Materie: | Appunti |
Categoria: | Economia |
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Data: | 24.10.2001 |
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INDUSTRIA, SCIENZA E POLITICA FRA OTTOCENTO E NOVECENTO
1. CRISI E TRASFORMAZIONE DELL’ECONOMIA
LA CRISI AGRARIA IN EUROPA
L’economia capitalistica aveva già conosciuto momenti di crisi nel corso dell’Ottocento, ma di dimensioni più limitate o legati in gran parte a fattori contingenti.
In questa circostanza il fenomeno fu invece assai più esteso e duraturo. Il suo sintomo più appariscente fu una persistente deflazione, con una caduta del livello dei prezzi agricoli e industriali, salvo bravi momenti di ripresa, che interrompevano la tendenza al rialzo caratteristica dei due decenni precedenti.
La crisi fu violenta nel settore agricolo: essa fu provocata dalla concorrenza dei prodotti agricoli, in primo luogo i cereali, provenienti dalla Russia e dai “ nuovi granai “ del mondo: Stati Uniti, Canada, Argentina, Australia, India, Nuova Zelanda. Tutti questi paesi potevano produrre e vendere a prezzi inferiori a quelli europei perché disponevano di enormi estensioni di terreno coltivabile, di mano d’opera a basso costo o, nel caso degli Stati Uniti, di un’agricoltura meccanizzata e altamente produttiva.
Negli anni 50 – 70 l’espansione del mercato aveva incentivato gli investimenti nel settore agricolo sia da parte dei paesi europei, sia in quelli di oltre oceano: ma l’alto costo dei trasporti aveva fornito ai produttori del continente una protezione adeguata. Con lo sviluppo delle ferrovie e della navigazione transoceanica a vapore questa barriera crollò e milioni di tonnellate di cereali invasero il mercato agricolo europeo, provocando un ribasso continuo dei prezzi. All’inizio del 1900 il prezzo del frumento era, in Francia e in Inghilterra, inferiore alla metà di quello di trent’anni prima.
EFFETTI ECONOMICI E SOCIALI DELLA CRISI
L’agricoltura europea rispose a questa sfida con diverse modalità: ulteriore ampliamento delle aree coltivate nell’Europa orientale, investimenti finalizzati a innalzare i rendimenti nelle zone ad agricoltura avanzata; ricerca della specializzazione, con spostamento delle risorse dai cereali a prodotti come carne, uova, latticini, i cui prezzi tenevano molto meglio.
Generale fu, in ogni caso, lo schieramento dei produttori agricoli a favore di un innalzamento delle barriere doganali, provvedimento che venne preso da tutti i governi europei ad eccezione di quello inglese. La Gran Bretagna infatti proseguì sulla strada già imboccata con l’abolizione delle leggi sul grano, puntando sullo sviluppo industriale e sopperendo con importazioni crescenti al fabbisogno alimentare.
Gli effetti sociali della crisi agraria furono di grande portata perché la caduta dei prezzi decurtò i redditi dei piccoli proprietari, mettendo in crisi le aziende meno forti. L’occupazione in agricoltura si contrasse e milioni di contadini europei, dovettero prendere in questi anni la via dell’emigrazione oltre oceano.
LA ROTTURA DELL’EQUILIBRIO ECONOMICO: LE NUOVE POTENZE INDUSTRIALI
Caduta dei prezzi e riduzione dei margini di profitto caratterizzarono anche il settore industriale. Alla base del fenomeno stava un eccesso dell’offerta di beni rispetto alla capacità di assorbimento del mercato. Se l’offerta supera la domanda, i prezzi tendono a scendere. Quando ciò accade, gli investimenti di capitale diventano meno remunerativi, perché si contraggono i margini di profitto. I possessori di capitali tenderanno allora a ridurre gli investimenti o a impiegare il loro capitale in direzioni diverse.
Lo squilibrio fra domanda e offerta originava da diversi fattori. Innanzitutto, dalla metà dell’ottocento in poi, si erano presentate sul mercato nuove potenze industriali – gli Stati Uniti, la Germania e successivamente anche il Giappone – con tassi di crescita molto elevati. Contemporaneamente si avviava in Europa l’industrializzazione delle periferie: paesi come l’Australia, l’Italia e la Russia iniziavano a sviluppare un proprio settore industriale. In una situazione in cui il mercato internazionale era ormai unificato, questo provocò un eccesso di capitali disponibili e di capacita produttive utilizzabili.
In secondo luogo, il boom delle ferrovie, che aveva trainato l’industrializzazione nei decenni centrali dell’ottocento, venne rallentando progressivamente la sua corsa, salvo che nei paesi a industrializzazione tardiva.
Infine la caduta dei prezzi del settore agricolo si trasferì anche al settore industriale e all’economia nel suo complesso, contribuendo ad accentuare il ciclo deflazionistico in cui era entrata l’economia europea.
LO SVILUPPO SCIENTIFICO E TECNOLOGICO
La chimica, l’elettricità e il petrolio furono i grandi protagonisti di questa seconda rivoluzione industriale, assumendo in breve tempo il ruolo di settori trainanti delle economie industrializzate. Dai progressi dell’industria chimica provennero nuovi materiali, come l’alluminio o nuove sostanze utilizzabili nei processi produttivi, come la soda e i coloranti artificiali. Per quanto riguarda l’elettricità, e inutile soffermarsi sui cambiamenti rivoluzionari che essa apportò sia nella vita quotidiana, con l’illuminazione di case e città, sia nelle attività industriali: basterà sottolineare che l’elettricità trasformò la fabbrica perché permise di separare le macchine dal loro motore primo, molto più di quanto consentisse il vapore, e richiedeva una moltiplicazione delle caldaie attive o complicati e poco efficaci sistemi di tubazione, cinghie e puleggie. L’elettricità vinse definitivamente la sua competizione con il vapore dopo che la prima ferrovia a trazione elettrica fu presentata all’esposizione di Berlino, nel 1879. il petrolio, infine, consentì l’enorme sviluppo dei motori a combustione interna, sino a quel punto alimentati a gas. Con l’invenzione del motore a scoppio, questo nuovo combustibile di alto rendimento e facile trasportabilità, inaugurò l’era dell’automobile.
LETRASFORMAZIONI ALL’INTERNO DEL CAPITALISMO
Un secondo fenomeno di grande rilievo in questo periodo riguardò le trasformazioni nella struttura stessa del capitalismo industriale.
Si passa da una situazione in cui molti piccoli e medi imprenditori operavano in regime di concorrenza a una situazione di capitalismo monopolistico e oligopolistico, in cui poche grandi imprese o gruppi di imprese controllavano il mercato di un determinato prodotto. Questa forma di capitalismo è caratterizzata dalla concentrazione del capitale industriale e finanziario, cioè dal fatto che la proprietà delle grandi imprese industriali e concentrate nelle mani di pochi imprenditori e il capitale bancario è controllato da pochi grandi istituti di credito.
LA NASCITA DEI GRANDI MONOPOLI
Questo fenomeno fu dovuto a tre principali fattori. In primo luogo il fallimento, per effetto della crisi, di migliaia di aziende piccole e medie e il loro assorbimento da parte delle imprese più forti. In secondo luogo, l’intensificarsi della concorrenza internazionale, che spingeva all’accorpamento di imprese capaci di mantenere il controllo del mercato e alla stipulazione di accordi sui prezzi per limitare la competizione economica. Infine, il fatto che i nuovi settori produttivi erano tutti ad alta intensità di capitale, cioè richiedevano grandi investimenti in macchinari e impianti: ciò comportava ingentissimi finanziamenti da parte delle banche, che in molti casi finivano per controllare i pacchetti azionari delle imprese stesse.
Negli ultimi decenni del secolo prese avvio lo sviluppo della grande industria, che integrava alti flussi di produzione e migliaia di operai in stabilimenti di enormi dimensioni.
L’INTERVENTI DELLO STATO A SOSTEGNO DELL’ECONOMIA
Il passaggio dal capitalismo concorrenziale al cosiddetto “ capitalismo organizzativo”, cioè un capitalismo che si dava strumenti per dirigere e organizzare la vita economica senza affidarsi esclusivamente alle regole del mercato, fu caratterizzato da un accresciuto intervento dello stato nell’economia e dall’intreccio sempre più stretto fra potere economico e potere politico.
Monopoli e oligopoli erano in grado di organizzare enormi profitti: così, accanto ai grandi potentati agrari se ne formarono alcuni di tipo nuovo, gruppi di potere legati all’industria e alle banche, dotati di grande forza economica e politica e capaci di condizionare le scelte di politica interna ed estera dei rispettivi governi.
In generale, il potere politico intervenne in favore delle industrie nazionali attraverso tre strade:
➢ Il protezionismo: accogliendo le richieste dei produttori, quasi tutti gli stati abbandonarono il libero scambio e alzarono barriere doganali in difesa delle produzioni e dei mercati interni;
➢ Il sostegno all’industria pesante, attraverso aiuti finanziari e commesse pubbliche, sia nel settore civile sia in quello militare;
➢ Una politica estera aggressiva, orientata alla conquista di nuovi mercati e all’affermazione della potenza commerciale, militare e politica della nazione. In questo quadro si colloca, il fenomeno dell’imperialismo.