"Eccessi Di Cultura" di Marco Aime

Materie:Scheda libro
Categoria:Italiano

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Testo

Scheda Libro
Titolo: Eccessi di cultura
Autore: Marco Aime
Anno di Pubblicazione: 2004
Prezzo: 7.00€
Editore: Einaudi
Biografia dell’autore

Marco Aime, nato a Torino nel 1956, insegna Antropologia culturale all'Università di Genova e ha recentemente pubblicato per Einaudi un volume dal titolo Eccessi di Culture dove affronta i nuovi scenari disegnati da migrazioni internazionali.
Ha condotto ricerche in Benin, Burkina Faso e Mali, oltre che sulle Alpi.
Collabora agli inserti de «La Stampa» "TuttoLibri" e "TorinoSette".
Aime ha contribuito anche in qualità di fotografo, realizzando reportage, sui paesi visitati.
Oltre a vari testi antropologici ha pubblicato anche articoli scientifici.
Altre opere
Marco Aime tra l’altro ha anche pubblicato:
Credenze e civiltà provenzali in valle Grana” (Centre de Minouranço Prouvençal, Coumboscuro, 1992); “Il mercato e la collina”; “Il sistema politico dei Tanga” (Taneka) del Benin settentrionale; “Passato e presente” (Il Segnalibro, 1997); “Le radici nella sabbia” (EDT, 1999); “Diario dogon” (Bollati Boringhieri, 2000); “Sapersi muovere”; “Pastori transumanti di Raschia” in collaborazione con S. Allovio e P.P. Viazzo (Meltemi, 2001); “La casa di nessuno”; “Mercati in Africa occidentale”(2002).
E’ autore anche di alcune opere di narrativa: “Taxi brousse” (Stampa Alternativa, 1997, II edizione 2001), “Fiabe nei barattoli. Nuovi stili di vita spiegati ai bambini” (EMI, 1999); “Le nuvole dell’Atakora”(EDT, 2002).
Struttura

Il saggio è strutturato in brevi, ma non poco importanti, vicende e fatti accaduti negli ultimi anni.
Ed è diviso in 4 capitoli principali, che a loro volta si suddividono in altri sottocapitoli, più una premessa:
Premessa
I . Eccessi di culture
II. Le culture non s’incontrano ne si scontrano
III. L'etnicizzazione del mondo
IV. La pratica dell'identità
Trama
Questo libro parla di come si affrontano i nuovi scenari disegnati da migrazioni, tensioni internazionali, scambi d’idee e d’immagini; parole come "cultura", "etnia", "identità" riempiono sempre più, spesso a sproposito, i discorsi dei politici e le colonne dei giornali.
Le culture ricevono un peso eccessivo e una sovrabbondanza di significato come se le differenze si cristallizzassero in recinti chiusi “invalicabili”. Vi è, in sostanza, un eccesso d’attenzione verso le differenze culturali, le diversità, l’identità, che non è sinonimo d’attenzione alla differenza, o meglio alle differenze. Sia chi vede nella cultura la ricchezza e sia chi la teme, nega a essa quella fluidità e quella complessità che la rendono speciale. Tutte le tradizioni sono in qualche maniera “inventate” per rispondere alle esigenze del presente ad esempio i regali di natale o di altre feste, che servono soltanto per far spendere soldi alla gente, tutte le appartenenze culturali sono frutto di incontri e scambi.
In particolare nell’epoca della globalizzazione, si è creato una frattura tra i luoghi di nascita di una cultura e quelli d’espansioni, ampliando in questo modo l’influenza dell’immaginazione nella costruzione di una biografia individuale e collettiva ( ad esempio i dialetti che a poca distanza possono cambiare in modo notevole).
La definizione di confini netti e precisi non risponde soltanto alla ricerca di sicurezza in un mondo che è in costante cambiamento. Dietro al carattere culturale molte volte entreranno in gioco anche la politica a volte in modo anche silenzioso. L’etnicizzazione di problemi che in realtà sono sociali, come la disoccupazione o la sicurezza, permette a chi governa una facile strumentalizzazione delle questioni politiche ed un loro ritardo nella soluzione. Queste stesse cause sono alla radice di conflitti storici di portata e dimensioni più drammatiche. La guerra nell’ex – Jugoslavia ad esempio, da molti e stata chiamata come etnica, ma vederla per etnica significa nascondere le realtà politiche di chi la voleva provocare per scopi di lucro o di qualsiasi altro genere e assolvere le coscienze di chi non ha saputo intervenire.
Aime mostra come il dibattito sull’immigrazione sia trattato sempre più da un punto di vista culturale, o religioso, anziché politico, e “spostando il dibattito da un piano politico ad un piano culturale, da un lato si rimuovono le cause sociali che stanno alla base di tensioni e conflitti, sottraendo in questo modo al giudizio della gente la possibilità di riconoscere quegli elementi che invece potrebbero essere condivisi con gli stranieri.
Molte altre sono le sollecitazioni proposte da Marco Aime che non cade nella tentazione di
esporre un elenco di casi e teorie. Rileva le appartenenze culturali, come ad esempio
del caso estremo in Shoah.
Esistono anche casi in cui le forme d’appartenenza non sono influenzate dal potere politico.
Sono quelle che lo scrittore chiama “diversità scherzose”. Nel reciproco prendersi in giro fra commercianti senegalesi e napoletani in un mercato del Vomero o nei diverbi, forse non sempre gradevoli, che coinvolgono cittadini torinesi e recenti immigrati dal Sud negli anni Sessanta, si assiste e si assisteva alla negazione di alcune espressioni di differenza, ma senza mai arrivare alla esclusione totale del razzismo.
L’obbiettivo del saggio e quello di svelare questa tendenza all’etnicizzazione, dei conflitti e il fatto che sono gli individui non le culture, a scontrarsi e ad interagire con loro e affermare come qualsiasi persona, pur dotata di strumenti culturali e intelligenti volti a rendere comprensibile la realtà del nostro mondo, sia, più che depositaria di una cultura monoliticamente intensa, piuttosto un abilissimo”camaleonte culturale”.

Commento
Dal mio punto di vista il primo capitolo, che poi da anche il nome al libro, è il più interessante ed è quello che ha suscitato in me pensieri e riflessioni, e mi ha anche ispirato maggiormente per un commento. Perché tratta argomenti che ci colpiscono in prima persona, sia come studenti, sia come cristiani.
Il libro inizia da alcuni casi della recente cronaca italiana per analizzare un fenomeno che sembra trascendere dalle buone e dalle cattive intenzioni, come dagli schieramenti politici della destra e della sinistra.
Nell' ottobre del 2001, a Ceva, in provincia di Cuneo, il preside di una scuola decide di fissare un giorno di vacanza in concomitanza con la data di inizio del Ramadan. Immediate le reazioni di protesta di chi accusa la scuola di soggiacere alla volontà dei musulmani. A dicembre dello stesso anno, il sindaco leghista di un paesino in provincia di Como si presenta alla scuola elementare vestito da Babbo Natale. Le maestre gli chiedono di allontanarsi per evitare di offendere la sensibilità dei cinque allievi musulmani.
A questo fatto preferisco rispondere con una semplice frase di Aime:
“«A incontrarsi o a scontrarsi non sono culture ma persone, se pensate come un blocco monolitico le culture divengono un recinto invalicabile»”
Secondo me, questa è la frase principale di tutto il libro, infatti sono le persone con le loro storie, le loro aspettative, le loro problematiche a confrontarsi in situazioni quotidiane. Tuttavia nei media come nelle conversazioni informali, sul piano politico come su quello amministrativo sempre più le appartenenze culturali dominano su tutto il resto.
Nel caso precedente insegnanti e direttori della scuola di Stato che hanno cercato di
rendere universale, il significato del Natale, appaiono, in questa situazione, i soli veri colpevoli e gli iniziatori di un processo di “decristianizzazione” del paese.
Come se non fosse già importante che i professori si pongano domande forti e difficili come quella che sta alla base degli obbiettivi della scuola pubblica, e cioè ospitare e istruire i
bambini e i ragazzi senza alcuna discriminazione di classe sociale, di
provenienza etnica e di credenza (o non credenza) religiosa. Con questo non voglio dire che tutti i professori siano un cattivo esempio, voglio solo dire che ci sono persone che , cercando di fare qualcosa di meglio per i loro alunni, rischiano di scavare sempre di più il fossato tra noi e gli altri di altre religioni, quando invece non ci dovrebbero essere “altri” ma solo “noi” come un unico gruppo multiculturale.
Conclusioni
Lo scrittore così come ha cominciato, ha deciso di finire, con piccoli episodi della vita quotidiana, che non vanno mai sottovalutati. L’esempio con cui ha deciso di terminare è di un bambino marocchino che risponde alla domanda della maestra: “Il couscous è come quello della mamma?”
« Quello della mia mamma è più buono perché ci mette uno strato di couscous e uno di tortellini. »
Da questo semplice esempio ma calzante alla perfezione, si può capire che l’amalgamento di due società, se pur molto diverse, è possibile.

Esempio