"Tanto gentile e tanto onesta pare"

Materie:Appunti
Categoria:Italiano

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Testo

Tanto gentile e tanto onesta pare
Tanto gentile e tanto onesta pare
La donna mia quando altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestita;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrarsi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ‘intender no la può chi no la prova:

e par che della sua labbia si mova
uno spirito soave pien d’amore
che va dicendo all’anima:Sospira.
La mia donna pare così nobile e onesta
Quando porge il suo saluto,
che acquieta ogni lingua tremante,
e gli occhi non osano guardarla.
Lei procede, sentendosi lodare,
con atteggiamenti che rivelano benevolenza,
e appare come un esser sceso
dal cielo sulla terra a rivelare il potere divino.
Si presenta con una tale bellezza a chi la contempla,
che attraverso gli occhi reca dolcezza nel cuore,
che nessuno può capire se non lo ha provato:
e sembra che dal suo viso emani
uno spirito soave pieno d’amore,
che suggerisce all’anima: Sospira
Analisi del testo
Pensando a Dante si fa subito riferimento alla Divina Commedia ma tra le opere più famose da lui composte vi è anche:”Tanto gentile e tanto onesta pare”. Il titolo riprende il primo verso del sonetto composto da endecasillabi e ci fa da anteprima a ciò che è il contenuto dell’opera. Si nota facilmente la lentezza del ritmo causato non da cesure o da pause ma dalla presenza nello stesso verso di accenti ritmici troppo vicini tra loro che crea un clima di immobilità e di contemplazione, come è possibile vedere in questo esempio che riprende i primi due versi dell’opera:”Tànto gentile e tànto onèsta pàre/la dònna mìa quand’èlla altrùi salùta”. Da un punto di vista generico l’opera ritrae l’ideale perfetto di donna, criterio ripreso da Dante dallo Stilnovismo. La parola chiave del sonetto è il verbo “pare” (I, II e IV strofa) che non traduce il verbo “sembrare”, né “apparire” ma “apparire in piena evidenza” che sta a simboleggiare l’apparizione miracolosa della figura femminile in questo caso Beatrice. Altro elemento molto rilevante nel testo è la presenza di numerosi verbi, la maggior parte dei quali è posta in posizioni forti ovvero o a inizio o fine verso come:”si va” (v. 5); “e par” (v. 7); “mostrarsi” (v. 9); “che da” (v.10 ); e la conseguenza di tutto ciò sta nel fatto che il verbo esprimendo azione da al sonetto un intenso movimento dinamico.
Dall’opera non si estrae una figura terrestre di Beatrice, non si delineano le sue caratteristiche ma tutto rimane sul vago, il suo incedere non è terrestre ma scaturisce benevolenza nei confronti di chi la contempla a cui attraverso gli occhi reca una dolcezza nel cuore. La maggior parte dei verbi e dei sostantivi(come:donna, umiltà, cosa, cielo, terra, miracol, dolcezza, core, labbia, spirito amore e anima) indicano fattori astratti per confermare che Beatrice non viene vista come una cosa concreta ma come un’incarnazione divina presente sulla Terra per dimostrare ciò che è capace di fare Dio in cielo. Da un punto di vista sintattico e retorico possiamo dire che la maggior parte delle proposizioni subordinate sono consecutive introdotte dall’anaforico ”che”.
Nel v. 1 è presente l’anafora di”tanto” ;nel v. 5 c’è un latinismo “laudare”; nei vv. 10-11 c’è l’anafora di “che” e “no” e per concludere troviamo anche degli enjambement tra il v. 1 e 2, tra il v, 7 e 8 e tra il v, 12 e 13.

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