fra rabbia e nostalgia

Materie:Scheda libro
Categoria:Italiano
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Testo

Schedatura de
Gina Basso Fra rabbia e nostalgia Fabri Editori Milano 2003
"Fra rabbia e nostalgia" affronta, attraverso la storia di due ragazzi neri, un argomento scottante attualità: l'inserimento degli extracomunitari nel nostro Paese. La storia è ambientata a Milano, ha inizio in un parcheggio di auto in demolizione, dove un giornalista, Beltrami, osservava la vita degli extracomunitari per poi scriverne un articolo. Beltrami era disgustato dal modo di vivere di quegli uomini, non avevano diritti, dormivano in macchine abbandonate, pochi avevano un lavoro ed erano costretti a vivere in un luogo privo di igiene, dove con un solo recipiente d’acqua dovevano lavarsi almeno venti persone. Beltrami, questo non lo capiva, non capiva la vita difficile degli extracomunitari e quanti problemi dovevano affrontare ogni giorno; osservando tutto questo, l’unica cosa che provava era il disgusto e li considerava dei selvaggi e degli sporcaccioni. Due uomini lo colpirono particolarmente: erano Tourè e Yasser, il primo doveva avere più o meno sedici anni, quasi a dispetto dell’altezza, due metri o poco meno, era uno Yoruba, ossia un sudanese che abitava nel Togo; l’altro, più basso e tarchiato, era anche lui un sudanese, ma del ceppo Wolof. Discutevano animatamente nella loro lingua e il giornalista cercava di capire ciò che dicevano, ma era praticamente impossibile perché il loro linguaggio era incomprensibile. I due vivevano in una Dyane bianca, erano bravi ragazzi, andati via di casa per cercare un lavoro e una vita migliore in Europa, ma non pensavano che fosse così difficile trovare un lavoro e una casa. Questi ragazzi, a differenza dei loro amici, avevano trovato un lavoro in un cantiere ed erano veramente felici, anche perché quel giorno avrebbero ricevuto la loro prima busta paga. Il giornalista dopo che aveva atteso che tutti “i campeggiatori” erabo andati via, aveva deciso di tornare in redazione per scrivere l’articolo, che in verità aveva già in mente da prima di andare nel parcheggio. Avrebbe scritto le condizioni in qui vivevano questi uomini: in condizioni prive di igiene, dove da un momento all’altro sarebbe scoppiata un’epidemia; nel suo articolo voleva far sapere alla polizia e ai vigili urbani che esistevano dei villaggi abusivi e far si che le autorità agiscano. Sapeva quanto chiasso e quanta sporcizia procuravano ai vicini, e per colpa di questi “campeggiatori” bisognava stare continuamente in allarme per il pericolo di furti, risse o violenze, e di certo non si sarebbe fatto degli scrupoli per inserire anche questo nel suo articolo.
Era finalmente arrivato il momento della paga; Tourè era felicissimo e in poco tempo aveva raggiunto il posto di lavoro, era un lavoro piacevole per lui, anche perché fin da piccolo era abituato ad arrampicarsi sulle palme di cocco, e per lui scalare i ponteggi e arrivare sulla cime dell’impalcatura era un gioco da ragazzi. Amava il suo lavoro, ma come ogni extracomunitario, all’inizio non veniva accettato, i suoi colleghi lo chiamavano “brutta scimmia” o “sporco negro”, ma lui doveva accettare ogni battuta, in silenzio, perché se avrebbe reagito avrebbe perso il posto di lavoro. Ma a poco a poco i suoi colleghi avevano smesso di prenderlo in giro e lo presero anche in simpatia. Lui ce la metteva tutta per farsi piacere: era rispettoso ed era pronto ad aiutare chiunque, anche se era molto affaticato e stanco. Ora era arrivato il momento di premiare i suoi sforzi e di ricevere la sua busta paga, finalmente avrebbe potuto comprarsi un paio di scarpe nuove. Il ragioniere lo aveva fatto entrare in ufficio e gli aveva dato duecentocinquanta mila; Tourè era felicissimo, perché non aveva mai visto tanti soldi in vita sua; ma non pesava che lo avevano imbrogliando: con la scusa che lui era negro non lo avevano assicurato e gli avevano dato molto meno di quanto gli spettava, ma Tourè non capì l’imbroglio, e non pensava minimamente che i soldi che gli avevano dato erano meno di quanto avevano dato agli altri suoi colleghi.
Finito il turno di lavoro, decise di andare a cercare casa, ma gli appartamenti costavano trecentomila lire soltanto per un letto, e dopo aver girato tutta la città, verso sera, decise di tornare nel parcheggio delle auto per riposarsi fino al mattino successivo.
Quella mattina il giornalista Beltrami aveva ricevuto visite, si trattava di Silvia Cardullo, una giovane e bella ragazza che apparteneva alla Caritas, lei aveva aiutato Tourè e Yasser a trovare un lavoro; continuava ad aiutare gli extracomunitari e si batteva per i loro diritti. Silvia era fortemente legata ai suoi ideali e non poteva permettere che un giornalista qualunque scrivesse certe cattiverie e falsità su quella povera gente, costretta a vivere in tale miseria; allora aveva deciso di parlare con quel giornalista, per spiegargli che per scrivere un articolo non bastava soltanto “andare, guardare e riferire” ma bisognava guardare nell’animo della gente. Silvia si era presentata nell’ufficio del signor Beltrami e, mentre parlava, cominciava ad essere sempre più dura e spietata, cercando di far capire al giornalista come un extracomunitario era costretto a vivere. Beltrami non sapeva come reagire a queste accuse e si faceva sempre più paonazzo. In quel momento il fattorino del giornale, Filippo, era corso immediatamente da Beltrami per dirgli che nell’accampamento del suo articolo c’era stato un incendio doloso, ma non c’era stata nessuna vittima. Tourè e Yasser, appena saputa la notizia, erano corsi subito nell’accampamento, ma ormai non era rimasto più nulla da salvare. I due amici avevano voglia di piangere ma dovevano farsi forza e ricominciare da capo, riuscirono a trovare un albergo e con i loro stipendi cercare di sopravvivere.
Il giorno successivo, Beltrami decise di chiamare la signorina Silvia per sapere come stavano i due ragazzi, e ne aveva approfittato per chiederle un appuntamento, con la scusa che aveva molte cose da chiarire. Silvia aveva accettato volentieri e si erano dati un appuntamento a casa della signorina, verso l’ora di cena. Lo stesso giorno, al cantiere era stata più dura del solito, dopo l’incendio, Tourè e Yasser venivano visti come delle minacce per la città, venivano insultati e minacciati. Ma finalmente la dura giornata di lavoro era finita e i due amici erano andati in giro per tutta la città per cercare un posto per dormire, erano andati da un prete ma non aveva più posto, infine decisero di andare dal signor Ambrogio, un uomo ormai anziano, che li aveva ospitati quando erano appena arrivati a Milano, ma dopo un po’ di tempo era stato costretto a mandarli via, perché le sue condizioni fisiche lo avevano costretto ad andare in ospedale. Ma il vecchio uomo, anche se ora era più sano che mai, non aveva potuto ospitarli, anche se era molto affezionato a loro, perché aveva paura che gli bruciassero la casa come era successo per l’accampamento.
Si era ormai fatta sera e Tourè e Yasser tornarono nell’albergo, continuarono a lottare per trovare una casa e in quel momento di difficoltà, per fronteggiare l’angoscia Yasser aveva fatto ricorso alla preghiera, ma anche Tourè, anche se di religione diversa, aveva pregato con lui. In quel dormitorio dovevano dividere la loro stanza con altri cinque ragazzi extracomunitari: i primi due erano Sambu e Sikou, uno proveniva dal Madagascar e l’altro dalla Namibia. Si erano trasferiti a Milano da venti giorni, ma parlavano l’italiano molto bene, non avevano più un lavoro e i loro risparmi erano ormai finiti; gli altri due erano Marsik e Habib, ragazzi che facevano i vù cumprà e dovevano andare su e giù per la città con un grosso fagotto nelle spalle, talmente pesante che avevano una spalla più bassa dell’altra. Quella sera arrivò anche un settimo inquilino, un ragazzo che si faceva chiamare Robert, era restato poco nel dormitorio, infatti, aveva trovato un alloggio a quattro stanze e grazie ad un lavoro sporco, guadagnava molti soldi. Una volta andato via Robert era arrivato un ragazzo slavo ad occupare il suo letto: Stanko, era appena uscito dal carcere, ma non era un delinquente, era stato arrestato solo perché faceva il “gioco delle tre tavolette” alla stazione.
La mattina dopo era stata una giornata stupenda e indimenticabile. I due amici stavano cercando una casa e un lavoro migliore; ma non sapendo a chi rivolgersi decisero di chiedere aiuto a due ragazze nere, che erano sedute in una panchina non distante da loro; provenivano dalle isole del Capo Verde, e decisero di chiedere alle ragazze se avevano trovato una casa a poco prezzo. Le due ragazze erano decisamente buffe: indossavano minigonne colorate, fra i capelli portavano nastri, fiocchi e forcine d’ogni genere, indossavano scarpe dorate con tacchi alti e sembravano, a prima vista, ragazze felici. Dopo una lunga conversazione, Yasser e Tourè capirono che queste ragazze non avevano i loro stessi problemi, infatti, lavoravano per una agenzia: facevano le cameriere, ma erano ben pagate e giravano per tutti i grandi alberghi di lusso. Si chiamavano Myriam, la più grande, e Zuzana, erano due cugine e avevano fatto subito amicizia con i due senegalesi. I due ragazzi, dopo aver fatto una lunga chiacchierata con le due ragazze, le accompagnarono fino al loro albergo, dove il loro capo –il signor Alvaro- le aspettava impaziente. Si erano scambiati gli indirizzi e si erano promessi che si sarebbero rivisti.
Quella stessa sera il signor Giorgio Beltrami era andato a casa di Silvia, per il loro appuntamento; ma si stupì nel vedere che a casa sua c’erano anche i due senegalesi che avevano perso la casa in quell’incendio. Giorgio ne approfittò per fargli alcune domande sulla loro vita. Tourè aveva raccontato la sua storia e aveva raccontato come era arrivato in Europa. Diceva che fin da piccolo lavorava nelle piantagioni di cacao e pescava tonni con la sua famiglia; ma un giorno aveva deciso di partire, perché si era stufato di quella vita e voleva che la vita del suo villaggio migliorasse, pensava che in Europa ci fossero tante possibilità di lavoro, ma invece scoprì, a sue spese, che anche in Europa ci sono tanti miserabili.
Sapeva bene che nel suo paese ogni giorno era uguale al precedente, e prima che cambiasse qualcosa sarebbero serviti molti anni. Invece in Europa bisognava soffrire e subire ogni umiliazione, però sapeva che ogni giorno sarà un po’ meno faticoso dell’altro e sempre un po’ più diverso. Era partito in nave, e grazie ad un prete che si occupava della sua tribù riuscì a partire e ad avere le carte in regola. Nella nave aveva incontrato Yasser ed erano subito diventati amici. Quando erano sbarcati a Genova pensavano di avere abbastanza soldi per sopravvivere almeno un paio di mesi, ma gran parte dei loro risparmi erano finiti in mezza giornata. All’inizio non avevano trovato lavoro e dormivano in un porto insieme a tutti gli altri immigrati ma poi incontrarono un uomo, anche lui immigrato, che gli aveva offerto un lavoro non troppo onesto; loro avevano il compito di scassinare le automobili e prendere tutto ciò che trovavano; ma per fortuna avevano capito l’imbroglio e decisero di cercarsi un altro lavoro, perché volevano guadagnarsi i soldi per vivere onestamente.
Andarono in giro per tutta la città in cerca di una chiesa, dove poter alloggiare per un po’, almeno fino a quando avrebbero trovato un lavoro. Trovarono un rifugio nella chiesa di don Ernesto, che dopo poco tempo era riuscito a trovargli un posto alla Caritas, dove in seguito la signorina Silvia gli aveva trovato un lavoro.
Ad un certo punto Tourè aveva smesso di raccontare la sua storia perché aveva ricevuto una telefonata dal proprietario di un bar, che diceva che una ragazza di nome Myriam si era rinchiusa in un bagno e si rifiutava di uscire, perché l’avrebbero uccisa. Tourè si era precipitato subito al bar, aveva preso Myriam e la aveva portata in macchina con Giorgio e Silvia. La ragazza piangeva e balbettava qualcosa in creolo; Tourè riusciva a capire ciò che diceva e aveva capito che il suo lavoro, e quello di Zuzana, non era quello delle cameriere ma delle prostitute, le due ragazze non lo sapevano e per colpa della loro ignoranza e della loro razza venivano sfruttate.
Myriam era riuscita a dare alla polizia una descrizione dettagliata dell’albergo in cui alloggiava; sapeva che ogni particolare era importante per riuscire ad arrestare gli sfruttatori e per ritrovare Zuzana. Yasser era molto affezionato a Zuzana e faceva di tutto per ritrovarla. Le ricerche erano proseguite bene, fino a quando il sabato successivo c’era stato un incidente al cantiere: un ragazzo palermitano era precipitato da un’impalcatura e si era sfracellato al suolo. Il cantiere, dopo quell’episodio, era stato chiuso, anche perché erano state ignorate le norme di sicurezza ed erano stati commessi imbrogli e irregolarità di ogni genere. Gli operai che erano registrati dopo pochi mesi avrebbero riavuto il lavoro; ma Tourè, che non era stato registrato ed era sottopagato, perse completamente il lavoro. I suoi compagni di cantiere, però, si erano offerti di aiutarlo e di fare una colletta; per la prima volta qualcuno considerava Tourè un vero uomo e lui si sentiva commosso.
Nel frattempo al dormitorio erano arrivati altri due inquilini: Janos e Stanislaw, due lavamacchine polacchi. I due avevano offerto a Tourè un lavoro; lui era contento di lavorare; anche se ciò che guadagnava doveva essere versato a un fondo comune con altri membri della cooperativa e poi diviso in parti uguali. Dopo qualche tempo, quel lavoro non era più un segreto per Tourè; aveva imparato a riconoscere gli uomini che accettavano il servizio. Una sera Tourè, dopo aver finito il suo turno di lavoro, si era seduto su una panchina ad aspettare i compagni della cooperativa, ma dopo poco fra di essi si era accesa una discussione che dopo poco di trasformò in una lite; volavano pugni e calci, finché qualcuno aveva afferrato un coltello e aveva colpito il cassiere, poco dopo qualcuno aveva messo nelle mani di Tourè il coltello insanguinato, e prima che lui capisse cosa era successo, la polizia lo aveva già portato in tribunale. Dopo le accuse e le sue difese inutili, Tourè venne rinchiuso in carcere. In prigione aveva conosciuto tanta gente che aveva avuto precedenti penali, ma erano tutti bravi ragazzi, a partire da Giuseppe, il più vecchio ma anche il più saggio e il più cordiale di tutti, aveva fatto subito amicizia con Tourè e sapeva che era innocente, anche se non poteva dimostrarlo.
Anche gli altri carcerati si mostrarono cordiali e pronti ad aiutarlo.
Grazie a Silvia, a Giorgio e Myriam dopo breve tempo le accuse erano state smentite e Tourè poté uscire e riabbracciare la sua fidanzata. Dopo l’uscita di prigione, Silvia e Giorgio organizzarono una festa per festeggiarlo e per fargli riabbracciare i suoi vecchi amici. Era già passato un anno ed era arrivato l’otto marzo, il compleanno di Yasser, ma lui non era felice, infatti, invidiava il suo amico che aveva Myriam, lui invece non aveva nessuno e aveva perso anche la sua ragazza.
Yasser si era abbastanza staccato dai suoi amici, era cordiale come al solito, ma i suoi momenti di malumore erano sempre più frequenti. L’unica sua ragione di vita era quella di trovare Zuzana, infatti, dopo poco tempo riuscì a trovarla; un giorno aveva visto il signor Alvaro in un bar e dopo averlo tenuto sotto osservazione per lungo tempo, aveva visto che portava di peso una ragazza tale e quale a Zuzana in una villetta isolata; grazie all’aiuto dei carabinieri riuscirono a trovare e a salvare Zuzana; lei era sconvolta, ma grazie all’aiuto di Yasser, che era felicissimo di aver ritrovato la sua ragazza, e la signorina Silvia, Zuzana si riprese completamente da quella brutta avventura.
Dopo breve tempo le due ragazze trovarono un lavoro alla Caritas, ascoltavano le storie delle ragazze extracomunitarie che avevano ricevuto il loro stesso trattamento, cercavano di trovare loro un lavoro e una casa. Invece, Yasser e Tourè si erano inseriti in una comunità di nigeriani, e anche loro volevano aiutare questi ragazzi sfortunati; i due amici venivano visti come simbolo di valori, infatti, avevano fiducia in se stessi, lottavano per i diritti dei neri e mostravano quanto era importante la solidarietà.
Nel frattempo Myriam e la cugina dovevano affrontare un grosso problema: una congolese, che si chiamava Keita, era scappata dal suo padrone e dal suo lavoro in cerca di un attività dove le paghe erano oneste.
Keita lavorava in una fabbrica di provincia, il suo padrone la sfruttava e al termine del periodo di lavoro gli aveva promesso, insieme alle altre sue colleghe, un appartamento; ma l’affitto le veniva trattenuto nella busta paga, che si faceva sempre più magra. Zuzana e Myriam riuscirono a portare in tribunale la congolese per testimoniare contro quell’uomo, così che le sue compagne vengano liberate.
Durante il processo Zuzana e Myriam, da vittime e accusatrici che erano, si trovarono ad essere loro le imputate, soltanto per il colore della pelle. Il tribunale diceva che erano colpevoli di aver turbato la tranquillità di coscienza degli “onesti cittadini”; di aver portato alla luce traffici e disonestà che si preferiva ignorare, di aver messo a repentaglio la buona reputazione dei cittadini. Queste vicende fanno capire al giornalista quanto la legge non sia uguale per tutti, quanto sia gran il razzismo dei bianchi e la volontà di colpire i più deboli.
Ma grazie al “Cubano”, l’uomo che assumeva le prostitute, Zuzana e Myriam vennero riconosciute innocenti; egli aveva affermato che le ragazze venivano assunte per fare le cameriere e non sapevano che sarebbero state costrette a prostituirsi; il cubano venne arrestato e il resto del processo si ridusse a semplici formalità.
La sera dopo Silvia e Giorgio avevano organizzato una festa per proclamare la vittoria; dopo vari festeggiamenti Silvia e Giorgio decisero di sposarsi, ma anche Tourè e Myriam, e Yasser e Zuzana si sposarono.
Il libro di Gina Basso è un romanzo realistico, perché racconta la storia di due ragazzi extracomunitari, costretti a vivere in una città come Milano in cerca di un lavoro e una casa. Può essere considerato anche un romanzo con caratteri psicologici, perché grazie alla storia di Tourè e Yasser riusciamo a capire a fondo il problema del razzismo, la difficoltà di inserirsi in una nuova società, la necessità di sopravvivere e la voglia di migliorare se stessi per aiutare il proprio paese. Può essere, infine, anche un romanzo d’analisi, perché l’interiorità del personaggio diventa l’elemento fondamentale della narrazione. L’attenzione della scrittrice si sposta dall’interno all’esterno, dall’analisi che lega il personaggio al contesto sociale allo scavo dei sentimenti.
Lo spazio è interamente occupato da Milano, una grande città caotica e molto movimentata. Le vicende iniziali avvengono in un parcheggio di auto in demolizione, dove Tourè e Yasser trascorrono, insieme agli altri extracomunitari, la notte in una Dyane bianca, molto piccola e scomoda. I luoghi sono reali ma sono descritti sinteticamente, affinché l’attenzione del lettore non si soffermi sui luoghi, ma sulla vita degli extracomunitari e sui problemi che ogni giorno devono affrontare per essere accettati. Oltre al parcheggio troviamo: il cantiere, in cui lavora Tourè: una grande impalcatura dove gli operai lavorano ogni giorno.
Poi troviamo il dormitorio: una piccola stanza, molto costosa, dove all’interno c’erano sette brande tutte ammucchiate.
Viene descritto anche il carcere in cui Tourè alloggia per un paio di giorni: appare come un luogo desolato e privo di ogni colore, con un grande corridoio che porta ad un piazzale nel retro.
Troviamo poi la casa di Silvia e di Giorgio; quella di Silvia appare piccola ma accogliente, invece, quella di Giorgio, viene descritta solo nel dialogo fra lui e Silvia; ci viene presentata come una casa grande, composta da cinque stanze: lo studio, il soggiorno, il tinello, la stanza da letto e la camera per gli ospiti, doppi servizi, aria condizionata, una terrazza, un balcone.
Viene descritto il bar, dove Tourè e Yasser passavano gran parte del loro tempo; ed infine c’è il residence, dove le “false cameriere” alloggiavano per poi essere trasferite nelle varie pensioni per soddisfare i clienti.
Il racconto inizia in inverno già inoltrato, mentre gruppi di extracomunitari vanno in Europa in cerca di un lavoro e di una casa che gli permetta di vivere in condizioni migliori. Il libro di Basso rispecchia i pensieri e il razzismo che ogni giorno troviamo nella gente. Non so dare una data precisa in cui è ambientato il racconto, perché il problema del razzismo e dell’emarginazione affligge la nostra società tutti i giorni.
Il razzismo viene definito come la tendenza a difendere quella che si ritiene la purezza della propria razza da ogni possibile contatto o contaminazione, perseguitando o sterminando altre razze ritenute inferiori. Già fin dall’antichità si incominciava a parlare di razzismo, infatti, gli antichi greci chiamavano barbari i popoli che si erano stabiliti alle loro frontiere. Anche nelle nostre società contemporanee occorre molta cultura e larghezza di vedute per superare un sentimento di diffidenza verso gruppi minoritari che si distinguono dagli altri per la lingua o il dialetto, credenze o usanze particolari.
In altre parole il razzismo può essere definito come la convinzione che a certe differenze anatomiche osservabili tra i gruppi umani (colore della pelle, forma del cranio, etc.) corrisponda una superiorità o un’inferiorità intellettuale e morale. Da qui deriva che certi uomini, che si ritengono superiori agli altri, hanno diritto di sfruttare, opprimere, se non addirittura di distruggere altri uomini giudicati inferiori. Non possiamo dimenticare il più grande e atroce esempio di razzismo che il mondo ha conosciuto, cioè il periodo del nazismo. Tutti noi, infatti, abbiamo seguito diverse volte in televisione le atrocità e i misfatti subiti dagli ebrei da parte dei nazisti.
Purtroppo ancora oggi, contemporaneamente ad una crescita economica e sociale, nel nostro Paese si continua a parlare di razzismo. Ma perché questo odio? Perché abbiamo paura di quelli diversi da noi, per questo che formiamo i nostri piccoli gruppi, abbiamo la nostra razza, il nostro Paese, il nostro partito politico, la nostra squadra di calcio; e mentre tutti gli altri sono potenziali nemici, noi siamo automaticamente i migliori. La guerra nelle terre dell’est e in nord Africa hanno portato ad un enorme afflusso di gente disperata in cerca di benessere negli Stati dove questo sembra raggiungibile.
I sondaggi di opinione rivelano sempre che il razzismo come reazione di difesa ad una identità nazionale e di una sicurezza sociale minacciata, sono largamente ammessi da tutte le classi sociali, anche se le forme estreme non sono approvate. In particolare, le idee che la presenza di un gran numero di stranieri minacci il tenore di vita, il lavoro la pace pubblica, e l’idea che alcune differenze culturali possono costituire ostacoli insormontabili alla coabitazione, sono molto diffuse.
La segregazione razziale, ossia l’esclusione, esiste ancora, in varie parti del mondo. Per quanto si siano compiuti progressi, rimangono ancora vaste isole in cui, la segregazione razziale è ancora una realtà. Negli Stati Uniti, ad esempio, la maggioranza delle popolazioni di colore vive in veri e propri ghetti, lontano dai centri e dai quartieri produttivi delle città. Povertà e abbandono non sono ancora vinti: il colore della pelle, soprattutto per i neri, è ancora troppo spesso un marchio che si porta come un segno di diversità.
Episodi più o meno gravi di violenza a sfondo razziale accadono in svariate parti del mondo. Basti pensare al Libano, all’India, all’Irlanda. Insomma, il razzismo, i pregiudizi razziali, la segregazione, gli odi di tipo tribale non hanno ancora cessato di esistere.
Fin dal 1913 una legge assegnò l’87% della terra ai bianchi, lasciando ai neri solo il rimanente territorio. Questa politica è stata abolita nel 1993: è stato allora finalmente possibile per la popolazione di colore partecipare per la prima volta alle elezioni ed eleggere propri rappresentanti ed eleggere il primo presidente nero: Nelson Mandela. Uno dei pochi uomini politici che hanno potuto veder realizzati i propri ideali di libertà, Mandela fu il simbolo delle aspirazioni di indipendenza per la popolazione nera sudafricana.
Nel 1960, dopo un atroce massacro di Africani da parte dell’esercito governativo, fu lo stesso Mandela ad abbandonare la politica della non-violenza e ad autorizzare atti di sabotaggio contro il regime sudafricano. Ciò gli costò una condanna al carcere, dove rimase quasi trent’anni, nonostante fosse ammalato di tubercolosi.
Nel 1990, sotto la presidenza di de Klerk, Mandela è stato scarcerato e nominato presidente dell’ANC. Nel 1993 i due uomini di Stato hanno ricevuto insieme il premio Nobel per la pace.
L’anno dopo Mandela è stato eletto presidente della Repubblica.
Il razzismo si è diffuso in Italia, soprattutto dal 1938, dove si attuò una politica di discriminazione e persecuzione, messa in atto tardivamente, per influenza diretta dell’alleato tedesco, cioè Hitler.
Furono esclusi dalle scuole italiane gli allievi e gli insegnanti ebrei e i libri di testo di autori israeliti; furono istituite scuole elementari e medie solo per ebrei; fu vietato il matrimonio tra italiani di razza ariana e di altra razza.
La “soluzione finale”, in pratica la distruzione totale del popolo ebraico, era ora possibile. Le scuole furono “nazificate”, gli scrittori e i pittori non nazisti furono perseguitati, e le loro opere distrutte. Persino le Chiese furono indotte a sostenere le idee naziste.
Fenomeni di razzismo si sono registrati anche all’inizio del XX secolo, a causa dei flussi migratori dai Paesi europei più poveri verso l’America del nord e del sud.
Nel corso degli ultimi cento anni in Italia si sono avuti imponenti movimenti migratori sia interni chi verso l’estero; essi hanno determinato una notevole modificazione della distribuzione regionale della popolazione.
L’esecuzione del censimento è affidata ai Comuni, i quali provvedono a distribuire ad ogni abitante un questionario, mentre l’elaborazione dei dati è di competenza dell’Istituto Centrale di Statistica con sede a Roma.
Da alcuni anni le nazioni dell’Europa occidentale, fra cui l’Italia, sono interessate da alcuni flussi migratori di lavoratori “extracomunitari”, provenienti cioè dai Paesi esterni alla Comunità Europea.
La maggioranza degli extracomunitari proviene dall’Africa, ma sono presenti anche mediorientali, asiatici, e inoltre profughi dall’ex Jugoslavia e turchi.
Molto spesso, specie nel Mezzogiorno, gli immigrati di colore provenienti dall’Africa, vengono ricercati dalle organizzazioni criminali, specie per lo spaccio della droga e per la prostituzione.
Con solo questi esempi gli italiani hanno scoperto di non essere poi così comprensivi come avevano sempre ritenuto, dimenticando che anche loro sono stati emigranti subendo gravi discriminazioni.
Nel XIII secolo in America è in piena attività un’altra forma di razzismo, cioè la tratta degli schiavi, destinati in massima parte a popolare le immense piantagioni di cotone della Louisiana.
E’ in quest’ambiente di schiavismo che inizia quell’espressione artistica chiamata verso la fine dell’Ottocento musica jazz. Lo schiavo, per non pensare alla sua condizione è costretto dai padroni bianchi a cantare.
I loro lavori sono così allietati da semplici canti su una cadenza ritmica sempre uguale, canti chiamati Work Songs (canti di lavoro).
Il jazz è una musica afro-americana che si è imposta a Nuova Orleans (Louisiana) nella prima parte finale del ‘900. Il significato di questa parola è in ogni caso incerto: fu comunque creata dai neri americani, ma rappresenta l’incrocio di due civiltà. La civiltà bianca statunitense, e la nera, quella degli schiavi strappati dalle loro case e portati in catene in un nuovo mondo.
In alcuni Paesi europei e negli Stati Uniti d’America si assiste, purtroppo, al diffondersi di movimenti razzisti che spesso, sotto falsi movimenti culturali o umanitari, si nascondono tendenze fondate su una radicale ignoranza.
Il razzismo è stato spesso è lo è tuttora, una delle principali fonti di odi, di violenza tra gli uomini. I razzisti credono che il gruppo cui appartengono sia “superiore” a tutti gli altri gruppi e che il fatto di appartenere a questa schiera possa giustificare il diritto di perseguitare coloro che considerano “inferiori”.
Questo libro è una storia di emarginazione, di sofferenza, di speranze deluse che si intrecciano nei racconti dei giovani extracomunitari. In primo luogo tratta del razzismo che ogni giorno affligge la nostra società; la difficoltà di inserimento, la necessità di sopravvivenza e la voglia di migliorare se stessi e il proprio paese. Attraverso la vicenda di Tourè e Yasser, l’autore vuole farci capire com’è difficile la vita di un extracomunitario; e i problemi che ogni giorno deve affrontare. In primo luogo narra la vita di questi due ragazzi, costretti ad abbandonare la loro casa e la loro famiglia per riuscire a trovare un lavoro e un alloggio, racconta i sacrifici che sono costretti a fare per vedere realizzati i propri sogni: sono obbligati a vivere in una macchina e a lavorare duramente per pochi soldi.
Sono sfruttati e disprezzati da tutti, l’unica persona che sin dall’inizio crede in loro e li aiuta a trovare un lavoro è Silvia Cardullo, che fa parte della Caritas.
Altre tematiche che vengono affrontate in questo libro sono: l’immigrazione del terzo mondo, che quindi porta ad un forte aumento della popolazione europea; questi uomini cercano una vita migliore, trasferendosi in Europa pensano di trovare la vita che da sempre sognano, ma non è facile come sembra, andando in Europa si rendono conto del divario fra i paesi sviluppati e quelli sottosviluppati, la disuguaglianza sociale, il confronto fra diverse culture e civiltà ma soprattutto lo sfruttamento nei paesi industrializzati.
Infine, la solidarietà è un tema molto ricorrente e, secondo me uno dei più importanti.
Infatti, pochi sono stati altruisti nei confronti degli extracomunitari e pochi hanno saputo aiutarli; in principio solo Silvia, don Ernesto e Giorgio li hanno aiutati, ma alla fine Tourè scopre la solidarietà dei compagni bianchi che dividevano la cella con lui e i colleghi del cantiere che hanno saputo dargli conforto e aiuto.
Tourè e Yasser sono i protagonisti di questo racconto. Tourè era un extracomunitario che viveva nel Togo, era uno Yoruba, ossia un sudanese, aveva sedici anni ed era alto due metri o poco meno; costretto a scappare di casa per riuscire a trovare un lavoro in Italia, dove pensava di trovare la vera felicità. Viveva insieme al suo amico in una Dyane bianca situata in un parcheggio di auto in demolizione, non era felice ma si accontentava, perché sapeva che se non avesse mollato prima o poi sarebbe riuscito a trovare una casa vera. Era un bravo ragazzo, generoso e altruista. Lavorava in un cantiere ed era molto felice del suo lavoro: scalava ponteggi e saliva in un lampo in cima dell’impalcatura, per lui era un gioco da ragazzi, infatti, fin da piccolo era abituato ad arrampicarsi sulle palme di cocco. Quando lavorava si dimostrava pronto a dare una mano a chiunque, anche se la stanchezza era tanta e i muscoli erano tutti indolenziti; Tourè era rispettoso e sollecito nei confronti di tutti i suoi colleghi, anche perché cercava in tutti i modi di farsi accettare. I suoi colleghi da sempre lo chiamavano “brutta scimmia” o “sporco negro” lo accusavano di rubare il lavoro alla popolazione e che non meritava di essere pagato, ma lui si dimostrava umile e aveva imparato ad accettare quegli insulti, in silenzio, perché se avesse reagito di sicuro avrebbe perso il lavoro. Lavorava volentieri, perché fin da piccolo, quando lavorava nelle piantagioni di cacao, aveva imparato a fare tutto il suo dovere e a farlo volentieri e anche al cantiere, per quanto fosse duro e faticoso, lui lo faceva volentieri. Un lavoro regolare significava per lui potersi comprare un nuovo paio di scarpe senza i buchi nelle suole, ma soprattutto significava potersi pagare un letto per dormire; l’unica cosa che lo turbava era che quel lavoro non gli offriva nulla, gli offriva solo mani sporche di calce per costruire grandi case in cui nessuno di loro avrebbe mai abitato. Tourè era un ragazzo pieno di speranze e di sogni, ogni giorno dopo il lavoro andava in giro per tutta la città in cerca di una casa ma soprattutto aveva molta fede, non si abbandonava mai a se stesso, anche se lui e Yasser erano di due religioni differenti la notte pregavano insieme lo stesso dio. Tourè non si dava mai per vinto, soltanto la notte dava sfogo alle sue preoccupazioni. Quando la luce era ormai spenta venivano fuori i tormenti e bisognava sfogarli. Si considerava fortunato rispetto ad altri immigrati: anche se era a migliaia di chilometri di distanza da casa sua, in mezzo a tanta gente diffidente e ostile, dove gli immigrati venivano sfruttati e sottopagati; ma bisognava accettarlo se non si voleva perdere il lavoro, era fortunato ad avere un tetto sopra la testa, anche se si dormiva in sette in una stanza e l’affitto era carissimo. Ma anche dopo tanti sforzi per riuscire a non abbattersi Tourè si sentiva sempre più emarginato, per colpa della società aveva dovuto dimenticare la sua patria i suoi amici e dimenticare addirittura se stesso. L’unica sua felicità era quella di aver trovato la signorina Silvia, Yasser e altri amici che lo avevano aiutato a trovare un lavoro e una casa; e anche quando lo arrestarono i suoi amici erano li pronti a dargli una mano, ma non solo loro, infatti, anche in carcere aveva trovato dei bravi ragazzi che credevano in lui e sapevano che un ragazzo così buono di animo non sarebbe mai riuscito ad uccidere una persona. Uno di questi era un uomo romano, anziano, quasi vecchio con la pelle molto bianca, si chiamava Giuseppe, era un ladro specializzato in appartamenti, un mago nel suo campo, nessuna serratura poteva resistergli. Era stato arrestato tante volte; aveva molti soldi, e sia fuori che in galera non si faceva mancare nulla: si faceva portare sigarette, riviste, abiti, biancheria per cambiarsi e certe volte si faceva servire il pranzo dal ristorante. Giuseppe aveva aiutato a Tourè affinché non si demoralizzasse, perché sapeva che presto sarebbe uscito; ogni volta gli ripeteva che doveva mantenere la calma e avere tanta pazienza. Erano diventati molto amici e si erano aiutati a vicenda: Tourè era riuscito a mantenere la calma perché sapeva che i suoi amici lo avrebbero liberato, ed era riuscito a far tornare nella giusta strada Giuseppe; infatti, il carcerato aveva deciso di cambiare vita e comportarsi da uomo responsabile.
Gli altri compagni di cella erano ragazzi simpatici, tutti con precedenti penali alle spalle. Uno di questi era Rino, lui non parlava mai di sé, stava sempre muto ad ascoltare, gettato su una branda a fingere di dormire, se apriva la bocca era solo per litigare con gli altri, infatti, la prima sera che era arrivato Tourè nella prigione, lui era stato il primo ad accoglierlo, ma in maniera tutt’altro che amichevole, infatti, lo aveva subito accusato di puzzare e gli gridava delle frasi come “muso nero”. Rino non aveva mai ucciso nessuno, ma era stato messo in carcere perché aveva tentato una rapina per procurarsi i soldi per la droga, infatti, la sua colpa maggiore era quella di bucarsi. Gli altri carcerati non avevano un ruolo importante nella vicenda, ma quando Tourè era uscito negli occhi di tutti c’era una felicità immensa, ed erano contenti che finalmente l’africano, dopo aver lottato per i propri diritti, uscisse dalla prigione.
L’altro personaggio principale è Yasser, un po’ più basso di Tourè e più tarchiato, era anche lui un sudanese, ma del ceppo Wolof. Era un ragazzo timido e poco sicuro di se, appariva continuamente nel racconto ma non aveva un ruolo di principale importanza, infatti, anche se doveva affrontare gli stessi problemi di Tourè, rimaneva sempre nell’ombra. Al contrario di Tourè, Yasser si abbatteva di fronte alle difficoltà, infatti, anche quando avevano perso la loro “casa”, Yasser voleva tornare nel suo paese per continuare a coltivare piante di cacao. Era demoralizzato dopo aver visto svanire tutte le sue speranze. Era stufo di ingoiare bocconi amari e voleva tornare nel suo paese, ma poi, grazie a Tourè che gli faceva da fratello maggiore, aveva ricordato il motivo per cui era andato via dalla sua casa: non poteva più accettare la miseria del suo villaggio; non solo per lui, ma anche per i suoi fratelli e per i figli che un giorno avrà. Grazie a Tourè aveva capito che per migliorare l’Africa dovevano cambiare prima loro, diventare capaci non soltanto di raccogliere arachidi o pescare tonni, ma capaci di costruire strade e case, curare le malattie, insegnare agli altri a leggere e scrivere, affinché siano utili alla loro gente; e quindi non potevano arrendersi così presto. Yasser cominciava ad avere più sicurezza in se stesso e continuare a sognare una vita migliore. Con l’incontro di Zuzana a Yasser gli si riaccesero le speranze, ma dopo la sua scomparsa, il senegalese non riusciva a togliersela né dal cuore né dalla mente, c’erano giornate in cui tornava al dormitorio a notte inoltrata. Yasser si era abbastanza staccato dagli amici dopo la scomparsa della ragazza. Quando stava con loro, era cordiale come al solito, ma i suoi momenti di malumore, in cui si chiudeva in un mutismo cupo e indifferente a tutto ciò che gli altri dicevano e facevano, era sempre più frequente.
Zuzana era la ragazza di Yasser e passava la maggior parte del tempo con sua cugina Myriam, la ragazza di Tourè. Erano due ragazze africane provenienti dalle isole del Capo Verde; erano vestite in maniera buffa: indossavano una minigonna colorata, portavano al collo vistose collane di nocciole colorate, braccialetti di perline e fili di rame. E fra i capelli nastri, fiocchi, forcine, mollette di plastica: tutto il corredo mezzo afro e mezzo beat. Avevano scarpe dorate, vistose, con tacchi alti. Erano due ragazze, a prima vista, molto felici, erano appena arrivate a Milano ma avevano già un lavoro; viaggiavano da un posto all’altro con la loro agenzia. Si spostavano continuamente, da un albergo di lusso ad un altro, facevano le “ragazze alla pari”. Erano ragazze simpatiche e allegre, ma dopo breve tempo si resero conto che il loro lavoro non era pulito, infatti, pensavano che il loro lavoro consistesse nel servire tavoli e pulire le camere delle pensioni in cui venivano portate, ma ben presto scoprirono, a loro spese, che il loro lavoro non era quello delle cameriere ma delle prostitute. Yasser e Tourè, riuscirono a ritrovarle e a fargli riacquistare la libertà. Dopo tante difficoltà, affrontate insieme, Yasser si sposò con Zuzana e Tourè con Myriam.
Avvenne anche un altro matrimonio, quello tra Giorgio Beltrami e la signorina Silvia Cardullo. La signorina Silvia era una ragazza alta, ben fatta: aveva occhi nerissimi e sfolgoranti, capelli scuri e ricci, tagliati ottimamente, pelle abbozzatissima, truccata sapientemente ma con discrezione, molto elegante e aveva su per giù trentacinque anni. Ma soprattutto era molto intelligente, talmente intelligente da stare in guardia.
Faceva parte dell’associazione della Caritas, un’organizzazione che si occupa di assistere le popolazioni vittime di problemi sociali e pregiudizi razziali. Un tempo abitava nel sud ed era definita una “terrona”, molte scritte sui muri colpivano anche lei, si sentiva osservata e criticata, per lei non c’era un lavoro e una casa. Da quel giorno decise di trasferirsi e di cambiare vita, una volta arrivata a Milano, decise di aiutare le persone, che come lei, venivano considerate diverse. Lei aveva aiutato per prima Tourè e Yasser a trovare un lavoro, era una ragazza generosa e pronta a difendere gli ideali in cui crede, aveva sempre difeso soprattutto gli extracomunitari e aveva sempre offerto loro un alloggio e la possibilità di trovare un lavoro.
Beltrami, invece, era un famoso giornalista milanese, andato nel parcheggio delle auto in demolizione per scrivere un articolo sulla vita degli extracomunitari.
Beltrami aveva scritto un articolo che toccava profondamente gli ideali di Silvia; e proprio in occasione della pubblicazione del suo articolo, si erano conosciuti. In principio Giorgio Beltrami non tollerava che degli extracomunitari potessero vivere a Milano, ma soprattutto non poteva permettere che questi, a cause delle pessime condizioni igieniche, portassero malattie di ogni genere nella città; nel suo articolo aveva raccontato ogni minima cosa che lo aveva colpito, ma non valorizzando i diritti degli uomini neri, anzi, aveva addirittura dato la colpa a loro delle violenze, dei furti e delle risse che erano scoppiate da poco tempo a Milano. Ma dopo aver discusso con la signorina Silvia si era convinto che il suo articolo non raccontava una storia vera, infatti, per scriverlo non aveva guardato nell’animo di quegli uomini per scoprire i problemi che ogni giorno dovevano affrontare. Grazie a Silvia, capisce le preoccupazioni di queste persone. Insieme alla Caritas si offre di aiutarle quelle persone sfortunate; dopo poco tempo, Giorgio si innamora di Silvia e alla fine della vicenda si sposano.
Gli altri personaggi che compaiono nel testo svolgono il ruolo di aiutanti: il primo era Don Ernesto, che aveva ospitato i due ragazzi quando erano appena arrivati a Milano, erano diventati molto amici e il prete li aveva aiutati a cercare un lavoro e li aveva iscritti alla Caritas, dove successivamente Silvia li aveva trovato un lavoro.
Un altro personaggio che li aiuta quando si erano appena trasferiti, era il signor Ambrogio. Era un vecchio falegname, e dopo che l’ultima figlia si era sposata, lui rimase solo e aveva dovuto trovare qualcuno che lo aiutasse a cavarsela fra le necessità materiali della vita. Aveva deciso di chiamare una cameriera, ma si era presentato prima Yasser, il vecchio lo accettò volentieri, e Yasser era talmente felice, che gli sembrava di toccare il cielo con un dito. Ma dopo breve tempo era stato costretto a mandarlo via, perché era molto malato e doveva andare in ospedale.
Svolgono il ruolo di aiutanti anche i loro compagni di stanza nel dormitorio:
i primi due erano Sambu e Sikou, uno proveniva dal Madagascar e l’altro dalla Namibia. Si erano trasferiti a Milano da venti giorni; gli altri due erano Marsik e Habib, ragazzi che facevano i vù cumprà e dovevano andare su e giù per la città con un grosso fagotto nelle spalle; ed infine c’era Robert, faceva un lavoro sporco ma guadagnava molti soldi. Una volta andato via Robert era arrivato un ragazzo slavo ad occupare il suo letto: Stanko, era appena uscito dal carcere, era stato arrestato solo perché faceva il “gioco delle tre tavolette” alla stazione. Erano diventati subito amici di Tourè e Yasser e cercano di aiutarli a trovare un lavoro.
Nel racconto, infine, oltre agli aiutanti, ci sono anche gli antagonisti; tra cui due appaiono maggiormente: il signor Alvaro e il “Cubano”, questi erano i capi di Zuzana e Myriam, che le obbligavano a prostituirsi.
Poi troviamo Pierre, un extracomunitario che grazie ad un lavoro sporco era riuscito a guadagnare parecchi soldi. Aveva imbrogliato i due amici senegalesi dicendo che anche loro avrebbero trovato un lavoro che pagava bene, se lo avessero ascoltato. Ma il lavoro non era come sembrava, infatti, il lavoro consisteva nello scassinare auto e prendere tutto ciò che c’era dentro.

Il ruolo della società è determinante, infatti, grazie a questa riusciamo a capire quanto sia meschina e crudele nei confronti degli extracomunitari, nella nostra società consideriamo la razza un fattore importante nella nascita e nello sviluppo delle civiltà. Anche oggi la segregazione razziale esiste ancora, in tutto il mondo.
Nel libro la società respinge i neri e non li aiuta, si limita a sfruttarli, vengono visti come “animali” che danno fastidio perché sporcano e rubano. Nel libro, come nella realtà, molti gruppi di volontari combattono per i diritti dei neri, come ha fatto ad esempio Silvia, ma per quanto si siano compiuti progressi, rimangono ancora vaste isole in cui, la segregazione razziale è ancora una realtà. La società che dovrebbe promuovere il progresso e far si che non si ritorni al secolo scorso, quando Hitler aveva sterminato il popolo ebreo affinché dominasse la razza ariana, ma invece questa tende ad essere conservatrice e tende ad avere gli stessi pregiudizi che aveva Hitler nei confronti degli ebrei. La società non da agli extracomunitari gli stessi diritti dei cittadini milanesi e spinge l’opinione pubblica ad odiare i neri. Un esempio può essere il giornalista Beltrami; che nel suo articolo, al posto di combattere l’emarginazione, il razzismo e valorizzare i diritti dei neri; descrive gli extracomunitari come portatori di malattie, ladri e disonesti.
Il razzismo, nel libro di Basso, è una delle principali fonti di odi, di violenza tra gli uomini. I razzisti credono che il gruppo cui appartengono sia “superiore” a tutti gli altri gruppi e che il fatto di appartenere a questa schiera possa giustificare il diritto di perseguitare coloro che considerano “inferiori” come i neri.

“Fra rabbia e nostalgia” è visto da Basso come simbolo di valori, infatti, vuole farci capire, attraverso la storia di Tourè e Yasser, quanto sia difficile l’inserimento di due extracomunitari in una città come Milano. La scrittrice condanna quella società, che opprime i neri. L’autrice sa entrare subito sul vivo del problema: l’aumento degli extracomunitari nelle città italiane e ci fa capire che questa massa di immigrati è oggetto di sfruttamento; la difficoltà di trovare una casa e di sopravvivere solo con le proprie forze; di trovare un lavoro e cercare di mantenerlo, Il rapporto con gli altri in un ambiente diverso da quello che si è soliti vivere, è spesso molto difficile, essendo neri, i rapporti con i colleghi di lavoro diventano difficili e per Tourè lavorare non è più piacevole, infatti, il cantiere diventa un luogo di oppressione e soggezione dove lui insieme ai suoi amici neri, vengono chiamati sporchi e incivili. Poi in un ambiente diverso bisogna adeguarsi a un’altra mentalità, ad altri criteri di giudizio. Per un extracomunitario poi, oltre alla diffidenza della gente, c’è sempre il rischio di farsi sfruttare, questo, insieme all’emarginazione sono i problemi più gravi che un immigrato deve affrontare. La scrittrice esprime falsi valori, appunto il razzismo, dove prevale l’emarginazione, le sofferenze e le speranze che svaniscono; ma l’autrice esprime, anche, valori veri come quello della preghiera; i due amici, abbandonati al loro destino non mollano e continuano a lottare con le loro forze, ma lottano per i loro diritti e chiedono aiuto al loro signore; anche se hanno una religione diversa, sentono di essere legati da uno stesso Dio.
L’autrice ci fa capire che il problema degli extracomunitari si può combattere e risolvere, ma per far questo c’è bisogno dell’approvazione di tutta la società. Per prima cosa: bisognerebbe dare una casa e un lavoro alle persone che ne hanno più bisogno, dare un’istruzione adeguata e una qualificazione professionale a tutti gli extracomunitari, affinché conoscano i propri diritti e non siano più sfruttati. Un altro passo verso la risoluzione del problema sarebbe di insegnare a comunicare e a capire, metterli in grado di tornare nel loro paese con adeguate conoscenze. Questi sono i valori che ci esprime l’autrice; ma non solo, anche la solidarietà nel lavoro.
Anche nel carcere, giorno dopo giorno, Tourè scopre la solidarietà dei compagni bianchi emarginati come lui.
Il messaggio che l’autrice ci vuole comunicare è di tipo morale e sociale: ci fa riflettere su come la nostra società non accetti gli immigrati, come li sfrutta perché sono gente indifesa e ingenua ma soprattutto perché sono negri. Le vicende raccontate hanno evidenziato la sfiducia nella giustizia, la volontà di colpire i più deboli e specialmente il razzismo dei bianchi.
Ma l’autrice riesce ad esprimerci anche la fiducia e la speranza per il futuro, e ci fa capire che c’è bisogno di solidarietà: dell’amicizia, degli affetti. Ci fa capire quanto sia inutile la violenza, quanto sia necessario lottare per i diritti civili e la cosa più importante è avere fiducia in se stessi e combattere per gli ideali in cui si crede.

Gina Basso scrive questo racconto non in prima persona.
Lo stile dell’autrice è volutamente semplice, colloquiale; il suo stile è molto avvincente, colto e realistico, affinché riusciamo a capire, attraverso una storia attinta alla realtà, anche se elaborata con la fantasia, le condizioni di vita degli extracomunitari. Proprio per questo il linguaggio che usa è semplice e quotidiano ma allo stesso tempo usa un linguaggio molto colto.
L’autrice dà ampio spazio al linguaggio parlato e alle espressioni gergali.
Fa uso di espressioni figurate, che nel testo tendono a sottolineare atteggiamenti e comportamenti; ricorre anche ad alcuni modi di dire tra cui: “Mandar giù bocconi amari”, “fare gli struzzi”e “recitare a fior di bocca”.
L’autrice usa anche espressioni “allusive”, cioè che ci lasciano immaginare una realtà senza descriverla, come ad esempio l’espressione: “Il colore dei soldi”.
Spesso Basso usa espressioni e aggettivi “iperbolici”, che amplificano ed esaltano in modo esagerato il sostantivo a cui si riferiscono, un esempio è l’espressione: “una cifra favolosa” o “avrebbero mangiato anche una tegola”.
Utilizza anche espressioni o parole che si adoperano in gergo, come ad esempio la parola “latte bianco”, che in gergo sta a significare l’eroina.
Adopera parole che usano i mass media per definire gli extracomunitari e fa uso di molte espressioni del linguaggio settoriale, come ad esempio espressioni tratte dal linguaggio giuridico.
Gina Basso, scrittrice e giornalista, personaggio della radio e della televisione, percorre da sempre la strada di una narrativa socialmente impegnata, rivolta soprattutto ai ragazzi. In questa collana ha pubblicato: Il coraggio di parlare, La vita è un gioco, Cento pagine di verità, Un domani appena cominciato.
Quindi possiamo evincere dalla trama di questi libri che non si tratta di un’autobiografia ma bensì di un romanzo in cui l’autrice vuole esprimerci i valori e le preoccupazioni di questa gente.

Il libro di Basso è un libro veramente bello, perché tratta un argomento che non ha età. Il problema del razzismo affligge la nostra società da sempre e né il governo né noi uomini abbiamo fatto qualcosa per riuscire a risolvere questo problema.
In questo libro l’autrice condanna i falsi valori e ci fa riflettere sulla vicenda degli extracomunitari e di quanto sia difficile per loro il rapporto con gli altri in un ambiente diverso da quello in cui si è soliti vivere, queste persone devono adeguarsi ad un’altra mentalità, ad altri criteri di giudizio e il rischio di sfruttamento è sempre più alto. Molti uomini ritengono questi extracomunitari sporchi e incivili e i casi di sfruttamento e l’emarginazione sono sempre più frequenti. Secondo me un passo per risolvere almeno in parte il problema degli extracomunitari è quello di cercare di dare a tutti un lavoro e una casa, dando un’istruzione adeguata e una qualificazione professionale, fare in modo che si inseriscano in una comunità di connazionali, metterli in grado di tornare nel loro paese con adeguate conoscenze, affinché migliorino il tenore di vita del loro villaggio; ma soprattutto il passo più grande da compiere è quello di combattere il razzismo e dare più solidarietà a queste persone.
Tourè e Yasser diventano dei simbolo degli emarginati, delle violenze, delle ingiustizie razziali e della difficoltà di inserirsi nel mondo dei bianchi; ma diventano anche simbolo della fiducia in se stessi, della lotta per avere gli stessi diritti, dell’importanza della solidarietà e della amicizia e dell’importanza degli affetti

Esempio



  


  1. Aurora

    Cento pagine di verità