Descrizione Canti del Paradiso

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Testo

Paradiso
Struttura
Il paradiso è nell’empireo, esterno ai cieli, che contiene l’universo.
Distribuisce le anime nei cieli, nonostante siano tutte nell’empireo, perché:
1. per spiegare più chiaramente le loro virtù
2. per corrispondenza con gli altri canti
3. sono nel cielo che più li ha influenzati in vita, infatti c’era la credenza che a seconda di quando nascevi c’era un cielo che ti influenzava di più con la sua virtù.
Mentre all’inferno Dante si sentiva superiore alle anime (perchè destinato al purgatorio) e in purgatorio si sentiva allo stesso livello, qui ovviamente si sente inferiore.
Canto I
Fino al verso 12 si tratterà della protesi.
Vv 1-3
Si intuisce già la grande poesia “tragica” paradisiaca.
La gloria di Dio si manifesta sotto forma di luce e penetra più intensamente in alcuni posti (empireo) e meno in altri (inferno).
Vv 4-9
Qui anticipa già il culmine del suo viaggio: l’arrivo nell’empireo, ma dichiara anche la capacità della mente umana di riportare un racconto fedele, e l’incapacità stilistica.
Qui si scinde il dante agens (superiore) e il dante auctor, perché il primo ha le capacità potenziate rispetto al secondo (per esempio può volare) e quindi mentre l’intelletto può arrivare a capire quello che prova (perché potenziato da Dio) la memoria è solamente umana e non può seguire bene le vicende.
Qui già si vede una delle basi della terza cantica: l’indicibilità dell’assoluto, che appunto → anche la smemoratezza.
Vv 10-12
Il tesoro della mente è ovviamente il ricordo, imperfetto, di quelle cose grandi che ha visto l’autore in paradiso.
Qui, a differenza delle altre 2 cantiche, l’autore non parlerà di quello che ha visto, ma di quel poco che si ricorda.
Scrivendo il paradiso dante ubbidirà a quello che gli aveva chiesto Beatrice, compiendo la sua missione di profeta per il bene degli uomini.
Fino al verso 36 si tratterà dell’invocazione
Vv 13-15
Ci sono tante terzine perché più è alto l’argomento più deve essere grande lo stile → tanto sforzo da parte di dante → tanta invocazione.
Ultimo nel duplice senso di ultima cantica e limite dell’arte umana.
Qui si capisce il sincretismo di dante, in quanto cristianizza apollo.
Alla dichiarazione della grandiosità degli argomenti dei versi precedenti viene adesso fatta seguire una dichiarazione di passività di dante, paragonato ad un contenitore di virtù riempito solo grazie ad apollo.
Questa metafora viene presa dagli scritti degli apostoli, dove san Paolo, protagonista anche lui di un viaggio sovrannaturale, è detto contenitore della perfezione.
L’alloro era la pianta sacra ad apollo.
Vv 16-18
Nelle precedenti cantiche gli era bastato invocare le muse, adesso è obbligato dalla difficoltà della materia ad invocare anche il loro padre (che sta sull’altra cima del monte parnaso), apollo.
Vv 19-21
Con il mito di marsia viene introdotto il tema del transumanar, marsia era un satiro che, dopo aver sfidato e perso apollo, fu da lui spellato vivo.
Questi esempi di superbia punita (come le picche e Calliope nel puratorio) servono a dante per auto ammonirsi contro la superbia.
O divina virtù = apollo cristianizzato

Vv 22-27
Ombra = visione incompleta del paradiso
Prima di lui altri avevano descritto l’inferno come fa lui, ma il paradiso era sempre stato descritto come una corte feudale, lui è il primo a descriverlo in maniera interamente spirituale. (il purgatorio non esisteva nella concezione medioevale, lo inventa lui).
L’albero dell’alloro viene definito legno, per creare un collegamento con la santa croce.
Vv 28-33
Frecciatina alla corruzione del suo tempo, in cui nessuno aspira alla vera gloria.
Apollo viene chiamato padre, sostantivo tipicamente cristiano.
Vv 34-36
L’immagine della grande fiamma che segue la piccola è presa dalla bibbia, per esempio dalla lettera di Giacomo che dice come un piccolo fuoco incendia una grande foresta, ed era solita nella letteratura medioevale.
Comunque a questa falsa modestia si accosta quel forse seguirà, che comunque implica che fino ad adesso è il più grande.
Lui guarda Beatrice che a sua volta guarda il sole, così lui guarda il sole, e gli sembra che dopo un po' si raddoppi, come se se ne fosse aggiunto un altro, questo perché gli sta volando incontro.
Vv 64-66
Noi lettori siamo partecipi della vertigine da cui è investito il pellegrino, l’attenzione è concentrata sul senso della vista, infatti le caratteristiche di questi momenti mistici sono 2:
• la fissità dello sguardo
• il silenzio.
Vv 67-69
Qui per esprimere il transumanar, dante usa il mito di glauco, che mangiando un erba speciale diventa il dio del mare, questo è immagine di dante che attraverso gli occhi di Beatrice (l’erba) passa ad uno stato spirituale maggiore.
Vv 70-72
Solo chi ha la grazia di morire in grazia di Dio può capire cosa ha provato dante nel trasumanare (verbo che compare in questa terzina la prima volta)
Vv 73-75
Qui dante (imitando san Paolo) si chiede se a salire era solo l’anima o anche il corpo.
Poi sarà Beatrice a spiegargli che era anche il corpo, grazie alla purificazione dei 2 fiumi.
vv. 76-84
ogni cielo ruotando ad una velocità diversa, produce un suono diverso; qui dante riesce a sentire i diversi suoni e l’armonia della loro unione.
Spesso vediamo che dante fa osservazioni sbagliate ragionando in termini terreni, mentre qui tutto non è dato a fenomeni terreni ma da Dio.
il pellegrino si stupisce della straordinaria luce che lo avvolge, irradiata dall’empireo, e filtrata da tutti i cieli perfettamente trasparenti.
La prima impressione che ha il poeta è della quantità infinita di luce, paragonata alla quantità di acqua sulla terra.
Mentre con Virgilio alla fine del percorso era arrivato alla ragione, adesso con Bea (rappresentante la teologia) ripartiva da 0.
vv. 85-93
nello scambio di battute che comincia qua Bea si fa portavoce del dante poeta, rispondendo a tutte le domande del dante personaggio, che rappresenta noi lettori.
Tutti i beati (quindi anche Bea) sono uniti a Dio e quindi come lui sono onniscienti.
Secondo la credenza medioevale ogni cosa aveva un luogo predestinato da Dio verso cui tendeva, il fulmine era l’unica cosa che andava opposta alla sua sfera (di fuoco), e quindi va più lenta di dante che va verso il luogo a cui è destinato (il paradiso).
Vv 94-99
Per lui è tutto nuovo → ogni dubbio che gli viene in mente lo chiede a Bea, adesso gli chiede perché vola.
Qui esprime bene come Bea abbia risposto sorridendo per l’ingenuità del suo discepolo, ma tuttavia ne è soddisfatta.
Vv. 100-120
Per spiegare a dante perché vola Bea parte dall’ordine dell’universo.
Il discorso è congeniale al proemio della cantica, il principio è quello della forma che assomiglia al suo creatore, rispecchiandone l’armonia.
Il discorso di Beatrice è razionale solo in apparenza perché per accettare le sue premesse e conclusioni è necessario un atto di fede.
In ogni elemento del creato è impresso un istinto che lo fa tendere al bene, perché tendono a Dio creatore.
vv. 121-135
l’empireo è appagato dalla luce divina → è immobile
similitudine tra uno scultore e Dio che fa una cosa diversa da quella pensata perché la materia non lo consente (l’uomo), che dotato di libero arbitrio sceglie una falsa bellezza piuttosto che Dio.
Vv. 138-142
È assolutamente normale che dante sia salito dopo essersi purificato nei 2 fiumi.
Ora dante ha capito di essere in una dimensione diversa da quella a cui è abituato, in cui non valgono più le leggi fisica tradizionali.
Cmq La domanda di dante riguarda il piano fisico, la risposta d bea riguarda l’anima.
Canto II
vv. 1-6
il primo canto è il proemio teologico e metafisico, il secondo è quello poetico e intellettuale, in cui lo scrittore si sente in dovere di avvertire il lettore del notevole salto di qualità stilistica che sta facendo.
Mentre l’inferno e il purgatorio erano alla portata di tutti il paradiso è puramente teologico → se uno non ha le basi filosofiche per affrontarlo potrebbe andare in contro ad un eresia.
La figura della barchetta intesa come impresa intellettuale l’abbiamo già trovata sia all’inferno che nel purgatorio.
Si potrebbe fare un collegamento tra Ulisse che incoraggia i suoi compagni affinché facciano il viaggio tra le colonne d’Ercole e dante che dissuade i lettori a farlo, intendendo con le colonne d’Ercole il limite umano.
vv. 7-9
il privilegio poetico gli viene dalla grazia.
L’acqua che io prendo = l’argomento del paradiso + il personaggio che entra in cielo.
Nove = le nove muse, oppure le nuove muse (quelle cristiane).
Cmq vuol dire che nessuno prima di lui aveva rappresentato il paradiso dal punto di vista spirituale.
vv. 10-15
sta parlando ad un pubblico selezionato che fin da piccolo ha studiato la teologia, materia che si può studiare ma sulla terra non si può avere la risposta ultima a tutte le domande.
questi versi sono in antitesi con quelli dell’inferno: l’eccessiva sete di sapere porta all’inferno, mentre la sete del regno divino porta in paradiso.

Canto III
Riassunto delle puntate precedenti
Dante chiede a Beatrice cosa sn le macchie lunari e lei gli risponde che sn causate dalla diversa quantità di grazia divina.
vv. 1-9
il sole che già in vita aveva scaldato Dante è Beatrice = l’esperienza terrena è prefigurazione di cio che avverrà nella vita ultraterrena.
dante ha appena imparato il motivo dell’esistenza delle macchie solari e subito la verità che ora conosce è motivo di dolcezza e consolazione.
Provando = dimostrando riprovando = dimostrare la falsità delle idee di dante
Al contrario dei precedenti regni qui le anime compaiono improvvisamente, e la loro trasparenza è motivo per Dante di credere che siano riflessi.Nell’inferno la corporeità delle anime è sottolineata dalla loro sofferenza anche se non hanno corpo, ma è sottolineata perché il corpo rappresenta il peccato → nel purgatorio è meno sottolineata e nel paradiso è inesistente.
Adesso stanno per vedere la prima immagine che vede dante nel cielo
Vv 10-18
Dante descrive l’indescrivibile, come gli accadrà sempre più spesso, con l’aiuto di 2 similitudini riferite alla natura e una riferita alla vita sociale del tempo.
= immagini sfumate e incorporee, non nitide ma abbastanza da riconoscere in loro l’atteggiamento di chi sta per parlare.
È la prima esperienza di Dante nel mondo dei beati.
Perla bianca = moda del tempo, la perla sulla fronte → risalta la bianchezza del viso
Fa l’errore contrario di narciso, il quale credeva di vedere un'altra persona nel suo riflesso.
Inganno della mente provocato dalla mancanza di punti di riferimento terreni.
Usa insomma contemporaneamente i 2 metodi più frequenti per spiegare gli eventi ultraterreni:
paragone con eventi terreni e mitologia.
vv. 19-24
questi versi resi veloci dall’affannosa sequenza di verbi di percezione e movimento esprimono l’istantaneità del suo stupore e il desiderio di vedere la fonte di quel riflesso.
Tutto serve a creare un clima di attesa per l’entrata del nuovo personaggio, Piccarda.
Solito comportamento di Beatrice che sorride per l’ingenuità di Dante ma anche arde di amore-carità.
vv. 25-36
Beatrice rimprovera dolcemente Dante di non far guidare i suoi pensieri dalla teologia.
Qui ovviamente Dante ha sbagliato perché le anime dovrebbero essere nell’empireo, ma dopo spiegherà perché sn poste nei vari cieli.
I primi cieli hanno influssi negativi e devono essere moderati dalla virtù della temperanza.
In più esorta dante ad ascoltare quello che ste anime hanno da dire (il triplice imperativo).
In questo cielo Dante trova anime che hanno fatto un voto e ne sn venute a meno.
In paradiso chiedono desiderano parlare con Dante per carità verso i vivi.
C’è ancora la condanna per la troppa voglia, come già anche all’inferno.
vv. 37-45
ben creato spirito è in contrapposizione al mal seme d’Adamo delle anime infernali.
2 aspetti fondamentali del paradiso: luce e felicità sn accostati.
Con estremo rispetto Dante pone 2 domande: il tuo nome e la tua sorte per trovarti qui
Per la sua stessa condizione Piccarda non può avere che desideri giusti.
Corte → pur non dando l’immagine del paradiso come una corte feudale Dante ne usa il campo semantico.
vv. 46-57
non dice quasi niente della sua storia, come se il tempo trascorso sulla terra non avesse molta importanza rispetto alla beatitudine eterna.
Era una suora che viene dal fratello strappata dai voti e obbligata a sposarsi, già nel purgatorio Dante chiede di lei, questo giustifica il fatto che Piccarda chiede di riconoscerla, nonostante la beatitudine e tranquillità (spiritualità più elevata)le donino una bellezza superiore.
Nella serenità di Piccarda la beatitudine degli eletti si configura come una sorta d’amore.
Nella visione terrena di Dante queste anime dovrebbero essere invidiose della loro situazione inferiore, invece sn appagate dall’intensità della loro beatitudine perché sanno che è perfettamente giusta.
In questi versi fuor negletti manca il complemento d’agente → non è colpa sl delle anime.
Vv 58-63
Dante conferma a Piccarda quello che lei aveva già detto in precedenza, infatti dice che la sua bellezza è aumentata grazie alla luce della grazia divina che le fa superare la dimensione dell’umano.
Dante rende il concetto della caducità delle immagini delle persone concepite grazie alla vista e fissate nella memoria.
Non so che = Dante non sa definirlo
Latino = facile
vv. 64-69
la questione è il centro del canto, rispondendo a questa domanda Piccarda offrirà un’informazione fondamentale sulla struttura del paradiso.
Anche sta volta Dante usa la formula dialogica per spiegare un concetto ai suoi lettori.
È la seconda volta che Dante è soggetto di un sorriso femminile per la sua ingenuità.
Sorriso di Beatrice = calore e luce + sorriso di Piccarda = arder di un incendio → Dio = primo foco
vv. 70-84
frate = la carità delle anime del paradiso le spinge ad amare così un essere loro inferiore
quest’amore-carità spinge le anime ad una felicità che non le permette di desiderare altro da quello che già hanno.
Nonostante le premesse (erano 2 amici) il dialogo è come sempre ridotto all’essenziale, strutturato secondo la filosofia scolastica, ne sn esempio i vari latinismi.
Beato esse → latino → stile più elevato
Se loro volessero un grado di beatitudine maggiore questo andrebbe contro il volere divino
Piccarda spiega la perdita del io individuale, e la sua fusione con Dio → una felicità maggiore
Vv 85-87
Nella splendida metafora del mare Dio è rappresentato con la stessa immagine delle sue creature, il senso di fusione con colui che ne è causa e meta è raggiunto totalmente.
Riprende così la concezione platonico-aristotelica di Dio come causa prima.
Qualunque cosa segue la direzione impressagli da Dio.
Vv. 88-96
Usando anche qui il latino Dante dichiara come le spiegazioni di Piccarda gli abbiano chiarito le idee.
Qui il Dante scrittore è separato dal Dante pellegrino.
2 metafore si intrecciano in queste 2 terzine,
quella del cibo che non sazia = ha un'altra domanda
e quella della tela incompiuta = il voto di Piccarda
→ un ritorno ad argomenti terreni
Usa un linguaggio dei tessitori fiorentini, molto noto a quel tempo.
vv. 97-108
non nomina nulla col suo nome, infatti:
farsi monaca = vestirsi e velarsi secondo una regola
la vita nel convento = vegliare e dormire
giù = indica il mondo terreno in prospettiva del più elevato paradiso, ed è in contrapposizione del più su del verso precedente.
Il convento come rifugio verso la violenza del mondo terreno.
Non c’è odio verso i suoi persecutori, racconta la sua vicenda tragica in maniera tranquilla.
Dio solo lo sa… → non è importante raccontarlo → essenzialità nei discorsi delle anime nella commedia di Dante.
vv. 109-120
Dante evidenzia la luminosità dell’altra anima, a cui furono strappati i veli che metaforicamente simboleggiavano la protezione dalla violenza del mondo.
La leggenda dice che costanza fu strappata dal convento a 50 anni e obbligata a sposare il re del regno di Svevia, per poi generare Federico II, in modo da trovare una scusa per la successiva scomunica.
Storicamente questo non è vero perché lei non era una suora e si è sposata a trent’anni e generò fede a 40.
La casa sveva passa dall’inferno = fede, al purgatorio = Manfredi, al paradiso = costanza.
Velo = quello fisico che è stato tolto a forza e quello del cuore che rimase puro e rivolto a Dio fino alla fine
vv. 121-130
i versi che descrivono lo svanire di Piccarda riprendono i versi iniziali del canto, quando l’autore ci aveva descritto le sensazioni di Dante alla vista dei beati.
La dolcezza di questo congedo è contrapposta alle brusche interruzioni dei colloqui con le anime infernali.
Il canto si chiude circolarmente come si era aperto, con la contemplazione di Beatrice.
Lo sguardo si rivolge sempre all’oggetto di maggiore desiderio.
Elementi ricorrenti nel cambio di cielo:
• Beatrice è più felice, felicità resa dall’intensificarsi della luce, finchè la luminosità toglierà la parvenza fisica
• Il cielo si illumina per l’arrivo di dante
• Le anime sono felici perché possono fare un atto di carità parlando con dante
Canto VI
Prima
Le domande che gli fa dante sono chi sei? & perchè sei in questo cielo?
L VI è occupato interamente dal monologo di Giustiniano.
La vita sulla terra dovrebbe rispecchiare l’unità e la pace del paradiso → Giustiniano è in paradiso perché ha riunificato l’impero + ha fatto il corpus jury riunificato in solo testo tutte le leggi. La stoia di Roma parte da Enea = sincretismo.
Vv 1-9
In tutta la Commedia questo è l’unico caso in cui un canto è occupato interamente dal discorso diretto di un personaggio.
Questo personaggio antepone alla sua immagine quella dell’aquila simbolo di Roma.
Con la metafora dell’aquila che segue il corso del sole stando a Roma e ne va contro stando a Costantinopoli, il trasferimento di capitale assume una connotazione negativa.
Anche gli imperatori sono solo semplici strumentini di Dio → il passaggio da una mano all’altra dell’aquila e lui solo come ultimo tra tanti.
Vv 10-22
Fui imperatore = non ha più collegamenti con il passato da uomo
Primo amor = spirito santo
Mette subito in primo piano ciò che a Dante sta più a cuore = la giustizia
Che Giustiniano fosse monofisita è infondato, ma Dante ce lo mette lo stesso perchè così può fondere l’idea di fede e giustizia.
Cesare – Giustiniano = chiasmo
Vv 22-27
Mossi i piedi = con la chiesa si cammina sul sicuro
Anche il riordino delle leggi, di cui sulla terra si sarebbe vantato, adesso diventa causa di lode solo a Dio.
Vv 28-33
Comincia così la lunga digressione storico – politica di Giustiniano.
Inizia così ad affrontare il gravoso problema del trono imperiale vacante, che se fosse occupato da un giusto re, erede di Giustiniano, metterebbe fine alle controversie tra comuni.
Tutto questo è per accusare guelfi e ghibellini di stare dilaniando l’impero.
Vv 34-54
Fase mitologica
Adesso fa un elenco di eroi dell’impero: il primo è pallante, che fu il primo a morire per conquistare il Lazio.
Il secondo esempio sono sti 2 popoli (rappresentanti di Roma e dell’altra città) che si scontrano. Qui c’è una cazzata perché dice che l’aquila sta li per tre sec mentre invece nel frattempo è nata Roma.
Continua con il periodo dei 7 re, di cui cita 2 esempi: il ratto delle sabine e il suicidio di Lucrezia (per disprezzo dell’ultimo dei 7 re)
Continua con la Roma repubblicana, di cui fa un elenco di battaglie.
Poi ci sono le guerre puniche dove fa l’errore di chiamare i cartaginesi arabi anche se forse non è un errore perché sta a significare che il cristianesimo (l’aquila) sconfigge l’islamismo (cartagine).
Giustiniano fa capire di essere onnisciente come Dio dicendo a dante dove è nato, cosa che non dovrebbe sapere.
Vv 55-72

Esempio