le vicende sono narrate dal 1939 alla fine della guerra avvenuta nel 1945.
Il tempo è ampiamente descritto, in quanto l'autore possiede un orologio e riporta accuratamente lo scandire del tempo.
SINTESI DEL CONTENUTO: Il libro inizia con una piccola prefazione scritta dal figlio dell'autore in cui ricorda al lettore ciò che accadde nella seconda guerra mondiale: la persecuzione degli Ebrei ad opera dei Tedeschi.
L'autore durante la guerra, suonava all'interno del ghetto in vari café, per riuscire a racimolare qualche soldo, visto che i genitori avevano venduto giá da tempo i beni più preziosi. Poteva arrivare al café dove lavorava percorrendo alcune viuzze o, se voleva vedere il febbrile lavoro dei contrabbandieri, rasentare il muro di cinta del ghetto.
In genere i contrabbandieri conducevano i loro affari nel pomeriggio, quando le guardie erano troppo stanche per controllare gli Ebrei, o troppo impegnate a contare i soldi che avevano rubato. Ma il contrabbando non era l'unica risorsa del ghetto, infatti anche i polacchi davano in dono molti oggetti per gli Ebrei più poveri. L'effettivo contrabbando, che veniva svolto dalle autoritá ebree più importanti, consisteva nel corrompere le guardie e, sotto loro tacito consenso, nel ghetto entravano: cibo, alcolici, sigarette e cosmetici. Nel café dove il pianista lavorava nessuno si preoccupava della sua musica e quando trovò un altro posto: nel café di via Sienna ne fù davvero contento. Ci lavorò solo per quattro mesi, poi si trasferì nel più grande café del ghetto, dove conobbe molti amici; era davvero un posto magnifico, l'unico problema era il ritorno a casa: infatti il café era molto distante dall'abitazione in cui Władysław e la sua famiglia abitavano.
L'inverno del 1941-1942 fu molto duro, la popolazione era già debilitata dalla fame e in più molti non avevano alcun modo di proteggersi dal freddo, a questo si agginse poi l'aumento dei pidocchi: vi erano pidocchi per le strade, nei tram, sulle scale, nei giornali, sulle monete e perfino sul pane.
in poco tempo, date le scarse condizioni igieniche in cui riversava la popolazione, si diffuse il tifo. Un famoso scienziato riuscì a scoprire il vaccino, molti Ebrei, i più facoltosi, si fecero vaccinare; il protagonista però non poteva permetterselo perchè, il loro denaro era sufficiente solo per una dose del vaccino.
In primavera Władysław fa amicizia con più persone e, quando finiva di lavorare, si fermava spesso a casa loro, e quando tornava verso la sua abitazione, verso l'ora del coprifuoco, si avvicinava, come la definiva lui, l'ora dei “ragazzini e dei matti”. Per la strada si aggiravano strane persone: l'autore menziona una donna che chiedeva ai passanti se avevano visto il marito partito per la guerra e i bambini che uscivano dagli scantinati, appellandosi alla pietá dei passanti, e chiedendo loro del cibo.
Era la vigilia del 31 agosto 1939 e tutti ormai erano convinti che la guerra sarebbe scoppiata, ma in Polonia nessuno si era pervinto, la vita si svolgeva con regolaritá. Il giorno dopo, verso le sei del mattino, il protagonista venne svegliato da rumori di bombe: la guerra era iniziata. Władysław decise di correre alla radio; sui muri, a lato della strada, c’erano molti manifesti, ma nessuno dei passanti ne era preoccupato. Suonò l'allarme antiaereo e il giovane pianista corse verso la radio dove lavorava: i corridoi erano affollati e regnava il caos, tuttavia nel pomeriggio i programmi si svolsero senza variazioni, apparte gli aggiornamenti sulla guerra.
Il 3 settembre, Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania. La gioia degli abitanti di Varsavia durò poco...quattro giorni dopo alcuni vicini avvisarono la famiglia del protagonista che i nemici avanzavano su Varsavia, ma decisero di non andarsene dal Paese... nel resto della città, invece, era iniziato il grande esodo.
Nei giorni successivi la città venne dichiarata piazzaforte. Nonostante, all'inizio, ci fu una breve tregua, i Tedeschi iniziarono a bombardare la città; la famiglia del protagonista si trasferì a casa di alcuni amici, perchè, abitando al terzo piano di un palazzo, era più semplice essere colpiti. Per strada c'erano molti cadaveri e molti palazzi erano stati rasi al suolo; il 13 settembre le trasmissioni radio cessarono, a Varsavia tutte le persone in grado di lavorare si impegnarono per costruire una trincea: anche Władysław partecipò, ma, quando la radio riprese le trasmissioni, decise che sarebbe stato più utile lì che a scavare. Tutto questo, però, risultò inutile dato che Varsavia si arrese il 27 settembre 1939.
Tornando a casa da lavoro, una sera Władysław vide due uomini tedeschi su una motocicletta: erano i primi Tedeschi che vedeva.
Quando tornò a casa quella sera l'appartamento era ancora integro, sebbene la città fosse semidistrutta e si contavano circa 20000 morti; il padre di Władysław si chiudeva in se stesso, in un mondo dove non esistevano la guerra e la sofferenza, suonando il violino. I Tedeschi iniziarono le loro retate contro gli Ebrei, in questo momento venivano solo picchiati, ma si giunse ad una svolta nel dicembre del 1939 con la fucilazione di 100 Ebrei. Da quel momento iniziarono ad essere proclamate leggi razziali contro gli Ebrei; nessuno si scoraggiava, convinti che presto sarebbero venuti in loro aiuto gli alleati.
Dopo circa due mesi dall'occupazione tedesca la vita tornò alla normalitá... anche se venivano emanati decreti quasi tutti i giorni, pochi ormai li seguivano.
Uno dei decreti che Władysław non accettava era che ogni volta che un Ebreo incontrava un Tedesco doveva chinare il capo in segno di rispetto per una razza migliore della sua. Per evitare di compiere questo gesto, per lui di grande vergogna, percorreva lunghi vicoli, con il solo scopo di non incontrare Tedeschi; suo padre invece passeggiava lungo le vie principali e chinava, senza alcuna vergogna, la testa davanti a qualsiasi Tedesco.
Verso la fine di novembre Władysław, suo padre e Henryk (suo fratello) erano a casa di amici e, guardando l'orologio, scoprirono che l'ora del coprifuoco era vicina. Era chiaro che non sarebbero arrivati in tempo, ma speravano di non incontrare delle guardie tedesche. Ma non fu così.
“Eravamo già arrivati a metà di via Zielna e cominciavamo a sperare di giungere a destinazione sani e salvi, quando la pattuglia di polizia girò l'angolo. Non c'era tempo di nascondersi. Restammo immobili nella luce abbagliante delle loro torce, ciascuno sforzandosi di pensare a una scusa, quando uno degli uomini avanzò deciso fino a noi e ci puntò la torcia in faccia. «Siete Ebrei? » Una domanda del tutto proforma, dato che non aspettò neanche la nostra risposta. «Bene, in questo caso...» Avvertimmo in tale denuncia della nostra origine razziale un che di trionfante. Era la soddisfazione per aver scovato siffatta selvaggina, insieme con il dileggio e la minaccia. Ancor prima di rendercene conto eravamo stati afferrati e messi con la faccia contro il muro dell'edificio, mentre i poliziotti arretravano e cominciavano a togliere la sicura dai fucili. Questo, dunque, il modo della nostra morte! Ancora pochi secondi e saremmo stati lunghi distesi sul marciapiede e insanguinati del nostro stesso sangue, il cranio fracassato, fino al giorno seguente. Solo allora la mamma e le mie sorelle avrebbero appreso l'accaduto e sarebbero corse a cercarci in preda alla disperazione. Gli amici ai quali eravamo andati a far visita si sarebbero rammaricati per averci trattenuto troppo. Tutti quei pensieri mi passarono per la testa in una successione straniata, quasi fosse stato un altro a formularli. Udii qualcuno dire forte: «Questa è la fine! » Solo un attimo dopo mi resi conto che ero stato io a parlare. Al tempo stesso sentii uno scoppio di pianto e di singhiozzi convulsi. Girai il capo, e nella luce cruda della torcia elettrica vidi mio padre che, inginocchiato sull'asfalto umido, singhiozzava e supplicava i poliziotti di non ucciderci. Come poteva umiliarsi a quel modo? Henryk era chino su di lui, gli bisbigliava qualcosa, cercava si farlo alzare. Henryk, quel mio fratello tanto riservato, Henryk con quel suo perenne sorriso sarcastico, in quel momento palesava una sua interiore e straordinaria dolcezza e tenerezza. Non gli avevo mai visto prima una tal disposizione. Ma allora c'era anche un altro Henryk, che avrei potuto intendere se solo lo avessi conosciuto, invece di trovarmici in perpetuo contrasto.
Mi girai di nuovo verso il muro. La situazione non era cambiata. Papá continuava a piangere, Henryk cercava di calmarlo, gli uomini della polizia continuavano a puntarci contro i fucili. Non riuscivamo a vederli dietro la barriera di luce bianca. Poi, all'improvviso, in una frazione di secondo, avvertii per istinto che la morte non ci minacciava più. Trascorsero alcuni istanti, e una voce secca attraversò la barriera di luce.
«Che mestiere fate? »
Rispose Henryk per tutti. Appariva sorprendentemente padrone di sé, la voce tranquilla come se nulla fosse successo. « Siamo musicisti. »
Uno dei poliziotti mi si piantò davanti, mi afferrò per il bavero e mi scrollò in un ultimo scoppio di collera, del tutto immotivato, dato che ora aveva deciso di lasciarci vivere.
« Buon per voi che anch'io sono musicista. »
Mi diede uno spintone, sicché arretrai barcollando contro il muro.
« Via di qui! »
Ci mettemmo a correre nell'oscuritá, ansiosi di allontanarci dalla luce delle loro torce il più velocemente possibile, prima che cambiassero idea. ”

Il 5 dicembre venne emesso un comunicato che ordinava agli Ebrei di mettere dei bracciali bianchi con la stella di Davide. Molti Ebrei rimasero chiusi in casa per giorni interi, perchè si vergognavano.
Sopraggiunse l'inverno e iniziò il 1940, anno in cui i Tedeschi annunciarono che, dalla primavera di quello stesso anno, gli Ebrei sarebbero stati deportati in campi di lavoro per ricevere un'educazione appropriata. Tutto questo però non avvenne.
Il 20 maggio Władysław e un suo amico si trovarono, a casa di Władysław, con un gruppetto di ascoltatori per suonare un concerto di Beethoven. Stavano aspettando Halina (la sorella di Władysław) che era scesa per fare una telefonata... tornò in casa con un giornale: il titolo riportava:
PARIGI CADE.
Tutti furono presi dallo sconforto... erano convinti che la situazione non sarebbe potuta peggiorare, e invece, di lì a poco i Tedeschi annunciarono che sarebbe stato costruito un ghetto per gli Ebrei.
Fortunatamente la casa della famiglia del protagonista era già in quel territorio e quindi non dovettero sborsare ingenti quantitá di denaro per comprare una nuova casa.
Le porte del ghetto si chiusero il 15 novembre 1940, all'interno vi erano stipate più di 500000 persone, in uno spazio che bastava a malapena per 100000.
Ripensando al periodo nel ghetto (dal novembre 1940 al luglio 1942) Władysław aveva un'unica immagine, come se non riuscisse a dividere i diversi avvenimenti cronologicamente.
All'improvviso nel ghetto, nella primavera del 1942 la caccia agli Ebrei cessò.
Nel 1941 la Germania attaccò la Russia. I Tedeschi continuavano a ridurre sempre più il ghetto.
Al mattino Władysław era solito uscire per passeggiare ed andare a trovare Zyskind.
Zyskind era il custode del ghetto, ma faceva anche da corriere, autista e borsanerista. Władysław continuò ad andare a trovarlo fino a quando tutta la famiglia di Zyskind non venne uccisa, perchè trovata in possesso di materiale di contrabbando.
Uscire di casa era ormai diventato molto pericoloso, tutti avevano paura delle retate ad opera dei Tedeschi; prima di uscire, e anche per strada, bisognava fare sempre delle domande per cercare di non essere beccati.
Il ghetto era suddiviso in ghetto grande e ghetto piccolo... per arrivare da una parte all'altra del ghetto bisognava attraversare Via Chłodna, nel quartiere ariano.
C'era sempre un vigile tedesco che faceva circolare il traffico e, siccome per far passare gli Ebrei bisognava fermare il traffico, il vigile cercava di interromperlo meno possibile, solo quando c'erano moltissimi Ebrei sia da una parte che dall'altra della strada. Un'azione ignobile che compivano i Tedeschi era quella di chiamare nel centro della strada dei musicisti e, tra gli Ebrei lì presenti, scegliere delle coppie buffe e farle ballare il valzer, facendo aumentare sempre più il ritmo ai musicisti; chi non sopportava le danze veniva ucciso.
Nel ghetto la gente era sempre più povera, supplicava e piangeva perchè aveva fame. Quando questa parte del ghetto, la più vasta, vedeva della persone benestanti si aggrappava loro chiedendo loro l'elemosina... era però sconsigliabile dare loro anche una piccola somma di denaro perchè immediatamente si veniva accerchiati da altri poveri.
Tutti i giorni, verso mezzogiorno Władysław si avviava verso casa, aiutava Henryk a trasportare i suoi libri (Henryk infatti vendeva libri per strada), e, arrivato, si sedeva con il resto della sua famiglia per pranzare, il pranzo non era granchè ma, in confronto al pranzo di altri Ebrei, era addirittura sontuoso. A pranzo si cercava sempre di parlare di argomenti felici e non di pensare alle sofferenze che incombevano su di loro in quel periodo. A pranzo Henryk e Regina (i fratelli di Władysław) erano sempre pensierosi, Halina, l'altra sorella del protagonista, era molto riservata e nessuno sapeva cosa faceva fuori casa.
All'inizio della primavera 1942 la caccia agli Ebrei si placò improvvisamente.
La calma durò fino a un venerdì di aprile, quando iniziò a dilagare il panico senza alcun motivo.
La mattina dopo il padre di Władysław uscendo scoprì che quella notte 70 Ebrei erano stati uccisi e abbandonati per strada. Nel pomeriggio vennero affissi dei manifesti, che spiegavano che erano stati eliminati “ELEMENTI INDESIDERABILI”.
Verso la fine di maggio i Tedeschi incaricarono la Polizia ebraica di occuparsi degli Ebrei. Questi, un giorno, presero Henryk, e, Władysław decise che a tutti i costi doveva liberare il fratello. Riuscì a farsi promettere, da uno dei capi della Polizia, che Henryk sarebbe tornato a casa entro sera. E così avvenne.
Una sera di giugno le SS entrarono nell'edificio dove vivevano Władysław e la sua famiglia, ed entrarono nell'appartamento di fronte al loro:
“Li conoscevamo tutti di vista. Quando la luce si accese anche in quell'appartamento e le SS irrupppero nella stanza con gli elmetti in testa e le pistole spianate vi trovarono persone sedute attorno a un tavolo, proprio come fino a un momento prima noi ce ne stavamo attorno al nostro. Erano paralizzate dall'orrore. Il sottoufficiale nazista a capo del distaccamento lo prese come un affronto personale. Ammutolito per l'indignazione, rimase immobile in silenzio a fissare le persone sedute al tavolo. Solo dopo un momento prese a urlare con furia incontenibile «In piedi! »
Si alzarono tutti il più in fretta possibile, eccetto il capofamiglia, un uomo anziano e storpio. A questo punto l'ufficiale era addirittura schiumante di rabbia. Si avvicinò al tavolo, vi si puntellò con le braccia, guardò fissamente il paralizzato e ringhiò per la seconda volta: «In piedi! »
Il vecchio si afferrò ai braccioli della sedia per sostenersi, facendo sforzi disperati per alzarsi, ma inutilmente. Prima che ci potessimo rendere conto di ciò che stava accadendo, i Tedeschi lo afferrarono con sedia e tutto, quindi lo portarono sul balcone e lo gettarono in strada dal terzo piano.
Mia madre si mise a urlare e chiuse gli occhi. Mio padre si allontanò dalla finestra, arretrando nella stanza. Halina si precipitò verso di lui mentre Regina cingeva con un braccio le spalle di mia madre, dicendo a voce molto alta e in tono molto chiaro e autoritario: «Zitta! »
Henryk e io non riuscivamo a staccarci dalla finestra. Vedemmo il vecchio restare per qualche secondo sospeso in aria nella sua sedia e poi venire sbalzato fuori. Subito dopo udimmo il tonfo della sedia sull'asfalto e il rimbalzo di un corpo umano sul selciato. Restammo immobili e in silenzio, come inchiodati al suolo, non riuscivamo a distogliere lo sguardo dalla scena che avevamo davanti ai nostri occhi.”

Uccisero 100 uomini quella sera.
I Tedeschi iniziarono a filmare Ebrei felici al ristorante, nei bar, al cinema e tutti si chiedevano a che scopo. Solo più tardi Władysław scoprì che venivano fatti quei filmati per mascherare le vere condizioni di vita degli Ebrei e far credere, ai sostenitori del partito nazista e a tutti gli Ariani, che vivevano nel lusso.
Il 18 luglio, dopo la fine della prima parte di un concerto molto prestigioso, Władysław e un suo amico stavano al di fuori dell'edificio a fumare. Dopo qualche istante arrivò un amico del protagonista che aveva appena appreso che non mancava molto all'evaquazione del ghetto.
Avrebbe dovuto svolgersi il giorno seguente, ma ciò non avvenne. La gente ne parve rassicurata, ma lunedì esplose di nuovo il panico. A tarda sera la polizia polacca diede l'allarme; ma non successe nulla neanche quella sera.
Mercoledì 22 luglio, verso le 11, Władysław venne avvertito che entro un ora avrebbe avuto inizio l'azione. A mezzogiorno i Tedeschi iniziarono a sgomberare le abitazioni del ghetto. Gli edifici venivano scelti a caso e tutte le persone venivano portate nell'Umschlagplatz (letteralmente piazza delle buste, in questo caso centro di raccolta e transito degli Ebrei).
Per salvarsi la vita bisognava procurarsi un libretto di lavoro. Nel ghetto, in cambio di migliaia di złoty, venivano venduti proprio questi libretti. Władysław non poteva comprarli per tutta la sua famiglia. Dopo sei giorni trascorsi vagabondando da un edificio all'altro, Władysław era riuscito, grazie alla sue conoscenze, ad ottenere i libretti per la sua famiglia. Poco dopo però, capì di aver sprecato tempo inutilmente, in quanto tutti gli Ebrei erano soggetti a deportazioni, e nessuno badava al libretto di lavoro.
All'Umschlagplatz tutta la famiglia di Władysław riuscì a trovare un posto di lavoro. Il 2 agosto ricevettero l'ordine di abbandonare il ghetto piccolo.
Il 16 agosto venne il turno, dopo altre migliaia di famiglie, della famiglia di Władysław, tranne Halina e Henryk, tutti gli altri vennero dichiarati “INABILI AL LAVORO”; ciò significava che presto sarebbero stati deportati.
Le SS andarono palazzo per palazzo e, quando fischiavano, gli Ebrei dovevano scendere di corsa: Władysław, suo padre, sua madre e Regina avevano solo un piccolo fagotto in mano quando vennero chiamati.
Vennero portati nell'Umschlagplatz (luogo di raccolta degli Ebrei inabili al lavoro che si trova ai margini del ghetto vicino ai binari da dove partivano i convogli che portavano ai campi di concentramento). Questo luogo poteva contenere fino a 8000 persone, al centro vi era un'area che tutti evitavano, perchè vi erano i corpi deturpati di alcune persone uccise il giorno prima. Władysław decise di camminare un pò per la piazza, già gremita di persone...e, quando tornò dai genitori non erano più soli, ma con degli amici: uno di loro era abbastanza ottimista, mentre l'altro sosteneva che li avrebbero uccisi tutti come carne da macello.
Accanto a loro c'era una giovane donna con il marito: lei era sconvolta e si reggeva la testa tra le mani. Più tardi Władysław capì perchè era così sconvolta: la coppia quando aveva udito il fischio si era nascosta ma, al passare di una guardia, il loro bimbo si era messo a piangere e dalla disperazione la madre lo aveva strangolato, ma non era servito a nulla.
Verso le 5 del pomeriggio Władysław scorse tra la folla Halina e Henryk che, colti dal sentimentalismo, si erano candidati volontariamente per essere deportati. Verso le 18 arrivò un treno con carri bestiame e vagoni merci, che emanava un forte odore di cloro. La famiglia di Władysław era già davanti al vagone quando qualcuno afferrò il nostro pianista per il bavero e lo scaraventò lontano dal vagone.
“Davanti a me vedevo i poliziotti che avevano serrato i ranghi. Mi avventai contro uno di loro ma non mi fecero passare. Al di là delle loro teste, riuscii a scorgere Halina e Henryk che aiutavano mia madre e Regina a salire sui vagoni, mentre mio padre si guardava attorno a cercarmi.
«Papá! » gridai!
Mi vide e fece per avvicinarmisi, poi esitò e si bloccò. Era pallido, con le labbra che gli tremavano. Si sforzò di sorridere, un'espressione di impotenza e di sofferenza sul viso, poi sollevò una mano in un gesto di addio, come se lui dall'oltretomba prendesse congedo da me, che partivo verso la vita. Quindi si voltò e si diresse verso i vagoni.
Mi avventai con tutta la forza che avevo in corpo contro le spalle dei poliziotti.
«Papá! Henryk! Halina! »
Urlavo quasi fossi stato posseduto. Ero inorridito all'idea che proprio in quell'ultimo istante così decisivo in cui avrei potuto unirmi a loro, saremmo stati separati per sempre.”
Si era salvato. Cominciò a correre e si rese conto di quello che era successo solo dopo un pò...la sua famiglia era destinata al macello e lui era l'unico superstite! Mentre si allontanava Władysław sentiva dentro di sé il rumore del treno che lo ha allontanato per sempre dalla sua famiglia.
Ora era SOLO!
Incontrò un poliziotto ebreo, vecchio amico dei suoi genitori, e lo invitò a vivere da lui. Il giorno dopo trovò un lavoro: doveva distruggere il muro del ghetto grande che sarebbe stato integrato nella parte ariana della città.
Nella piazza dove lavoravano c'erano parecchi venditori ambulanti che, all'arrivo delle SS, si nascondevano e poi ricomparivano.
Un giorno a lavoro venne effettuata una selezione, ma fortunatamente Władysław si salvò, come accadde nella selezione di qualche settimana dopo.
Il protagonista cambiò di nuovo abitazione... conviveva con la famiglia Próżański e la signora A. Qualche giorno più tardi vennero chiamati tutti in cortile...venne fatta una selezione, ma anche stavolta il protagonista si salvò.
Più tardi venne trasferito ma, non riuscendo a svolgere quel lavoro perchè troppo faticoso, venne mandato a lavorare in un quartiere privilegiato, dove le condizioni erano migliori. Prima che arrivasse l'inverno e il palazzo delle SS, al quale lavorava, stava per concludersi, Władysław cambiò di nuovo casa e lavoro. Qui, cadde sul lavoro e si slogò una caviglia, venne così trasferito ai magazzeni. Lì faceva più caldo e il nostro pianista sperava così di non rovinare le sue mani. Giunsero nel frattempo voci di altri trasferimenti e cominciò a propagarsi tra gli Ebrei la voglia di opporsi combattendo.
I Tedeschi, per evitare un'insurrezione, permisero ad ogni gruppo di lavoro di mandare qualcuno a fare acquisti nella parte ariana della città. Il gruppo di Władysław scelse un giovane ragazzo: MAJOREK.
Arrivò il 1943. Le attivitá clandestine si intensificarono. Majorek portava nel ghetto sacchi di patate con nascoste nel fondo varie munizioni.
Il 14 gennaio la caccia agli Ebrei riprese in tutta Varsavia.
Nel ghetto però iniziarono le sommosse per combattere i Tedeschi e in cinque giorni i Tedeschi riuscirono a portare nell'Umschlagplatz solo 5000 persone delle 10000 che avevano programmato.
Władysław riuscì a contattare tramite Majorek dei suoi amici che riuscirono a nasconderlo nello studio dell'artista suo amico. Era riuscito a scappare dal ghetto sabato 13 febbraio, mentre al magazzeno c'era un controllo; Władysław si nascose tra gli Ariani che finivano di lavorare, raggiunse l'amico che lo portò fino al suo studio.
Władysław cambiò di nuovo casa, perchè quel luogo non era più sicuro. Andò per un pò a vivere al primo piano del palazzo dove viveva il direttore della radio per cui lui lavorava. Andò, poi, a vivere in un appartamento di un suo vecchio collega...era confortevole e ben arredato, e almeno lì non era continuamente in pericolo: non rischiava di essere picchiato o addirittura ucciso, in qualsiasi momento, da Tedeschi; lì era al sicuro. Lewicki, il suo collega, andava a trovarlo due volte a settimana portando sempre del cibo: era cordiale, e ben presto lui e Władysław divennero amici. Durante il giorno del censimento, organizzato per stanare gli ultimi Ebrei rimasti nella cittá di Varsavia, il pianista dovette rimanere nascosto in bagno tutto il giorno, perchè i Tedeschi avrebbero potuto controllare la casa.
Credette di essere al sicuro fino a quando, un giorno di giugno, Lewicki arrivò verso mezzogiorno dicendogli che doveva andarsene perchè avrebbero potuto arrivare da un momento all'altro i Tedeschi, ma il protagonista decise che non se ne sarebbe andato. Lewicki scappò, per paura di essere condannato a morte (questa infatti la pena per chi ospitava Ebrei in casa), tuttavia i Tedeschi non arrivarono.
Era passata ormai una settimana da quando Lewicki se ne era andato. Władysław aveva quasi finito il cibo, gli restavano solo una manciata di fagioli e di avena, così il 18 luglio, rischiando la vita, decise di andare a prendere una pagnotta di pane che gli durò 10 giorni. Il 29 luglio arrivò il fratello di Lewicki e, meravigliato che fosse ancora vivo, gli portò del cibo. Il giorno dopo si ripresentò con Szała: un uomo incaricato dalle associazioni clandestine a occuparsi di Władysław. Szała si dimostró non essere un bravo protettore: andava a trovare Władysław solo una volta ogni due settimane e portava con sè provviste insufficienti. Fortunatamente un giorno, quando ormai Władysław non aveva più forze per alzarsi, arrivo un'amica di Lewicki che, viste le sue gravi condizioni, gli portò del cibo.
Il 12 agosto le donne del palazzo scoprirono l'esistenza di Władysław, che comunque riuscì a fuggire e, sebbene fosse stremato e molto affamato, raggiunse degli amici in Via Narbutt che decisero di ospitarlo solo per una notte. Chiese a molti altri suoi amici, ma tutti risposero che non potevano ospitare un Ebreo, perchè comportava troppi rischi.
Trovó comunque Zofia Jaworska, che addirittura insisteva perchè Władysław restasse a vivere da lei, però il protagonista non accettó per non darle troppi disturbi.
La madre di Zofia presentó a Władysław Helena Lewicki, che era disposta ad accoglierlo. Andò a vivere in un grande appartamento con luce elettrica, gas, ma senza acqua. I suoi vicini erano attivi nel movimento clandestino e ricercati dalla polizia. L'appartamento era situato in una delle zone della città più abitate da Tedeschi.
Agli inizi di dicembre Władysław ebbe un grave dolore al fegato e Helena chiamó il medico... gli venne diagnosticata un'infiammazione acuta alla vescica, ma grazie alle cure di Helena riuscì a ristabilirsi.
Venne il 1944. Si parlava sempre più delle sconfitte subite dai Tedeschi, ma anche della crudeltà, sempre maggiore, con cui trattavano gli uomini.
Il 6 giugno Helena andó a trovare Władysław: portava la notizia che gli Americani erano sbarcati in Normandia e che l'Italia si era arresa.
Il primo agosto iniziò la rivolta del popolo di Varsavia contro i Tedeschi che ormai da troppo tempo li opprimevano.
Alle cinque del pomeriggio ebbe inizio la rivolta. C'era il panico in tutto il quartiere, ma Władysław era insolitamente calmo. Di lì a poco arrivarono dei gruppi di Tedeschi armati. Iniziarono a sparare anche nella direzione dove si trovava l'appartamento di Władysław; gli aleggiò nella mente l'idea di fuggire, ma poi si ricordò che Helena aveva chiuso la porta a chiave, dall'esterno, e quindi il protagonista non aveva alcuna possibilità di uscire. Verso sera tutto quel fragore di quietò, e, dalla città, si levarono i primi bagliori degli incendi.
La mattina dopo, all'alba, tutto era tranquillo, quasi non fosse accaduto nulla, ma con il passare delle ore gli spari e le esplosioni ricominciarono. A mezzogiorno l'amica di Helena, l'unica nel palazzo che era a conoscenza della presenza di Władysław, gli portò del cibo.
Le giornate passavano e gli spari e le esplosioni erano ormai un'abitudine. Il 12 agosto l'edificio dove alloggiava Władysław venne fatto sgomberare, il pianista non poteva uscire perchè le SS, incaricate di eseguire l'evaquazione, lo avrebbero subito fucilato... venne poi sparato un colpo d'artiglieria e il palazzo prese fuoco. I soldati iniziarono a salire le scale, accertandosi che non fosse rimasto nessuno all'interno dell'edificio, e Władysław, guidato dal suo istinto di sopravvivenza e dal suo sesto senso, che più di una volta lo avevano salvato, salì in soffitta. Qualche istante dopo un SS entrò nell'appartamento che aveva appena abbandonato: ancora una volta si era salvato!
Il palazzo però era in fiamme e Władysław, deciso a non perire a causa del fuoco, vuotò la boccetta dei sonniferi e li ingerì, quindi s'addormentò.
Si svegliò il mattino dopo, stupito di essere ancora vivo; chiamando a raccolta tutte le sue forze scese le scale, per non essere intossicato dall'ossido di carbonio prodotto dalla combustione dei cornicioni e dei mobili. Rimase tutto il giorno disteso sotto il muro del cortile e la sera, quando ormai era tutto buio, decise di attraversare la strada, mosso dalla fame, e rifugiarsi nell'ospedale non ancora ultimato. Ci trascorse i due giorni successivi. Il 15 agosto andó in cerca di cibo, ma i suoi tentativi furono vani. Qualche giorno dopo trovò dei secchi colmi d'acqua; bevve avidamente ma dovette smettere perchè l'acqua puzzava ed era piena di insetti. Trovò poi dei tozzi di pane.
Il 30 agosto decise di tornare nell'edificio dove aveva per lungo tempo vissuto; in un appartamento riuscì a trovare acqua e fette biscottate.
Purtroppo le sommosse organizzate dai rivoltosi fallirono, gli ultimi civili lasciarono Varsavia il 14 ottobre 1944. Ora Władysław era rimasto del tutto solo, ad eccezione dei Tedeschi, e con poche riserve di cibo: solo qualche fetta biscottata.
Un giorno di tardo autunno un ladro si intrufolò nel palazzo dove si trovava Władysław, ma con tono minaccioso riuscì a farlo scappare.
Władysław passava le sue giornate disteso, per non sprecare le poche forze che gli erano rimaste, la mattina con gli occhi chiusi ripassava tutte le composizioni che aveva suonato, mentre il pomeriggio ripassava mentalmente tutti i vocaboli inglesi che conosceva; verso l'una di notte andava in cerca di cibo. Spesso riusciva a racimolare qualcosa, ma il suo più grande tesoro era una bottiglia di alcol, che aveva trovato in una delle sue ricerche notturne.
Il 15 novembre cadde la prima neve e faceva sempre più freddo, soprattutto la notte. Decise allora che si sarebbe messo nello stomaco qualcosa di caldo, soprattutto per non ammalarsi. Proprio mentre stava cucinando dell'avena venne scoperto da un soldato tedesco. Per non essere ucciso gli offrì l'alcol che aveva trovato e il tedesco accettó. Di lì a poco il tedesco ritornò con un seguito di altri uomini, ma il protagonista riuscì a salvarsi rifugiandosi sul tetto. Rimase in quel luogo per qualche giorno, fino a quando, verso le 10 di un gelido mattino, dei soldati fecero fuoco su di lui. Corse giù per le scale, radunando tutte le forze rimaste, e si rifugiò in un altro palazzo. Il palazzo dove si rifugiò era più integro dell'altro e più caldo, decise di stabilirsi in soffitta. Dopo due giorni decise di andare a fare provviste. Trovò una cucina con molti sacchetti e scatole. Improvvisamente alle spalle gli apparve un ufficiale tedesco che informò Władysław che quel palazzo sarebbe presto stato occupato dai Tedeschi. Władysław era terribilmente impaurito.
“Me ne stavo seduto lì, a gemere, e guardavo con gli occhi spenti l'ufficiale. Solo dopo un bel pò riuscii a balbettare a stento: «Faccia di me quello che vuole. Di qui non mi muovo! »
«Non ho intenzione di farti niente. » L'ufficiale si strinse nelle spalle. «Che fai per vivere? »
«Il pianista. »
Mi osservò più attentamente con evidente sospetto. Poi il suo sguardo si posò sulla porta che dalla cucina conduceva alle altre stanze. Parve colpito da un'idea.
«Vieni con me, su. »
Andammo nella stanza adiacente che chiaramente doveva essere stata la sala da pranzo e poi nell'altra successiva dove, accosto alla parete, c'era un pianoforte. Mi indicò lo strumento.
«Suona qualcosa! »
Possibile che non gli fosse venuto in mente che il suono del pianoforte avrebbe attirato immediatamente l'attenzione delle SS che si trovavano nelle immediate vicinanze? Lo guardai con aria interrogativa e non mi mossi. Lui avvertì i miei timori dato che aggiunse, in tono rassicurante: «Stai tranquillo. Puoi suonare. Se arriva qualcuno nasconditi nella dispensa. Dirò che lo stavo provando io, il pianoforte. »
Quando posai le dita sulla tastiera, tremavano. Dunque questa volta avrei dovuto pagare un prezzo per la mia vita suonando il pianoforte! Non mi esercitavo più da due anni e mezzo, avevo le dita irrigidite e coperte da uno spesso strato di sporcizia. Non mi ero più tagliato le unghie da quando il caseggiato dove mi nascondevo era andato in fiamme. Non solo, ma la stanza dove si trovava il pianoforte era priva di vetri alle finestre, cosicchè i meccanismi si erano gonfiati per l'umiditá e resistevano alla pressione dei tasti.
Eseguii il Notturno in do diesis minore di Chopin. Il suono duro e metallico delle corde scordate echeggiava attraverso l'appartamento vuoto, per le scale, fluttuava sulle macerie della villa sull'altro lato della strada e tornava indietro in un'eco sommessa e malinconica. Quando ebbi finito, il silenzio parve ancora più cupo e più sovrannaturale di prima. Da qualche parte della strada un gatto miagolava. Fuori si udì uno sparo. Un colpo secco, violento, tedesco.
L'ufficiale mi guardò in silenzio. Poi trasse un respiro e bofonchiò: «Comunque faresti bene ad andartene! Ti porterò fuori città, in un paese dove potrai stare più al sicuro».
Scossi la testa. «Non posso lasciare questo posto» - risposi in tono fermo.
Solo in quel momento parve capire la vera ragione per cui mi nascondevo tra le macerie. Sobbalzò, innervosito. «Sei Ebreo? » chiese.
«Si. »
Se fino a quel momento se ne era stato con le braccia conserte sul petto, adesso le abbassò e si sedette sulla poltrona accanto al pianoforte, quasi che quella scoperta richiedesse un'accurata riflessione.
«Si bè», mormoró, «adesso capisco perchè non puoi andartene. »
Di nuovo per un pó apparve assorto in pensieri profondi, poi si girò verso di me per pormi un 'altra domanda. «Dove stai nascosto? »
«In soffitta. »
«Fammi vedere com'è lassù. »”

Salirono insieme. L'ufficiale gli indicò un nascondiglio che Władysław non aveva visto. L'ufficiale tedesco gli promise di portargli del cibo. Dopo tre giorni tornò con delle forme di pane e della marmellata. L'ufficiale lo informò anche che le truppe sovietiche erano ormai alle porte di Varsavia. Trascorsero varie settimane e nell'edificio c'era un gran viavai di Tedeschi, tuttavia nessuno si accorse del nascondiglio di Władysław. L'ufficiale andò a trovare Władysław per l'ultima volta il 12 dicembre.
Gli portò molte provviste e una coperta pesante, lo informò inoltre che le truppe sovietiche erano entrate a Varsavia e che la guerra sarebbe terminata al massimo a primavera.
Władysław, inoltre, gli disse il suo nome, in caso gli fosse servito, ma l'ufficiale non fece in tempo a dire il suo perchè i suoi compagni lo stavano già chiamando.
A metà dicembre giunse il primo gelo: la temperatura rimase sotto zero per parecchi giorni e tutte le vasche, dalle quali il nostro Władysław attingeva l'acqua, erano completamente ghiacciate. Il pianista allora raschiava un pò di ghiaccio, lo metteva in una pentola, se la appoggiava al ventre e, grazie alla coperta che l'ufficiale gli aveva donato, riusciva a sciogliere il ghiaccio e a bere.
Passò Natale e venne il 1945... erano già passati sei lunghi e sofferti anni dall'inizio della guerra.
Il 14 gennaio venne svegliato da insoliti rumori, auto per strada, soldati che correvano su e giù per le scale... all'alba del giorno dopo si sentirono colpi d'artiglieria lungo la Vistola, ma non colpivano la parte di cittá dove si trovava Władysław. Verso l'una di notte gli ultimi Tedeschi rimasti nell'edificio se ne andarono e, il giorno dopo venne diffuso, grazie agli altoparlanti, la notizia che Varsavia era stata liberata e i Tedeschi non avevano combattuto. L'ufficiale gli aveva lasciato anche un cappotto e, quando Władysław udì voci di donne e bambini per strada, si precipitò in strada. Venne però scambiato per un Tedesco, a causa dell'uniforme che indossava, un giovane ufficiale gli puntò contro il fucile. Quando lo videro più da vicino capirono che non era un Tedesco e lo portarono nel loro quartier generale.
Dopo due settimane, grazie alle cure, pulito e riposato, Władysław passeggiava ancora per le vie di Varsavia. Non c'era nessun edificio completamente integro. I Tedeschi avevano perfino spianato il ghetto, dove erano stati uccisi mezzo milione di Ebrei, per Władysław sarebbe iniziata una nuova vita... senza nessuno della sua famiglia... solo!
Qualche settimana dopo un amico di Władysław lo informò che un uomo aveva chiesto di lui. Lo aveva visto in un campo di internamento per prigionieri tedeschi e aveva chiesto di lui, raccontandogli che gli aveva salvato la vita, ma prima che riuscisse a dirgli il suo nome era sopraggiunta una sentinella e lo aveva allontanato. Władysław fece di tutto per salvare e rintracciare l'ufficiale che lo aveva aiutato ma non ci riuscì.
PERSONAGGI: Indubbiamente il protagonista è Władysław, lavora come pianista per la radio di Varsavia, ma, in tempi duri come la guerra si deve adeguare a vari lavori. È un uomo semplice, molto “attaccato” alla famiglia, alla quale dimostra molto affetto e a cui dona il suo salario. Quando a sua famiglia era viva, Władysław ha sempre pensato che l'unico in grado di salvare loro la vita fosse lui, non solo perchè il suo salario era il più cospicuo ma anche per la sua fama di pianista. Molte volte, infatti, è riuscito a salvarli grazie alla sua fama: quando Henryk era stato catturato, per ottenere i libretti di lavoro...è stato a sua volta salvato proprio dalla sua stessa fama: nell'Umschlagplatz, grazie ai suoi amici che lavoravano con lui...
È un uomo abbastanza benestante, ma che rinuncia a tutto, per riuscire a sopravvivere... conserva solo l'orologio, unico cimelio della sua famiglia, e la sua penna stilografica. Władysław è un uomo religioso, Ebreo, che non ha rinunciato alla sua fede per salvarsi la vita, è “corretto” verso il prossimo e non cerca di ingannarlo...ha infatti speculato sui suoi beni solo in casi di estrema necessitá.
Oltre a lui, nel libro viene descritta, nella prima parte, anche la sua famiglia.
È una famiglia numerosa, composta dal padre, dalla madre, Henryk: il fratello e dalle due sorelle: Halina e Regina.
Di loro Władysław racconta poche cose, essenziali per capire il loro carattere molto diverso tra loro.
Il padre è un uomo colto, non ribelle, che “accetta” la presenza dei Tedeschi, per vivere suona il violino... quando suona il suo strumento è come se entrasse in un suo mondo, un mondo senza sofferenze, senza problemi. La madre è una donna dolce, molto garbata, educata e ben curata nell'aspetto...nell'Umschlagplatz Władysław si rende conto di come sia cambiata: ha i capelli ingrigiti, sul viso si notano le profonde rughe e sul volto non appare più l'espressione sorridente, ma rassegnata.
Il fratello con cui spesso litiga si rivela in alcuni momenti emotivamente meno debole del protagonista, che si lascia andare in pianti disperati, Henryk ha più autocontrollo rispetto al fratello.
Delle due sorelle Władysław non parla molto: Halina e Regina sono piuttosto introverse, ma hanno lo stesso attaccamento alla famiglia di Władysław.
GIUDIZIO SUI PERSONAGGI: Mi sento in grado di dare un giudizio solo sull'autore, nonchè protagonista del libro, perchè gli altri non sono descritti in maniera profonda.
Władysław è uomo che ha sacrificato la sua carriera per aiutare i suoi famigliari, ha rischiato di non poter più suonare a causa dei lavori pesanti, a lui assegnati, e del freddo, che avrebbero potuto compromettere le sue mani stroncando definitivamente il suo lavoro di pianista. Stimo molto la sua correttezza, molti infatti avrebbero potuto aiutare i Tedeschi a catturare gli Ebrei, o anche suonare nel palazzo di qualche importante ufficiale Tedesco... ma lui si è adeguato.
Si è adattato anche alle precarie condizioni di vita in cui ha vissuto nell'ultimo periodo della guerra, quasi senza cibo, con condizioni igieniche inesistenti, e soprattutto solo... io non avrei mai potuto vivere in quelle condizioni, forse perchè non mi sono mai trovata in situazioni così difficili. Penso che con la guerra ci si adatti a tutto pur di rimanere vivi, si trovi un coraggio che magari non pensavamo di avere... ci si “aggrappi” a qualsiasi cosa pur di sopravvivere. E così ha fatto Władysław, vivendo con poche fette biscottate al giorno, che, in confronto a ciò che mangiava quando era con la sua famiglia, non erano niente. Ha avuto la fortuna di avere degli amici che potessero e volessero ospitarlo, cercando di non fargli mancare niente. Ha avuto la fortuna di trovare un ufficiale tedesco che lo aiutasse, e non lo uccidesse, uno dei pochi che aveva un cuore e che si era reso conto che tutto quello che la Germania nazista stava facendo era insensato.
GIUDIZIO SUL LIBRO: Il libro mi è piaciuto molto, leggendo mi sono emozionata e ho riflettuto su molti episodi. Mi ha commosso la parte nell'Umschlagplatz e mi ha sconvolto il racconto della giovane donna che ha soffocato suo figlio, segno di essere veramente disperata. Mi ha sorpresa la reazione dell'ufficiale tedesco e mi ha intristito molto il fatto che Władysław non sia poi riuscito a salvarlo.
Paragonandolo agli altri libri che ho letto sull'argomento l'ho trovato più avvincente, in quanto all'autore succedono moltissime cose anche se rimane sempre nella stessa città. Non è il “solito” racconto di un uomo che vive in un campo di concentramento; qui vengono narrate le vicende di un uomo che ha dovuto lottare per vivere, che si è dovuto nascondere per non essere ucciso, che ha dovuto andare in cerca di cibo per vivere e che ha la consapevolezza che tutte le persone più vicine a lui, la sua famiglia, sono morte.
Non voglio per questo “snobbare” libri come “Se Questo è un uomo”, ma questo libro è diverso, secondo me più avvincente. Ho capito veramente qual era il significato della vita durante la guerra.
LO STILE: Il modo di scrivere è avvincente, pieno di particolari, colto, ma anche molto semplice e immediato. Alcune parti di testo sembrano come dare un'immagine chiara e nitida. Ci sono molte descrizioni e sono espresse molte sensazioni dell'autore, quasi volesse far rivivere le proprie esperienze al lettore. Secondo me questo libro non ha difetti e può essere compreso sa chiunque abbia una minima conoscenza storica della seconda guerra mondiale. Da questo libro è stato tratto l'omonimo film, diretto da Roman Polanski, vincitore della Palma D'Oro a Cannes.

NOTIZIE SULL'AUTORE:
Władysław Szpilman, nato a Varsavia nel 1911, ha studiato pianoforte presso il Conservatorio della sua città e presso l'Accademia delle Arti di Berlino. Dal 1945 al 1963 è stato direttore dei programmi musicali alla Radio polacca, senza però mai interrompere la sua attivitá di pianista concertista e di compositore. È morto nel 2001. Il libro Il Pianista è stato ritrovato alcuni anni fa dai suoi eredi, questo diario è un j'accuse irrevocabile e insieme struggente.
PELLEGRINET SARAH
CLASSE 2B IGEA
1
A.S. 2003/ 2004

Esempio



  


  1. francesco

    cerco riassunto de "il pianista"