Il Fu Mattia Pascal di Pirandello

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Testo

IL FU MATTIA PASCAL

AUTORE: LUIGI PIRANDELLO
Luigi Pirandello nacque il 28 giugno 1867 presso Porto Empedocle, presso Grigenti (oggi Agrigento, nella villa detta “Il Caos”, da Caterina Ricci Gramitto e da Stefano Pirandello. La madre proveniva da una famiglia che aveva partecipato alle lotte antiborboniche e per l’unità d’Italia (suo padre era moro esule a Malta). Il padre Stefano era garibaldino e patriota.
Luigi trascorse la prima infanzia tra Grigenti, dove la famiglia si era rifugiata per sfuggire all’epidemia di colera, e Porto Empedocle, sul mare.
Assiduo lettore di romanzi, a dodici anni scrive una tragedia in cinque atti che rappresentò con le sorelle e gli amici.
Nel 1880 il padre, vittima di frode, cadde in dissesto e la famiglia si trasferì a Palermo. In quegli anni nacquero in Pirandello, fanciullo e poi adolescente, le prime appassionanti accensioni sentimentali; comincia, in quegli anni, la sua preparazione umanistica e si palesa la sua vocazione letteraria. Per volontà del padre fu avviato agli studi tecnici, con l’intenzione di prepararlo all’attività commerciale, ma ben presto li abbandonò per gli studi classici.
Nel 1885 la famiglia si trasferì a Porto Empedocle e Luigi rimase a Palermo, dove, lo stesso anno, terminò il liceo. Ritornato a Porto Empedocle iniziò a prendere coscienza della realtà umana e sociale delle solfatare. Si iscrisse alla facoltà di legge e di lettere a Palermo, dove conobbe alcuni dei futuri dirigenti dei fasci siciliani. Nel novembre del 1887 si iscrisse all’Università di Roma. Visse per alcuni mesi in casa dello zio Rocco, luogotenente di Garibaldi ad Aspromonte. In questo periodo scrisse alcune opere teatrali, poi andate perdute, e nel 1889 pubblicò “Mal giocondo”, una raccolta di poesie. In seguito ad un incidente con un insegnante decise di abbandonare l’Università di Roma e si trasferisce in Germania, dove continua gli studi all’Università di Bonn, e scrisse le liriche raccolte in “Elegie renane” e “Pasqua di Gea”. Il 21 marzo 1891 si laureò con una tesi di linguistica (Suoni e sviluppo fonetico della parlata di Grigenti).
Tornato in patria nel 1892, si stabilisce a Roma entrando in contatto con la cerchia di letterati tra i quali primeggiava Luigi Capuana. Per incoraggiamento del Capuana Pirandello, affronta per la prima volta la narrativa, portando a termine nel 1893 il suo primo romanzo, “L’esclusa”.
Aveva intanto iniziato la sua intensa e mai interrotta attività di novelliere; nel 1894 raccoglieva i primi racconti in un volume dal titolo “Amori senza amore”, e collaborava con articoli e novelle sui principali quotidiani e riviste del tempo (dalla «Gazzetta letteraria» di Torino, al «Marzocco» di Firenze).
Nel 1987 otteneva l’incarico di lingua italiana nell’Istituto superiore di Magistero di Roma. Nel 1898 stampò sulla rivista “Ariel”, creata da lui e da un gruppo di amici, il primo testo teatrale, un atto unico dal titolo “L’epilogo”, poi ribattezzato “La morsa”, e intanto continuava il suo lavoro di poeta e narratore.
Il 27 gennaio 1894 sposò a Grigenti la figlia di un socio del padre, Maria Antonietta Portulano, dalla quale avrà tre figli: Stefano (1895), romanziere e commediografo, Lietta (1897), e Fausto (1899), pittore.
La pubblicazione del romanzo “L’esclusa” (1901) e delle nuove raccolte di novelle (1902-1904) gli aveva intanto aperto la via della notorietà e del successo.
Fino a questo momento Pirandello aveva lavorato senza preoccupazioni finanziarie, aiutato com’era dalla salda posizione economica della famiglia. Ma nel 1904 una frana distrugge la solfara nella quale erano stati investiti i capitali del padre e la dote della moglie. Lo scrittore si trovò in gravi difficoltà economiche, e si pone la necessità di guadagnarsi la vita col proprio lavoro letterario.
E intanto una grave paralisi aveva colpito la moglie, dando inizio ad una forma di squilibrio mentale che l’avrebbe tormentata per il resto della sua vita. Spinto dalla necessità, Pirandello intensifica il suo lavoro: in un mese porta a termine per la «Nuova Antologia» un nuovo romanzo, “Il fu Mattia Pascal”: grazie al successo del romanzo entra a far parte della casa editrice dei Fratelli Treves.
Nel 1908 pubblica il saggio “L’umorismo” e diviene titolare della cattedra di Lingua Italiana all’Istituto Superiore di Magistero di Roma. Inizia a collaborare con «Il Corriere della Sera» e scrive il romanzo “I vecchi e i giovani”.
Nel 1915 la vita famigliare è scossa dalla partenza per la guerra del figlio Stefano (rimarrà prigioniero degli austriaci per tre anni), dalla morte della madre e dall’aggravarsi della malattia della moglie. Nonostante tutto l’attività pirandelliana non ha soste e anzi sembra intensificarsi quasi in essa l’artista trovi l’unica difesa all’angoscia che lo opprime.
Nel 1916 porta a termine la commedia teatrale “Pensaci Giacomino!”, e negli anni seguenti, dal 1917 al 1920, il lavoro teatrale prende decisamente il sopravvento con la realizzazione di una lunga serie di opere.
D’altra parte non trascurava neppure la narrativa, continuando a stendere e a raccogliere le sue novelle, nelle quali sperimentava, nel breve arco del racconto, una tecnica personalissima collegata all’esperienza teatrale e ad essa complementare.
Nel 1921 la rappresentazione di una delle sue più originali opere teatrali, “Sei personaggi in cerca d’autore”, aveva suscitato aspre polemiche, ottenendo, dopo un iniziale insuccesso, un vero e proprio trionfo fino ad essere tradotta e rappresentata in tuta Europa.
Ormai Pirandello è considerato uno tra i maggiori drammaturghi viventi e il suo nome è celebre ovunque.
Un successo è anche la prima di “Enrico IV”, a Milano nel 1922. L’anno successivo compie il primo viaggio all’estero per motivi artistici in Francia, ed è l’inizio di un trionfale tour europeo che proseguirà a New York.
Rientrato in Italia, nel 1924, termina il romanzo “Uno, nessuno, centomila”, e dal 1925 diventa direttore artistico del «Teatro d’Arte di Roma», fondato da alcuni giovani scrittori e dal figlio Stefano, realizzando una famosa compagnia teatrale con Marta Abba e Ruggero Ruggeri, che porta nelle principali città europee e americane il suo teatro.
La fama del drammaturgo e del narratore è ormai definitivamente consolidata, e così nel 1929 è nominato accademico d'Italia e, alcuni anni dopo, nel 1934, il premio Nobel per la letteratura giunge a testimoniare la portata mondiale del suo lavoro. Di ritorno dall’assegnazione del Nobel a Stoccolma, assiste a Praga alla rappresentazione della sua ultima commedia, “Non si sa come”. Lavora intanto ai “Giganti della montagna”, scrive i dialoghi per il film tratto dal “Fu Mattia Pascal” e continua a pubblicare sul «Corriere della Sera» le sue novelle.
Ammalatosi di polmonite durante le riprese cinematografiche de “Il fu Mattia Pascal”, Pirandello muore nella sua casa di via Antonio Bosio la mattina del 10 dicembre 1936. La morte lo coglie al culmine della fama e ancora in piena attività creativa.

I TEMI PIRANDELLIANI
Pirandello è uno scrittore complesso, talvolta cervellotico nell’immaginare le situazioni in cui colloca i suoi personaggi, ma sempre ricco di inventiva e capace di sollecitare la partecipazione del lettore o dello spettatore.
I temi su cui egli ha maggiormente insistito nei suoi lavori letterari sono quello della solitudine dell’uomo e quello dell’illusorietà e dell’instabilità dei rapporti interpersonali. Per Pirandello ogni individuo presenta agli altri una fisionomia molteplice e cangiante, inafferrabile proprio per la sua continua mutevolezza. E’ come se ciascuno di noi avesse non una ma molte personalità, e tutte diverse. A Tizio appariamo in un certo modo, a Caio in un altro, a seconda dei nostri umori; ma anche a seconda del loro umore, che contribuisce a farci risultare in una luce sempre diversa. Persino a noi stessi il nostro io manifesta, secondo i momenti, un volto differente: siamo capaci di bontà e di cattiveria, di generosità e di viltà, di affetto e di invidia.
Come si vede Pirandello avverte acutamente una certa crisi d’identità che il soggetto prova nei nostri confronti in un mondo caotico e in continua trasformazione di una società (quella industriale) che ha distrutto la stessa possibilità di un’autentica intesa tra le persone. Egli avverte, anche, una forte crisi di fiducia nell’oggettività delle cose e delle idee.
Tutto ciò che rientra nel raggio della nostra esperienza non è altro che un’apparenza illusoria; non ci sono certezze (tanto meno scientifiche), ma solo dubbi, e una costante e convulsa ricerca di qualcosa che possa appagare il nostro desiderio di felicità.
E si pensi che Pirandello scriveva in un’epoca caratterizzata da grandi entusiasmi per le nuove possibilità offerte dalla scienza: ma a cosa servono le conoscenze scientifiche, se l’uomo stesso è così fragile ed inafferrabile? Quasi a reagire a questo perenne senso di incertezza, i personaggi teatrali di Pirandello dialogano fittamente tra loro. Essi vivono interamente in questo loro dialogo, che è tutto intessuto di amare confessioni, di angosciose richieste, di finte indifferenze che celano in realtà il desiderio di sollecitare l’interessamento degli altri per i propri casi.
Ma è un dialogare tra sordi, tra gente che non si comprende: il vero volto di ciascuno sembra continuamente fuggirci e quello che prima ci appariva uno strano burlone, magari un po’ folle, di colpo ci appare come un uomo disperato, che porta dentro di sé una tragica esperienza.
La narrativa di Pirandello si ispirava, agli inizi del novecento, ai canoni del verismo. Inoltre apprese preso le regole del verismo seguendo la scia del Capuana, il quale rappresentava obbiettivamente e descriveva attentamente ogni minimo particolare. Una delle leggi fondamentali era il principio dell’impersonalità. La realtà veniva ricostruita secondo una sua meccanica interna, attraverso la concatenazione rigorosa di causa ed effetti. Alla sua base si trovava una tendenza di natura vagamente sociale, un interesse per gli ambienti e le figure della piccola borghesia e del popolino, una spiccata predilezione per la casistica sentimentale e passionale al livello più comune, pur senza esclusione di situazioni tese e di colpi di scena spesso melodrammatici.

OPERA:
• Titolo e anno di pubblicazione;
• Tempo di durata dell’azione e luoghi in cui si svolgono i fatti;
• Riassunto dell’opera;
• Analisi fisica e psicologica dai personaggi principali;
• Messaggio dell’autore;
• Valutazione personale dell’opera letta;

TITOLO E ANNO DI PUBBLICAZIONE
Il libro è intitolato “Il fu Mattia Pascal”. Fu scritto nel 1904, in un momento di precaria situazione economica dello scrittore, con la moglie malata e tre figli bambini. Giovanni cena gli propone di scrivere un romanzo a puntate per la «Nuova Antologia». Ne compose lunghi tratti la notte, vegliando la moglie, e senza avere in mente alcun piano preordinato della vicenda. Il romanzo uscì tra l’aprile e il giugno del 1904 sulla rivista e nel 1910 a Milano in volume. Nel caso particolare è stato pubblicato nel 1988 dalla casa editrice «Arnoldo Mondadori Editore»

TEMPO DI DURATA DELL’AZIONE E LUOGHI IN CUI SI SVOLGONO I FATTI

Nel testo non viene detta la durata della vicenda, sappiano solo che Mattia comincia la sua narrazione all’età di quattro anni e mezzo, e si ha una sua descrizione all’età di diciotto anni. Tenendo conto anche dei due anni in cui Mattia si allontana dalla sua casa, approssimativamente potremo affermare che la vicenda ha una durata di 25-30 anni.
La storia si ambienta in quattro diversi luoghi: Miragno, la città natale di Mattia; Montecarlo, dove si reca dopo aver perso il lavoro e dove trova la fortuna; Oneglia, la città in cui vive suo fratello, e Roma, dove vive per due anni sotto falso nome.

RIASSUNTO DELL’OPERA
Il protagonista, Mattia Pascal, si trova costretto a ricostruirsi un’identità perché, in seguito alla sua presunta morte, deve crearsi un personaggio tutto nuovo inventandogli un passato e perciò si trova a vivere in una situazione alquanto strana.
La prima parte del racconto è molto narrativa; infatti racconta della sua gioventù trascorsa nell’ozio e nell’agiatezza più sfrenata senza curarsi minimamente della situazione finanziaria, poiché sua madre aveva preso la decisione di far amministrare tutto il patrimonio lasciatole dal marito, morto in seguito ad un naufragio, ad un certo Malagna, che si era offerto volontariamente di aiutare la vedova Pascal nella gestione del patrimonio, ma che in realtà aveva come unico fine quello di frodare la famiglia e di speculare sull’eredità.
Mattia Pascal narra delle sue prime avventure amorose, dapprima con Olivia, da cui avrà un figlio, ma che non sposerà mai, perché già fidanzata con il Malagna, ed in seguito con Romilda Pescatore, la ragazza che inizialmente Mattia voleva far fidanzare con suo amico Pomino, ma che poi sposerà in seguito ad un fidanzamento. Questo matrimonio non fu altro che la rovina sia economica sia psicologica di Mattia, perché causò una serie di disagi, grazie soprattutto alla suocera, che lo condurranno al punto di fuggire da casa.
Dovette abbandonare il posto di bibliotecario fattogli assegnare dal padre di Pomino, che gli aveva dato modo di guadagnarsi da vivere. Infatti Pascal era un classico buono a nulla neanche tanto istruito e perciò era molto difficoltoso per lui trovare un lavoro, soprattutto per il dissesto finanziario in cui si trovava.
Dopo la sua scomparsa, si recò a Montecarlo dove la fortuna lo assistì e gli fece vincere al casinò oltre ottantamila lire, ma nel frattempo vicino al canale all’interno del suo podere della Stia venne trovato il cadavere di un uomo che gli somigliava perfettamente e che tutti identificarono come Mattia Pascal.
Mentre tornava a casa, sul treno, mentre leggeva un giornale, trova il necrologio con scritto il suo nome e questo fatto sconvolge radicalmente la sua esistenza. Infatti dapprima decide di rientrare a Miragno, la sua città, ma poi si rende conto che non è il caso di tornare a casa per farsi defraudare dai suoi creditori e perciò prende la decisione di cambiare vita.
E’ proprio quest’evento la scintilla che fa nascere, o forse emergere, il suo desiderio di libertà suprema che lo farà vivere per oltre due anni viaggiando senza meta, ma costretto alla macchia” per paura di ridare vita ad una persona ormai creduta morta. Infatti, costruire il personaggio di Adriano Meis deve tenere conto di tanti particolari in modo da non destare alcun sospetto riguardo alla sua vera identità.
Dopo aver viaggiato per molte città decide di stabilirsi a Roma dove trova alloggio nella casa del Sig. Anselmo Paleari, un anziano borghese squattrinato ormai solo accecato dalla fissazione dell’occulto e del mondo della magia. In casa vive anche una ex pianista, la signorina Caporale, zitella ossessionata dalla sua bruttezza e dalla mancanza di un uomo. Il Paleari tiene in casa con sé la figlia Adriana che accudisce alla casa e si prende cura sia della Caporale sia di Adriano Meis, soprattutto nel periodo della convalescenza. Infatti Mattia Pascal era strabico per via della cateratta e fu questo un particolare che gli fece pensare di cancellare definitivamente la sua vecchia personalità facendosi operare e cambiando così il suo aspetto.
Col passare dei mesi il protagonista si innamora di Adriana e giunge fino quasi al punto di decidere di sposarla, ma una serie di problemi alla fine gli fanno cambiare idea in modo del tutto inaspettato. Infatti, Adriano non avrebbe mai potuto sposarla perché in realtà era un altro, Mattia Pascal, che a sua volta era sposato con Romilda Pescatore.
Tuttavia, in seguito ad un furto operato dal fratello del Paleari, Adriano Meis decide di tornare a Miragno per riprendersi la sua vera identità che aveva perso non a causa della sua presunta morte, ma solamente per sua volontà. Prima di giungere al suo paese passa a trovare il fratello Berto, che alla vista rimane esterrefatto. E proprio qui viene a sapere del matrimonio di Romilda con Pomino, e perciò decide di rovinare tutto riprendendosi sua moglie.
Tornato a Miragno e giunto in casa di Pomino, trova addirittura una bambina, figlia dei due coniugi, ed è per questo motivo che Mattia decide di non riprendersi Romilda.
Lo sgomento che provoca la ricomparsa di Mattia è notevole, tanto da mettere in agitazione Pomino, Romilda e la vedova Pescatore; nonostante la lunga litigata con questi Mattia decide alla fine di riprendersi la sua vera identità, ma di non rovinare il matrimonio dei due, e perciò si reca a farsi riconoscere dai concittadini, in particolar modo da don Eligio, e va a vivere insieme alla zia Scolastica. Mattia lavorerà come bibliotecario, e vivrà il resto della sua vita contemplando la vita degli altri e scrivendo le sue incredibili memorie. Gli accade qualche volta di portare dei fiori allo sconosciuto che scambiarono per lui, e se gli si chiede che sia, risponde: «Eh, caro mio… io sono il fu Mattia Pascal!».

ANALISI FISICA E PSICOLOGICA DEI PERSONAGGI PRINCIPALI
• Mattia Pascal: aveva una faccia placida e stizzosa, e degli occhiali rotondi per correggere un suo difetto alla vista, e alla maggiore età gli comparve un barbone rossastro che gli nascondeva il naso e il mento piccolo. Ossessionato dalla moglie e dalla suocera, sfrutta abilmente quella sua morte apparente per rifarsi una vita, che lo porterà ad essere un morto che vive, seppur sotto altro nome, che non potrà più possedere niente, anche se alla fine, troverà il coraggio di ritornare a casa sua.
• Madre di Mattia: incapace di amministrare l’eredità lasciatale dal suo marito, decide di affidare questo compito ad un ragazzo. Era una santa donna, di indole schiva e molto placida, e scarsa esperienza della vita e degli uomini. Parlava con accento nasale e rideva anche con il naso. Era di corporatura molto gracile, e dopo la morte di suo marito, era sempre ammalata. Voleva i suoi figli molto vicini, a causa della sua tenerezza quasi morbosa, e non usciva mai da casa se non la domenica per andare in chiesa.
• Gerolamo Pomino: era un “omino lindo”, aggiustato, dagli occhi ceruli e mansueti, e considerato da tutti sciocco. Amico di Mattia, sfrutta la scomparsa di Mattia per sposarsi con Romilda.
• Precettore Pinzone: il suo vero nome era Francesco, o Giovanni, Del Cinque, ma tutti lo chiamavano Pinzone. Era un uomo molto magro e molto alto, e sarebbe stato ancora più alto se non fosse stato per quella gobba sotto la nuca. Aveva degli occhietti furbi, che hanno visto sicuramente cose che né Mattia né sua madre vedevano nella loro casa.
• Betta Malagna: era un uomo molto grosso, dal pancione “languido ed enorme” e da “gambette tozze”, portava i baffi e il pizzo, e il cappello sulle “ventitré”. Con una simile fattezza, sembrava un ladro: andava piano, con quella sua pancia pendente, sempre con le mani dietro la schiena, e tirava fuori con tanta fatica quella sua voce molle e miagolante.
• Vedova Pescatore: il suo vero nome era Marianna Dondi, e non era molto contenta del ritorno di Mattia.
• Anselmo Paleari: anche lui un personaggio molto sciocco, che crede alle sedute spiritiche.
• Adriana: figlia del Paleari, si occupa di tutto nella sua casa. Si innamora di Adriano Meis, che in realtà è il nome da “morto” Mattia Pascal.
• Signorina Caporale:, ex pianista, vive in casa del Paleari, era una zitella ossessionata dalla sua bruttezza e dalla mancanza di un uomo.
• Romilda Pescatore: moglie di Mattia, era bella e formosa, e con l’aiuto della madre si accaniva spesso con Mattia.
• Zia Scolastica: veniva spesso a trovare la madre di Mattia. Era sorella del padre di Mattia, una zitella bisbetica, con un paio d’occhi da furetto, bruna e fiera. Voleva a tutti i costi che la madre di Mattia riprendesse marito, e non aveva in simpatia il Malagna, l’amministratore dell’eredità.

MESSAGGIO DELL’AUTORE
Il primo argomento che Pirandello discute è quello della fortuna, alla quale attribuisce molti significati. Ha un modo di interpretarla tutto personale perché secondo lui non è come una ruota che gira e insegue la persona che vuole beneficiare, ma piuttosto siamo noi uomini ad inseguirla e a cercarla, ed inoltre aggiunge che non è tanto introvabile e rara, basta quindi cercarla e perseverare.
Il significato degli oggetti compare verso la parte centrale del romanzo ed è di rilevante importanza perché secondo l’autore ogni oggetto non è fine a se stesso, ma è in relazione con noi e con gli avvenimenti che ruotano intorno a noi. Infatti un oggetto non è bello per puro caso, ma solo perché noi lo interpretiamo a nostro modo e lo “personalizziamo”, inserendoci qualcosa di noi, e così suscita in noi sensazioni più o meno gradevoli. Ad aggiungersi a tutto questo c’è la nostra fantasia che nella maggior parte dei casi contribuisce ad abbellire gli oggetti cui siamo legati.
Un problema che Pirandello solleva spesso è quello dell’incomunicabilità tra uomo e natura, infatti, sostiene che gli esseri umani tentano di capire quello che la natura ci comunica, ma non riusciamo a comprenderne nemmeno la minima parte, mentre, invece, questa ci lancia dei messaggi chiari e comprensibili di disagio, causato esclusivamente dall’uomo.
L’amicizia è molto importante ai fini della vita in società, perché senza un amico viviamo soli e sperduti, e non si ha nessuno che ci possa aiutare in caso di bisogno. Però un amico è una persona con cui dobbiamo essere sinceri e a cui si devono confidare i propri pensieri più nascosti e le proprie sensazioni. Mattia Pascal aveva forse qualche amico, mentre Adriano Meis non poteva averne perché viveva nella menzogna, anche se vi era costretto, e quindi, non potendo dire nemmeno il suo vero nome, viveva una sorta di recitazione continua alla quale credeva realmente persino lui stesso. Per l’autore l’anima e la mente sono in stretto contatto tra loro.
Pirandello ha una visione della vita del tutto personale perché secondo lui, per conoscere bene la vita e il suo scopo, bisogna conoscere prima la morte, o meglio dobbiamo passare attraverso la morte per comprendere l’essenza reale della vita. Il passato di una persona è come un’ombra che rimane impressa sul pavimento grazie alla luce e che ci segue sempre. L’unica variazione è nella sua lunghezza o nella sua larghezza, ma è sempre con noi, e non possiamo liberarcene perché è un nostro patrimonio personale e che non possiamo cancellare perché rispecchia noi stessi e il nostro passato.
Il tema principale è ancora una volta quello della solitudine che si articola nei più svariati modi, ma che presenta sempre un’angoscia dell’intero genere umano o forse una paura che non riusciamo ancora a vincere. La solitudine si manifesta per causa nostra perché siamo noi ad isolarci dagli altri, di nostra volontà, e perciò non è la solitudine a cercarci perché non può esistere senza la nostra volontà. Per causa nostra, oltre a ritrovarci soli, riscontriamo notevoli difficoltà ad allacciare rapporti con gli altri, che sono già difficoltosi per varie cause che non dipendono da noi in prima persona, ma dagli altri o dal semplice vivere in società. Purtroppo le personalità sono già differenti in ognuno di noi e perciò moltiplicandole per il numero delle persone esistenti al mondo, o già sufficientemente per il numero delle persone che vivono in relazione di una persona, si avrà una miriade di combinazioni, e pertanto risulta veramente difficile individuarne e trovarne una veramente riuscita.
La libertà è forse il vero sogno del cassetto di Pirandello, ma è anche vero che è irraggiungibile in senso assoluto perché, per vivere in società, bisogna rispettare prima di tutto quella degli altri e perciò questa è già una prima limitazione.
Inoltre c’è un governo, uno stato, a cui dobbiamo pagare le tasse e da cui dobbiamo farci riconoscere tramite l’anagrafe, e poi c’è il problema del denaro, che limita le nostre scelte. Perciò la libertà non è nient’altro che un’utopia che non sarà mai possibile raggiungere.

VALUTAZIONE PERSONALE DELL’OPERA LETTA
E’ stato uno dei libri che mi è piaciuto di più, la storia del personaggio di Mattia, che muore per due volte, e che per altrettante torna in vita. Quando si trova nei panni di Adriano Meis, però, non saprei se considerarlo un personaggio davvero vivo, oppure un fantoccio costretto a mentire per vivere, e per non farsi riconoscere chi è in realtà. Mattia, o meglio Adriano, è riuscito ad andare avanti in queste condizioni anche per troppo tempo, prima di decidere di far morire il personaggio di Adriano e far tornare in vita Mattia, con tutte le conseguenze che questa scelta poteva portare. Con la sua morte apparente, Mattia ha voluto scoprire la libertà, andare in luoghi senza essere riconosciuto, ma ben presto ha dovuto fare i conti con l’angoscia di vivere sotto falso nome e che lo ha portato a isolarsi dagli altri.

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