Confessioni di sant'Agostino

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Testo

Manuel Belli 2^ triennio Estate 1999

Relazione in seguito alla lettura di “Le Confessioni” di s. Agostino sul tema:

S. Agostino e
l’incontro con la Scrittura

Rispetto a tutti i filosofi che abbiamo incontrato finora, sant’Agostino ha potuto disporre di uno strumento in più. La sua ricerca della sapienza non è stata una seconda navigazione platonica per cui, con immane fatica della sua intelligenza, egli è giunto a scoprire ciò che dà senso a tutte le cose. Agostino, sebbene con travagli e con fatica, si è semplicemente arreso ad una Sapienza nascosta fin dai tempi più antichi e rivelata pienamente nella persona e nelle parole di Gesù, chiamato il Cristo. Ovviamente Agostino, quale grande dottore della Chiesa, ci ha aiutato molto a riflettere su Dio, sulla natura divina e sull’uomo, ma tutto partendo da uno strumento (ecco il famoso strumento in più) che molti hanno stimato e stimano spazzatura, e cioè le Sacre Scritture. Secondo i cristiani l’amore per la sapienza (filosofia) non può che essere amore verso i Sacri Testi, mezzo con il quale Dio, Sapienza infinita, ha scelto di rivelarsi. In questo brano cercheremo allora di raccontare l’incontro di sant’Agostino con la Bibbia, così come egli stesso ce lo descrive nel suo capolavoro “Le confessioni”.
Gesù Cristo, in una delle parabole più famose, ha paragonato la sua Parola ad un seme1. Un seme possiede in sé la forza per germogliare ed è quindi qualcosa di vivo e capace di donare vita. Nel leggere “Le confessioni”, tentando di considerarle sotto il profilo dell’incontro dell’autore con la Sacra Scrittura, mi sono accorto di come per lui si è veramente realizzata questa vitalità della Parola che è capace di conquistare ogni uomo, anche colui che gli oppone grande resistenza.
Sebbene non sia detto esplicitamente, possiamo intuire che fin da piccolo Agostino avesse avuto contatto con la Parola. Leggiamo infatti nel capitolo undici del primo libro delle Confessioni “Avevo udito parlare sin da fanciullo della vita eterna, che ci fu promessa mediante l’umiltà del Signor Dio nostro, sceso fino alla nostra superbia…” e più avanti “Dunque allora io credevo, come mia madre e tutta la casa, eccettuato soltanto mio padre”. Dalla narrazione che il santo fa della sua fanciullezza apprendiamo che egli conduceva una vita simile a tanti normali fanciulli, immerso in una famiglia “quasi credente” (il padre non lo era) con tutte le svogliatezze e i desideri che la maggior parte dei bambini ha.
L’adolescenza agostiniana, presa da tanti curati di oratorio nei loro ritiri come emblema di uno stile di vita comune a tanti adolescenti, è caratterizzata da un distacco dalla fede e di conseguenza dalla Parola. Agostino cercava ciò che dà senso all’esistenza, ma nell’intemperanza caratteristica dell’età giovanile trovò la felicità nei piaceri carnali e nella ricerca delle glorie umane. Eppure Dio guardava e pazientava (come il nostro autore stesso commenta) e, si sa, le sue strade sono infinite. Tanto infinite da affidare a Cicerone e al suo trattato “Ortensio” il compito di svegliare Agostino dal suo torpore morale, spirituale ed intellettuale. Questo non significa che subito egli incontrò la Parola, se ne innamorò e divenne credente, ma l’”Ortensio” svegliò in lui il desiderio e l’amore verso la sapienza e Agostino stesso dice che “amore della sapienza ha un nome in greco: filosofia”. Non era ancora arrivato a conoscere Dio per mezzo della sua Sapienza rivelata nei Sacri Testi, ma, per mezzo della filosofia, ha cominciato ad alzarsi per tornare nella casa del Padre, che con amorevole occhio continuava a scrutarlo nella sua prodigalità.
Dopo la lettura dell’”Ortensio”, Agostino “si propose di rivolgere la sua attenzione alle Sacre Scritture, per vedere come fossero”. Il suo primo incontro con la Parola non è stato sicuramente gratificante. Sentiamolo raccontato dalle sue parole: ”Ebbi l’impressione di un’opera non degna della maestà tulliana2”. E non possiamo dare torto al “povero” Agostino se consideriamo la sua formazione: era un grammatico ed un retore finissimo, mentre la Bibbia, ad una prima lettura, può sembrare una storiella per bambini. Sicuramente uno che cerca la sapienza non vuole sentirsi parlare di Adamo ed Eva che mangiano una mela e vengono cacciati dal paradiso terrestre. I Vangeli stessi, per la loro semplicità, fanno gioire gli studenti di greco quando devono tradurre qualche passo. Eppure è piaciuto a Dio salvare l’uomo con la stoltezza della predicazione3 e a noi non è chiesto di arrossire a causa della debolezza del Vangelo: esso infatti è la potenza di Dio che salva chiunque l’accoglie4. Agostino non ha capito subito che ciò che è debolezza per gli uomini è potenza di Dio5, ma lo avrebbe capito, tanto da diventare lui stesso maestro di sapienza divina e nostro padre nella fede.
Il primo deludente incontro con la Parola lo portò tra “uomini orgogliosi e farneticanti, carnali e ciarlieri all’eccesso”, ovvero i manichei6. I manichei non solo rifiutavano totalmente l’Antico Testamento (secondo la teoria della sostituzione, secondo la quale il Nuovo Testamento cancellerebbe e sostituirebbe l’Antico Testamento), ma davano un’interpretazione distorta dei Vangeli e delle lettere di Paolo, tanto che Mani (il fondatore del manicheismo) si definiva “Apostolo di Cristo” e “ il paraclito che doveva venire”. Personalmente ho cercato di documentarmi un po’ circa la dottrina manichea, e, se dimentico di essere cristiano cattolico, posso persino affermare che è affascinante il loro modo menzognero di accostarsi alla Scrittura e al mistero di Cristo, ma ancora una volta bisogna ricordare che a Dio è piaciuto rivelare ai piccoli la sua verità, non hai falsi sapienti di questo mondo7. E questo è anche il giudizio di Agostino dopo la sua conversione. Nel quinto libro infatti il grande dottore della Chiesa, in occasione del ricordo del suo incontro con il vescovo manicheo Fausto, espone le sue critiche al sistema manicheo.
La Provvidenza condusse Agostino fino a Milano, città in cui incontrò il grande vescovo Ambrogio. Agostino iniziò a frequentare i sermoni domenicali del vescovo, dapprima attratto dalla loro forma estetica, e poi dal contenuto. E fu proprio grazie a sant’Ambrogio che Agostino ebbe un altro significativo incontro con la Parola di Dio. Il Vescovo milanese infatti guidò Agostino in una lettura spirituale (e non letterale) dei passi dell’Antico Testamento, così che quest’ultimo poté convincersi della verità nascosta dietro i testi della Legge e dei Profeti, incominciando a detestare coloro che deridevano gli autori sacri dell’antica alleanza, cioè i manichei. L’incontro con il Nuovo Testamento e con la rivelazione di Gesù Cristo non può che passare per l’Antico Testamento, poiché Cristo non è venuto ad abolire la Legge o i Profeti, ma a dare loro compimento. L’incontro con l’Antico Testamento ha condotto Agostino ad accettare di entrare nella Santa Chiesa Cattolica come catecumeno.
Era però ancora lontano dal conoscere la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità del mistero di Gesù Cristo8, ma ancora una volta Dio guardava e pazientava, e volle che l’incontro con il Nuovo Testamento fosse mediato, per Agostino, dalla lettura dei testi neoplatonici9, i quali effettivamente possono essere di grande aiuto ad aprire la mente verso la rivelazione cristiana.
Finalmente Agostino decise di gettarsi sui testi del Nuovo Testamento, e in primo luogo sulle lettere paoline. Grazie alle letture anticotestamentali mediate dalla sapienza di Ambrogio, scomparvero dalla sua mente i dubbi di incompatibilità e di contrasto tra la Legge e i Profeti nei confronti dei Vangeli e delle epistole neotestamentali. In questo modo poté apprendere la semplicità e assieme la sublimità del messaggio di Cristo. La Parola è apparsa a sant’Agostino semplice, cosicché chi la scolta non può vantarsi di averla compresa, ma può solo arrendersi alla sua debolezza, che poi è potenza di Dio.
Ormai Agostino aveva ricevuto il seme della parola e della rivelazione, gli mancava di metterla in pratica, abbandonando tutti i desideri secondo la carne per darsi alle opere dello Spirito10. Ma, lo sappiamo bene tutti, questo non è semplice.
Fu così che un giorno, sconsolato a causa della sua accidia, mentre stava piangendo, dalla casa vicina udì una voce che diceva: “Prendi e leggi”. Egli interpretò come provvidenziale questo nuovo invito a scontrarsi con la Parola di Dio. Si gettò così sui testi di san Paolo e, aprendo a caso il libro, i suoi occhi caddero sul versetto tredici del tredicesimo capitolo della lettera ai Romani che dice :”Non nelle crapule e nell’ebbrezza, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo né assecondate la carne nelle sue concupiscenze”. L’incontro con la Parola rischiarò i suoi dubbi. Questo versetto non lo lesse solo con gli occhi e con “la testa”, ma anche con “il cuore” e con i sentimenti, e questo provocò in lui “grande letizia e serenità”. Agostino è una dimostrazione vivente che quando la mente, l’anima e il cuore incontrano la Parola, questa è veramente più tagliente di una spada11.
Nel libro IX Agostino narra di come si è liberato di tutto ciò che poteva separarlo da quel Dio misericordioso che lo aveva guidato. E viene anche raccontato del suo incontro con il libro dei salmi. Infatti la Parola, dopo essere stata ascoltata, vissuta e capita, non può che diventare preghiera. Agostino descrive così il desiderio di rivolgersi a Dio mediante il libro dei salmi: “Quali grida, Dio mio, non lanciai verso di te leggendo i salmi di Davide, questi canti di fede, gemiti di pietà contrastanti con ogni sentimento di orgoglio! (…) Ardevo dal desiderio di recitarli.”
In questo libro nono Agostino si impegna in una meditazione sul salmo quattro, nel quale egli, con una sensibilità biblica sorprendente, rilegge la sua storia di fede e loda il Signore per la sorte beata che gli ha concesso, rattristandosi per colo invece che erano lontani dalla luce di Cristo, cioè i manichei e tutti gli eretici.
Sant’Agostino ricevette così il Battesimo per le mani del vescovo Ambrogio nella notte di Pasqua del 387.
Ma la Parola, per quanto sia immutabile e stabile per sempre, e resterà anche quando il cielo e la terra passeranno, non permette una conoscenza perfetta, e accende in noi il desiderio di vedere apertamente, faccia a faccia Dio. Del resto lo dice anche l’Apostolo: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia”12. E Agostino si accorge di questo. Ma, per dono della Grazia di Dio, assieme a sua madre, ricevette il dono della contemplazione, cioè per un breve istante ha potuto cogliere l’eterna Sapienza, così come la vedremo il giorno ultimo. Sono interessanti le affinità e le differenze tra la contemplazione agostiniana e quella neoplatonica di Plotino13.
Gli ultimi tre libri delle “Confessioni” sono dedicati alla questione della memoria, alla questione del tempo e ad una meditazione filosofica sui primi due versetti della Genesi, in cui Agostino mostra tutta la profondità del suo amore per la Sacra Scrittura.
E si conclude così il nostro itinerario con cui Agostino è passato dal rifiuto all’amore profondo nei confronti della Parola. Spero di non avere annoiato troppo il mio lettore se mi sono lasciato andare a qualche riga di “predica” in alcuni punti, ma assicuro che erano tutte indirizzate a me stesso. Se poi chi legge ha potuto trarne qualche beneficio, mi rallegro con lui.

1 Mt 13,3-9 ; Mc 4,3-9 ; Lc 8,5-8
2 Cioè di Marco Tullio Cicerone
3 1Cor 1,21
4 Rm 1,16
5 1Cor 1,18
6 Il manicheismo era un sistema religioso che prese il nome dal fondatore, Mani. La visione del mondo manichea è radicalmente dualista, i cui poli sono il bene (incarnato da Dio) e il male (rappresentato dalla materia). Secondo una complessa dottrina della creazione, nell’uomo e in tutta la natura ci sarebbero delle particelle divine. L’uomo può sperare di liberare la sua parte divina solo attraverso una severa pratica ascetica. Gesù Cristo, giudicherà se l’uomo, alla fine della vita, è riuscito a liberare il principio divino che risiede in lui. I manichei si organizzarono anche gerarchicamente e crearono una propria liturgia, tramandataci come molto suggestiva.
7 Lc 10,21-24
8 Ef 3,18
9 Con il nome di “Neoplatonismo” intendiamo un insieme di correnti filosofiche e teologiche diffuse nel mondo occidentale fra il III e il VI sec.. Queste correnti hanno una forte impronta mistica e religiosa, nata dal ripensamento del pensiero platonico integrato in vario modo con temi del giudaismo, del neopitagorismo e di alcune sette cristiane. Nei testi neoplatonici troviamo somiglianze singolari con il prologo del Vangelo di Giovanni, ad esempio si parla di una sapienza che in principio era presso Dio e faceva parte della sostanza divina stessa, e troviamo anche che questa sapienza non è stata creata da volontà umana, ma è nata da Dio.

10 Gal 5,16
11 Eb 4,12
12 1Cor 13,12
13 Plotino è il maggior esponente della corrente neoplatonica, e il suo pensiero ontologico, nel quale si inserisce il suo concetto di estasi e contemplazione, è molto complesso. In sostanza la contemplazione plotiniana è l’atto creatore mediante il quale un’intelligenza universale, dalla visione del massimo principio della realtà, cioè l’Uno, crea tutte le cose. Mediante l’imitazione di tale contemplazione, l’uomo può arrivare alla conoscenza dell’Uno. La contemplazione Agostiniana riprende come modalità quella plotiniana (Plotino infatti afferma che è necessario mettere a tacere nell’anima tutte le realtà terrestri per giungere alla contemplazione dell’Uno), ma con un’accezione profondamente diversa: Plotino sostiene che la contemplazione è un movimento dell’uomo verso il divino, mentre Agostino afferma che la contemplazione è dono della grazia di Dio.
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