Canto VI dell'Inferno e del Purgatorio

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Testo

Parallelo tra il sesto canto dell’inferno e del purgatorio
Il canto sesto di ciascuna delle cantiche dantesche è riservato al tema politico e si avvale di personaggi emblematici. Nel caso dell’inferno Dante e Virgilio si imbattono nel “goloso” Ciacco, personaggio non identificato dai vari commentatori e studiosi, mentre nel purgatorio, precisamente nell’antipurgatorio, incontrano Sordello da Goito, che si rivelerà concittadino di Virgilio, nel paradiso l’imperatore Giustiniano. Ciacco, come si evince dai versi, era fiorentino e probabilmente frequentava le case dei nobili dove, da buon parassita, era dedito al mangiare e al bere e per questo è stato da Dante collocato nel girone dei golosi, che sono condannati secondo la legge del contrappasso: poiché simili a bestie in quanto in vita non hanno saputo dominare il primordiale vizio della gola, sono accovacciati per terra come animali, confitti nel fango e flagellati da una pioggia mista a tempesta. Soltanto Ciacco riesce per un breve momento a sollevarsi dal fango e a rivolgersi a Dante che in principio non lo riconosce, ma poi, conosciuta la sua storia, prova molto dolore per il suo concittadino, ma freme dal desiderio di conoscere la sorte di Firenze, la “città patita” e logorata dai contrasti tra guelfi bianchi e guelfi neri. Alle anime, anche a quelle dei dannati, infatti ,Dante attribuisce il potere di profetizzare il futuro, pertanto Ciacco, rispondendo ai quesiti di Dante, dipinge un fosco ritratto della città che vede una iniziale supremazia dei guelfi bianchi il cui potere si esaurirà in tre anni e successivamente il successo dei guelfi neri sostenuti dal papa Bonifacio VIII , ancora neutrale nel 1300. La ragione di tutto ciò è data dalle tre “faville” cioè l’invidia , la superbia e l’avarizia che accecano gli uomini e li incitano alla lotta. La figura di Ciacco serve dunque a Dante per far luce sugli avvenimenti fiorentini e condannare ancora una volta la discordia e l’intromissione del papa nel potere temporale . Nella seconda cantica, invece, la vicenda si svolge sulle rive dell’antipurgatorio dove inizialmente Dante era stai circondato da anime di uomini morti violentemente i quali, meravigliandosi delle sue umane fattezze, imploravano preghiere di suffragio per ridurre il tempo di espiazione. Promettendo di adempiere alle loro richieste, Dante si allontana dal gruppo di anime e segue Virgilio che gli indica un’anima che si trova in disparte “sola soletta” , dall’aspetto austero e dignitoso, dicendogli che sarà quella a mostrar loro il cammino più breve per la salita del monte. Alla domanda di Virgilio l’anima risponde chiedendo la loro provenienza e, non appena il poeta dirà “mantua” ovvero Mantova, l’anima abbandonerà il suo atteggiamento severo e distaccato per presentarsi ed abbracciare il proprio concittadino che l’ha preceduto di oltre 13secoli: è l’anima di sordello, poeta italiano di lingua provenzale che scelse la vita di corte . L’importanza dell’appartenenza ad una città è fondamentale per Dante che la fa sopravvivere anche alla morte ed è per questo che il poeta, alla vista dell’abbraccio, si lancia in una lunga invettiva dove l’Italia è paragonata prima ad una “nave sanza nocchiere in gran tempesta” cioè ad una nave senza un capitano che ne prenda il comando nei momenti difficili ,poi aggiunge “non donna di province, ma bordello” a sottolineare proprio il decadimento dei costumi morali di un paese che soffre, i cui cittadini non vanno d’accordo neanche se vivono circondati dalle stesse mura. Il dolore che prova il poeta nel descrivere la situazione italiana è tanto maggiore quanto più forte è la consapevolezza del suo passato, in particolare del codex dell’imperatore giustiniano che tuttavia viene ignorato perché non c’è un imperatore ad applicarlo. Si rivolge, dunque agli uomini di chiesa , che dovrebbero farsi da parte e lasciare che ci sia un “cesare”, cioè un imperatore che prenda le redini di questa bestia ribelle che è l’italia; ancora a Alberto I d’Austria che per ricostruire il regno di Germania, ignorò le sorti dell’italia. A lui Dante preannuncia una maledizione che colpirà la sua stirpe e lo invita poi a guardare il frutto della sua assenza: una Roma che è come una donna vedova e sola; e infine parla a Cristo chiedendogli se per caso ha distolto lo sguardo dal questo paese che piange, ma subito si rifugia nell’imperscrutabilità della volontà divina e nella speranza che essa tenga in serbo un futuro migliore per l’italia . La visione del canto sesto di ciascuna cantica si allarga dunque, progressivamente, partendo dalla città di Firenze, passando per l’Italia e giungendo all’impero. Solo un cittadino in esilio come Dante poteva comprendere quanto fosse doloroso guardare la propria patria dilaniarsi sotto i colpi della discordia, così come convincersi della necessità di un’autorità imperiale da contrapporre al papato colpevole di allontanarsi dalle vere finalità cristiane volte alla cura dello spirito e non a quella del dominio temporale. Tuttavia oltre al dolore c’è sempre la speranza in Cristo che dalle macerie della sofferenza del poeta e dell’Italia tutta potrà far rinascere, un giorno, una città, una nazione, un impero degni di tali nomi.

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