"Se questo è un uomo"

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Testo

Recensione del romanzo autobiografico
"Se questo è un uomo"
di Primo Levi
Edizione: Einaudi Tascabili.
Prima edizione 1958. Torino.
Costo: 17000.
Pagine: 153.
Voi che vivete sicuri1
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici2:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace3
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare4
Vuoti gli occhi e freddo il grembo5
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato6:
Vi comando queste parole.
Scolpitele7 nel vostro cuore
Stando in casa andando per via8,
Coricandovi alzandovi9;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi sì sfaccia10 la casa,
La malattia vi impedisca11,
I vostri nati12 torcano il viso da voi13.

1. vivete sicuri: vivete tranquilli e al sicuro;
2. visi amici: volti familiari e accoglienti;
3. non conosce pace: vive in mezzo alla guerra e la sua vita stessa è resa una quotidiana battaglia, contro tutto e tutti, ma non per vivere, unicamente per sopravvivere fisicamente;
4. ricordare: la propria famiglia che ha perso e la propria vita prima dell'inizio della guerra;
5. freddo il grembo: sia per la fame e il freddo patiti che per la sua ormai incapacità di procreare;
6. questo è stato: ciò è accaduto;
7. Scolpitele: imprimetele in modo indelebile;
8. andando per via: camminando per strada;
9. coricandovi alzandovi: sempre, per tutta la vita e in ogni momento;
10. sfaccia: distrugga, crolli;
11. vi impedisca: vi renda invalidi;
12. I vostri nati: i vostri figli;
13. torcano il viso da voi: vi odino e vi disprezzino.

Penso che questa poesia racchiuda in sé lo scopo di questa testimonianza, atroce ma reale, di Primo Levi, cioè la volontà ferma, decisa e assoluta che non venga cancellata la memoria di ciò che è stato e forse ancora è, non più in Europa, non più secondo schemi follemente logici, ma in altri continenti, non più spinti dalla pazzia generata dalla smania di potere, ma da quella altrettanto pericolosa che può nascere dalla povertà più assoluta.
Ricordare per capire che ciò non deve e non può più accadere, ricordare che ciò ha colpito proprio i nostri cari, per impedirci di poter fingere che sia solo una leggenda del passato, perché massacri, violenze e violazioni della persona come tale avvengono tuttora e, poiché spesso celarsi dietro la maschera dell'ignoranza è facile e comodo, dimenticare velocemente è il modo più semplice per dichiararsi sorpresi e inermi di fronte alla storia che si ripete.
E visto che, a mio parere, nonostante Levi non lo potesse o non lo volesse nemmeno immaginare, questo componimento triste e duro, è più attuale che mai, aggiungo nella mia mente due versi:
Meditate che questo è stato
E questo, nel mondo, ancora è:
E perché questo più non sia
Vi comando queste parole.
Per quanto riguarda invece il contenuto di questa sorta di diario a posteriori, secondo me è come uno specchio in cui ogni persona che voglia mettersi in discussione, sconfiggendo la paura di scoprire i lati peggiori di sé stesso, può leggere, vedere e si spera capire, quanto in basso possa giungere l'uomo, senza chiedersi però come può essere avvenuto tutto ciò, perché a mio parere, se si volesse cercare di spiegare l'origine della volontà precisa di demolire un uomo in ogni sua componente fisica e soprattutto psicologica, vorrebbe dire che se ne potrebbe trovarne un motivo, una ragione.
E io non penso e non penserò mai che ci possa essere una ragione dietro a ciò che non può essere definito che come follia.
"Nel nostro Lager affluiscono ogni giorno alla rinfusa i prigionieri[…];i meno vanno al lavoro, i più proseguono senz'altro per Birkenau o per il Camino. La razione è stata ancora ridotta.[…]
Ma l'Häftling 174517 è stato promosso specialista, e ha diritto a camicia e mutande nuove e deve essere raso ogni mercoledì. Nessuno può vantarsi di comprendere i tedeschi."
"Sono tedeschi: questo loro agire non è meditato e deliberato, ma segue dalla loro natura e dal destino che si sono scelti. Non potrebbero fare altrimenti: se si ferisce il corpo di un agonizzante, la ferita incomincia tuttavia a cicatrizzarsi, anche se l'intero corpo morrà fra un giorno."
La follia di raccogliere come bestiame milioni di persone, che fino al giorno prima rappresentavano amici, parenti, colleghi, cercandole casa per casa, la fredda e maniacale precisione con cui le si scheda come mercanzia, sapendo benissimo che appena saranno state spremute fino all'eccesso, saranno poi eliminate nel modo più barbaro possibile, deportarle lontano da tutto e da tutti, farsi beffe di esseri ormai inermi, ridurli a semplici corpi senza neanche più la volontà necessaria per lasciar cadere una mano su un filo dell'alta tensione.
"Ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per descrivere questa offesa, la demolizione di un uomo."
Detto ciò bisogna però ricordare che l'obiettivo germanico era solo secondariamente quello di umiliare direttamente gli uomini, in particolare ebrei, deportati nei Lager disseminati tra Germania orientale e Polonia, tramite privazioni, violenze e fatiche immani; il metodo più subdolo e tuttavia efficace per ridurre a larve inermi uomini un tempo intelligenti, sicuri e coraggiosi era un altro: di cosa ogni persona sicura di sé e orgogliosa di poter essere definita tale può avere più paura?
A mio parere di sé stesso.
Nel senso che io credo che l'unica maniera per togliere ad un individuo la voglia, la rabbia e l'istinto che lo porta a desiderare di vivere è quello di porlo dinanzi a sé stesso, alla propria bassezza e meschinità, all'essere costretti a calpestare tutto ciò in cui per una vita intera si è creduto.
E penso che essere solo un numero tra migliaia di altri numeri, non ricordare quasi più il proprio nome e i propri cari, perdere la cognizione del tempo e della vita, e soprattutto vedere nella faccia di ogni altro compagno di sventura il fondo a cui può arrivare la natura umana, sapendo che lui vede lo stesso nella mia, abbiano saputo sopprimere alla maggior parte degli uomini il desiderio di sopravvivere e perfino la volontà di morire, che neanche un'intera vita di lavori forzati avrebbe potuto togliergli.
"Vorremmo ora invitare il lettore a riflettere, che cosa potessero significare in Lager le nostre parole "bene" e "male", "giusto" e "ingiusto"; giudichi ognuno[…]quanto del nostro comune mondo morale potesse sussistere al di qua del filo spinato"
"Il futuro ci stava davanti grigio e inarticolato, come una barriera invincibile. Per noi, la storia si era fermata."
"Kuhn ringrazia Dio perché non è stato scelto. Kuhn è un insensato. Non vede, nella cuccetta accanto Beppo il greco che ha vent'anni, e dopodomani andrà in gas, e lo sa, e se ne sta sdraiato e guarda fisso la lampadina senza dire niente e senza pensare più niente? Non sa Kuhn che la prossima volta sarà la sua volta? Non capisce Kuhn che oggi è successo un abominio che nessuna preghiera propiziatoria, nessun perdono, nessuna espiazione dei colpevoli, nulla insomma che sia in potere dell'uomo di fare, potrà risanare mai più? Se fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Kuhn."
"Ai piedi della forca, le SS ci guardano passare con occhi indifferenti: la loro opera è compiuta, e ben compiuta. I russi possono ormai venire: non vi sono più uomini forti tra noi, l'ultimo pende ora sopra i nostri capi, e per gli altri, pochi capestri sono bastati. Possono venire i russi: non troveranno che noi domati, noi spenti, degni ormai della morte inerme che ci attende.
Distruggere l'uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice."
"E' uomo chi uccide, è uomo chi fa o subisce ingiustizia; non è uomo chi, perso ogni ritegno, divide il letto con un cadavere. Chi ha atteso che il suo vicino finisse di morire per togliergli un quarto di pane, è, pur senza sua colpa, più lontano dal modello dell'uomo pensante, che il più rozzo pigmeo e il sadico più atroce."
Ciò non ostante qualche uomo è potuto sopravvivere, ma solo ponendo dinanzi alla propria inerzia, in un ultimo barlume di coscienza, il rifiuto fermo e indistruttibile di dichiararsi sconfitto e vinto nel proprio io; umiliato, inerme, svuotato, ma mai, mai, disposto lasciarsi andare all'indifferenza, ad abbandonare la convinzione che la propria vita abbia uno scopo, anche se questo è rappresentato unicamente dall'arrivare al giorno seguente, deciso fino alla morte, comunque sicura, a non legittimare l'opera di distruzione umana attuata nei campi di lavoro nazisti.
In questo contesto si inserisce quello che, secondo me, è uno dei pezzi più belli di questo romanzo, cioè il discorso di Steilauf:
"appunto perché il lager è una grande macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l'impalcatura, la forma della civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa ma che una facoltà ci è rimasta e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l'ultima: la facoltà di negare il nostro consenso. Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza sapone, nell'acqua sporca, e asciugarci nella giacca. Dobbiamo dare il nero alle scarpe, non perché così prescrive il regolamento, ma per dignità e per proprietà. Dobbiamo camminare diritti, senza strascicare gli zoccoli, non già in omaggio alla disciplina prussiana, ma per restare vivi, per non cominciare a morire."
Infatti Levi distingue due categorie umane: i sommersi e i salvati.
I primi sono coloro che dinanzi all'impossibilità di vivere cercarono esclusivamente di seguire gli ordini, spegnendosi lentamente nell'indifferenza più totale, propria e degli altri, mentre i secondi sono costituiti da tutti coloro che in qualsiasi modo riuscirono ad aguzzare l'ingegno, indurare la pazienza, tendere la volontà, resistendo ai nemici e non avendo pietà per i rivali, dando così battaglia ogni giorno, ogni ora alla fatica, alla fame, al freddo e soprattutto all'inerzia
A questa piccola parte di uomini che nonostante l'intima umiliazione e l'abominio subito, sono riusciti a sopravvivere, si ricollega a mio parere il momento in cui Levi cerca di raccontare e spiegare a Pikolo il "Canto di Ulisse" ovvero il canto XXVI dell'Inferno della Divina Commedia, che io ho interpretato in questo modo:
Come Ulisse e i suoi compagni decisero di tentare l'impossibile per raggiungere "il mondo senza gente", pur sapendo che non sarebbero mai tornati perché la provvidenza divina non era con loro, allo stesso modo, tutti gli Häftling devono trovare la forza di tentare a loro volta l'impossibile, cioè sopravvivere, nonostante sappiano che presto o tardi il mare si richiuderà su di loro.
Questa riscoperta consapevolezza, unita all'incontro con Lorenzo, il quale ridiede a Levi la speranza che al di fuori di quel campo, di quella guerra, di quella follia, vi fossero ancora persone giuste ed un mondo degno di essere vissuto, permisero a mio parere all'autore la forza per non abbandonarsi e anzi per darsi da fare fino in fondo per cavarsela.
"Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo."
"Io credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all'odio e alla paura; qualcosa di assai mal definibile, una remota possibilità di bene, per cui tuttavia metteva conto di conservarsi."

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