CULTURA E RELIGIONE:elementi della diversità / elementi dell'intolleranza (vignette satiriche)

Materie:Tema
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Testo

CULTURA E RELIGIONE: .
elementi della diversità / elementi dell’intolleranza .

La reazione del mondo islamico alla pubblicazione delle vignette satiriche,si è manifestata con estrema violenza, prendendo di mira persone e simboli per nulla coinvolti nella vicenda; basti ricordare gli assassini di don Santoro in Turchia, di tanti cristiani in Nigeria, nonché l’incendio o la devastazione di chiese, sempre in Nigeria e in Pakistan.
La popolazione cristiana è in fuga dalla guerra, dall’estremismo religioso ma anche dalla mancanza d’occupazione, di speranza per il futuro, di prospettive di vita. Devono rassegnarsi le persone che credevano ancora di instaurare una possibile convivenza tra due civiltà che ormai condividono tanti territori.
Gia!Con che soggetti, su quali argomenti, con quali strumenti saremmo in grado di comunicare con certe persone?
“Chiunque insulti il profeta Maometto sarà ucciso”.Ecco lo slogan che migliaia e migliaia di manifestanti islamici ripetevano mentre attaccavano e incendiavano ambasciate e consolati occidentali.
Tariq Ali ( da “Senza vincitori”,Il Manifesto, 09-02-06) accusa i fumettisti danesi di intenzioni provocatorie e di aver creato uno stereotipo razzista di Maometto. Ali concede tutto il diritto ai musulmani di protestare, ed anche io lo faccio, ma non trova necessaria una reazione così eccessiva. Neanche io tollero o in altro modo giustifico alcuni fenomeni che trovo assolutamente esagerati per un qualsiasi popolo civile. Ad esempio, in questi convulsi e tragici giorni, purtroppo non ancora terminati, ho giusto notato tre fotografie rappresentative che sono apparse su alcuni giornali e in internet: un manifestante a Londra che esibisce un cartello con la scritta “L’islam conquisterà l’Europa”, che mi ha lasciato davvero stupito e incredulo; un altro a Teheran, brandisce un crocefisso dato alle fiamme; un terzo, infine, porta un cartello che dice “Amiamo il profeta Maometto più delle nostre vite”.
Su che basi potremmo instaurare un pacifico dialogo con gente che applica “la legge del taglione”, ma moltiplicata di cento volte e che non presta nessuna rilevanza al valore della propria vita?
Queste vicende sono ormai espressioni che vanno molto oltre i fatti specifici accaduti, anzi sono ormai da questi distaccati, ma proprio per questo più indicativi. Da un lato evidenziano i sentimenti di tanta parte delle popolazioni islamiche nei riguardi dell’occidente, dei suoi valori, della religione cristiana, ma anche della terra che ne ha accolto l’emigrazione, che garantisce i loro diritti, le loro libertà a partire da quella religiosa. Dall’altra fanno risaltare la profonda fede che sostiene ed anima il popolo islamico.
L’islam non esprime oggi una cultura che s’integra o semmai che vuole integrarsi, piuttosto mira al contrario, ossia ad integrare le culture con cui viene a contatto.
Non si adatta ad altri contesti, ma pretende che sia il contesto a adattarsi, come quando ad esempio hanno deciso di togliere i crocefissi dalle scuole pubbliche perché frequentate da bambini musulmani.
L’antropologo E. Gellener (da “Ragione e religione”, Il Saggiatore, Milano 1993) spiega che quando i sentimento della diversità costituisce il nucleo inaccessibile dell’identità di un gruppo o addirittura di un popolo, diventa difficile rompere i pregiudizi delle persone e convincere del fatto che la loro sia solo una parte nell’intera storia dell’uomo, composta da altre identità ugualmente degne di riconoscimento. In quest’ottica relazionarsi all’”altro de sé” non può voler dire che conquistare e sottomettere.
La vicenda delle vignette ha chiarito, inutile nascondercelo, che il fondamentalismo, e tutto quanto ad esso consegue in termini di libertà politiche e diritti umani, è un fenomeno di massa, anche se guidato e manipolato da un elite.
Come mai tutto questo scandalo è venuto fuori quattro mesi dopo l’effettiva pubblicazione delle vignette sul quotidiano danese “Jylland Posten”? Evidentemente qualcuno ha deciso il momento più opportuno per istigare e fomentare le masse, e il suo tentativo non è andato sicuramente a vuoto.
Possono essere gli stessi governi, come in Siria o Iran, ma anche in Libia e in Turchia, che guidano le masse così malleabili sul filo dell’affermazione universale della religione islamica, che è tra l’altro dovere di ogni buon musulmano.
Le vignette anti-maomettane e la maglietta di Calderoli sono un semplicissimo pretesto, un'occasione, un fiammifero acceso e buttato in un pagliaio. I leader politici islamici strumentalizzano richiami religiosi come cemento politico per rafforzare la loro situazione interna.
Dal mio punto di vista le reazioni europee sono state, nelle generalità, improntate all’indifferenza, alla resistenza passiva, a scongiurare impauriti uno scontro di civiltà, le cui colpe risiederebbero nei nostri atteggiamenti razzisti e xenofobi.
In sintesi: da una parte vi è un soggetto, l’Islam, orgoglioso della sua cultura e deciso a difenderla ed estenderla;dall’altra vi europa pavida, senza un’identità o che cerca di nasconderla.
Il primo è fieramente attaccato alle proprie radici, noi le ignoriamo.
In questa situazione il dialogo Europa-Islam ha veramente scarse possibilità di successo.
Potremo continuare a trascinarci dietro le nostre proposte di una pacifica convivenza e reciproco rispetto, ma non potremo mai sperare che le nostre richieste facciano presa sulle masse o sulle elite che le muovono.
Europa e Islam devono innanzi tutto, dialogare con se stessi per far penetrare la cultura della tolleranza e della convivenza tra le masse.Fintanto che nella predica del venerdì gli imam non parleranno di pace, tolleranza, mutuo rispetto e convivenza tra differenti fedi religiose non vi sono da attendersi cambiamenti nel sentire e nell’agire delle masse un para-occhi in testa.
Insomma dobbiamo sperare che qualcuno levi questo para-occhi e che spieghi a questi fanatici che esistono anche altre fedi religiose, diverse culture, usi e costumi. Non vi è, in ogni caso, da illudersi che ciò sia facile. Basti pensare al fatto che l’islam non convive pacificamente nemmeno con se stesso.Le bombe che hanno distrutto la moschea di Samara non sono che l’ultimo episodio di una contesa teologica che dura in pratica dalla morte di Maometto e che si manifesta, per lo più, in attentati e stragi nelle moschee.Una realtà che in Pakistan, ad esempio, è quasi giornaliera.
Il dialogo dell’Occidente con se stesso dovrebbe essere rivolto a trovare un’identità che abbiamo perduto. Solo credendo fortemente nei valori, a cominciare da quelli religiosi, che nei secoli hanno attraversato l’Europa, potremmo trovare la forza, trovare la passione, l’orgoglio per contrapporci con successo alla sfida che l’Islam sta proponendoci.
Finché combattiamo contro credi che istigano ed esaltano il sacrificio umano (kamikaze), dobbiamo continuare ad aver timore di queste persone. Anche se noi ci barrichiamo, ci proteggiamo e indugiamo per salvare il maggior numero di vite umane siamo in ogni caso continuamente esposti al pericolo. Non accenno assolutamente al fatto che anche noi dobbiamo sacrificarci ma dobbiamo renderci conto chi siamo e contro di chi ci siamo messi. Abbiamo bisogno di raggiungere al nostro interno un equilibrio, un’alleanza tra i valori del cristianesimo e quelli dell’illuminismo che sono purtroppo in conflitto. Persino io ormai ho acquisito una mentalità “di scienza” e non più religiosa basata sulla fede.
L’Europa, sia a livello delle singole comunità che delle singole nazioni, dovrà dunque, programmi volti a conoscere noi stessi, al riscoprire chi siamo e da dove veniamo, a ridarci l’orgoglio della nostra cultura.
Il dialogo tra due culture, tra due civiltà, presuppone, infatti, due cose. Una ben definita identità da entrambi le parti, l’Islam la possiede ma l’Europa non più. La politica italiana è un palese esempio: deputati e ministri che fanno a gara per essere eletti facendo demagogia alla televisione.
Dovremmo riuscire ad eliminare questa lotta di partito per focalizzare meglio l’attenzione su un popolo che sta tentando di sottometterci.

In secondo luogo la disponibilità ad accettare l’altro, cosa che è dell’Europa ma non dell’Islam.
Gianluigi Paragone (in “L’ultima dell’europa:Imbavagliare la libertà”,La Padania, 12-02-06) occusa l’Occidente di attuare una politica estera basata sull’ipocrita politically correct, incapace di rivendicare i propri diritti, a partire dalla libertà d’espressione. Pubblicare una seconda volta le vignette è stata la risposta polemica ad una linea di un governo troppo molle e ad un Europa pronta a varare un codice di regolamentazione della stampa verso le religioni. Così facendo si strapperebbero tutte quelle libertà e quei diritti conquistati dopo qualche secolo di lotta.
Quindi…Difendere i nostri confini identitari oppure relativizzarli?
La risposta l’ ho trovata all’interno di quelle condizioni necessarie al dialogo alla convivenza.
L’Europa, dialogando con se stessa, deve ritrovare la propria identità, e l’Islam, sempre attraverso il dialogo con se stesso, deve trovare la via della tolleranza e dell’accettazione delle culture non islamiche.
Galante denuncia anche la sua poca convinzione circa l’esistenza di un islam moderato, riservandola solo alle elite culturali che piuttosto alle masse.
Io invece credo che da entrambe le parti esistono gruppi minoritari che corrispondono a tali necessarie caratteristiche d’orgoglio e di tolleranza: da una parte in Europa abbiamo sì un gruppo minoritario con un’identità, ma dal lato islamico, secondo me, n’esiste uno ancor meno minoritario moderato non fondamentalista che non riesce assolutamente a farsi sentire e che viene ripetutamente sovrastato da quello aggressivo e impetuoso.
Solo con un sostegno vigoroso ed impegno dei governi nazionali e delle istituzioni europee, le voci di questi gruppetti potranno entrare nelle teste delle persone che contano davvero e che possono fare veramente qualcosa, riuscendo così a farsi sentire ed avere voce in capitolo. Gli inizi tuttavia, non sono dei più incoraggianti. Ad esempio in questi giorni la situazione con la Libia si sta infiammando sempre di più. Il leader del regime libico Muammar Gheddafi, sta approfittando del polverone alzato dalla vicenda delle vignette per andar contro l’Italia. Dichiara che il vero obiettivo dell’attacco al consolato Italiano in Libia il 17 febbraio mirava in realtà all’assassinio del console italiano e dei suoi familiari, ed ha ripetuto la richiesta all’Italia di risarcimento per il periodo coloniale, non potendo escludere in caso contrario, ulteriori attacchi contro interessi italiani. Gheddafi afferma che i libici odiano l’Italia dal 1911, quando occupò la Libia. La ragione di tutto ciò è che l’Italia ha mancato di risarcire i libici per le loro sofferenze. I contestatori non prendono di mira la Danimarca perché non hanno nessun’idea della Danimarca.
Vogliono solo approfittare della situazione e dei buoni legami che hanno con l’Italia per vedere l’Italia pagare i risarcimenti.
Ed è alla base di queste dichiarazioni che le mie speranze sull’instaurazione di una pace solida e duratura vanno in frammenti.
Mi chiedo come sarà possibile dialogare con queste persone che se non vengono accontentate minacciano e garantiscono nuovi attacchi. Siamo di fronte ad un popolo che ci riporta al periodo delle dittature quando uno stato voleva dominare con la politica del terrore.
Si tratta di capire quindi quale strada sarà da percorrere: se quella della resa e della complicità, oppure la strada della rivendicazione dei nostri valori e del diritto alla nostra libertà e indipendenza.
La difesa dei valori comporta sacrificio, ci vogliono prudenza e responsabilità. Si tratta di chiarire, quindi, quale sia il limite oltre il quale prudenza e responsabilità diventano resa.
Baroncini Alessandro Marzo 2006 I.T.I.S. Castelli 5^Z

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