Enrico Fermi

Materie:Riassunto
Categoria:Fisica

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Testo

ENRICO FERMI

Enrico Fermi nacque a Roma il 29 Settembre 1901. Il padre, Alberto, proveniva da Caorso in provincia di Piacenza ed era impiegato delle Ferrovie. Fin dall'adolescenza mostrò un grande interesse per la fisica e per poter coltivare questa passione studiò in modo autonomo la matematica superiore in testi universitari di geometria analitica e di analisi infinitesimale. Fu così in grado di leggere e di assimilare il classico trattato di meccanica di Poisson e il monumentale testo di fisica generale di Chwolson. Con questo bagaglio di conoscenze gli fu facile, nel 1918, entrare alla Scuola normale superiore per frequentare all'Università di Pisa il corso di laurea in fisica.
Durante il periodo universitario studiò, sempre in modo completamente autonomo, la fisica relativistica e la fisica quantistica, divenendo ben presto un personaggio di spicco nell'ateneo pisano, al punto che alcuni professori gli chiedevano lumi sulle più recenti conquiste in questi settori. Si può, in proposito, affermare che a tutti gli effetti Fermi fu un autodidatta che si formò una vasta e profonda preparazione scientifica quasi esclusivamente sui libri.
Già prima della laurea, Fermi pubblicò alcuni notevoli lavori riguardanti la relatività. Si laureò nel luglio del 1922, discutendo una tesi, necessariamente sperimentale, sulla formazione di immagini con i raggi X. Egli, rientrato in famiglia a Roma, chiese consiglio sulla strada da intraprendere a O.M. Corbino, direttore dell'Istituto di Fisica dell'Università di Roma. Questi riconobbe subito l'eccezionalità del giovane e lo indirizzò alla carriera universitaria, aiutandolo successivamente a creare a Roma una scuola di fisica avanzata.
Grazie a delle borse di studio, nel 1923 Fermi si recò in Germania, a Gottinga presso M. Born, e nel 1924 in Olanda, a Leida presso P. Ehrenfest. Poté così finalmente rendersi conto di cosa volesse dire lavorare in un ambiente dove la produzione scientifica era a livelli di avanguardia e dove si aveva modo di discutere i propri problemi con maestri di grande spessore e con giovani validissimi colleghi.
A Leida Fermi ebbe modo di conoscere A. Einstein che mostrò nei suoi confronti stima e simpatia. Alla fine del 1924, si traferì a Firenze come professore incaricato di Fisica Matematica e oltre a svolgere varie ricerche teoriche si dedicò con F. Rasetti, che era stato suo collega di Università a Pisa, ad esperimenti di spettroscopia. Negli anni precedenti Fermi si era tra l'altro occupato del problema della quantizzazione del gas perfetto, in relazione alla determinazione della costante dell'entropia di tale gas, e delle incongruenze che affioravano nell'applicazione delle condizioni quantiche di Sommerfeld a sistemi contenenti elementi identici. Così, sul finire del 1925, venuto a conoscenza del principio di esclusione di W. Pauli, in brevissimo tempo ne trasse le conseguenze per la meccanica statistica delle particelle che obbediscono a tale principio, cioè, come si chiarirà in seguito, delle particelle a spin semintero (elettroni, protoni, neutroni), oggi dette per l'appunto fermioni.
La nuova statistica, che diverrà nota come statistica di Fermi-Dirac (avendola il grande fisico inglese P.A.M. Dirac dedotta successivamente in modo formalmente più rigoroso), fu il maggior contributo teorico di Fermi alla fisica quantistica. Con questa scoperta Fermi acquistò una notevole fama a livello internazionale. Corbino riuscì a istituire presso l'Università di Roma una cattedra di fisica teorica, la prima in Italia, alla quale fu chiamato Fermi.
Così, nell'autunno del 1926, Fermi si trasferì a Roma nell'Istituto di Via Panisperna, dove iniziò il periodo più fecondo della sua vita scientifica e dove ben presto, grazie al pieno appoggio di Corbino, creò un gruppo di collaboratori: il primo fu Rasetti, al quale si aggiunsero E. Segré, E. Amaldi, B. Pontecorvo. Saltuariamente, e solo per quanto riguardava i problemi teorici, partecipava ai lavori del gruppo anche E. Majorana. Come altri grandi fisici del passato, Fermi realizzò nella propria attività di ricerca una stretta unità di competenze e capacità teoriche e sperimentali.
Il gruppo dei "ragazzi di Corbino" si occupò inizialmente di spettroscopia (per es. dell'effetto Raman) ottenendo notevoli risultati. Ma all'inizio degli anni Trenta fu chiaro che lo studio del nucleo atomico era molto più promettente delle ricerche di spettroscopia e, pertanto, i vari membri del gruppo si recarono in laboratori all'estero per apprendervi le tecniche sperimentali necessarie per condurre esperimenti di fisica nucleare
Sul finire del 1933, mentre il gruppo procedeva lungo la strada intrapresa, Fermi elaborò la teoria del decadimento beta, in assoluto il suo lavoro teorico più importante. Numerose sostanze radioattive decadono emettendo elettroni i quali presentano uno spettro di energia continuo: per spiegare questo spettro continuo W. Pauli aveva nel 1930 ipotizzato che nel decadimento beta di un nucleo venisse emesso, insieme all'elettrone, anche un'altra particella, elettricamente neutra e di massa molto piccola, il cosiddetto neutrino, difficilmente rivelabile. Fermi su questa base costruì la teoria del decadimento beta "per analogia con la teoria della emissione di fotoni dagli atomi". Il processo fondamentale della teoria di Fermi è la transizione di un neutrone (n) in un protone (p) con la creazione di un elettrone (e) e di un neutrino (): n -> p + e + .
Sviluppata la teoria di questo processo, risultò subito chiaro a Fermi che per riprodurre i valori delle vite medie osservate era necessario attribuire il processo stesso a un'interazione estremamente più debole di quella elettromagnetica, detta in seguito interazione debole o fermiana. Molti concordano nel ritenere che questa ricerca di Fermi segnò la nascita della moderna fisica teorica delle particelle elementari.
Il lavoro sul decadimento beta non era ancora comparso nella letteratura internazionale, quando nel gennaio del 1934 I. Curie e F. Joliot annunciarono a Parigi di aver osservato la radioattività artificiale provocata da particelle alfa in elementi leggeri (boro, alluminio e magnesio). All'inizio di marzo del 1934, Fermi pensò che il modo migliore per produrre la radioattività artificiale dovesse consistere nell'impiegare come proiettili i neutroni (scoperti solo due anni prima da J. Chadwick) che essendo elettricamente neutri non subiscono la repulsione coulombiana del nucleo. Dopo alcuni tentativi infruttuosi, egli ottenne prima della fine del mese un risultato positivo nel fluoro e nell'alluminio, utilizzando una sorgente di neutroni del tipo radon-berillio (le particelle alfa emesse dal radon sono assorbite dal berillio che si trasforma in carbonio con l'emissione di un neutrone veloce). Rendendosi subito conto dell'ampiezza del nuovo fenomeno, Fermi ne iniziò uno studio sistematico in collaborazione con F. Rasetti, E. Segré, E. Amaldi, il chimico O. D'Agostino, ai quali nel settembre si aggiunse il neolaureato B. Pontecorvo.
Durante i mesi di aprile, maggio e giugno 1934 furono irraggiati 62 elementi e in 37 fu osservato almeno un nuovo atomo (nucleo) radioattivo. Complessivamente furono individuate 50 nuove specie di nuclìdi radioattivi. In 16 casi il nuovo radionuclìde fu identificato chimicamente con la tecnica dei portatori. Le reazioni di attivazione osservate appartenevano tutte a tre categorie: reazioni in cui il neutrone penetra nel nucleo bersaglio che emette una particella alfa o un protone (osservate solo in elementi leggeri, con Z < 30) e reazioni in cui viene emesso un fotone di alta energia (emissione gamma). A seguito di alcune anomalie manifestatesi nell'attivazione dell'argento (la cui radioattività indotta variava fortemente a seconda dei materiali che si trovavano in prossimità del campione da attivare e della sorgente di neutroni), nell'ottobre 1934 Fermi e collaboratori scoprirono che per urti successivi contro i nuclei dell'idrogeno di un materiale idrogenato i neutroni vengono notevolmente rallentati e che i neutroni lenti così prodotti sono fino a cento volte più efficaci dei neutroni veloci nel produrre le reazioni nucleari con emissione gamma.
Il lavoro intensissimo dei "ragazzi di Via Panisperna" sulla fisica del neutrone proseguì nel 1935. A partire dal 1935 il gruppo di Via Panisperna cominciò a disperdersi. Segrè si trasferì a Palermo, dove aveva vinto la cattedra di fisica sperimentale, Pontecorvo lavorò con Gian Carlo Wick e poi si spostò a Parigi dai Joliot-Curie nella primavera del '36, mentre D'Agostino iniziò a lavorare nell'Istituto di chimica del CNR. Durante l'estate Rasetti visitò il laboratorio di Robert Millikan a Pasadena e trascorse l'anno accademico 1935-36 alla Columbia University, mentre Amaldi e Fermi restarono i soli a fare ricerca sulle proprietà dei neutroni lenti, lavorando "con un'ostinazione incredibile", come ricorda lo stesso Amaldi, forse proprio per reagire a un'atmosfera che si faceva sempre più pesante.
Il 25 marzo del 1938 scomparve misteriosamente Majorana nel corso di un viaggio per mare da Palermo a Napoli. Nello stesso anno Fermi richiese uno stanziamento straordinario di fondi per la costruzione del primo ciclotrone italiano. Questa proposta consisteva in un contributo di 300000£ per due anni e uno straordinario di 230000£ annue per le spese di gestione e gli stipendi del personale ricercatore e tecnico. La proposta di Fermi, però, venne affossata nel 1938 dalla presidenza del CNR, data la limitata disponibilità di mezzi. Per questo motivo, il 24 giugno del 1938, gli venne concessa soltanto una tantum di 150000£ sul bilancio dell’anno 1938 – 39. E’ ovvio che Fermi considerasse questa somma del tutto insufficiente per realizzare i suoi progetti. Per Fermi, poi, la goccia che fece traboccare il vaso fu la promulgazione in Italia delle leggi razziali che colpivano direttamente la sua famiglia perché sua moglie era ebrea. Con le disposizioni governative esposte dal “Manifesto della razza”, la situazione venne radicalmente cambiata da fattori su cui non aveva controllo. Infatti la legislazione che seguì il manifesto tendeva a divenire sempre più restrittiva e a copiare le infami leggi tedesche di Norimberga. Fermi avrebbe comunque potuto ottenere, almeno temporaneamente, una favorevole discriminazione, ma era chiaro che una volta avviati su quella strada era solo questione di tempo prima che la situazione divenisse del tutto intollerabile. Decise quindi di lasciare l’Italia. Già in passato aveva ricevuto, in varie occasioni, lusinghiere offerte di cattedra all’estero. Quando Schrodinger lasciò Zurigo, per esempio, Fermi fu interpellato per sapere se avesse accettato la successione. In queste occasioni Fermi aveva considerato il bene della famiglia, degli allievi e amici, dell’Italia in genere e dopo una riflessione aveva deciso di restare in patria. I desideri della moglie, degli amici e dei discepoli avevano contribuito considerevolmente su queste decisioni; ora però la situazione era così grave che Fermi non poteva esitare più a lungo. Avendo deciso di lasciare l’Italia, doveva agire con prudenza per evitare possibili rappresaglie, come per esempio un rifiuto dei passaporti. Fermi fece sapere a varie università americane, da cui era stato interpellato precedentemente, che le ragioni dei suoi precedenti rifiuti non erano più valide e che avrebbe volentieri trascorso un periodo di tempo in America. Ricevette subito varie buone offerte e scelse la Columbia University di New York. Quando Fermi aveva deciso qualcosa non ritornava mai sulle decisioni prese. Comunicò ad alcuni amici intimi, come Amaldi e Rasetti, che stava per emigrare per sempre, ma non mise in discussione la propria scelta. Durante l’estate del 1938 Fermi ricevette anche una comunicazione riservata da Bohr che gli diceva che era probabile che in autunno avrebbe ricevuti il premio Nobel e voleva sapere se ciò l’avrebbe posto in difficoltà, dato che vari precedenti tedeschi potevano far pensare ad un opposizione da parte del governo italiano. Il premio Nobel non era una sorpresa perché Fermi poteva ben aspettarselo, ma l’anno preciso in cui gli sarebbe stato conferito era un’incognita. Che Fermi fosse informato in precedenza era anche contrario a tutte le abitudini della Fondazione Nobel, ma questa voleva prendere precauzioni per evitare il ripetersi degli incidenti sollevati precedentemente dal governo nazista. La comunicazione fece modificare un po’ i piani di emigrazione di Fermi, che decise di proseguire direttamente da Stoccolma a New York senza ritornare in Italia per evitare qualunque difficoltà. Con questo programma in mente gli conveniva annunciare subito che sarebbe andato per una visita alla Columbia University. Le autorità italiane non videro nulla di eccezionale in una richiesta del genere, dato che Fermi aveva già fatto ripetutamente viaggi simili. Dalla Columbia ottenne un invito per sette mesi che richiedeva da parte delle autorità americane la concessione di un visto di immigrazione, invece del solito visto turistico, e l’ottenne grazie al famoso articolo 4d della legge di immigrazione allora vigente che permetteva ai professori di entrare fuori quota. Il 10 novembre 1938 Fermi ricevette l’annuncio telefonico del conferimento del premio Nobel che poi fu subito comunicato alla stampa. I giornali fascisti, di solito non indifferenti alle notizie che conferissero prestigio all’Italia, pubblicarono l’annuncio in modo quasi invisibile. Le settimane tra l’annuncio del premio e la partenza dall’Italia furono occupate dai preparativi per il viaggio e rattristate dalla consapevolezza che la partenza sarebbe stata definitiva e dal precipitare della situazione politica, su cui incombeva l’ombra dell’invasione nazista della Cecoslovacchia. Il 6 dicembre la famiglia Fermi prese il treno a Roma. Amaldi e Rasetti andarono a salutarli alla stazione. Il gruppo di Roma era stato dunque sciolto da forze incontrollabili e il futuro era poco promettente. Durante l’estate del 1939 anche Rasetti emigrò in Canada. Segrè nel luglio del 1938 si recò a Berkeley e fu licenziato dal suo posto di Palermo. Anche Amaldi andò negli Stati Uniti con l’intenzione di trovare lavoro e di stabilirvisi. Chiese un passaporto ma partì prima che esso fosse stato concesso. Prima che gli fosse riuscito di trovare un lavoro adatto il passaporto fu rifiutato, ed egli tornò in patria nell’Ottobre del 1939. Intanto a Stoccolma Fermi fu onorato secondo le cerimonie tradizionali del premio Nobel e ricevette la medaglia e il diploma da Re Gustavo V. Dopo le cerimonie svedesi Fermi trascorse alcuni giorni a Copenaghen dove fu cordialmente ricevuto da Bohr e dalla sua famiglia e il 24 dicembre 1938 salpò da Southampton, col Franconia, diretto a New York. I Fermi sbarcarono a New York il 2 gennaio del 1939 e Fermi disse a sua moglie: . Il professore G. B. Pegram, capo del dipartimento di Fisica della Columbia University, e G. M. Giannini li ricevettero allo sbarco.
Fermi era giunto negli Stati Uniti da poche settimane quando O. Hahn e F. Strassmann annunciarono la scoperta della fissione dell'uranio. Immediatamente Fermi iniziò lo studio della fissione, in particolare dei neutroni emessi in questo processo. Ebbe così ben presto chiaro che era possibile realizzare una reazione a catena capace di produrre energia su scala macroscopica. La realizzazione di un dispositivo nel quale produrre in modo controllato la reazione a catena divenne lo scopo centrale delle ricerche di Fermi, che si conclusero il 2 dicembre 1942, con l'entrata in funzione a Chicago del primo reattore nucleare a fissione. Poco prima Fermi aveva dato la sua adesione al progetto Manhattan, per l'utilizzazione bellica dell'energia nucleare.
Subito dopo la fine della guerra, si dedicò a studi teorici sulla fisica delle particelle elementari (atomi mesici, reazioni ad alta energia, origine dei raggi cosmici). All'inizio degli anni Cinquanta condusse, con una macchina acceleratrice in grado di produrre pioni, lo studio sperimentale della collisione pione-protone, scoprendo la prima risonanza di questo processo. Nell'estate del 1954, dopo una breve permanenza in Italia, si manifestarono i sintomi del cancro allo stomaco che lo portò alla morte il 29 novembre dello stesso anno.

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