Analisi libro: "La ragazza di Bube"

Materie:Scheda libro
Categoria:Italiano

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Data:07.09.2005
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Testo

CARLO CASSOLA
La ragazza di Bube
Carlo Cassola, scrittore ed ex-partigiano, dopo aver composto entusiasmanti romanzi influenzati fortemente dall’esperienza politica, propone con “La ragazza di Bube” un’opera in cui gli ideali della Resistenza vanno eclissandosi e a loro posto si fa luce un amaro senso di tradimento e di crisi. Partecipe attivo della guerra civile e dei suoi effetti nefasti, lo scrittore sviluppa la sua tematica non in modo crudo e realistico o con una forte critica, bensì la intreccia ad una vicenda coinvolgente dai toni dolci e commoventi, una storia di un amore alimentato da sentimento e senso del dovere: ne scaturisce quindi un effetto piacevole ed equilibrato che lascia sfuggire qualche cenno d’insegnamento. Ritratto di una nazione vinta, il clima che si cala sulla vicenda pare estremamente triste; i fratelli maggiori non hanno che da badare ai più piccoli e osservare dalla finestra il corso della storia, incontrare amici nascondendosi in luoghi angusti come sottoscala e orti dispersi e discorrere dandosi del lei. Dal successo insperato, infatti, il racconto si inscrive nella situazione dell’Italia tra il 1944 e il 1948, quando ormai, scaldati dall’entusiasmo di un possibile futuro repubblicano, si pensa solo alla gloria, senza rendersi conto di non possedere i mezzi per mantenere l’ordine; le tensioni sociali, d’altra parte, sono ancora numerose e non di rado sfociano in scontri violenti. Proprio un evento simile è l’input che rompe l’equilibrio iniziale e libera la vicenda; Bube, un ragazzo partigiano, dopo aver incontrato e essersi innamorato della sorella del suo più caro compagno morto di recente, si trova a puntar la rivoltella contro un maresciallo fascista per vendicare l’amico ucciso. Accecato dall’orgoglio a stimolato dalla sua fama, compie la sciocchezza e sparge sangue, divenendo così un debitore della giustizia; la coscienza sporca gli grava alle spalle e lo tormenta ma, sul subito, non può che scappare e lo fa con Mara, divenuta la sua ragazza. Arrivato al punto di un poter più restare entro i confini, si trova costretto ad abbandonarla, fuggendo in Francia, con una fiduciosa speranza in un’amnistia, ma ben presto, mentre nel suo paese era stato avviato il processo, fu espulso anche dal quel paese e, giunto alla frontiera, arrestato. Nel frattempo, Mara, angosciata dalla situazione e dal clima nel suo paese, era stata assunta da una famiglia in un paese vicino, come donna a servizio e aveva conosciuto Stefano; il ragazzo, colto e gentile, le fa perdere la testa, ma il senso del dovere e il pudore di rimanere accanto a Bube, solo con il suo stupido errore che pesa sulle spalle, prevale e, nel corso del processo, sarà lei a prendere parola e chiedere la pietà per un ragazzo che ha commesso una sciocchezza ancora giovane, assetato di giustizia e intrappolato in un ruolo di “Vendicatore”. I giudici seguono il codice, non i sentimenti e condannano il ragazzo a quattordici anni di prigione.
Una vicenda singolare è resa ancora più suggestiva dallo scenario in cui è calata; lo scrittore toscano, infatti, che in quasi nessuna opera rifiuta l’ambientazione nei luoghi d’infanzia, aggiunge un tocco impercettibile che gli dona un fascino particolare. La trama si dirama così tra i territori della Maremma, nella Val d’Elsa, partendo da Monteguidi, dove abita Mara, per poi spostarsi a Colle, muoversi per le colline, giungere a Volterra, presso la famiglia di Bube e, infine, trascorrere un breve periodo a Poggibonsi, dove la ragazza presterà servizio in una famiglia e conoscerà Stefano.
Le descrizioni più suggestive sono riservate alle colline, attraversate non solo dall’Era, ma anche da piccoli affluenti, torrenti che scorrono sotto una rigogliosa macchia che talvolta impediva persino di vedere il cielo, con i suoi rami stesi e intrecciati; qui non c’è traccia di case, il clima è avvolto nel silenzio e nella calma, come fosse una dimensione lontana dalla realtà, lontana dalle guerre e dal sangue. Soltanto in cima ai poggi brulli e non molto alti si scorgono paesi. I due protagonisti sviluppano le scene più toccanti del loro amore in quel terreno pianeggiante diviso in tanti rettangoli dai filari di viti che si succedono a intervalli regolari, porzioni coltivate a fagioli, pomodori, erba medica e zucca, procedendo poi per un suolo più sassoso, verso un bosco che coi suoi tronchi sottili e fitti, si erge di fronte a loro come un muro.
La zona ricca di radure rigogliose e verdi si contrappone agli spaccati di interni delle case dei ragazzi; le abitazioni si presentano anguste e strette, dai soffitti scrostati, pareti sporche e segnate dall’umidità e mattoni mezzi rotti. Questa condizione, più marcata nella dimora di Bube, rappresenta la realtà, il mondo e gli effetti della guerra opposti, appunto, all’innocenza della natura magica e incontaminata, in cui l’uomo non agisce, non sparge sangue, non coltiva l’odio ma lascia sfogo all’amore e si abbandona alla scoperta dei sentimenti più dolci.
Il legame d’affetto che unisce i due ragazzi costituisce la salvezza di Bube, un punto di riferimento di cui ha davvero bisogno; egli, infatti, magrolino, bruno, coi capelli lisci e i baffetti, ha alle spalle un infanzia triste e travagliata che, dietro il suo atteggiamento sempre imbarazzato e impacciato, si manifesta in uno spirito ribelle con una propensione alla violenza. Cassola lascia intuire che il grande errore del ragazzo non è tanto l’omicidio, quanto l’aver aderito al partito comunista, da cui si ritrova profondamente deluso e tradito; egli, infatti, con esso, si è creato un nome, un’etichetta colma di stima e orgoglio, della quale non riesce più a disfarsi, la fama di “Vendicatore” che tutti vogliono riconoscergli. L’animo, quindi, già fragile e insicuro, di un ragazzo ingenuo cresciuto senza una vera e propria famiglia che vuole atteggiarsi da uomo, è compromesso dagli impulsi di rivoluzionari che lo segnano, lasciandogli un’educazione volta ai valori della violenza e a prender le armi anche se a malincuore e senza convinzione. L’incontro con Padre Ciolfi costituisce la prova di ciò: nonostante numerose donne gli chiedano di picchiare quella sua conoscenza d’infanzia egli lo protegge dalla loro furia e dall’aggressione di alcuni ragazzi finché si trova obbligato, per la sua fama, a picchiarlo, cercando di reprimere la pietà e far salire l’orgoglio.
La grande conversione del personaggio si ha durante gli anni in carcere quando, lontano dalla sua ragazza, si trova solo a fare i conti con la propria coscienza e prendersi le responsabilità degli errori commessi, troppi e troppo gravi, che lo hanno diviso dalla persona che ama; si sente in colpa, Bube, pensa a Mara e se ne rammarica, vive momenti di crisi angosciosa pensando a cosa avrebbe potuto fare senza quei “pesi” sul capo, immagina una famiglia e dei bambini e sogna un giorno di poterli avere, fuori da quel carcere in cui la sua persona e il suo spirito è richiuso.
Bube ha scoperto l’amore in una circostanza più che mai dolorosa: Mara, l’oggetto del suo sentimento, ha conosciuto come lui e forse più di lui il dolore e diviene la protagonista assoluta del romanzo.
Dalle prime righe, la ragazza, allegra ed energica, determinata e sicura di sé, spicca una frivola adolescente immatura e inconsapevole che osserva il mondo con l’entusiasmo di un bambino egoista, si eccita all’arrivo degli Americani che chiedono vino, regalano cioccolata e porgono complimenti, si svincola dai giovani schietti e provocatori con una certa malizia e si rifugia in fantasticherie adolescenziali. Dalla superficialità paesana, la ragazza pare credere molto nella sua bellezza e furberia, ma si dimostra anche molto testarda e indipendente; sono forse queste due qualità che le permetteranno di cambiare, insieme con le esperienze dure che si trova ad affrontare.
Poco innamorata ma molto vanitosa, intraprende la storia con Bube fondamentalmente per farsi notare dalle amiche e specialmente dalla cugina, invidiosa e bugiarda; col tempo però si vede il cambiamento dei suoi sentimenti che vanno trasformandosi già da dopo l’omicidio del maresciallo e che, con la lontananza di Bube, si affermano vivi e angosciosi in lei. L’affetto che prova ora è diverso e la sua condizione di impotenza di fronte alla situazione la fa cadere in una crisi, una mancanza di forze e carattere per reagire che la induce a cedere alla corte di Stefano, un giovane conosciuto durante l’esilio di Bube. La ripresa di coscienza arriva inaspettata e insperata; potrebbe non essere il sentimento a staccarla fermamente dal nuovo ragazzo, ma il senso del dovere che è cresciuto in lei, il pudore e la responsabilità nei confronti di Bube, costretto ad una vita avvilente. Lei ora è “la ragazza di Bube”, non più la sciocca vanitosa adolescente ma una ragazza capace di reagire con forza ed energia, sostenere una vittima della Resistenza e alimentare in lui la fiamma della speranza con l’amore e il carattere di chi ha davvero conosciuto il dolore e non è in grado di voler male a nessuno.
Cassola, in questa occasione, dimostra la sua abilità, non solo nel tracciare i lineamenti di due personaggi esemplari e caratteristici, ma anche ha condurre il loro cambiamento nel corso del tempo e in base alle esperienze, dalle quali si trovano segnati.
Vinicio, il monello fratellino di Mara, la mamma, il cui unico interesse era rivolto al fratello, il padre, scaldato partigiano, Viviana, la cugina vanitosa e agiata, Memmo, figlio di gente che ha i soldi, Lindori, compagno di Bube che la sostiene durante i processi e infine Stefano, il ragazzo colto e raffinato che incontra a Poggibonsi costituiscono i personaggi secondari diversissimi tra loro che contribuiscono a creare una scenografia ricca e coinvolgente, dalla trama toccante e appassionante.
Lo stile dell’autore, sobrio e lineare, rende ancor più piacevole la lettura, dalla lettura fluida e trascinante. Con una straordinaria semplicità e, a un tempo, una percepibile eleganza, Cassola conduce il suo racconto con frasi brevi e poco impegnate, traccia i lineamenti di persone comuni e mette in luce, senza esasperarli, i loro caratteri e cambiamenti, si concede una punta di erotismo che slancia la vicenda verso i desideri d’amore e torna con scioltezza a ritrarre una quotidianità scialba; nello stesso tempo, non pone un accento forte e duro sull’epoca e sui comportamenti umani, schivando critiche e giudizi personali talvolta grevi e impegnati. La leggerezza dei suoi tocchi si mantiene fino alla fine e sfocia nell’immediatezza con cui la protagonista sviscera l’umile morale.
Frasi brevi coordinate, lessico chiaro e schietto, scarsità di termini tecnici o riferimenti astratti, rapide sequenze narrative spesso animate da dialoghi, descrizioni paesaggistiche suggestive e toccanti, soliloqui brevi e limpidi sono gli strumenti che l’autore impiega per donare al romanzo estrema fluidità.
“La ragazza di Bube”, pur essendo un’opera impregnata dal tema storico della Resistenza, accosta il dovere politico al sentimento; il contrasto scaturito pare forte e incisivo. L’onore e l’orgoglio che l’impegno politico impone impedisce la crescita di un amore totalizzante, un sentimento forte che però non riesce a prevalere sull’odio della guerra, ma, nel tempo, porta ad una maturazione dei due ragazzi e alla nascita di un nuovo senso del dovere.
La fiducia, la forza morale e la maturazione sono i cardini che illuminano il racconto e che creano il forte contrasto tra realtà e sentimentalismo; nella quotidianità di disordini e scontri armati non possono sbocciare sentimenti veri e profondi, ma lontano da sangue, da cadaveri, da manovre e partiti politici può fiorire qualcosa, un amore, per esempio, fatto di frivolezza e desideri fisici, di timidi imbarazzi e calde passioni.
Mentre da un lato, Cassola, fa percepire una sfiducia anche nei confronti della Resistenza, prima appoggiata e combattuta fermamente, con il tradimento inaspettato dei partigiani nei confronti di un loro compagno, dall’altro mette in luce come un’esperienza negativa possa formare e cambiare due giovani animi, dargli carattere e forza di reagire, portandoli umilmente a insegnare è cattiva la gente che non ha provato dolore, perché quando si prova dolore, non si può voler male a nessuno.

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