Materie: | Altro |
Categoria: | Italiano |
Voto: | 1.5 (2) |
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Data: | 14.03.2006 |
Numero di pagine: | 2 |
Formato di file: | .doc (Microsoft Word) |
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Testo
Sartore Riccardo Italiano IVsb
Alle radici della questione meridionale
Italia: ecco i nuovi briganti
I filo-borbonici promossi a "partigiani"
Il libro storico di Salvatore Scarpino, "La guerra cafona", è destinato a suscitare polemiche.
Polemiche che potrebbero addirittura ridare alla questione meridionale un richiamo nostalgico verso quegli anni immediatamente successivi alla Liberazione e all'Unificazione dell'Italia.
Attraverso le descrizioni della miseria e della povertà che attanagliavano il sud del paese, l'autore cerca di rispolverare la vita e soprattutto le gesta di uomini come i fratelli Sacchietiello, Francesco Gentile e il "Generale" Crocco, cercando di mostrarli all'opinione pubblica sotto una nuova luce.
Scarpino analizza il rapporto tra i sabaudi o sardo-garibaldini e gli abitanti del Regno delle Due Sicilie, concludendo che fino da allora esisteva un contrasto culturale, quasi razziale, tra liberatori e liberati.
La legittimazione della resistenza all'avanzata unificatrice è dovuta, secondo Scarpino, all'atteggiamento di superiorità e all'arroganza mostrata dagli uomini della nascente nazione italiana verso i contadini in Calabria e a Napoli; "selvaggi", "pigri" e "inferiori", queste le infamie più diffuse e note (e purtroppo tuttora esistenti).
Questo libro esalta l'onore e la gloria di questi briganti, ora innalzati a ruolo di partigiani, i quali, ripudiando la legge del popolo del nord si asserragliava in interi paesi, morendo a testa alta di fronte al plotone d'esecuzione.
Scarpino avrà sicuramente visto giusto quando parla di rapporti non del tutto cristallini tra fratelli del nord e del sud, ma il suo orgoglio secessionista gli ha impedito di comprendere il vero spirito che ha portato una piccola legione guidata da un appassionato italiano prima a sbarcare a Marsala, poi a disinfestare la Sicilia e infine, sorretta e rinvigorita dalla popolazione locale incontrata strada facendo, a travolgere quel che restava dei Borboni in Campania e in Calabria.
Perché Garibaldi, repubblicano, non voleva unificare l'Italia per Re Vittorio Emanuele II, né tantomeno combatteva per lucro (lo dimostra il suo continuo rifiuto anche in Sud America di compensi offerti dalle repubbliche servite).
Scarpino avrebbe anche dovuto ricordarsi di quella folla festante che a Napoli accolse le camicie rosse al grido affettuoso "Viva Garibaldo".
Ciò che potevano, eventualmente, aver detto o fatto i soldati di Garibaldi prima e quelli del Re dopo, non giustifica l'oscuramento dell'unificazione italiana.
Il popolo è uno solo e una sola nazione lo può contenere, qualunque sia l'orgoglio cittadino o regionale che contrasta con questo principio.