La coscienza di Zeno, I. Svevo

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Testo

La Vita
Nacque a Trieste il 19 dicembre 1861 da famiglia ebrea. Il suo vero nome era Ettore Schmitz ma volle chiamarsi Italo Svevo per indicare la pacifica convivenza in lui della cultura italiana e tedesca. Dopo aver compiuto gli studi commerciali, il padre lo fece educare con i fratelli Adolfo ed Elio in un collegio tedesco in Baviera; lì compì le prime importanti letture che fecero nascere il suo interesse per la letteratura. Tornato a Trieste, s’iscrisse all’Istituto superiore commerciale Revotella, partecipando alla vita intellettuale triestina. Nel 1880 iniziò una collaborazione al giornale triestino “L’Indipendente” e fu assunto dalla banca Union Vienna come corrispondente per il tedesco e il francese; ma nelle giornate trovava il tempo di frequentare la Biblioteca Civica di Trieste. Iniziò a scrivere le sue prime novelle e il romanzo “Una Vita” apparso sotto il nome di Italo Svevo nel ’92. A quegli anni risale anche il rapporto con Giuseppina Zergol di cui rimane una traccia nel personaggio di Angelina nel successivo romanzo “Senilità”. Nell’agosto del ’97 sposò Livia Veneziani con rito religioso e nel settembre nacque l’unica figlia, Letizia. Andarono ad abitare nella grande villa Veneziani e lo scrittore per adattarsi alla vita della famiglia borghese ed al padre della moglie che gli chiedeva una più concreta attività economica, si trasformò in un uomo d’affari. Nel 1899 lasciò la banca ed entrò nella ditta del suocero, sospendendo quasi del tutto la sua attività letteraria; continuò tuttavia ad elaborare progetti sparsi ed a scrivere note e appunti di vario tipo, nell’intento di capire meglio il proprio “essere”. Compì lunghi viaggi e soggiorni per affari e seguì il lavoro di una filiale dell’azienda Veneziani presso Londra, riuscendoci con successo senza rinunciare alle sue curiosità culturali e sviluppando interessi di tipo scientifico. Nel 1905 avvenne l’incontro con James Joyce che intensificò la sua viva passione intellettuale. Dopo un viaggio di affari in Germania e con lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914, Svevo si trasferì con la famiglia a Trieste e la guerra ridusse l’attività della fabbrica Veneziani, requisita dalle autorità austriache. In questi anni approfondì le teorie di Freud e della psicoanalisi e sperimentò su di sé una forma di analisi solitaria. Collaborò al nuovo quotidiano “La Nazione” e riprese la sua attività industriale. Dal 1919 ritorna con impegno alla sua attività di letterato, lavorando al nuovo romanzo “LA COSCIENZA DI ZENO”. Numerosi furono ancora i suoi viaggi, non più legati solo agli affari ma anche alla letteratura e allo sviluppo della sua opera. Ormai in condizioni di salute malferma ebbe un incidente d’auto, mentre in una giornata piovosa tornava a Trieste, in compagnia della moglie, del nipotino e dell’autista, dopo una vacanza in Bormio; per un collasso in seguito all’incidente morì il13 settembre 1928 nell’ospedale di Motta di Livenza.
Le opere
L’asse centrale della produzione sveviana è costituito dai romanzi dove è evidente una linea evolutiva e una trasformazione del personaggio. Svevo inizia il primo romanzo nel 1888, avrebbe voluto intitolarlo “Un inetto”, ma sconsigliato dall’editore, che riteneva tale titolo poco accattivante, si risolse per il neutro “Una vita”. L’opera ebbe pochissime recensioni e fu un insuccesso. Il protagonista è Alfonso Nitti, un piccolo impiegato che viene in contatto con una società dominata dall’interesse e dal denaro, da cui finisce con l’essere travolto. Nel ritratto di questo personaggio, l’autore concentra l’alternativa sogno-realtà, la crisi della volontà e della coscienza di fronte alla brutalità delle scelte imposte dalla vita. Alfonso è il primo uomo senza qualità, l’inetto, intellettuale megalomane, il suo vero regno è il sogno. Quando Anna gli cade fra le braccia, l’inetto non è in grado di vivere il proprio successo, perché questo significherebbe la preclusione del sogno, la sostituzione della fantasia alla realtà. Questo romanzo ha una soluzione narrativa di gusto veristico nella minuzia descrittiva e nella cura di rendere fedelmente i tratti dei personaggi, nell’analisi di ambiente e di ceti sociali, quali l’anonimo mondo bancario, dove lavora Alfonso o quello umile di casa Lanucci. Il secondo romanzo “Senilità” (1892) racconta la storia di Emilio Brentani, un impiegato di 30 anni, che ha una piccola notorietà letteraria e vive a Trieste. Conduce una vita mediocre, occupandosi della sorella Amalia. Un suo amico, lo scultore Balli, ha molti successi con le donne. Per imitare Belli, Emilio frequenta la bella Angiolina che un po’ lo tradisce e un po’ lo ricambia. Incapace di staccarsi da Angiolina ricorre all’amico Balli, ma questi entrando nel triangolo costituito da Emilio-Angiolina e Amalia, attira su di sé l’amore di entrambe le donne e prepara inconsapevolmente la tragedia. Amalia minata dall’alcool, muore. Angiolina continua i suoi tradimenti, mentre Emilio non riesce a scrivere il libro che avrebbe voluto dedicare a quella esperienza amorosa. “Senilità”, a differenza di “Una vita” non offre più un articolato quadro sociale, ma si incentra quasi esclusivamente su quattro personaggi centrali, i cui rapporti e le cui vicende si compongono in una struttura rigida. I fatti esteriori, l’intreccio romanzesco, la descrizione di ambienti fisici e sociali in “Senilità” hanno poco rilievo. Si può dire che la vicenda si svolga essenzialmente dentro la mente di Emilio: è la dimensione psicologica che l’autore si preoccupa in primo luogo di indagare. Ciò non significa che Svevo ignori la dimensione sociale, ci arriva attraverso l’analisi della psiche. Emilio piccolo borghese, incapace di vivere è congelato nella sua Senilità, cioè nella sua inerzia, nella incapacità di vivere con gli altri. Di conseguenza lo scontro della sua «diversità» con la normalità della società, si conclude come per Alfonso Nitti, nell’isolamento e nella solitudine. “Senilità” può dirsi il romanzo della coscienza di Emilio, anche se l’autoanalisi è parziale e c’è l’uso della terza persona. Con “La coscienza di Zeno” l’autoanalisi del personaggio sarà raggiunta.
Il Pensiero
Italo Svevo si colloca in un’atmosfera culturale ormai novecentesca e ben distinta da quella decadente di cui rifiuta l’estetismo, il simbolismo, il maledettissimo e la fuga della realtà. In particolare Svevo è attratto da Schopenhauer, Darwin, Marx, Freud e, negli ultimi anni, da Einstein. Tuttavia egli pensa che l’artista debba essere libero di “fraintendere” i vari pensatori allo scopo di trovare nuove soluzioni inventive e stilistiche. Così Schopenhauer non è per Svevo l’esaltatore dello spirito contemplativo ma l’assertore del “carattere effimero e inconsistente della nostra volontà e dei nostri desideri”. Più evidente è il fraintendimento di Darwin; infatti, l’applicazione della legge della selezione naturale e della lotta per la vita è vista da Svevo in senso opposto a quello di Darwin. Per Svevo l’uomo incapace di adattarsi all’ambiente rappresenta la punta più alta dell’evoluzione, in quanto è spiritualmente più forte e libero, non deve sacrificare la sua creatività per adeguarsi all’ambiente. Per quanto riguarda il pensiero marxista, Svevo lo elabora in contesto pessimistico, escludendo la possibilità di integrazione fra individuo e gruppo sociale. Infine Svevo si avvicina alle teorie sull’inconscio freudiano riproponendo le tematiche dell’inettitudine e della malattia, convinto però dell’immodificabilità del carattere e quindi dell’inefficacia delle terapie psicoanalitiche; resta fondamentale per lui non tanto la guarigione, ma la speranza nella guarigione. Con l’accostamento a queste teorie Svevo importa in Italia il romanzo psicoanalitico, improntato a un inquieto e morboso psicologismo. L’elaborazione di tutte queste teorie porta alla centralità della figura dell’inetto nell’opera di Svevo, figura i cui tratti si possono ritrovare in Dostoevskij, Schopenhauer e Bourget, interpreti della malattia della volontà, della crisi dell’unità della persona, del disadattamento sociale.
Trama
Il protagonista del libro è Zeno Cosini, un ricco commerciante triestino che vive di malavoglia con i proventi di un'azienda commerciale, per volere del padre. Arrivato all'età di 57 anni, Zeno decide di intraprendere una terapia psicoanalitica per liberarsi da vari problemi e complessi che lo affliggono, per uscire dal vizio del fumo e dalla "malattia" che lo tormenta. Lo psicanalista, chiamato nel libro Dottor S., gli consiglia di scrivere un diario sulla sua vita, ripercorrendone gli episodi salienti. Attraverso essi si disegna la figura di un uomo inetto alla vita, "malato" di una malattia morale che spegne ogni impulso all'azione e qualsiasi slancio vitale o ideale. Zeno Cosini è un uomo che vive in un'indifferenza totale: invece di vivere la sua vita, è quest'ultima che lo travolge decidendo per lui il destino. Tipica in questo senso è la storia del suo matrimonio; la sua vita è fatta di decisioni prese e mai mantenute di cui sono simbolo le tante "ultime" sigarette fumate: ogni volta egli si propone di mettere fine al suo vizio ma trova sempre la scusa per fumare un'ulteriore ultima sigaretta. Il capitolo, intitolato "la morte di mio padre" è l'analisi di un difficile rapporto, fatto spesso di silenzi e malintesi, fino all'ultimo, quell’estremo colloquio, quando in punto di morte il padre, avendo male interpretato un gesto del figlio, lo colpisce con uno schiaffo; un equivoco che pone un doloroso sigillo alla vicenda. Zeno passa poi a narrare la storia del suo matrimonio e di come, innamoratosi di una delle tre sorelle Malfenti, Ada, si trovi poi, passivamente, a sposare quella meno desiderata, Augusta. A quest'ultima Zeno rimane comunque legato da un tiepido ma sincero affetto, installandosi nella comodità e nella sicurezza regolata dalla vita familiare. Questo non gli impedisce di trovarsi un'amante: un'avventura insignificante con una certa Carla, che in seguito lo abbandonerà per sposare un maestro di musica che Zeno stesso le aveva presentato. Di Augusta sappiamo solo ciò che Zeno ci ha voluto comunicare. Ad esempio la prima descrizione fisica di Augusta risente moltissimo della situazione psicologica in cui si trova Zeno quando la vede per la prima volta, da lui immaginata bellissima e deluso rispetto ai suoi sogni. In seguito la bruttezza di Augusta è ridimensionata in quanto Zeno capisce che quella donna che aveva sposato quasi per dispetto, dopo essere stato rifiutato dalle due sorelle molto affascinanti, sarebbe stata l'unica possibile compagna della sua vita. La presenza di Augusta si intuisce dietro tutti i momenti della vita di Zeno. Già dalla sua prima apparizione, Augusta è la guida per il recupero della salute del marito; infatti è lei che fa rinchiudere Zeno in una casa di cura, per farlo guarire dal vizio del fumo. La saggezza di Augusta viene però via via ridimensionata da successivi giudizi che Zeno dà su di lei, fino a sembrare un miscuglio di egoismo e di superficialità molto simili ad una malattia morale. Comunque la vita di Augusta si svolge completamente all'ombra di Zeno: ogni suo gesto serve a rendere più dolce il "nido" dove i due trascorrono la loro vita in comune. Invece nel romanzo Ada svolge il ruolo di antagonista di Zeno; infatti è l'unico personaggio che si oppone ai suoi piani. Raccontando il suo primo incontro con Ada, Zeno sottolinea lo strano rapporto che subito si crea con quella donna, prima ancora di conoscerla. Mentre Augusta accetta Zeno così com'è, Ada lo rifiuta perché lo sente molto diverso da sé e incapace di cambiare. Zeno è colpito soprattutto dalla bellezza della donna che non è soltanto esteriore ma anche interiore. Proprio quella bellezza sembra a Zeno una garanzia per il recupero della salute. Carla, la terza donna che entra nella sua vita, dopo Ada ed Augusta, compare nel romanzo in modo del tutto casuale. Di lei emergono subito due informazioni: è "una povera fanciulla", orfana di padre e mantenuta dalla carità pubblica, ed è "bellissima". La figura di Carla non è isolata ma collegata ad un'altra donna, Augusta, con la quale è messa spesso a confronto. Nonostante Zeno voglia considerare la sua relazione con Carla una semplice "avventura" per "salvarsi dal tedio" della sua vita coniugale, Carla stringe con Zeno una relazione forte. Ben presto il desiderio fisico si trasforma in una vera passione, anche se Zeno si accorgerà di questa passione troppo tardi; alla descrizione fisica di Carla è dedicata molta attenzione. Innanzi tutto è descritto il povero appartamento della vecchia madre. In confronto a tanto squallore la fresca bellezza di Carla è messa ancora più in luce. Al momento dell'addio Carla non è più la ragazza insicura e desiderosa di protezione di una volta, ma una donna energica e dignitosa. Ma nel cuore di Zeno non rimarrà tanto quest'immagine di Carla quanto quella di "Carla, la dolce, la buona", da rimpiangere con "lacrime amarissime". La "storia di un'associazione commerciale" è la narrazione dei rapporti tra il protagonista e Guido Speier, divenuto suo cognato. Guido è il rivale di Zeno nell'amore per Ada. Egli ha tutte quelle doti di cui invece Zeno è provo: la bellezza e l'eleganza della persona, la scioltezza nel parlare un buon italiano, l'eccellente esecuzione musicale come violinista. Tutte queste qualità unite alla giovinezza e alla ricchezza, fanno di Guido una persona vincente. Invece agli occhi di Zeno, le vere caratteristiche di Guido sono la mancanza di intelligenza, la meschinità e la vanità. Dopo un periodo di reciproca diffidenza, causata anche dalla gelosia di Zeno perché Guido gli ha sottratto Ada, i due diventano amici; l'azienda che costruiscono ben presto va in completa rovina, a causa della disattenzione dell'uno e l'incertezza del secondo; Guido finge un suicido per salvare l'onore e ottenere un ulteriore prestito dalla famiglia della moglie: purtroppo sbaglia le dosi del sonnifero e per errore, muore davvero. Occupandosi dell'azienda e dei debiti del defunto cognato, Zeno si avvicina nuovamente ad Ada, e fra loro sembra rinascere qualche sentimento: ma è solo un gioco della memoria, che ancora una volta non raggiunge la realtà. Nelle ultime pagine il protagonista dichiara di voler abbandonare la terapia psicoanalitica, fonte di nuove malattie dell'animo (infatti nella finzione del romanzo è lo psicoanalista che pubblica questo diario, per vendicarsi del suo deluso paziente) incapace di restituire all'uomo la salute, la quale è un bene che questo non potrà mai raggiungere.
I personaggi
ZENO è il protagonista del romanzo, caratterizzato da una profonda contraddizione interna. Il suo modo di vivere si basa su una comoda e tutta interiore disponibilità a più destini che non vuol tradursi in una scelta decisa. Zeno non vuole "solo" guarire dai suoi mali: la sua inettitudine e il suo continuo posticipare la soluzione dei propri conflitti psicologici sono un modo per garantirsi di poter soddisfare, nel loro continuo alternarsi, i propri desideri contrastanti, nel momento in cui essi si manifestano.
IL PADRE viene descritto come una persona tranquilla, che tiene molto a questa sua tranquillità. Rifiuta tutto ciò che va contro il suo ideale della vita e del mondo, tutta fondata sulla fiducia in rassicuranti idee di ordine stabilità e immobilità. Per questo motivo non sarà solidale con la "distrazione" del figlio e con la sua "tendenza a ridere delle cose più serie." Il distacco fra i due rimarrà intatto anche quando egli cercherà di insegnare al figlio tutta la "scienza " e "l’esperienza" della vita che sente tanto grandi; ma non riuscirà a dir nulla. Il gesto dello schiaffo renderà più dolorosi i sensi di colpa del protagonista che non era riuscito a recuperare il rapporto con il padre.
AUGUSTA è la buona e dolce moglie di Zeno. Il protagonista la scarta subito quando deve scegliere fra le quattro figlie di Giovanni Malfenti, preferendole Ada, la quale lo rifiuterà in favore di Guido Speier; solo per non rimanere fuori dal salotto di casa Malfenti, essendo stato respinto anche da Alberta, accetterà di sposarla. Ella è disposta a vivere ed assistere Zeno. Emerge subito la profonda invidia della donna nei confronti della sorella Ada, perché il marito è attratta da lei: questo sentimento durerà a lungo. Augusta è un personaggio opposto rispetto al marito, lui "malato", lei l’impersonificazione della "salute", che, nella sua semplicità ha una sua ingenua e gioiosa fede nella vita, e sa perfettamente vivere nel presente. Il centro del mondo di Augusta è la famiglia, ch’ella intende nel modo più tradizionale cui dedica tutto il suo amore e le sue energie. Il marito è visto come una sorte di "patriarca" ma il suo bene è rivolto anche nei confronti dei genitori.
ADA è la donna desiderata da Zeno, ma non ne ricambia i sentimenti. La giovane è incapace di amare l’ironia e il distacco, la "lietezza" di Zeno, protesa alla ricerca di qualità chiare e ostentate; ella è attratta dal "falso" romanticismo di Guido e in seguito sarà costretta appunto a rivedere il suo giudizio sui due uomini. Il personaggio poi con il passare del tempo diventerà sempre più triste e malinconico a causa del matrimonio fallimentare con Guido che la tradirà, infatti, con una sua impiegata.
GUIDO diviene il marito di Ada. Appena compare sulla scena colpisce la sua disinvoltura, naturalezza. Colpisce il salotto di casa Malfenti sia con le sedute spiritiche, sia con la grande performance al violino. In realtà si dimostra grande "oratore" solo nelle convenienze, ciò è indice di falsità. Sembra proprio che quello che più interessa al personaggio sia: "piacere". La sua presunzione lo porta a fondare una ditta commerciale intendendo rivoluzionare le tradizionali strategie di mercato. Zeno si accorge pian piano della sua inefficienza al compito da lui assunto. Nei momenti più difficili emerge la sua debolezza: dapprima rifiuta per la sua presunzione ogni consiglio per risanare il passivo della ditta e poi fugge da ogni responsabilità nel momento di maggior bisogno. Dopo aver fallito nel lavoro si lancia nell’azzardo dove spera di trovare rapidi trionfi ma anche qui la sorte gli è avversa.
La struttura del romanzo
La “Coscienza di Zeno”, che può essere definito un romanzo analitico, non si presenta come narrazione di una vicenda particolare, ma come un’autobiografia aperta, in cui non si segue un disegno organico, ma si aprono squarci su diverse situazioni e occasioni della vita del protagonista; infatti, quest’ultimo narra la propria visione dei fatti e la storia del suo animo muovendosi nei binari della memoria. La rievocazione dei fatti è continuamente riportata alla coscienza attuale del narratore Zeno. Il romanzo presenta due piani temporali diversi: quello della memoria (io raccontato) e quello dell’attualità (io che racconta e giudica).L’uso del tempo misto porta alla disgregazione dell’intreccio della narrazione lineare e cronologica degli avvenimenti, perciò si assiste alla continua intersezione dei piani del racconto. Zeno è disgregato e frantumato com’è disgregata e frantumata la realtà in cui si dibatte. Immerso nel vero tempo della coscienza, il personaggio perde ogni consistenza e ogni certezza, salvo per rifugiarsi nella consapevolezza ironica e nella cinica saggezza di chi ha scoperto l’assurdità del reale e l’impossibilità per l’uomo di un’alternativa reale. La confessione in prima persona e la necessità di far affiorare la realtà della coscienza portano Svevo all’uso del “monologo interiore”, che si risolve in una sorta di discorso indiretto libero del protagonista. Quest’ultimo è Zeno Cosini che ha ricevuto dallo psicologo, da cui è in cura, l’incarico di ripercorrere per iscritto il suo passato ma tale opera s’interrompe ad un certo punto così come la cura per l’insofferenza del paziente nei confronti del suo medico e del suo metodo; così Svevo finge che il romanzo sia pubblicato dal dottore per vendicarsi del tiro giocatogli dal “malato” vicino alla guarigione. Il testo si compone di otto capitoli: nella “Prefazione”, il dottore presenta la sua decisione di pubblicare quelle memorie; nel ”Preambolo”, Zeno ritorna al periodo della sua infanzia e afferma l’impossibilità di recuperarla. “Il fumo” è dedicato agli infiniti artifici e sotterfugi che il personaggio mette in atto per evitare di abbandonare le sigarette. “La morte del padre” parla del difficile rapporto con il genitore e di un gesto di questi, in punto di morte, il quale è visto come punizione dei suoi confronti. “La storia del mio matrimonio” è incentrato sulle vicende che hanno portato Zeno a frequentare la famiglia Malfenti e le quattro sorelle, sul suo amore per la bellissima Ada, dalla quale ripiega verso Alberta finendo verso l’affascinante Augusta, che però si rivela come moglie ideale, dotata di quella certezza borghese e di quella “salute” di cui egli soffre la mancanza. Ne “La moglie e l’amante” Zeno, marito felice, ripercorre le tappe del rapporto clandestino che lo lega Carla, una giovane donna di origine popolare che aspira a diventare cantante. “Storia di un’associazione commerciale” segue le difficoltà di Zeno nel mondo degli affari e illumina il rapporto che egli trattiene con il marito di Ada. In “Psico-analisi” annuncia la sua decisione di abbandonare la cura, svolge varie critiche alla psicanalisi, parla della sua improvvisa scoperta della realtà della guerra, sostiene di essere guarito dalla malattia grazie a una serie di successi commerciali. Con quest’ultimo capitolo il romanzo si conclude quasi uscendo da se stesso e smentendosi. In questo romanzo il trapasso dal verismo a una nuova visione e descrizione del reale è netto: l’opera, infatti, è più analitica e introversa, non più regolata da stereotipi romanzeschi quali il personaggio, le ordinate categorie temporali e l’univocità degli eventi. Lo stile della sua prosa sta nella sua disinvoltura, nel modo in cui scompone i proprio piani. Si direbbe che Svevo sappia costruire un linguaggio dotato di una carica “comica e ironica”, lavorando sui toni e sulle misure sintattiche, e rifuggendo da ogni elemento espressionistico, da ogni ipotesi di deformazione stilistica.
Il tempo narrativo
La narrazione di frammenti della propria esistenza, lo scavo dell’io imposto dall’analista, si confrontano con il “tempo”: “La coscienza di Zeno” è anche un’opera sul tempo, una sottile indagine sul rapporto tra tempo della scrittura e della cultura e tempo della vita, tra il flusso del presente e il flusso dell’esistenza trascorsa e perduta. La stessa cura psicoanalitica impone un recupero del tempo, un ritorno all’infanzia, a situazioni e a traumi originari, un riassorbimento di tutto il vissuto nella coscienza del presente, una continua attenzione ai ricordi e ai sogni. Ma Zeno, impegnato a raccontare e a ricordare, si accorge che non è sicuro nessun rapporto sicuro con il tempo: da una parte il tempo si ripete e si riavvolge su di sé; dall’altra il suo ritornare lo trasforma in qualcosa di diverso da ciò che era, lo muove e lo deforma. I ricordi diventano sempre un’altra cosa, creando nuove realtà che non è possibile identificare con quelle originarie, la coscienza si muove solo allontanandosi da sé. Per Svevo non è possibile nessuna salvezza della memoria, nessun recupero del tempo perduto. Il tempo narrativo del romanzo si costruisce attraverso continue “sfasature”, con movimenti in tutte le direzioni come mostra la struttura dei capitoli e lo stesso disporsi degli eventi secondo un ordine tematico e non cronologico. Nell’ultimo capitolo l’abbandono della cura si collega all’esibizione della distanza che separa il protagonista, ormai vecchio, dalle sue “avventure” precedentemente narrate: è certo che la “frattura” su cui “la coscienza” si chiude è segnata dall’incombenza della guerra. Questa s’impone anche come segno simbolico dell’uscita da un’epoca, della rottura di un mondo compatto quale era stato quello del giovane Zeno, della nuova minaccia di distruzione che incombe nel mondo borghese. Raggiunto dalla guerra che fino all’ultimo aveva creduto lontana, Zeno si accorge che la sua malattia e il suo gioco d’inganni e i suoi desideri gli hanno fatto ignorare la realtà. Ma grazie ad un ambiguo e imprevedibile rivolgimento, Zeno sembra ottenere la “guarigione” proprio da questa distruzione, dai fortunati affari che la guerra gli permette di fare. Questa guarigione lo riconduce ad allargare lo sguardo alla malattia che ha colpito l’intera umanità; le ultime battute del romanzo mostrano come sia lo stesso accumulo degli oggetti e degli “ordigni” che rende l’uomo più civile e lo allontana dalla natura, ad accrescere la sua malattia e a comunicarla all’intero pianeta: “La vita attuale è inquinata alle radici”. Come ha rivelato la guerra, lo sviluppo dei mezzi industriali e il dominio sulla natura si trasformano in morte e distruzione: e il romanzo si conclude proiettando il suo movimento nel tempo verso un futuro minaccioso, dilatando la malattia di Zeno verso l’ipotesi di una distruzione della guerra, per effetto di un esplosivo creato dalla malattia degli uomini: “Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà, e la Terra ritornerà al suo stato di nebulosa, errerà nei cieli privi di parassiti e di malattie”.
Dall’inettitudine individuale alla catastrofe cosmica
Nell’ultima parte del romanzo, Zeno, dopo aver ripercorso le tappe fondamentali della propria vita, prende coscienza dell’inutilità della psicoanalisi in quanto ritrova nella vita in se stessa la malattia, e per di più incurabile. La sua meditazione a questo punto perde il tono individuale che aveva assunto nel corso dell’intero romanzo e si estende all’essere umano, centrato nel mirino della corrosione pessimistica dell’ironia. Fra pulsioni esistenziali connaturate all’uomo e la crisi degli ideali salvifici dello scientismo positivistico e dell’ottimismo della società borghese, nonché sull’esperienza negativa della Grande guerra, si decreta l’inquinamento radicale della vita. L’uomo, a differenza dell’animale, con la sua scienza distruttiva ha sovvertito l’equilibrio biologico contravvenendo alla sana legge della selezione naturale, da cui si è distaccato con la creazione artificiosa d’ordigni distruttivi. Egli non si rende contro che più si allontana dalle leggi della natura, più decreta la propria debolezza e quindi la malattia. Questa può facilmente degenerare nel delirio e nella follia sino alla catastrofe finale, che con un’esplosione enorme ridurrà la terra allo stato di nebulosa. Zeno supera la riflessione sulla sua malattia per aprirsi ad una più generale malattia dello spirito. L’indubbia memoria darwiniana che si ravvisa nelle parti finali del testo è tuttavia capovolta: non è più l’ambiente che con il suo determinismo biologico influenza l’uomo, ma è l’uomo stesso ora che agisce negativamente sull’ambiente stesso creando le armi della morte elevate a folle prezzo compensatorio della sua congenita debolezza, che avrà purtroppo occasione di manifestarsi più volte negli anni a venire.
Svevo e la psicanalisi
Ne “La Coscienza di Zeno” l’attenzione dello scrittore non è più rivolta ai fatti esterni, alla storia in sé in cui s’intrecciano fattori storici ambientali e sociali, temi cari ai naturalisti e ai veristi, ma ai fatti interni, all’esplorazione dei meandri del subcosciente, all’analisi ossessiva a spregiudicata di ciò che è nascosto e fermenta sotto il velo delle apparenze esteriori e delle convenzioni sociali. Nel compiere quest’analisi Svevo trascura o addirittura distorce alcuni aspetti fondamentali della psicanalisi in particolare quelli inerenti al rapporto tra analisi e paziente, ma è altrettanto vero che l’opera non sarebbe potuto essere concepita né compresa, al di fuori di un orizzonte psicanalitico. L’interesse di Svevo è rivolto soprattutto alla dimensione psicologica dell’individuo, all’analisi degli strati profondi della coscienza da cui far emergere le contraddizioni, i conflitti, le angosce, le finzioni entro cui si dibatte l’individuo con la sua “inettitudine” e le sue nevrosi. La nuova scienza offre allo scrittore strumenti conoscitivi validi per scandagliare fino in fondo la condizione umana attraverso il vaglio lucido e rigoroso della malattia con i suoi lapsus, autoinganni, rimozioni, fantasie allucinatorie, gratificazioni. La “psicoanalisi” si rivela strumento essenziale per la costruzione di questo personaggio “malato”, per la rivelazione di quest’equilibrio che costituisce l’io; non soltanto le memorie di Zeno sono presentate come frutto di una cura psicoanalitica interrotta e divulgata da un medico, ma in molti momenti del suo racconto si sente lo sguardo del tutto nuovo che Freud aveva portato su ogni atto psichico. Alla psicoanalisi si possono ricollegare l’ottica in cui sono visti i comportamenti irregolari di Zeno e i sintomi d’irregolarità, sotto l’apparente normalità, degli altri personaggi. La presenza di Freud si sente nella rappresentazione dei sogni del protagonista, nella sua abitudine nei motti di spirito, nel suo continuo incorrere nel “lapsus” e continui equivoci. Ma è soprattutto la “nevrosi”, con le sue molteplici manifestazioni, la malattia che domina il mondo di Zeno. Ma sarebbe sbagliato definire in modo clinico la natura della nevrosi di Zeno: accumulando “verità e bugie”, avviluppandosi nella sua malattia e continuando a ricercare la guarigione, Zeno non ci presenta un “caso” specifico di nevrosi ma un’immagine più ampia della condizione nevrotica dell’uomo contemporaneo. La “nevrosi” dell’individuo è anche la nevrosi della civiltà e della cultura; la guarigione non esiste, esistono equilibri che nascono dalla coscienza dell’inevitabilità della malattia. La malattia diventa strumento fondamentale di conoscenza, e in questo caso s’intreccia, fino a identificarvisi, con la scrittura e la lettura: scrivere è anche cercare le ragioni della malattia, usare la malattia come forza critica che rivela le contraddizioni della realtà, l’inganno che si nasconde sotto le apparenze sociali; ma nello stesso tempo la scrittura è invenzione, artificio, sistema d’inganni, che allontana da una conoscenza autentica. Lo stesso linguaggio è falsificazione: ogni confessione “sincera” è impossibile per iscritto. Questa tendenza alla falsificazione, l’immergersi dell’uomo in un gioco d’inganni e autoinganni anche se offre molto lavoro alla psicoanalisi rende impossibile la verità ultima dell’io, confermando l’inutilità della cura.
Commento a “La coscienza di Zeno”
La composizione della “Coscienza di Zeno”, iniziata nel 1919 si conclude, dopo tre anni, nel 1922, perché promossa da una travolgente ispirazione, è accompagnata da ripensamenti che portano Svevo a distruggere, correggere, rifare. Il titolo non è solo un invito a leggere il libro, ma un segno preciso, il primo messaggio che il testo ci invia. Il termine “coscienza” non riesce a definire ciò a cui si riferisce, la parola coscienza ha mille significati e nessuno, va solo interpretata. La parola coscienza ricorre con frequenza non casuale nel romanzo, come consapevolezza, coscienza morale, attività psicologica, accesso alla coscienza. Zeno è l’incarnazione suprema dell’inetto, antieroe, uomo senza identità, intellettuale privo di stimoli e di ideali, Charlot borghese ecc. Uno dei primi interpreti del romanzo, il critico francese Crémieux, afferma che «Zeno inciampa nelle cose» come Charlot. In effetti molte pagine della “Coscienza di Zeno” avvicinano l’andamento e il ritmo ai films di Charlie Chaplin (1889-1977). Basti ricordare l’intera “commedia” matrimoniale di Zeno (cap. V) di cui alcune scene emblematiche, sono di una gag charlottiana, oppure l’incontro al bar con l’amico Tullio. Tullio spiega a Zeno il tremendo congegno dei 54 muscoli per muovere la gamba. Zeno allora presta attenzione alla propria gamba e scopre in essa una macchina mostruosa. Da quel momento Zeno non riuscirà a coordinare i movimenti ed uscirà, zoppicando dal caffè, colpito dalla solita menomazione dell’amico. In Svevo ci sono molti tratti tipici dell’uomo moderno: la percezione perturbante della lacerazione dell’io e della doppiezza umana, il ricordo insopprimibile della nostra lontana origine animale, il bisogno forte di autoanalisi, il valore liberatorio del riso e dell’umorismo. Questo tipo di personaggio, che rappresenta l’uomo del Novecento, è spesso portato a contemplare e a riflettere più che ad agire. La grande intuizione di Sevo è stata quella di far incontrare uno di questi uomini troppo pensosi con il grande tema della psicanalisi. Il risultato però non è stato positivo, perché neanche la psicanalisi riesce ad aiutare l’uomo contemporaneo a guarire dalla nevrosi. Zeno guarisce solo in quanto diventa completamente cosciente che la sua malattia è la malattia di tutto il mondo moderno e solo una totale autodistruzione potrà eliminarla. “L’occhialuto uomo” che ha inventato ordigni straordinari e potenti è votato, in una così fatta società, dominata dal profitto, all’autodistruzione e alla catastrofe finale. L’uomo contemporaneo, personificato da Zeno, frustrato e nevrotico, non ha più fiducia nella razionalità della storia e nella conoscibilità del reale. L’unica salvezza è ritagliarsi uno spazio tutto personale. «… è comunque possibile continuare a vivere con una sorta di precaria felicità, che si può raggiungere nei singoli momenti del proprio tempo, della propria storia». Zeno è capace di una grande ironia, rivolta non solo agli altri, ma anche a se stesso. L’ironia è anzi uno dei tratti più evidenti dello stile del romanzo.

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