Reggio Emilia

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Reggio Emilia
L’AMBIENTE PRIMITIVO
Il viandante che agli inizi del II secolo a.C. avesse dovuto percorrere il territorio della nostra provincia lungo la linea Est-Ovest, seguendo l’antichissima pista che costeggiava la zona acquitrinosa, si sarebbe trovato immerso in un ambiente rigoglioso e temibile allo stesso tempo. Fitti boschi di grandi alberi, intercalati a radure verdeggianti, si sviluppavano a perdita d’occhio fino ai piedi dell’Appennino; qualche capanna, abitata da genti rozze di stirpe celtica dedite all’allevamento del bestiame ed ad una primitiva agricoltura, s’intravedeva ogni tanto al limitare degli spazi erbosi. Ruscelli e torrenti interferivano con la pista che, in mancanza d’altre strutture, li attraversava a guado; a tratti, sul lato Nord, comparivano fitti canneti che nascondevano inaffidabili stagni limacciosi.
Era un ambiente naturale intatto, tipico del clima continentale, ma su quest’ambiente incombeva una presenza minacciosa. I Galli Liguri, che da tempo immemorabile avevano occupato l’Appennino, battuti dai romani e cacciati sui loro stessi territori (195 a.C.), sopravvivevano, con rapide scorrerie nella pianura, razziando soprattutto le carovane dei traffici mercantili che, necessariamente, utilizzavano le uniche due piste attraversanti la nostra provincia: la pedemontana e poi quella che successivamente sarà sostituita dalla Via Emilia.
Anche le legioni romane, che diverse volte si erano inoltrate su questi tratturi, avevano constatato, con duri scontri e talora soccombendo, quanto fossero infide e combattive le genti galliche.
Per Roma, in rapida espansione, questo stato di cose non era più tollerabile tanto che, finita la seconda guerra punica, furono riprese in considerazione la definitiva conquista della Gallia Cispadania e la costruzione di una sicura via consolare che, partendo dal caposaldo d’Ariminum (Rimini), giungesse a Placentia, sul Po, passando per gli antichi centri di Bononia, Mutina e Parma.
LA VIA EMILIA
Compare così sulla scena padana Marco Emilio Lepido.
Appena entrato in carica con Caio Flaminio, che si occuperà della costruzione della strada che ancora porta il suo nome, il console impegna subito le sue due legioni nella grand’opera civile, e pare che riesca a realizzarla nel corso di un solo anno: il 187 a.C. Certo è che, nel volgere di pochissimo tempo, la tortuosa pista scompare per lasciare il posto ad un asse stradale quasi rettilineo che scavalca avvallamenti sopra solidi terrapieni, oltrepassa corsi d’acqua su robusti ponti di legno, ha un sottofondo bonificato per cui non è mai danneggiato da infiltrazioni acquitrinose. Lungo il suo percorso, ben presto, cominciano ad apparire corrieri di Stato al galoppo e legioni in marcia verso le nuove colonie transpadane.
Ma il nostro territorio, che per antica tradizione preromana forse era chiamato Rigion o Region, non era ancora pacificato.
I convogli militari e commerciali che erano costretti ad accamparsi in zona per pernottare, data la distanza che intercorreva fra i centri fortificati di Parma e Mutina (due giorni di cammino), dovevano rimanere allertati per resistere ad improvvise, sanguinose e devastanti scorrerie.
Rimedio radicale sarebbe stato quello di impiantare in loco et ex novo un accampamento fortificato permanente; e così fu fatto.
Malgrado le molte leggende riprese da vari storici narranti le antichissime origini della nostra città, oggi, utilizzando dati archeologici raccolti nel corso di scavi condotti nel centro cittadino, si è assodato che sotto il più antico strato repubblicano il terreno non reca traccia di precedenti abitati. Se ne deduce, di conseguenza, che Reggio nasce in periodo romano, generata da comprensibili ragioni militari legate ai problemi prima accennati.
La storia della città di Reggio ha inizio probabilmente fra il 187 e 185 a.C. quando, per decreto consolare, è deciso di porre un presidio stabile a guardia della zona e soprattutto del ponte ligneo che scavalcava il Crostolo allora fiume perenne, che scorreva lungo l’attuale Corso Garibaldi.
È proprio per questo ponte, che oggi resta sotto l’incrocio di Via Mazzini con la Via Emilia S. Stefano, che diviene “punto d’origine” di tutte le operazioni che gli antecessores e i metatores castrorum, cioè gli addetti alla scelta e alla delimitazione del campo, eseguiranno per definire sul terreno la perimetrazione dell’accampamento fortificato. Non per nulla in zona, è stato scoperto il cippo dedicato al dio Termine, conservato nei civici musei unitamente all’erma che lo sormontava.
POLIBIO E LE SUE “HISTORIÆ”
Polibio indica dimensioni in “piedi” per le misure lineari e in “pletri” per quelle di superficie; egli era greco quindi, con buona probabilità, le sue misure seguivano la metrologia greca. Si è potuto accertare che, fortunatamente, i sistemi di misura greci e romani, per i valori più importanti, si equivalevano, per cui è presto caduto ogni motivo d’incertezza.
Polibio, nel VI libro delle sue “Storie”, descrivendo le operazioni relative all’impianto castrense, dice testualmente:
“…Fissato per mezzo di un’insegna il punto dove deve essere innalzata la tenda del Console, è delimitata, tutt’intorno a questa, un’area quadrangolare, in modo che ciascuno dei lati disti dall’insegna cento piedi e che l’area totale sia di quattro pletri” (Area Pretoria).
Nasce qui l’interrogativo riguardante il criterio con cui era scelto il punto dove innalzare la tenda del comandante. Dallo sviluppo del discorso risulta chiaro che il criterio guida era affidato ad un preciso fine tattico. Se ne ha una riprova nel caso di Reggio.
Il ponte era posto sopra un corso d’acqua perenne andava salvaguardato a tutti i costi, poiché su di esso passava una strada consolare; quindi, deciso che all’altezza del ponte doveva essere sistemato un avamposto di guardia, i mensores, agli ordini di un tribuno o di un centurione, dopo aver fatto disboscare la zona per ampio tratto, misurano da quel punto trecento passi procedendo verso Est sulla Via Emilia, che da quel momento diviene “decumano massimo” e via praetoria dell’accampamento. Lì piantano la “groma”, cioè lo strumento agrimensorio e tracciano una prima linea perpendicolare all’asse viario guardando verso il mezzogiorno, secondo l’antico rituale.
Il punto di Groma corrisponderà alla porta praetoria del castra. I trecento passi sono suggeriti da una lunga esperienza; da 300 passi (444 m) infatti, è ancora possibile comunicare con segnali sonori e ottici dalle torri di guardia agli avamposti e viceversa. La direzione Est rispetto al ponte, scelta per il tracciamento del nuovo forte, è determinata dall’ansa a gomito del Crostolo, corrispondente all’attuale Piazza Roversi, che permetterà un comodo prelievo d’acqua per il fossato di recinzione e per gli usi del campo. Acqua, legname e foraggio erano considerati i tre elementi basilari per la costruzioni e la vita del castra.
Sulla linea perpendicolare alla Via Emilia si procede alla misurazione di 100 passi in direzione Sud e 100 passi in di9rezione Nord; in seguito sono contati 100 passi anche in direzione Est sul decumano.
In quest’ultimo punto è interrata la “pietra gromatica” che diventa umbilicus di tutte le operazioni agrimensorie della zona. Cento passi corrispondono a 148 m. traguardando con la groma dall’umbilicus, il gromatico traccia il “cardine massimo” o via principalis perpendicolare al “decumano massimo”; l’incrocio dei due assi viari costituirà il punto indicato da Polibio per la delimitazione del primo quadrangolo destinato al praetorium, che occuperà il centro del campo fortificato.
Il cardine massimo è oggi riconoscibile, per il tratto Nord, nella Via Roma e nel Viale Regina Margherita e, per quello a Sud, nelle vie Calderoni, S. Carlo, Guazzatolo e Umberto I.
Sulla base delle indicazioni dello storico greco, il primo riquadro tracciato ha il lato di 200 piedi (59,20 m) e perciò l’area dello stesso risulta di 40000 piedi quadrati equivalenti a quattro pletri quadrati. Dal tracciamento di quest’area, al contrario di quelle successive, non è restato alcun segno, non avendo comportato opere edilizie. Attorno a questo quadrato si svilupperà l’intero accampamento, proporzionato al numero dei soldati e dei reparti di effettivi ed ausiliari della guarnigione, secondo uno schema prestabilito ma non vincolante. Nel caso nostro, essendo il contingente limitato il primo castra nasce su un campo quadrangolare di 1000 piedi di lato (200 passi romani).
Dai due picchetti (metae) piantati al termine dei duecento passi diretti Nord – Sud, i metatores provvedono a tracciare due segmenti paralleli alla Via Emilia, lunghi 200 passi. La linea congiungente i punti terminali posti ad Est definisce il perimetro del castra che risulta essere un quadrati con superficie di 100 pletri.
Dalla porta decumana, compiuti 300 passi verso Est, si procede alla sistemazione di un secondo posto di guardia. Altri due avamposti vengono collocati alla stessa distanza a Nord e a Sud sul cardine massimo.
IL PRIMO “CASTRA”
La perimetrazione del primo centro fortificato è oggi in buona parte sovrapponibile alle vie Toschi a Sud, S. Domenico e Sessi a Nord, Bojardi e Abbadessa a Est, parte di Via Vittorio Veneto (cortile della curia vescovile), e Don Andreoli a Ovest. I tre avamposti di guardia a Sud, a Nord e a Est li ritroviamo collocati esattamente in corrispondenza delle attuali porte Castello, S. Croce e S. Pietro (all’altezza degli sbocchi dei viali Monte Grappa e Monte S. Michele).
Le strutture in un campo trincerato romane ci sono note. Il piccolo castra stativa regense, accogliendo una guarnigione ridotta, doveva avere un impianto semplificato ma con tutte le caratteristiche strutturali ricordate dagli storici del tempo: il “decumano massimo” con la porta decumana a Est e la porta praetoria a Ovest; il “cardine massimo” con le altre due porte, la principalis sinistra a Sud e la principalis dextra a Nord. Nella carta del Sadeler sono pure ben leggibili anche i cardini e i decumani minori.
Il fossato, che circondava l’accampamento, traeva l’acqua dal Crostolo per mezzo di un canale che con buone probabilità correva in corrispondenza dell’odierna Via L. Fornaciari (ex via del Torrazzo).
Il campo era servito da un cataletto che collegava i tronchi Nord e Sud del fossato: l’imbocco Sud in direzione di Via Tavolata e lo sbocco a Nord lungo Via delle Carceri. Lo scolo probabilmente era costituito da Via F. Bovini, che essendo il naturale corso del canaletto consentiva un più rapido ricambio d’acqua all’interno del campo. Quest’acqua andava a perdersi in uno dei tanti stagni sparsi nelle valli a Nord del castra.
L’AMPLIAMENTO
Nel volgere di poco tempo il primitivo accampamento risulta insufficiente per accogliere altri reparti o truppe in transito. Si procede dunque ad un piccolo ampliamento che viene effettuato nella parts postica, spostando il vallum verso Est di 50 passi.
Soltanto nella pars postica era consentito fare ampliamenti; la pars antiqua non si poteva toccare in quanto considerata fronte avanzato del campo.
Dopo l’ampliamento, la superficie totale del campo sale da 100 a 125 pletri quadrati. Nel corso di questa operazione si procede anche allo spostamento di 50 passi verso Est del corpo di Guardia, per mantenere la distanza di 300 passi dalla porta decumana. Esso viene a trovarsi così coincidente con piazza del Tricolore.
Il valium corre ora verso le vie Gobbi e Fontanelli (o forse lungo l’ex Vicolo morto di S. Raffaele).
La fossa interrata e inglobata diventa una strada: è la via quintana, immancabile negli accampamenti romani, oggi via Bojardi e via dell’Abbadessa.
Il campo aveva un’organizzazione particolare. All’interno della fossa era l’agger, cioè il terrapieno; sull’agger era infissa la palizzata, cioè il valium; dalla scarpata interna del valium alle tende de soldati c’era uno spazio di servizio e di sicurezza, chiamato appunto inter – valium; ai lati delle quattro porte, trattandosi di un campo permanente, dovevano esserci otto torrette costruite in legno, per osservazione e difesa, coperte con tetti a spiovente.
All’interno del forte, sulla pietra gromatica era posta l’ara per i sacrifici, affiancata dall’asta dello stendardo e dall’orologio solare che regolava la vita della guarnigione.
Dietro l’ara era impiantata la tenda praetoria che sbarrava la via decumana, con ai lati le tende dei Questori e degli altri ufficiali.
A fianco della tenda dei Questori erano sistemati i magazzini, soprattutto quelli del frano e dell’orzo, poiché i soldati, ricevendo il soldo giornaliero, avevano anche diritto ad una razione mensile di circa trenta Kg di grano. Riteniamo che un traccia archeologica dell’antico castra stativa, segnalata ma non ricostruita, sia proprio la base cilindrica di un probabile silos per granaglie (2 m di diametro) realizzato con pali di legno, ora carbonizzati, ritrovato nel 1965 sotto l’attuale tribunale, durante gli scavi per la sistemazione delle fondamenta del nuovo fabbricato. L’ubicazione si inserisce perfettamente nello schema descritto.
Un campo militare e i suoi dintorni erano considerati dai romani zona sacra (templum), interdetta ai civili; quindi il tratto della Via Emilia compreso tra i due posti di guardia era vietato al traffico ordinario. Le sentinelle di conseguenza dirottavano i viaggiatori, che non fossero o corrieri o militari, su tre percorsi alternativi che consentivano di oltrepassare la fortezza a debita distanza.
Nascono così due percorsi per pedoni e per animali da soma, ai quali era consentito utilizzare il ponte per attraversare il Crostolo, e un percorso carreggiabile destinato ai mezzi pesanti (cursus clabularis) ed alle mandrie, che invece, dovevano servirsi di un guado sistemato a monte della presa d’acqua, guado controllato dal posto di guardia a Sud del campo.
Questo terzo percorso non avrebbe potuto svilupparsi sul lato settentrionale del castra poiché, nella zona della bassa non ancora bonificata, il terreno si impaludava frequente non garantendo un transito sicuro. Il territorio che si estendeva verso il Po, era tenuto sotto controllo dal posto di guardia collocato in corrispondenza dell’attuale Santa Croce.
Uno scavo condotto nel 1962, per il rifacimento dell’immobile del sito in Piazza Cavour n°1, ha portato alla scoperta, a grande profondità, di una strada selciata molto antica di circa quattro metri di larghezza, che attraversava lo scavo con andamento Nord – Ovest. Un successivo scavo effettuato nel 1964, nell’angolo fra le vie Guido da Castello e S. Pietro Martire, ha posto in luce a notevole profondità, sotto i più recenti pavimenti musivi di età imperiale, una seconda strada selciata, larga anch’essa 15 piedi romani, corrente in direzione Sud – Ovest.
L’andamento, considerato anomalo, di queste strade selciate in realtà si collega ai percorsi alternativi non carrabili; fatto confermato dalla mancanza sul piano viario selciato dai tipici solchi lasciati dalle ruote cerchiate.
Ricollegabile ai medesimi percorsi alternativi è anche il toponimo “Ponte Besolario”, riferibile, presumibilmente, ad un ponte che avrebbe potuto consentirei sorpassare il canale adduttore corrente lungo Via L. Fornaciari.
IL CAMPO DI MARTE
Degno di menzione è il fatto che sul lato meridionale dell’accampamento era posto il “Campo di Marte”, un’area di 100 passi per 100 passi destinata all’addestramento dei soldati: una piazza d’armi anch’essa interdetta ai civili, almeno durante l’esercitazioni. L’area occupata dal campo di Marte era racchiusa tra le vie Campo Marzio a Sud, Toschi a Nord, Bojardi a Est, S. Carlo a Ovest.
IL “CASTRUM”
Passano alcuni anni, la regione emiliana è finalmente pacificata e produttiva, la centuriazione e la conseguente bonifica della Bassa danno buoni frutti, la zona si va popolando e c’è necessità di un centro amministrativo giuridicamente competente che possa servire a regolare tutto il distretto. Un campo militare fortificato non ha più ragione di esistere, di conseguenza il castra viene smobilitato. Mentre resta un reparto con funzioni di polizia, il grosso della guarnigione si trasferisce in altra sede. Aperte le porte al traffico civile, tolti i posti di guardia, il pretorio e le strutture adiacenti, la Via Emilia è ormai tutta percorribile. Le costruzioni in legno lasciate libere dai soldati sono presto occupate dalle famiglie dei soldati rimasti, da mercanti, da artigiani e dalle loro botteghe.
Il castra stativa diviene castrum. Ben presto l’abitato risulta insufficiente a contenere la comunità che si va formando, per cui, dopo un probabile ampliamento verso Ovest di altri 50 passi, col consenso del magistrato competente si decide di effettuare un’altra perimetrazione.
Sotto la guida dei mensores, si procede alla colmatura della fossa con lo spianamento dell’agger; si costruisce un nuovo valium per misura precauzionale, sempre disposto in modo tale che decumano massimo e cardine rimangano al centro del rettangolo.
Il fronte viene allargato a 350 passi (m.518) e il lato allungato a 450 passi (m. 666), dimensioni canoniche poliziane che portano l’area del nuovo abitato q circa 400 pletri quadrati.
La più ampia perimetrazione, già individuata da altri studiosi, ricalca le vie S. Filippo, Squadroni e Malta Sud; Dante, Secchi, e Piazza della Vittoria a Nord; S. Girolamo e Samarotto a Est; Guido da Castello, Campanini e Galleria S. Rocco a Ovest, e risulta quasi perfettamente inscritta nel quadrato che ha per vertici gli ex – quattro posti di guardia.
Osservando oggi la pianta della città, non risulta comprensibile lo strano andamento delle vie Sessi e S. Rocco, infatti, esse non entrano nello schema ortogonale che caratterizza il “castrum”.
A ben guardare, tutto l’angolo di Nord – Ovest mostra un tessuto urbano irregolare. È ormai certo che, in epoca barbarica, eventi calamitosi naturali hanno cancellato l’antico impianto, in seguito non più ripristinato, poiché la città era semidistrutta e abbandonata. Riteniamo che questi eventi siano da ricercarsi nelle alluvioni catastrofiche del 590 e 596, che ricopersero buona parte della pianura, producendo danni incalcolabili e cancellando molte opere di bonifica e agrarie poste in essere dai romani. Alluvioni con conseguenza altrettanto gravi sono documentate anche in pieno periodo romano. Riguardando il perimetro del castrum ampliato, ci è sorto il dubbio che, durante l’operazione di allargamento, il corso del Crostolo sia stato leggermente modificato nel tratto compreso fra le odierne vie Antignoli e Franchi, forzando la curvatura verso Ovest, in quanto l’angolo Sud – Ovest del nuovo castrum viene a trovarsi a 50 passi esatti dalla sponda destra del corso d’acqua.
I QUARTIERI
L’abitato in questo momento risulta diviso in quartieri (regio sinistrata ultrata, regio sinistrata citrata, regio dextrata ultrata, regio dextrata citrata).
All’interno delle cinte viene pavimentata la Via Emilia e cominciano a sorgere fabbricati in muratura: edifici pubblici, quali il Foro e la Basilica e abitazioni private, sempre più lussuose, come attestano i tanti mosaici pavimentali rinvenuti nel corso di scavi effettuati per opere pubbliche o per rinnovo edilizio. Compaiono i primi monumenti funerari allineati lungo il tatto Est della via consolare extra moenia, in ossequio alla “legge delle dodici tavole”.
Non potendo più attingere acqua pura dal Crostolo per i consumi della popolazione, viene captata quella del Rio Acquachiara e la si immette nel centro urbano tramite una conduttura sotterranea che entra in città all’altezza di Porta Castello.
Si provvede anche al rifacimento del ponte sul Crostolo in solida muratura, almeno nelle pile, ponte che è stato intravisto in occasione del riattamento dell’impianto fognario centrale.
Nell’abitato intanto le botteghe artigiane cercano spazio e si trasferiscono nel suburbio, cioè fuori dalla cinta, in prossimità delle porte.
È preferita soprattutto la zone a Nord poiché, essendo ricca di argilla e di acqua, consente alle figulinae, le fabbriche di materiali edili in terracotta, di trovare sul posto la materia prima e così, anche ai vasai, ai tintori, ai cardatori e ai feltrai.
DA “FORUM” A “MUNICIPIUM”
I laboratori e le abitazioni degli artigiani si addossano e aumentano di numero, allontanandosi dagli ingressi che immettono nel castrum.
Molto ricercate per nuovi insediamenti mercantili sono le aree libere a Nord e a Sud del decumano, appena fuori porta, essendo lambite dai traffici che percorrono la Via Emilia e anche da quelli che, per varie ragioni (pedaggi, dazi, gabelle), preferiscono aggirare il centro urbano.
La città cresce, l’agricoltura, i traffici, l’artigianato e soprattutto il commercio fanno sì che il castrum venga promosso a livello di forum; successivamente con la promulgazione delle leggi Papiria e Pompeia il Forum diverrà Municipium, acquistando la piena cittadinanza romana con l’ascrizione alla tribù Pollia.
PIAZZA GRANDE
Piazza Prampolini, per i reggiani "Piazza Grande", sulla quale si affacciano la Cattedrale con il battistero romanico e il municipio con la grande sala settecentesca del Tricolore, è il centro della vita cittadina e brulica di gente in occasione del tradizionale mercato settimanale del martedì e venerdì. Sul lato nord della piazza è la statua raffigurante il fiume Crostolo, già nel parco della villa ducale di Rivalta e collocato sul pozzo della piazza. Nell’802 il complesso statuariouf ceduto alla municipalità e il Crostolo collocato sul pozzo della piazza.
La piazza Grande è stata sempre centro dei vivaci incontri commerciali, tanto che sulla colonna di sinistra del vicino battistero, antica chiesa dedicata a San Giovanni Battista, sono scolpite le misure lineari del "braccio" e della "pertica", da cui il popolare detto "S.Giovanni fa vedere gli inganni"
PALAZZO DEL COMUNE
Una data scolpita in un blocco di arenaria nella parte destra dell'arco di via Farini ricorda che a costruzione della sede comunale iniziò nel 1414. La parte prospiciente il lato sud della piazza fu completata nel 1417. Il consiglio comunale vi iniziò la sua attività nel corso dell'anno,' dopo l'edificazione delle volte su via Farmi e via Croce Bianca. La facciata del palazzo del comune, arricchita da un portico a tre arcate a pilastri binati, fu ricostruita nel 1774, su disegno di Ludovico Bolognini. Sono il cornicione del tetto vi è lo stemma del comune. Altre sale interne sono arricchite da affreschi settecenteschi e da dipinti ottocenteschi.
Nel 1489 fu innalzata la torre civica detta del “Bordello", destinata anche da archivio comunale. Venne abbassata in seguito ai danni provocati dal terremoto del 1832.
SALA DEL TRICOLORE
Progettata e realizzata dall'ingegnere bolognese Ludovico Bolognini nel 1774, fra concepita come archivio del comune. Fu in questa sala che il 7 gennaio del 1797 si riunirono i rappresentanti delle città libere di Reggio, Modena, Bologna e Ferrara per proclamare la Repubblica Cispadana, adottando il vessillo nei tre colori verde – bianco - rosso assunti poi nell’ 848 come bandiera nazionale (il cui prototipo originale era a bande orizzontali). La sala del Tricolore rappresenta il simbolo dell'impegno civile della città. Attualmente è la sede del consiglio comunale. Vi è custodito anche il gonfalone della città, fregiato di medaglia d'oro. Su un lato vi è raffigurata la Madonna della Ghiara coi santi Prospero, Grisante e Daria, sull’altro lato lo stemma del comune.
LA CATTEDRALE
È stata edificata su un'antica costruzione romana intorno all'857. Ha subito diverse trasformazioni secondo lo stile romanico. Verso la fine del XV secolo però lo stile della Cattedrale viene adeguato ai canoni architettonici dell'epoca. Prospero Sogari, detto il Clemente, è lo scultore che ne curerà l'esecuzione rimasta però incompleta. Opere sue sono le statue raffiguranti Adamo ed Eva poste su! portale centrale. Nella torre sulla facciata domina la statua della Madonna con il Bambino, in lastre di rame a sbalzo dorato, capolavoro di arte orafa, eseguita da un artista di eccezione, il reggiano Bartolomeo Spani. L'interno del duomo conserva cappelle rivestite di marmi pregiati e finemente scolpiti. Di rilievo il sepolcro di Orazio Malaguzzi, eseguito dal Clemente. Singolare il monumento funebre di Valerio Malaguzzi opera di Bartolomeo Spani. Imponente il sepolcro Rangoni sempre del Clemente, nella cappella di fondo a destra, a fianco del coro.
IL BATTISTERO
Il battistero è un singolare edificio del MI secolo, caratterizzato da una pianta a croce latina, al cui centro si trova il fonte battesimale. Quattro grandi pilastri polilobati reggevano il tiburio, mentre un raccordo anulare consentiva il percorso dei fedeli attorno alla zona sacra del fonte. Alla fine del XV secolo il Vescovo Bonifacio Arlotti lo trasformò in stile rinascimentale e lo donò di. importanti opere d'arte: un nuovo fonte in marmo rosso veronese con formelle in marmo statuario di Carrara, rappresentanti San Giovanni, la Madonna ed i santi patroni di Reggio, mentre sulla parète alle spalle del fonte, il pittore Caprioli rappresentò ad affresco il Battesimo di Cristo. Il restauro ha portato alla luce gran parte delle strutture medioevali, ignote fino al 1984, con apparati decorativi del XV secolo sovrapposti a quelli medioevali in parte ancora leggibili. Importante anche l'esterno con una lunetta scolpita e dipinta, come era consuetudine fino al '400.
BASILICA DI SAN PROSPERO
Antica chiesa consacrata nel 997 e dedicato al vescovo Prospero (proclamato santo e protettore della città) fu ricostruita per intero nel XV secolo. La facciata è del XVIII secolo. La torre campanaria a pianta ottagonale rimasta incompiuta è opera di Alberto Pacchioni. I sei grandi leoni stilofori dell'inizio del 500 che ornano il sagrato, attribuiti a Gaspare Bisi, e dei quali non è ben chiara l'originaria destinazione, rimangono un gruppo unico di pregio sia pure per la mancata Clinzione di completamento di una struttura architettonica. L’interno della chiesa è a tre navate ed a croce latina con ampia cupola. Nel catino absidale si ammira il ciclo di affreschi di Camillo Procaccini, artista bolognese, che raffigura il giudizio universale. Il prezioso coro in legno, dei De Venetiis del 1546, intarsiato con paesaggi campestri, nature morte, prospettive urbane, costituisce per la raffinata tecnica un capolavoro dell'arte della lavorazione ad intaglio e della tarsia che si afferma a Reggio Emilia fin dalla metà del 400.
BROLETTO
Alla destra della facciata della Cattedrale si apre il Broletto, antica area cimiteriale del Duomo e in seguito orto dei Canoni. Fu realizzato nel 1488 con l'apertura al pubblico del passaggio sotto la loggia.
Con il suo aspetto vagamente orientaleggiante, con molte vetrine di botteghe che vi si apronO, con i tanti banchetti di venditori ambulanti, costituisce un caratteristico punto di richiamo inserito tra Piazza Grande e Piazza dei Leoni. Sotto il Broletto un ingresso laterale consente di accedere alla Cattedrale. Il portale, ricostruito nel XV secolo, reca leoni stilofori romanici. Al XVI secolo risalgono anche i dipinti alle volte del Broletto che raffigurano la Madonna della Ghiara e Madonna ed Angeli.
PALAZZO DEL CAPITANO DEL POPOLO
Caratteristico palazzo che si affaccia su piazza Cesare Battisti, fra al centro delle vicende legate al periodo medioevale. Coronato da merlature ghibelline, il palazzo fondato nel 1280 era sede del Capitano del Popolo che aveva il comando delle milizie. Hanno subito nel corso degli anni diversi rifacimenti, l'ultimo dei quali risale al 1929. Sulla facciata che riguarda la via Emilia S. Pietro sono ancora visibili antichi affreschi ritoccati con stemmi dei capitani e nelle lunette delle bifore sono rappresentate l'aratura e la mietitura. Il bellissimo salone interno, noto come sala dei difensori, servi ai consigli delle comunità. È stato restaurato con il rifacimento del soffitto a carpiate scoperte e con il recupero di decorazioni trecentesche superstiti. Attualmente fa parte dell'hotel Posta, l'albergo più antico della città. Nel corso del 1500 infatti era qui l'Osteria del Cappello Rosso.
PALAZZO DEL MONTE DI PIETA'
Antica sede del palazzo comunale fino al 1414, risale al 1188. Ospitava il Podestà e nel 1280 era unito da un cavalcavia al vicino Palazzo del capitanò del popolo." Sullo scorcio del ‘500 questo palazzo ospitava anche la Sala del Ballone, il più importante locale cittadino destinato al teatro e allo spettacolo in generale.
La torre dell'orologio, del MII secolo, recava dall'esterno delle pitture eseguite nel 1544 da Lelio Orsi, pittore italiano. Purtroppo sono andate perdute.
Verso la metà del 400 erano venuti a Reggio a crearvi una gloriosa tradizione, i Ranieri, fabbricanti di orologi meccanici. Nel 1483 Gianpaolo Ranieri costruì l'orologio della torre. Insieme al figlio, 50 anni dopo costruì a Venezia l'orologio della piazza San Marco, ancora efficiente. Sempre due componenti della famiglia Ranieri costruirono nel 1541 un nuovo orologio per la torre, con le figure meccaniche dei Magi conservato oggi ai Civici Musei della città. Nel 1494, una parte dell'edificio fra occupato dal monte della pietà, appena fondato.
L'antico palazzo nel 1775 fu radicalmente ristrutturato su progetto di Giuseppe Baarlam Vergnani.
CHIESA DEL CRISTO
Vero gioiello del barocco il piccolo oratorio che si affaccia sul lato sud di piazza Roversi e costruito nel corso del 700 per preservare un affresco del crocifisso eseguito durante la peste del 1630 da un anonimo pittore reggiano. Maestosa la scenografica facciata che costituisce la parte maggiore interesse dell'oratorio dedicato al SS. Crocifisso, denominato più comunemente chiesa del Cristo. Nell'interno, costruito da un unico vano, l'architettura è arricchita da balaustre ed ornata da eleganti stucchi settecenteschi. Opera della bottega dei Tondelli è l'altare maggiore in stucco del XIX secolo. Nell'abside è costruito l'affresco del miracoloso SS. Crocifisso che rappresenta "Cristo crocifisso con la Vergine Addolorata inginocchiata ai suoi piedi".
GIARDINI PUBBLICI
L'impianto del giardino, vasto polmone verde ricco di alberature di pregio, si è sviluppato intorno al 1850 sull'area occupata dall'antica cittadella, la fortezza difensiva costruita nel 1339 dai Gonzaga, allora signori di Reggio. Qui è collocato un importante reperto archeologico di epoca romana, il "Monumento ai Concordi", sepolcro funebre romano rinvenuto a Boretto, col busto di Caio Concordio Primo e suoi familiari. Tra siepi ed alberi ad alto fusto, tra piante rare e ampie zone dì verde, sono pure collocati busti e statue dedicate a personaggi reggiani quali i poeti Ludovico Ariosto e Matteo Maria Boiardo, una fontana monumentale dedicata all'abate benefattore Ferrari Bonini, sculture raffiguranti le "Quattro Stagioni" provenienti dalla villa ducale di Rivalta. Il complesso del parco, circondato da importanti spazi culturali ed espositivi costituisce un importante unità ambientale perfettamente in sintonia con la città.
TEATRO MUNICIPALE
Nello spazio urbano occupato dall'antica cittadella, fu costruito dal 1852 al 1857 fu progetto dell'architetto modenese Cesare Costa. La realizzazione è stata affidata ad artisti e artigiani reggiani. La facciata è divisa in due piani secondo uno schema architettonico di ispirazione classica. L'apparato decorativo segue un programma riferito alle glorie bel tèatro greco (nei medaglioni sotto il colonnato esterno), nel teatro latino (nel vestibolo), quelle del teatro italiano (nel soffitto della sala di spettacolo). Sulla platea si affacciano quattro ordini di palchi, in corrispondenza dei quali si trovano i camerini, un tempo utilizzati per riposarsi durante le lunghe rappresentazioni. Tre sono i sipari: il sipario di Alfonso Chierici che inaugurò il teatro; il sipario-comodino di Giovanni Fontanesi e l'ultimo del pittore Omar Galliani. Nato come teatro d'opera, il teatro municipale offre una notevole attività produttiva nel campo della musica lirica e; classica, del balletto, della danza. Dispone inoltre di una biblioteca e di una discoteca storica aperte al pubblico. Dal 1980 è intitolato all'attore reggiano Romolo Valli.
TEATRO ARIOSTO
Costruito nel 1740 sul disegno di Antonio Cugini era il teatro della cittadella, cosi intitolato poiché sì trovava nei pressi dell'antico baluardo difensivo voluto dai Gonzaga (alla fine del 1339) durante il loro dominio a Reggio. Distrutto da un incendio nel 1851 fu poi ricostruito rispettandone le linee originali. La decorazione interna della cupola, di gusto tardo liberty, è stata eseguita da Anselmo Govi nel 1927, ispirandosi a versi tratti dall'Orlando Furioso. Da allora il teatro fu dedicato a Ludovico Ariosto, il grande poeta nato a Reggio Emilia nel settembre 1474.11 teatro Ariosto ospita principalmente rappresentazioni di prosa.
I MUSEI CIVICI
In via Spallanzani N°1 è la sede principale dei civici musei nel medioevale convento dei frati minori di San Francesco. Sono intitolati a Lazzaro Spallanzani, il grande scienziato di Scandiano morto alla fine del 700, i cui reperti costituiscono il più antico nucleo collezionistico del museo. All'ingresso, incastonati alle pareti, importanti frammenti di pavimenti a mosaico, attribuiti alla prima metà del XII secolo provenienti da diverse chiese reggiane ed altri di epoca romana rinvenuti in scavi effettuati all'inizio di questo secolo. Nella sezione Paletnologica si trova la collezione originaria di Don Gaetano Chierici relativa al nostro territorio ed ordinata cronologicamente dal Paleolitico all'alto medioevo. Altri importanti collezioni: zoologia, anatomia, numeristica, galleria dei marmi e pietre scolpite, cimeli del Risorgimento, materiale sulla resistenza Al piano superiore la galleria Fontanesi espone dipinti, ceramica, Argenti, tessuti, armi
GALLERIA PARMEGGIANI
Intitolata ad Anna e Luigi Parmeggiani, ha sede in un palazzo dal portale ispano - moresco bella XV secolo, fatto arrivare pietra su pietra dalla Spagna Raccoglie una collezione formata in Francia, nell'ambito del mercato d'arte, fra gli ultimi anni dell'800 e i primi decenni di questo secolo, ad opera di L.Marcy, di Leon Y. Escosura, di Cesare Detti e infine di Luigi Parmeggiani, che la sistemò nell’attuale sede e la cedette al comune di Reggio Emilia nell'anno 1934. Contiene raccolte di: armi e coltellerie europee; oreficeria, smalti e gioielli, costumi europei dal XVII al XIX secolo; scultura in pietra e in legno policromato; dipinti italiani, spagnoli e fiamminghi dal XV al XVIII secolo; nuclei di serrature, maniglie, chiavi, ventagli, bronzetti ed altri esemplari di arti minori; marmi di decorazione architettonica e di arredo; tessuti europei dal XVI al XVIII secolo.
PIAZZA FONTANESI
Un angolo dal sapore antico: piazza Fontanesi, ampio spazio armonioso, alberato, su cui si affacciano molte botteghe di antiquariato, e dove si danno settimanalmente appuntamento durante la stagione estiva numerosi appassionati di antiquariato e di mercatini.
Vi scorgeva anticamente a cielo aperto, il canale del Secchia le cui acque consentivano il funzionamento di attività per la lavorazione della seta, per la concia delle pelli, per la fabbricazione di candele di sego. Il corso d'acqua, ora indicato con formelle di colore azzurro sul plateatico della piazza, scendeva lungo l'attuale via Guazzatoio sul cui sfondo si-innalza il bastione, unico spezzone rimasto delle duecentesche mura che accingevamo la città. -
CHIESA DI SAN NICOLO'
La chiesa è inglobata nel complesso del palazzo Zoboli, fra via Roma e via San Nicolò, che fu di proprietà della famiglia Zoboli cui appartiene Filippo, vescovo di Comacchio, vissuto nella seconda metà del 400. La facciata del palazzo, in cotto, mostra 'ancora le caratteristiche del prospetto quattrocentesco. La chiesa, fondata nel li 86,passo di proprietà all'abate Filippo Zoboli che ne ottenere il patronato. La chiesa fino alla fine del secolo scorso è sempre stata indipendente dal vescovo di Reggio. Due sono gli ingressi: uno da via Sessi, con un finto portale affrescato, che immette direttamente in chiesa e uno da via San Nicolò che accedere al bel chiostro quattrocentesco, con eleganti capitelli in arenaria. il rifacimento dell'interno, ad una sola navata, è stato eseguito dall'architetto reggiano Prospero Mattioli nel 1720. Nel transetto sinistro vi è la statua in marmo di Filippo Zoboli, eseguita nel 1554 dal Clemente.
CHIOSTRI BENEDETTINI DI SAN PIETRO
I due chiostri appartenevano ai Monaci benedettini che officiavano l'annessa chiesa di San Pietro. Il chiostro piccolo fii realizzato nel 1524 da Bartolomeo Spani e da Leonardo Pacchioni. Il chiostro grande fu edificato nel 1584 da Prospero e Francesco Pacchioni. il chiostro piccolo presenta un impianto tipicamente rinascimentale. Sono visibili alcuni dipinti ma purtroppo gran parte delle decorazioni sono state ricoperte da uno strato di calce negli anni cinquanta. Il chiostro grande si presenta ad una visione scenografica imponente colle facciate percorse dall'alta loggia e fittamente
decorate con statue e finestre. Da parte dell'amministrazione comunale è incorso il progetto di restauro e recupero dei chiostri, già saltuariamente utilizzati per attività culturali.
CHIESA DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA
La chiesa di San Giovanni Evangelista, San Giovannino, risultava già esistente alla fine del XII secolo. La sua ricostruzione, compresa la cupola, fii ultimata nel 1563. Le pitture all'interno della chiesa sono del 600. Nel vano absidale, ai lati, vi sono due grandi tele del pittore bolognese Alessandro Tiarini, firmate e datate, eseguite appositamente nel 1624. Rappresentano a sinistra il martirio di San Giovanni, e a destra il transito di San Giovanni. Importanti anche le finte prospettive architettoniche della volta della chiesa, opera di un famoso quadraturista bresciano, Tommaso Sandrini. Nella seconda cappella a sinistra vi è un'imponente gruppo di otto statue a grandezza naturale, in terracotta, che raffigurano il mortorio di Cristo. Le statue sono attribuite all'artista modenese Guido Mazzoni.
CHIESA DEI SANTI GIROLAMO E VITALE
Di sicura suggestione è la visita alla chiesa dei santi Girolamo e Vitale, frutto della più mature esperienza progettuale barocca. Il nucleo della chiesa è molto antico re. Nel 1400 passa alla confraternita di San Girolamo che nel cureranno la ricostruzione affidando l'incarico, nel 1646, a Gaspare Vigarani, famoso architetto e scenografo che ha lavorato anche alla corte di Luigi XIV di Francia. Interno è particolarmente originale poiché è costruito da tre oratori collegati tra loro da corridori e scale di marmo una delle quali conosciuta come scala santa, sul modello di quella di' Roma. Una chiesa, rettangolare, è posta sul porticato anteriore, l'altra, detta la rotonda, è articolata su due ordini di colonnati sovrapposti, decorati con statue di santi in stucco; infine la sotterranea dove è stato per ricostruito un sepolcro ad imitazione di quello di Gerusalemme.
MAURIZIANO
A tre chilometri dalla città, lungo la via Emilia in direzione di Modena, è il Mauriziano, a villa quattrocentesca in riva al Rodano dove il poeta Ludovico Ariosto, nato l’8 Settembre 1474 dalla reggiana Daria Malaguzzi soggiornò per lunghi periodi. Nei suoi versi ricorda spesso questi luoghi con dolce nostalgia. Alla villa si accese varcando un arco in cotto del XVI secolo, e percorrendo un lungo viale alberato. L'ala più interessante dell'edificio è quella orientale in quanto conserva ancora strutture del XV secolo e dove possono ammirare il camerino dei poeti, il camerino degli Orazi e Curiazi e il camerino dell'Ariosto con affreschi cinquecenteschi raffiguranti scene di caccia, paesaggi, giardini, scenario amoroso, episodi di storia e figure di letterati, e in piena sintonia con il gusto cortese e letterario dell'epoca.
BASILICA DI S. PROSPERO
La chiesa fu fondata tra gli anni 979 – 1030, consacrata da Gregorio V nel 998. Le condizioni pericolanti delle strutture indussero la sua completa demolizione agli inizi del sec. XVI. La nuova edificazione fu affidata a Luca Corti e Matteo Fiorentini. Al 1504 risalgono i sei leoni di marmo rosso, scolpiti dal reggiano Gaspare Bigi, destinati a sostenere i protiri delle tre porte previste, però collocati nelle condizioni attuali nel segreto in occasione dei lavori di completamento alla facciata eseguiti nel Settecento. La nuova chiesa fu consacrata solo nel 1543.
In questi anni si lavorò anche alla torre, iniziata nel 1535 (tale progetto fu sottoposto anche al parere favorevole di Giulio Romano). La torre è a pianta ottagonale e progettualmente come decoro dei diversi piani doveva presentare gli ordini architettonici: dorico, ionico, corinzio e composito, ma rimane incompiuta al terzo.
Nel frattempo, nel 1546, furono realizzate le sedie corali e il pulpito ligneo (1571) della chiesa. Negli anni successivi i lavori subiranno un incremento soprattutto all’interno, con la esecuzione degli affreschi nel coro e nel presbiterio realizzati tra il 1587 e il 1591.
La facciata, rimasta incompiuta per molti anni, fu completata solo nel 1753 su disegno di Giovanni Battista Cattani.
Nel 1840, mentre si realizzava una nuova pavimentazione, vennero alla luce i testi di un antico mosaico pavimentale risalente al 1160 – 1171. nel corso del secolo XIX nelle cappelle furono dipinte le volte in chiaro – scuro e ricostruite in scagliola le mense d’altare e si realizzò il nuovo altare maggiore. La cupola ed i pilastri furono dipinti nel 1885.
L’interno della chiesa, semplice e severo, è a tre navate divise da ampie arcate su colonne, è a croce latina e sul presbiterio si innalza l’ampia cupola.
Sull’ingresso principale vi è grande dipinto del secolo XVIII con Gesù in casa di Marte, in basso i monumenti in marmo di Giulia Zoboli e Annibale Bombace e due acquasantiere. Il pulpito ligneo sulla navata centrale, terminato nel 1571, è opera dei fratelli Sanpolo.
Vi sono nove cappelle suddivise nelle due navate laterali. Presbiterio e Coro. L’altare maggiore fu eseguito nel 1885 e vi si conservano le reliquie del santo titolare. L’organo collocato nella cantoria di destra fu fabbricato nel 1610 da Baldassarre Malanini. Lo strumento subì un radicale restauro strumentale nel 1881. il dipinto sull’altra cantoria è opera di Francesco Monti e raffigura la Pentecoste.
Nell’abside si ammira il pregevole ciclo di affreschi terminati nel 1587 da Camillo Procaccino. Nel catino absidale sono raffigurati il Giudizio Universale, alle pareti il Compianto su Cristo nel sepolcro ed i profeti Isaia e Osea; nell’arcone l’Eterno circondato dagli Evangelisti, la creazioni di Eva e l’Apocalisse. Il Procaccino nel 1598 completò gli affreschi nella volta della >, dipingendo al centro Cristo circondato dagli Angeli. Ai lati delle finestre absidali le allegorie delle Prudenze, Carità, Umiltà e Temperanza.
Il prezioso coro in legno intagliato e intarsiato fu composto nel 1546 da Cristoforo e Giuseppe Mandelli.
La Basilica possiede un ricchissimo tesoro. Tra gli oggetti che vi sono custoditi, sono notevoli il busto in argento di San Prospero e una Croce in oro.

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