le confessioni di sant'agostino

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia

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Testo

LE CONFESSIONI

Le confessioni, scritte dal 397 fino al 400 (anche se a riguardo ci sono state numerose dispute), sono un’opera divisa in 13 libri, nella quale Agostino ha voluto porre davanti a Dio e a noi tutti il ricordo della sua anima e, con una profonda umiltà, manifestare il suo vecchio e nuovo “io”.
Agostino inizia quello che sarà il suo libro più importante con un’invocazione a Dio. In seguito racconta i primi peccati infantili (che non ricorda ma che gli vengono raccontati o vede in altri bambini) quando cercava le mammelle per nutrirsi, si beava delle gioie o piangeva per le noie della sua carne. Un bimbo comune che sorrideva, s’innervosiva e al quale non bastava mai niente. Lentamente imparò a parlare osservando i movimenti degli adulti, cominciò a comunicare con i segni adatti e da bimbo divenne, come si definì lui stesso, un fanciullo chiacchierone. Giunse quindi il momento della scuola che poneva limiti ben precisi alla sua gioia di sperimentare tutto e conoscere ogni cosa. Agostino non amava la scuola e riteneva, anzi, che fosse il gioco il lavoro del bimbo, e per questo spesso disobbediva, peccando, poiché andava contro il volere dei genitori. Dal suo ambiente di casa e di scuola fu spinto sulla via della vanità. La cosa più importante della vita sembrava essere il saper parlare bene per ricevere applausi. E anche nel gioco cercava di essere il primo, il più bravo. La scuola non lo aiutava certo ad essere diverso: le favole frivole e oscene dei poeti pagani eccitavano il suo carattere vanitoso e passionale. Ripensando al periodo del primo apprendimento, Agostino ritiene inutili tutte le cose che gli sono state insegnate, così come inutili sono per lui gli applausi che riceveva. Materia odiatissima era il greco, il cui studio richiedeva disciplina e applicazione. Ma Agostino dice di non capire il motivo di tale odio. Ed è forse l’unica materia che Agostino adulto si rammarica di non aver studiato meglio da bambino, probabilmente per il metodo con cui veniva insegnata.
Viene poi spiegato il motivo delle confessioni: “Voglio ricordare le superate mie cattiverie e le carnali corruzioni dell’anima mia, non perché io le ami, ma affinché ami te, o Dio mio”.
Egli narra che, dopo Tagaste, continuò gli studi di letteratura ed eloquenza a Madaura, una cittadina vicina. Ma dovette tornare a casa, perché il padre non aveva i soldi sufficienti per fargli continuare gli studi a Cartagine, la grande città capitale dell’Africa romana. Questo periodo (il sedicesimo anno di età) passò nell’ozio. Il suo temperamento esuberante, non controllato abbastanza da genitori ed educatori, anzi favorito dall’ambiente, lo portò ad una vita sregolata, nella continua ricerca di sensazioni piacevoli. Iniziò così il suo cammino di allontanamento da Dio.
Di quel tempo così disordinato Agostino ricorda un fatto che colpisce particolarmente la sua attenzione per la cattiveria gratuita che lo distingueva: un furto di pere. Agostino, dopo tanti anni, giudica quell’episodio con molta severità, poiché quel gesto fu compiuto non per necessità, ma fu semplicemente un amare il male per se stesso.
Passato quell’anno turbolento, Agostino riprese gli studi a Cartagine, dove restò dal diciassettesimo al diciannovesimo anno. Giuntovi con l’aiuto economico di Romaniano, Agostino, insieme allo studio, iniziò a sperimentare la vita e le passioni sfrenate di cui la città era piena, oltre a maturare una grande passione per gli spettacoli teatrali. Continuò intanto la scuola di retorica per diventare avvocato o professore. Frequentò una scuola in cui si trovò a contatto con allievi indisciplinati; ma , nonostante spesso egli si compiacesse dell’amicizia di questi “sovvertitori”, restò sempre estraneo alle loro azioni insolenti, diventando uno dei migliori allievi. All’età di 19 anni, incontrò, secondo il corso normale degli studi, un’opera di Cicerone, il dialogo “Ortensius”, che vuol essere un’esortazione alla filosofia e alla ricerca della verità. Iniziò così la ricerca di Agostino della sapienza e della verità. Ma dove cercarla? Il suo primo pensiero fu quello di rivolgersi alla religione di sua madre e di dedicarsi quindi alla lettura della Sacra Scrittura. Ma affrontò la Parola di Dio con gli occhi del professore di retorica e con la superbia del giovanotto pretenzioso, restandone profondamente deluso, sia per lo stile semplice e scarno, sia perché richiedeva l’accettazione del mistero: Agostino era alla ricerca di verità chiare e precise.
Si affidò allora ad una setta che predicava la dottrina di Mani, i manichei, sperando di trovare presso di loro la vera sapienza che aveva cominciato a inseguire con tutta l’anima.
I Manichei, oltre alla critica alle sacre scritture, davano una risposta circa il problema del male, che affascinava molto Agostino, il quale aveva sempre sentito fortemente il senso del peccato. Ammettevano infatti un principio buono, assoluto, Dio, e un principio cattivo, ugualmente assoluto, che avrebbe dato origine alla materia. L’uomo in fondo non sarebbe responsabile del male che compie perché proviene dal principio cattivo, dalla materia di cui è impastato.
Finiti gli studi divenne professore di retorica e tornò, per insegnare, nella sua città natale, Tagaste. Ma non nella sua casa: la madre sgomenta non accettò la convivenza con questo figlio diventato manicheo. Andò ad abitare nella casa dell’amico Romaniano, portando con sé il figlio Adeodato, che nel frattempo era nato dall’unione illegittima con una donna di cui non sarà mai fatto il nome.
Agostino racconta quanto la madre soffrisse della sua condizione e come Dio, in sogno e attraverso le parole di un vescovo, l’avesse consolata e convinta a riaccettarlo in casa.
Intanto si era avvicinato all’astrologia e né l’amico Nebridio, né un saggio medico, che affermava che la realizzazione delle predizioni degli astrologi dipendeva esclusivamente dal caso, riuscirono a fargli abbandonare tale scienza.
Ci fu in questo periodo un’esperienza di amicizia molto forte. Agostino aveva trovato un amico cui si era legato con tutta l’anima, attirandolo anche nel manicheismo. Poi però l’amico si era ammalato ed era morto, dopo essersi fatto battezzare. Il suo dolore fu tanto grande da spingerlo a lasciare nuovamente Tagaste. Sono molte le pagine nel IV libro dedicate all’amicizia, argomento sul quale Agostino riflette a lungo, scoprendo ben presto che esistono due tipi di amicizia: una egoista che esclude Dio e cerca solo la propria realizzazione, e un’altra che ha come oggetto finale Dio, si spoglia di sé stesso e gli amici li ama in Dio.
Un’altra riflessione avviene circa l’amore: l’uomo tende ad assimilarsi all’oggetto del suo amore; anzi, l’uomo è ciò che ama. Per questo l’amore è un peso, una forza di gravità che lo porta naturalmente alla cosa amata. Occorre quindi che Dio stesso dia il vero oggetto dell’amore, sé stesso, e la forza di tendere a Lui.
Lasciata Tagaste, divenne professore di retorica a Cartagine (dove scrisse la sua prima fatica letteraria su il bello ed il convenevole, che dedicò a Jerio) mietendo anche grandi successi nel campo delle arti cosiddette liberali. Ma Agostino sentiva un senso di insoddisfazione: sentiva infatti che il suo ingegno era speso male perché non riusciva a capire le cose veramente importanti.
Nel V libro viene raccontato il distacco dal manicheismo: le favole dei manichei, specialmente nel confronto con le scienze, non lo convincevano più. Fallì anche l’incontro con il famoso Fausto di Milevi, un venditore di parole più che un possessore della verità. Egli infatti, oltre a dimostrarsi ignorante riguardo alle arti liberali, non era riuscito a dare risposte ai dubbi di Agostino. Tuttavia, i due vissero insieme poiché Agostino stimava l’amore di Fausto per la letteratura.
Decise in seguito di trasferirsi a Roma per avere migliori guadagni e per l’indisciplina degli studenti cartaginesi. Ma per andare a Roma Agostino doveva staccarsi da sua madre, Monica, che lo aveva seguito a Cartagine e che non avrebbe mai permesso tale distacco. Agostino ricorse allora ad un inganno: finse di non voler lasciare solo un amico che attendeva il sorgere del vento per salpare. Poco prima dell’alba, spirò il vento favorevole e gonfiò le vele. Al mattino Agostino rimase a contemplare la riva africana che lentamente scompariva al suo sguardo. Ma nel suo cuore continuavano a risuonare i lamenti e i gemiti di sua madre.
A Roma, non molto dopo il suo arrivo, Agostino fu colpito da una grave malattia dalla quale egli afferma di essere guarito grazie alle preghiere della madre. Guarito, incominciò le sue lezioni di retorica raccogliendo in casa un buon numero di studenti, rallegrandosi nel vedere quelli romani molto più docili e disciplinati di quelli cartaginesi. Ma scopre ben presto in loro un’altra specie di cattiveria, e più raffinata: questi si rivolgevano ad altri e sparivano senza saldare il conto delle lezioni.
In questo periodo Simmaco, prefetto di Roma, era stato incaricato di scegliere un insegnante di retorica da mandare a Milano e Agostino, con l’aiuto dei manichei, riesce ad ottenere questo incarico. A Milano, dove si reca accompagnato da amici e familiari, incontra Ambrogio, Vescovo della città, uomo dotto nonché asceta, che, con la sua oratoria, riesce a sminuire ulteriormente le idee manichee. Agostino comincia ad ascoltarlo per giudicare la sua oratoria e finisce per gustarne i contenuti e diviene catecumeno, anche se il loro rapporto si sviluppa attraverso lettere a causa degli impegni del Vescovo. L’interpretazione allegorica della Bibbia e la spiritualità di Dio non furono i soli argomenti ai quali Agostino prestò attenzione ascoltando Ambrogio. Ce ne furono altri, come la creazione del mondo e la libertà umana. La creazione, dando ragione dell’origine dell’universo spirituale e materiale, tagliava corto con ogni forma di dualismo e di panteismo; la libertà poneva nell’uomo stesso e non, come insegnavano i manichei, in una natura diversa da lui, l’origine del male che commettiamo, mentre l’origine del male che soffriamo deve cercarsi nell’equità dei giudizi divini.
Ambrogio, oltre alla stima di Agostino, aveva conquistato anche quella di Monica; ne è un esempio l’accettazione da parte della donna della proibizione dei banchetti funebri.
Nel suo nuovo modo di vivere, quasi esclusivamente dedito alla spiritualità, Agostino riesce anche a distogliere l’amico Alipio dalla passione per i giochi circensi. A proposito di Alipio, Agostino racconta anche come in gioventù egli fosse stato accusato ingiustamente di furto e poi scagionato e fa un elogio dell’onestà dell’amico. E’ ancora con quest’ultimo che discute riguardo al matrimonio contrariando le idee dell’amico, che sosteneva che, prendendo moglie, non sarebbero state più possibili né la convivenza con gli amici, né lo studio, e convincendolo ad unirsi ad una donna, non per piacere, ma per la curiosità scaturita dalle sue parole in proposito.
Ci fu poi un tentativo di vita comune con gli amici che però fallì a causa dell’incompatibilità di quello stile di vita con le mogli che già alcuni avevano e che altri pensavano di prendere.
Dopo questo tentativo fallimentare, Agostino accettò un matrimonio combinato dalla madre, che, donna intelligente e pratica, pensava che solo nell’ambito del matrimonio il suo Agostino avrebbe potuto vivere quell’ideale cristiano cui lo vedeva avvicinarsi sempre più. Così, data l’impossibilità di un matrimonio legale con la donna che già conviveva con Agostino e che gli aveva dato un figlio, si diede da fare per trovare una giovane che facesse al caso. La scelta cadde su una fanciulla milanese. Agostino quindi fece tornare in patria la donna innominata e, nell’attesa che la futura sposa raggiungesse l’età per maritarsi, iniziò una relazione con un’altra donna.
Non si può dire però che il suo itinerario spirituale sia terminato: i problemi ancora da risolvere non sono di poca importanza, come la spiritualità di Dio e l’origine del male, due problemi legati tra loro e che lo tormentarono finché non incontrò le opere dei Neoplatonici. Da questi filosofi apprese la distinzione essenziale tra il sensibile e l’intellegibile. Agostino aveva superato l’idea di Dio come di un essere corporeo, ma, nonostante i suoi sforzi, non riusciva a concepire un essere incorporeo, senza estensione nello spazio. Ora invece intuiva con sommo stupore una realtà molto diversa da quella che i sensi percepiscono o rappresentano, ma non per questo meno reale o meno vera: la realtà intellegibile. Negli scritti dei neoplatonici trovò infine la vera nozione del male. Capì che non era logico chiedersi da dove viene il male, come facevano i manichei, se prima non se ne conosce la natura: cos’è il male. Agostino comprese che il male non è una sostanza, ma una privazione. Da qui la conclusione: il male, diminuzione o privazione del bene, proviene unicamente dal peccato dell’uomo.
Infine, leggendo S. Paolo, Agostino incontrò il mistero di Cristo, della cui profondità non era ancora consapevole. Attraverso le pagine dell’Apostolo trovò non solo Cristo Maestro, che aveva sempre riconosciuto, ma Cristo Verbo incarnato, Redentore degli uomini, fonte della grazia. Conobbe inoltre l’umiltà che fa riconoscere la propria insufficienza e implora la grazia, il sacrificio di lode che ringrazia per i doni divini e il pegno dello Spirito Santo, in cui è fondata la speranza di giungere alla meta.
Nel capitolo VIII Agostino racconta alcuni episodi che misero fine ad ogni suo dubbio. Egli narra che, fatta visita al vecchio Simpliciano, questi gli aveva raccontato la conversione del retore Vittorino, che fino a tarda età si era affannato a proteggere gli dei. Un’altra conversione è quella raccontata da Ponticiano, che, dopo la storia di Antonio, un monaco egiziano, narrò il cambiamento di due militari a Treviri, i quali letta la vita di Antonio, avevano lasciato le loro fidanzate e s’erano consacrati a Dio. E accennò anche al monastero esistente a Milano stesso, fuori le mura, sotto la guida di Ambrogio.
Iniziò così per Agostino una lotta interiore, fino a che ad un tratto la sua attenzione fu attratta da “una voce come di fanciullo o fanciulla che diceva cantando e ripetendo più volte: ‘prendi e leggi, prendi e leggi’”. Egli interpretò quella voce misteriosa come un comando divino, prese il libro dell’apostolo e, apertolo a caso, vi lesse: “Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore nostro Gesù Cristo e non assecondate la carne nelle sue concupiscenze”. Anche in Alipio, già deciso a non sposarsi e a dedicare la sua vita alla ricerca della sapienza, avvenne una trasformazione. Rallegratosi della decisione del suo amico, andarono insieme da Monica e le rivelarono la decisione presa.
Dopo questo avvenimento fondamentale, Agostino decise di consacrarsi totalmente a Dio. Lasciò l’insegnamento, dopo la fine della scuola, per licenziarsi senza clamore, oltre che la nuova concubina e rinunciò al matrimonio.
Con una lettera informò anche il vescovo Ambrogio dei suoi errori passati e della sua intenzione presente, e gli chiese consiglio su quali libri della Bibbia dovesse fermare la sua attenzione per prepararsi meglio al battesimo. E poco dopo, Alipio, Agostino e Adeodato ricevettero il Battesimo.
Nei giorni che seguirono Agostino e i suoi amici frequentarono la chiesa di Milano. Non erano solo entrati a far parte dei fedeli che camminano verso la Gerusalemme celeste, ora si sentivano uniti a tutti loro da un vincolo profondo di riconoscenza.
Si misero poi in viaggio per il ritorno. Ma giunta la piccola comitiva ad Ostia Tiberina, Monica morì. Poco prima di morire, in un momento di grande intimità, madre e figlio parlarono di Dio e si elevarono a lui in un’estasi mistica. Tornati con la mente sulla terra, Monica disse al Figlio: “Figlio mio, per quanto mi riguarda, questa vita ormai non ha più nessuna attrattiva per me. Non so che cosa faccio ancora qui. Le mie speranze sulla terra sono ormai esaurite. Una cosa sola c’era che mi faceva desiderare di rimanere quaggiù ancora un poco: il vederti cristiano cattolico prima di morire. Il mio Dio mi ha soddisfatto ampiamente, poiché ti vedo addirittura disprezzare la felicità terrena per servire lui. Cosa faccio qui?”. Dopo pochi giorni si mise a letto con la febbre e il male subito si aggravò. In un momento di lucidità disse ai suoi due figli: “Seppellite questo corpo dove che sia, senza darvene pena. Di una cosa sola vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all’altare del Signore”. Detto ciò l’anima credente e pia di Monica fu liberata dal corpo. Agostino le chiuse gli occhi. Una tristezza immensa gravava sul suo cuore.
Gli ultimi tre libri, schiettamente filosofici e teologici, concludono l’opera di Sant’Agostino; in essi, oltre ad esprimere il suo nuovo modo di concepire la vita e la religiosità, Agostino sente ormai prossima la fine. Egli chiude gli occhi e in un attimo molti avvenimenti della sua vita gli sfilano davanti, come in un sogno. La sua fronte si spiana e un sorriso gli aleggia sulle labbra: gli stanno passando davanti i suoi monasteri, maschili e femminili, con quelle belle comunità che testimoniano l’unità della Chiesa. Come dovrebbero essere tutti i cristiani, quegli uomini e quelle donne consacrati al Signore formano veramente “un cuore solo e un’anima sola protesi verso Dio”. Sente il suo cuore placato. Ora desidera solo Dio.

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