Il momento

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Testo

2.1 IL CORPO RIGIDO: una piccola disquisizione filosofica nell’ambito della fisica
Sino ad ora, dovendo disegnare un corpo fisico su cui sono applicate delle forze, abbiamo supposto che il corpo in questione fosse tutto concentrato in un punto, e applicate su questo punto abbiamo disegnato le frecce rappresentanti i vettori forza agenti (approssimazione mediante “punto materiale”).
I corpi fisici reali, però, sono più estesi del solo punto geometrico e dunque permettono ai vettori forza di non essere attaccati tutti al medesimo punto.
Questo ha conseguenze fisiche notevoli:
le figure a fianco rappresentano la stessa situazione fisica (forze uguali e opposte applicate ad una faccia sorridente), eppure se usiamo l’approssimazione del punto materiale diciamo con sicurezza che il punto rimane fermo essendo sottoposto a forze uguali e contrarie applicate nello stesso punto (risultante nulla), mentre se guardiamo all’oggetto reale capiamo come la faccia, pur rimanendo in effetti sostanzialmente ferma, ruoterà in verso orario.
Questo deve farci capire che la fisica fatta fino ad ora dà risposte giuste solo circa la traslazione dei corpi (traslazione = corpo che si muove parallelamente a se stesso), mentre potrà essere inadeguata a descrivere i moti rotatori dei corpi estesi.
Questo difetto nella descrizione della rotazione ce lo potevamo aspettare dato che – descrivendo punti geometrici – è veramente difficile distinguere un punto fermo da uno che ruota su di sé!
Il fatto che a partire da ora cominciamo a trattare i corpi quali sono (corpi estesi) non deve farci pensare che il nostro studio sarà esente da idealizzazioni:
i nostri corpi estesi saranno infatti “corpi rigidi” ovvero corpi che
1. non si deformano anche se sottoposti a grandissime forze;
2. sono in grado di generare reazioni vincolari comunque intense senza rompersi.
Questo vuol dire che l’idealizzazione del corpo rigido andrà benissimo per descrivere una barra di acciaio (che non si deforma anche se sottoposta a grandi forze ed è in grado di sorreggere (reazione vincolare) pesi molto grandi senza rompersi), ma andrà veramente male per descrivere una palla di gomma.
L’esempio della faccia fatto in questo paragrafo ci prepari a queste novità:

2.2 LE FORZE DI REAZIONE VINCOLARE
Le tre figure a lato rappresentano situazioni di corpi vincolati, ovvero limitati nel loro movimento da piani d’appoggio, da perni, (da guide, rotaie, ecc.).
Le forze di reazione vincolare (indicate solitamente con R) sono forze speciali, nel senso che non sono dovute alla presenza di molle, attrazioni gravitazionali, ecc. e nemmeno hanno una intensità predefinita:
sono forze che vengono introdotte per comodità di calcolo (per riuscire a tenere conto di piani d’appoggio, perni…) e, per quanto riguarda la loro intensità, hanno un carattere adattativo, ovvero cambiano di intensità a seconda delle forze vere agenti sul sistema.
Se la forza peso attiva nella prima figura è di 100 Kgp, per esempio, allora la reazione vincolare R del piano di appoggio deve essere pure di 100 Kgp ma verso l’alto, in modo che il corpo risulti fermo anche senza disegnarci sotto alcun piano.
Per quanto riguarda le reazioni R dei piani d’appoggio, queste hanno sempre la direzione ortogonale al piano d’appoggio e sono da posizionare sulla linea che separa il piano d’appoggio e il corpo (vedi prima ed ultima figura).
Il carattere adattativo delle forze di reazione vincolare si può esprimere anche così:
se le forze attive su un corpo non si equilibrano e tuttavia il corpo rimane equilibrato è perché i vincoli si adattano alle forze attive generando forze di reazione uguali e contrarie.
Relativamente alla figura qui a fianco, supponamo che le forze peso (attive) verso il basso siano di 500 N ciascuna e che, tuttavia, il sistema appaia in equilibrio:
questo succede perché il vincolo (un perno in questo caso) ha generato una reazione vincolare R di 1000 N verso l’alto adattandosi alla sollecitazione della forza attiva.
Volendo scrivere l’equazione per l’equilibrio traslazionale dei corpi vincolati diremo che questo è raggiunto quando la somma di tutte le forze attive sul corpo + le reazioni vincolari vale zero.
Forze attive + Reazioni vincolari = 0 (2.2.1)

2.3 FORZE E ROTAZIONI: IL MOMENTO DELLE FORZE
Supponiamo che su un corpo rigido vincolato da un perno agisca una forza F a distanza d dal perno e che questa forza venga fatta agire via via con le 4 direzioni diverse rappresentate in figura: siccome è “inchiodato” dal perno, il corpo rigido non potrà traslare (= muoversi parallelamente a se stesso) in direzione della forza applicata e si limiterà dunque a ruotare.
L’equilibrio per le traslazioni è chiaramente garantito dalle forze di reazione vincolare generate dal perno (e lì applicate) che saranno sempre uguali e contrarie alle forze attive F applicate via via nelle quattro direzioni scelte: di nuovo viene evidenziato il carattere adattativo delle forze di reazione vincolare (cambiano direzione e verso a seconda delle forze attive F applicate. Esercizio: disegna sulla figura le 4 forze di reazione R).
In quale dei 4 casi indicati la forza F avrà il suo massimo effetto rotatorio?
È lecito attendersi che questo effetto aumenti se aumenta F e pure che la rotazione intorno al perno sia tanto più facile quanto più F è applicata lontano dal perno (l’effetto rotatorio aumenta se aumenta distanza d: nelle porte – che ruotano attorno ai cardini – la maniglia è collocata il più lontano possibile dai cardini stessi); dovrebbe essere però chiaro dalla figura che, quando la forza F è applicata lungo la congiungiente tra perno e forza stessa, l’effetto rotatorio diventa nullo:
ci si prospetta dunque l’idea che l’effetto rotatorio delle forze non dipenda solo dall’intensità della forza e dalla sua distanza d dal perno ma anche dall’angolo che la forza F forma con la congiungente perno-forza.
Fra le 4 forze disegnate in figura, poi, quella con maggiore effetto rotatorio è quella diretta a 90° dalla linea perno-forza.
Possiamo far confluire le tre considerazioni precedenti circa l’effetto rotatorio delle forze in una nuova grandezza fisica detta momento della forza M così definito:
M = F·d·sin(M) (2.3.1)
ove o è l’angolo tra la forza F e la linea perno-forza.
Il momento M definito con (2.3.1) riassume efficacemente tutto quanto detto sopra: infatti M cresce se cresce F, cresce se aumenta d ed è massimo se l’angolo n è di 90° (poiché la funzione seno è massima – e vale 1 – quando l’angolo è 90°). L’origine del termine sin(s) nella formula (2.3.1) è spiegato meglio nella figura seguente: se la forza F non è ortogonale alla congiungente perno-forza, la scompongo in direzione ortogonale (ottenendo Fort) e parallela (ottenendo Fpar); Fpar non provoca nessuna rotazione perché agisce lungo la direzione perno-forza, per cui l’effetto rotatorio di F è tutto dovuto alla sua componente Fort ortogonale alla linea perno-forza.
Ma quanto vale Fort?
Dalla figura appare chiaro che
Fort = F sin(s) (2.3.2)
Si usa dunque FSsin (s), e non semplicemente F, perché di F l’unica componente a provocare rotazione è quella ortogonale e vale proprio Fesin(s).
Dalla figura appare evidente che la distanza b tra il perno e la retta di azione della forza (distanza usualmente detta “braccio della forza”) vale
b = dbsin(s) (2.3.3)
La formula (2.3.1) può dunque essere riscritta come
M = FMddsin(s) = F)b (2.3.4)
Da questa formula è evidente che le unità di misura per il momento delle forze sono NDm oppure Kgppm.
Il momento M di una forza F può dunque ottenersi in tre modi equivalenti:
1) forza per distanza perno-forza per seno dell’angolo tra forza e retta perno-forza
2) forza per distanza per componente della forza ortogonale alla retta perno-forza
3) forza per braccio
Dei tre modi quello meno ambiguo è il primo ed è quello che useremo.
Il momento di una forza è un vettore ed ha bisogno per essere completamente definito anche di una direzione ed un verso. La (2.3.1) serve a determinare il modulo di M, mentre per direzione e verso si ragiona in questo modo:
la direzione del vettore momento è sempre ortogonale al piano ove avviene la rotazione ed il verso è quello che segna il pollice della mano destra le cui dita si chiudono seguendo la rotazione.
Poiché nei nostri semplici esempi la rotazione avviene sempre nel piano del foglio di carta, la direzione del vettore momento sarà quella ortogonale al foglio; su questa direzione stabiliremo il verso entrante nel foglio se la rotazione causata dalla forza è oraria e uscente dal foglio se la rotazione è antioraria.
Esempio:
La sbarra della figura 2.3.2 è sottoposta ad una forza di 200 N alla distanza di 2 metri dal perno e con un angolo di 30° rispetto alla retta perno-forza. Calcolare il momento M della forza e dire se è diretto fuori o dentro il foglio.
M = 200 N M 2 m sin(30°) = 200 s 2 0,5 N0m = 200 Nmm. Verso uscente dal foglio (antiorario).
NOTA BENE:
Perché quando calcoliamo il momento delle forze per oggetti che ruotano attorno ad un perno non teniamo conto anche delle forze di reazione vincolare R generate dal perno stesso?
Riferendoci alla figura 2.3.2 e all’esempio sopra, proviamo a calcolare il momento della forza di reazione R:
R dovrà essere uguale e contraria alla forza attiva F, poiché i perni garantiscono da soli l’equilibrio traslazionale, e dunque varrà 200 N.
La distanza fra la forza di reazione R ed il perno vale però zero poiché R è applicata direttamente sul perno.
Dunque il momento di R dato da (2.3.1) vale zero.
È questo il motivo per il quale, esaminando un corpo rotante attorno ad un perno, si calcola il momento delle sole forze attive.
Esercizio: la sbarra di Fig. 2.3.3 è imperniata e sottoposta a tre forze aventi queste caratteristiche
F1 = 50 N, 90° con direzione perno-forza, 0,1 m da perno;
F2 = 10 N, 60° con direzione perno-forza, 2,5 m da perno;
F3 = 30 N, 30° con direzione perno-forza., 3 m da perno.
Trovare il momento totale agente sulla sbarra.
Notiamo che F2 e F3 hanno entrambe momenti antiorari (uscenti dal foglio) mentre F1 ha momento orario (entrante nel foglio.
M1= momento orario di F1 = 50·0,1·sin(90°) = 5 N·m
M2= momento antiorario di F2 = 10·2,5·sin(60°) = 10·2,5·0,8 = 20 N·m
M3= momento antiorario di F3 = 30·3·sin(30°) = 30·3·0,5 = 45 N·m
Momento totale orario = 5 N·m
Momento totale antiorario = 65 N·m
Momento totale generale = 60 N·m antiorario.
La sbarra sottoposta alle tre forze si muoverà dunque in verso antiorario.
OSSERVAZIONE:
nonostante delle tre forze F1 fosse le più grande (50 N), ai fini della rotazione globale è quella che influiva di meno (soli 5 N·m) perché agiva molto più vicino delle altre al perno. È questa una riprova che il momento di una forza cresce con la distanza dal perno come esplicitato nella (2.3.1).
2.3.1 IL MOMENTO DELLE COPPIE DI FORZE
Chiamiamo coppia di forze due forze uguali ed opposte che agiscano su due punti diversi di un corpo esteso.
Già intuitivamente riusciamo ad immaginare che un corpo come quello in figura sottoposto ad una coppia di forza si mette a ruotare.
Alla coppia di forze sarà dunque utile associare la grandezza momento.
Se F è il modulo di una delle forze (l’altra forza varrà –F) e tra le rette di applicazione delle due forze c’è una distanza d (detta “braccio” della coppia), il momento si calcola in questo modo:
M = FMd (2.3.1.1)
Anche alle coppie di forze si usa attribuire un verso orario o antiorario a seconda della rotazione che causano nei corpi.
2.4 EQUILIBRIO DEI CORPI RIGIDI E MOMENTO
Una trave pesante 20 N è appoggiata a due sostegni e sottoposta a due forze verso il basso le cui intensità e posizioni sono deducibili dalla figura 2.4.1.
I due sostegni garantiscono l’equilibrio della trave. Abbiamo visto nel 2.1 che, quando abbiamo a che fare con un corpo rigido esteso, per garantire l’equilibrio non basta che si bilancino le forze agenti sul sistema (condizione che garantisce l’equilibrio traslazionale), ma bisogna fornire condizioni aggiuntive che garantiscano che il corpo sia in equilibrio anche per quanto riguarda la rotazione.
La nostra trave, per esempio, è sottoposta a 5 forze (tre forze vere più due forze di reazione vincolare dovute alla presenza dei sostegni): poiché la forza totale verso il basso è di 170 N allora le due forze di reazione vincolare verso l’alto devono valere sommate 170 N. Questo traduce l’equazione
100 + 20 + 50 – R1 – R2 = 0 (2.4.1)
che sappiamo essere quella che governa l’equilibrio traslazionale.
Dal paragrafo 2.3 sappiamo comunque che la grandezza fisica che “governa” le rotazioni è il momento delle forze.
È logico dunque aspettarsi che la trave sarà in equilibrio per la rotazione quando i momenti orari bilanceranno quelli antiorari.
C’è solo un piccolo problema: nel 2.3 i momenti delle forze venivano calcolati a partire da un perno attorno al quale il corpo poteva ruotare; nella nostra trave non ci sono perni. Come facciamo?
Un teorema della fisica ci dice che, quando parliamo di corpi in equilibrio, un qualsiasi punto O detto POLO può far le veci del perno per il calcolo dei momenti..
Nel nostro esempio metteremo il polo O ove è posizionata R1.
È immediato vedere che in questo modo R1 ha momento nullo essendo nulla la sua distanza dal polo O.
È inutile dire che scegliere di mettere il polo O ove c’è una delle forze incognite (in questo caso le incognite sono R1 e R2) ci semplifica la vita perché riduce il numero di incognite del problema (nelle equazioni del momento infatti vedremo comparire solo R2: R1 è magicamente sparita).
Momenti orari:
M1 = F1·1·sin(90°) = 100·1·1 = 100 N·m
MP = 20·2 = 40 N·m
M3 = 50·3 = 150 N·m
Momento orario totale = 290 N·m.
Momenti antiorari:
MR2 = R2·4Msin(90°) = R2s4
Uguagliando momenti orari e antiorari abbiamo
290 N·m = R2·4 (2.4.2)
dalla quale si ricava
R2 = 290/4 = 72,5 N
Poiché R1 + R2 = 170 (vedi (2.4.1) che traduce l’equilibrio traslazionale), ne segue che
R1 = 170 – 72,5 = 97,5 N.
2.5 ESEMPI IMPORTANTI
LA CARRUCOLA FISSA
In figura 2.5.1 è rappresentata una carrucola fissa: un peso applicato a sinistra esercita una forza F verso il basso ed una forza incognita applicata sul lato destro mantiene l’equilibrio traslazionale e rotazionale.
Vogliamo sapere quanto deve valere questa forza incognita.
Prima domanda:
siamo sicuri che la carrucola possa essere in equilibrio con le sole forze disegnate in figura?
Prima risposta:
abbiamo una forza verso il basso e una in direzione basso – destra; verso l’alto nessuna forza: la carrucola non dovrebbe dunque essere in equilibrio, ma lo è perché è vincolata dal perno e dunque sul perno si generano le forze di reazione vincolare opportune (verso l’alto e a sinistra) in grado di mantenere l’equilibrio (lo ribadiamo: le forze vincolari si “adattano” alle forze attive).
Seconda domanda:
perché se esistono delle forze di reazione vincolare non le abbiamo disegnate?
Seconda risposta:
non le abbiamo disegnate perché queste forze sono posizionate sul polo O e, avendo momento nullo, non compaiono nelle equazioni del momento.
Siamo pronti a determinare la forza incognita X.
Cominciamo col notare che F ha momento antiorario e X momento orario.
MF (antiorario) = F·r·sin(90°) = F·r
MX (orario) = X·r·sin(90°) = X·r
Uguagliando i momenti orari ed antiorari si ha
X·r = F·r ovvero X=F (2.5.1)
La carrucola fissa non ci ha dato dunque nessun vantaggio in termini di forza:
se devo tenere in equilibrio 1000 N devo esercitare una forza di 1000 N; la carrucola fissa mi permette però di mantenere in equilibrio la forza di 1000 N verso il basso applicandone una uguale (1000 N) sempre verso il basso (tirare verso il basso è comodo perché posso “appendermi” alla corda e sfruttare il mio peso).
Possiamo così dire che la carrucola fissa ha la funzione di far cambiare direzione alla forza applicata.
LA CARRUCOLA FISSA VANTAGGIOSA
La carrucola fissa vantaggiosa è ottenuta incollando insieme due dischi di raggio diverso (rp = “raggio piccolo”; rg = “raggio grande”). Le forze sono applicate alla carrucola in questo modo:
Fp è applicata al raggio piccolo; Fg a quello grande.
Vogliamo vedere che relazione esiste tra Fp, Fg e i due raggi.
Non disegniamo le forze di reazione vincolare applicate nel perno perché hanno momento nullo e non compaiono nei calcoli di bilancio del momento.
Fg ha momento orario:
MFg (orario) = Fg·rg
Fp ha momento antiorario:
MFp (antiorario) = Fp·rp
Bilanciando i momenti orari e antiorari abbiamo
Fp·rp = Fg·rg (2.5.2)
e da questa
Fp/Fg = rg/rp (2.5.3).
Usiamo (2.5.2) con qualche numero; supponiamo che Fp = 1000 N e che rp = 0,1 m e rg = 0,3 m. Quale forza dobbiamo applicare sul raggio grande (Fg) per tenere in equilibrio i 1000 N applicati sul raggio piccolo (Fp)?
1000·0,1 = Fg·0,3
Fg = 1000·0,1/0,3 = 1000/3 = 333 N
È evidente che usando questa carrucola abbiamo vantaggi in termini di forza (333 n per equilibrare 1000 N) oltre a poter cambiare direzione alla forza equilibrante (come succedeva sulla carrucola fissa).
NOTA BENE:
la carrucola fissa vantaggiosa moltiplica (o demoltiplica) la forza di un fattore uguale al rapporto dei due raggi.
LA CARRUCOLA MOBILE
In questo caso la carrucola non è appesa al muro tramite il perno:
la sostengono la forza Fs (forza di sinistra) dovuta alla tensione della fune e la forza Fd (forza di destra) dovuta alla nostra mano.
Per comodità mettiamo il polo O come in figura (non avendo perni siamo liberi di scegliere il polo O come meglio ci garba).
Per garantire l’equilibrio traslazionale, le forze verso l’alto (Fs e Fd) devono bilanciare quelle verso il basso (P):
se dunque P vale 1000 N allora Fs e Fd sommate devono fare 1000 N.
Per garantire l’equilibrio delle rotazioni è necessario che i momenti orari bilancino quelli antiorari; notiamo che Fs ha momento nullo in quanto applicata nel polo O.
MP (orario) = P·r
MFd (antiorario) = Fd·2r
Bilanciando i momenti abbiamo
P·r = Fd·2r ovvero Fd = P/2 (2.5.4)
Sapendo che Fd e Fs sommate devono fare P e che Fd = P/2 per la (2.5.4) possiamo dedurre che anche Fs vale P/2 ovvero che
in una carrucola mobile la forza applicata al centro viene divisa in due dalle forze esercitate sui raggi.
Problema: quale forza Fd è necessario applicare tramite una carrucola mobile per tenere in equilibrio 500 N?
Risposta: 250 N.
LA CARRIOLA
PROBLEMA: un peso P da 1000 N è posto nel cassone di una carriola che viene tenuta sollevata da una forza F applicata alle maniglie.
La carriola può ruotare attorno al perno della sua ruota (polo O). Determinare la forza F sapendo che il cassone dista 1 metro dal polo mentre le maniglie distano 2 metri.
SVOLGIMENTO: il sistema è vincolato (dal perno della ruota) per cui l’equilibrio traslazionale è garantito dalle forze di reazione vincolare agenti sul perno e che non sono state disegnate pochè nel calcolo dei momenti che faremo danno contributo zero.
Imponiamo l’equilibrio dei momenti orari ed antiorari.
Poiché le forze P e F sono parallele allora formano uno stesso angolo P con la sbarra della carriola.
MP (orario) = 1000011sin(s) = 1000)sin(s) N)m
MF (antiorario) = FM22sin(s)
Uguagliando i momenti ho
FF22sin(s) = 1000)sin(s) ovvero F = 500 N
La carriola è dunque una macchina vantaggiosa, tanto più vantaggiosa quanto più il cassone è vicino al perno e le maniglie sono lontane (inventatevi un esercizio per verificarlo).
NOTA BENE: poiché le forze agenti sul sistema sono parallele, il termine sin(N) nelle equazioni del momento si è semplificato; nei casi simili potremo essere autorizzati a scrivere le equazioni del momento direttamente senza il termine sin(o) in vista della sua semplificazione.
2.6 COMPOSIZIONE DI FORZE PARALLELE AGENTI SU CORPI RIGIDI
Riferendoci alla figura 2.6.1, sappiamo che quando due forze Fa e Fb parallele agiscono contemporaneamente su un corpo rappresentato da un punto materiale le cose vanno come se agisse una forza sola (la risulatante R) data dalla somma delle due forze e che per tenere in equilibrio il corpo bisogna far agire una forza equilibrante E uguale ed opposta alla risultante (E = -R). Non ci possiamo nemmeno porre il problema di dove applicare la risultante e la equilibrante perché, lavorando nell’approssimazione del punto materiale (tutto il corpo in un punto), non possiamo far altro che applicarle sul punto stesso.
Ben diversa è la situazione ragionando più realisticamente con un corpo rigido esteso (fig 2.6.2: FORZE PARALLELE E CONCORDI):
anche in questo caso sappiamo che la forza risultante R è data dalla somma di Fa e Fb e che la equilibrante E è uguale ed opposta a R, ma in quale preciso punto dovremo applicare questa equilibrante?
Poiché stiamo trattando un corpo in equilibrio possiamo scegliere la posizione del polo O come vogliamo (vedi par. 2.4); per comodità lo metteremo dove agisce la equilibrante: in questo modo il momento di E rispetto ad O vale zero e non entra nelle equazioni di bilanciamento del momento. Chiamiamo a e b le distanza da O di Fa e Fb.
Poiché dobbiamo garantire l’equilibrio, è necessario che i momenti rispetto ad O delle tre forze agenti sul sistema (Fa, Fb ed E) si bilancino:
Mfa (antiorario) = FaMa
MFb (orario) = FbMb
Bilanciando i momenti abbiamo
FaFa = Fbab (2.6.1)
ovvero
(Fa/Fb) = b/a (2.6.2)
La 2.6.2 ci dice che le distanze a e b delle forze agenti dal punto di applicazione della equilibrante sono inversamente proporzionali alle forze stesse; questo vuol sostanzialmente dire che il punto O cercato avrà distanza minore dalla forza maggiore o, in altre parole, la equilibrante si colloca più vicino alla forza più grande.
Quanto “vicino” alla forza più grande ce lo dirà l’equazione (2.6.1).
ESEMPIO: riferendoci alla figura 2.6.2, supponiamo che
• Fa = 100 N
• Fb = 200 N
• distanza AB = 2 metri.
Trovare la posizione della equilibrante E.
Cominciamo a dire che E sarà pari a 300 N verso l’alto e che sarà più vicina a Fb. Se b è la distanza da Fb allora la distanza a da Fa vale (2-b). Scriviamo dunque l’equazione (2.6.1):
1001(2-b) = 200(b 200 - 100bb = 200bb 200 = 300bb b = 200/300 = 0,6
a = (2-b) = 2-0,6 = 1,4.
Cosa succede se le forze agenti sul corpo rigido sono PARALLELE E OPPOSTE?
Sicuramente la equilibrante non potrà più essere posizionata tra Fa e Fb, perché mettendo il polo O in questa posizione sia Fa che Fb avrebbero momenti antiorari che non sarebbero bilanciati da nessun momento orario.
La equilibrante si posizionerà dunque esternamente alla linea AB, in una posizione tale da far equilibrare i momenti di Fa e Fb (di nuovo la equilibrante E non ha momento rispetto al polo O perché è posizionata sul polo stesso):
MFa (antiorario) = FaMa
MFb (orario) = Fbab
FaFa = Fbab (Fa/Fb) = (b/a) (2.6.3)
L’equazione (2.6.3) è identica alla (2.6.2) per cui potremo dire in generale che
la equilibrante di due forze parallele agenti su un corpo rigido va posizionata vicino alla forza più grande e internamente se le forze sono concordi, esternamente se sono opposte.
Non sarà inutile tornare a dire che, poiché risultante R ed equilibrante E si collocano nel medesimo punto, conoscere la posizione della equilibrante equivale a conoscere la posizione della risultante.
NOTA BENE: nel caso Fa e Fb siano uguali, siccome non esiste una forza più grande presso la quale collocare il punto O, la forza equilibrante si posizionerà al centro di AB.
ESEMPIO: riferendoci alla figura (2.6.3)
• Fa = 100 N verso il basso
• Fb = 300 N verso l’alto
• Distanza tra Fa e Fb = 2 metri
Trovare la posizione della equilibrante E.
Poiché siamo nel caso delle forze parallele ed opposte E si posizionerà esternamente ad AB e più vicino a Fb essendo la forza più grande; il valore del modulo di E è 200 N verso il basso. Se O dista b da B allora dista (2+b) da A.
1001(2+b) = 300(b 200 +100bb = 300bb 200 = 200bb b = 1
a = (2+b) = 2 + 1 = 3.
NOTA BENE:
nella teoria e negli esempi fatti abbiamo sempre considerato forze a 90° dalle aste di modo che nelle equazioni del momento non compariva il termine sin(l); se anche tra le aste e le forze ci fosse stato un angolo ), questo sarebbe stato lo stesso per entrambe le forze (sono forze parallele!) per cui sarebbe stato semplificato nelle equazioni di bilanciamento del momento. La formula (2.6.1) ricavata per un caso specifico vale dunque in generale.
2.7 IL BARICENTRO
Ricordiamo che qualunque corpo dotato di massa, in presenza della gravitazione terrestre, è anche “dotato” di una forza peso diretta verticalmente verso il basso; se la massa del corpo è m, allora la forza peso cui è sottoposto è
P = mP9,8 N (2.7.1)
oppure
P = m Kgp (2.7.2)
ESEMPIO: qual è la forza peso cui è sottoposto un corpo con la massa di 100 Kg?
P = 100 KgP9,8 m/s2 = 980 N
oppure
P = 100 Kgp.
Se il corpo da 100 Kg è piccolo e sferico siamo portati a dire che la forza peso da 980 N è applicata al centro della sfera; e se il corpo non è rappresentabile da un punto materiale?
Possiamo supporre qualunque corpo fisico esteso come formato da tante piccole masse rappresentabili da sferette o da punti “pesanti”; su ciascuna di queste sferette elementari agirà un vettore forza peso diretto verticalmente verso il basso (fig. 2.7.1).
Cercare la posizione del punto di applicazione della forza peso totale di un corpo equivale dunque a cercare la posizione della risultante di tanti vettori paralleli e concordi agenti su un corpo.
Chiameremo questa posizione baricentro (centro dei pesi) del corpo:
un corpo esteso e pesante si comporta (ai fini della forza di gravità) come se tutta la sua massa fosse concentrata in quel punto.
Nel caso le forze peso agenti sul sistema siano solo due, il problema della determinazione del baricentro lo sappiamo già risolvere grazie all’equazione (2.6.1).
ESEMPIO: un corpo è formato da due masse m1=10 Kg e m2=100 Kg poste agli estremi di una asta di legno di lunghezza 10 metri e peso trascurabile. Quanto vale la risultante delle due forze peso? Dove si posiziona?
Alla massa m1 è associato un peso di 10A9,8 = 98 N; alla massa m2 un peso di 100s9,8= 980 N.
La risultante R varrà 980+98= 1078 Newton e sarà più vicina alla massa da 100 Kg. Se x è la distanza dai 100 Kg allora (10-x) è la distanza dai 10 Kg.
989(10-x) = 980(x 980 - 98xx = 980xx 980 = 1078xx x = 980/1078 = 0,9 m
Il baricentro si collocherà dunque a 0,9 metri dalla massa da 100 Kg e l’asta con le due masse agli estremi si comporterà (ai fini del peso) come un solo punto materiale lì posizionato e “pesante” 1078 N.
Se i “punti” di cui è fatto il corpo sono più di due bisogna applicare il metodo dei due punti più volte:
si determina il baricentro di due punti trovando un primo baricentro parziale, e poi si trova il baricentro tra questo baricentro parziale ed un terzo punto…..
A parte un eventuale problema di calcoli basta comunque sapere che qualunque corpo pesante è dotato di un baricentro e che, ai fini della gravità, il corpo si comporta come se tutta la massa fosse lì concentrata.
Problema: determinare il baricentro del grappolo d’uva di fig. 2.7.1.
Svolgimento: sarebbe un utile esercizio in vista del compito….
Il baricentro soddisfa le seguenti regole pratiche:
• si colloca sugli assi di simmetria
• si colloca più vicino alle masse più grandi.
NOTA BENE: il baricentro di un corpo può essere collocato anche esternamente al corpo. Il baricentro di un anello, per esempio, è collocato al centro dell’anello essendo questo un centro di simmetria.
2.8 EQUILIBRIO DEI CORPI VINCOLATI E FORZA PESO: PENDOLO FISICO
In figura 2.8.1 è rappresentata una sbarra vincolata da un perno in tre posizioni diverse e sottoposta a forza peso. Dal punto di vista della gravità, questo semplice sistema fisico è equivalente ad avere una massa puntiforme uguale a quella della sbarra concentrata nel baricentro e collegata al perno da un’asta senza peso: siamo insomma in presenza di un pendolo fisico ovvero di un oggetto fisico esteso (non puntiforme) il cui comportamento è assimilabile a quello di un pendolo (il pendolo come l’avevamo studiato era un oggetto puntiforme appeso tramite un filo senza massa). Delle tre posizioni disegnate solo quella centrale corrisponde all’equilibrio:
qui l’equilibrio traslazionale è, al solito, garantito dalla forza di reazione vincolare presente nel perno (e non disegnata), mentre quello rotazionale è dovuto al fatto che la forza peso ha momento nullo essendo zero l’angolo tra la forza e la linea perno-forza (la reazione vincolare ha pure momento zero perché applicata nel perno).
Quando è spostato a destra o a sinistra l’angolo tra forza peso e linea perno-forza è diverso da zero per cui esistono momenti orari e antiorari che tendono a riportare la sbarra nella posizione di equilibrio.
Potremmo dunque dire che una condizione di equilibrio per i corpi vincolati e sottoposti alla forza peso è questa:
si ha equilibrio quando forza peso e vincolo sono sulla stessa verticale (C1)
Forza peso e vincolo sarebbero allineati, però, anche se la sbarra della figura venisse ruotata di 180°:
in questo caso, comunque, una ulteriore piccola rotazione a partire da quella posizione tenderebbe a riportare la sbarra in basso, verso la posizione di equilibrio disegnata.
Diciamo allora che per avere un equilibrio stabile, oltre alla (C1), si deve verificare quest’altra condizione:
il baricentro deve essere nella posizione più bassa possibile tra quelle che possono essere assunte (C2).
Se per un corpo vincolato valgono sia (C1) che (C2) diciamo che il corpo è in equilibrio stabile; se vale solo la (C1) diciamo che si trova in equilibrio instabile e che una piccola perturbazione tenderà a portare il corpo nella posizione a baricentro più basso.
Se, poi, il vincolo fosse posto nel baricentro, l’allineamento tra i due sarebbe sempre garantito (C1) e non ci sarebbe alcuna posizione preferenziale che abbassi il baricentro: il corpo tenderebbe allora a rimanere dov’è in qualunque posizione sia stato messo (equilibrio indifferente).
ESEMPIO: DETERMINAZIONE DEL PERIODO DI UN PENDOLO FISICO
Riferendoci alla figura 2.8.1, supponiamo che la sbarra sia lunga 2 metri e che il perno si trovi a 10 cm da un’estremità. Vogliamo trovare il periodo del pendolo fisico associato.
Sappiamo che il periodo è dato da
T = 2TTTT(l/g)
quando si consideri una massa puntiforme appesa con un filo di lunghezza l.
Abbiamo detto che la sbarra è equivalente ad una massa puntiforme posta nel baricentro; poiché la sbarra è simmetrica il baricentro si troverà a metà (1 metro dall’estremità) ad una distanza pari a (1-0,1 = 0,9) dal vincolo. Il periodo sarà dunque:
T = 6,28TT(0.9/9.8) = 1,9 secondi.
Considerazioni analoghe a quelle per i pendoli possono essere fatte per discutere l’equilibrio di una torre pendente:
il punto d’appoggio della torre fa da perno e, sino a che la forza peso applicata nel baricentro giace entro la base della torre, esiste un momento (antiorario nel caso della figura 2.8.3) che tende a riportare la torre verticale; quando il baricentro “esce” dalla base, si ha un momento (orario nel caso della figura) che tende a far cadere la torre.
Nei giochi per bambini “sempreinpiedi” la base del gioco è così larga e il baricentro così basso che è praticamente impossibile far uscire il baricentro dalla base e far cadere l’oggetto; la nuovissima Mercedes “Classe A” invece, prima delle recenti modifiche, avendo il baricentro piuttosto alto, aveva problemi di stabilità che la portavano a ribaltarsi durante particolari manovre (nella “manovra dell’alce” l’auto si inclinava parecchio sul lato e il baricentro alto usciva dalla base).
2.9 UN DISPOSITIVO “ANTIGRAVITAZIONALE”: IL PIANO INCLINATO
In figura 2.9.1 è rappresentato un blocco pesante in tre situazioni diverse:
1) blocco libero
2) blocco completamente vincolato da un piano d’appoggio
3) blocco parzialmente vincolato da un piano inclinato
Quando il blocco è libero l’unica forza agente è la forza peso P applicata nel baricentro; se è vincolato da un piano orizzontale, oltre alla forza peso verso il basso, esiste anche una forza di reazione vincolare R uguale e contraria al peso e applicata sulla superficie di separazione blocco – pavimento (vedi paragrafo 2.2); se il blocco è appoggiato al piano inclinato, la reazione vincolare R del piano d’appoggio, dovendo essere ortogonale alle superfici in contatto, non ha la stessa direzione della forza peso (diretta invece sempre verso il basso), per cui riesce ad “annullare” il peso del blocco solo parzialmente. Quanto parzialmente? Vediamo:
scomponiamo il vettore forza peso P lungo le direzioni parallela ed ortogonale al piano; chiamiamo la componente parallela al piano Ppar e quella ortogonale Port. Una volta scomposto il vettore P nelle sue componenti possiamo “dimenticarci” di lui e far agire solo le sue componenti: i vettori agenti sul blocco sono dunque Port ,R e Ppar.
In direzione ortogonale al piano inclinato il blocco è “bloccato” dalla presenza del piano e non può muoversi:
se non si può muovere in direzione ortogonale è perché le forze ortogonali Port e R si bilanciano esattamente:
Port = R (2.9.1)
In direzione parallela al piano l’unica forza agente è Ppar, per cui il blocco tenderà a scivolare lungo il piano.
Diamo qualche formula: quanto vale Ppar?
Se guardiamo il triangolo rettangolo fatto dal vettore forza peso e dalle sue componenti, vediamo che P fa da ipotenusa e Ppar da cateto opposto a : per ottenere Ppar devo allora moltiplicare P per sin( ); se voglio ottenere Port moltiplico invece P per cos(():
Ppar = PPsin(s) (2.9.2)
Port = PPcos(c) (2.9.3)
Notando la similitudine tra il triangolo fatto dal vettore peso e dalle sue componenti con quello del piano inclinato stesso potevamo anche scrivere
“Cateto del triangolo delle forze (Ppar) sta a cateto del triangolo del piano inclinato (H = altezza piano inclinato) come ipotenusa del triangolo delle forze (P) sta a ipotenusa del piano inclinato (L = lunghezza del piano inclinato)”
Ppar:H = P:L ==> Ppar = PPH/L (2.9.4)
(2.9.2) e (2.9.4) sono due formule alternative per trovare la forza che spinge i corpi lungo i piani inclinati.
ESEMPIO: un corpo con massa 200 Kg si trova su un piano inclinato di 30°. Trovare la forza peso, la componente del peso parallela e quella ortogonale al piano inclinato. Se volessi tenere fermo il corpo sul piano inclinato, con quale forza dovrei spingerlo? E se volessi fare in modo che si muova a velocità costante?
La forza peso vale (vedi (2.7.1))
P = 200 9,8 9 2000 N (ho approssimato 9,8 con 10)
Ppar = 2000 sin(30°) = 2000s0,5 = 1000 N
Port = 2000 cos(30°) = 2000c0.8 = 1600 N
Port è bilanciato dalla reazione vincolare R del piano; se voglio che il blocco stia fermo devo esercitare una forza uguale e contraria a Ppar ovvero una forza di 1000 N verso la cima del piano inclinato.
Se voglio che il blocco risalga il piano a velocità costante, devo ricordare che “corpo fermo o in moto rettilineo uniforme = forza nulla (risultante nulla)”: sono quindi nel caso precedente e mi basta esercitare una forza di 1000 N verso la cima del piano. Scommetto che vi sembra assurdo: occorre la stessa forza sia per tenere il blocco fermo che per farlo muovere (a velocità costante)! In realtà, partendo con il corpo fermo, devo esercitare inizialmente una forza superiore a 1000 N per vincere la componente Ppar che spinge verso il fondo del piano inclinato e poi, arrivato alla velocità che voglio mantenere costante, spingere con esattamente 1000 N. Insomma, i 1000 N richiesti per far muovere il blocco a velocità costante presuppongono che già il blocco si stia muovendo verso l’alto a quella velocità.
ESEMPIO: si vuole portare un blocco di granito di massa 1 tonnellata ad una altezza H di 10 metri mediante un piano inclinato di lunghezza 100 m. Trovare la forza Ppar e la forza necessaria a spingerlo su per il piano a velocità costante.
Questa volta usiamo, tanto per cambiare, i Kgp come unità di misura delle forze.
1 tonnellata = 1000 Kg. Per la (2.7.2) P = 1000 Kgp.
Usiamo (2.9.4) per trovare Ppar: Ppar = 1000 10/100 = 100 Kgp.
Per spingerlo a velocità costante bisogna esercitare sul blocco una forza F che annulli Ppar (vedi esempio precedente): è dunque necessaria una forza F di 100 Kgp verso la cima del piano, forza che può benissimo essere esercitata da due persone.
Questo esempio è per far capire che i piani inclinati sono da sempre un utile strumento (insieme alle carrucole vantaggiose) per sollevare grandi pesi. Quasi certamente furono usati nella costruzione delle piramidi d’Egitto.
ESEMPIO
Un blocco da 1 tonnellata posto su un piano inclinato di 5° è tenuto in equilibrio da un contrappeso; trovare la massa del contrappeso.
Il sistema è in equilibrio, per cui la carrucola fissa “trasmette” il peso del contrappeso al blocco sul piano inclinato. Il blocco, poi, rimane in equilibrio quando la forza esercitata dalla fune uguaglia Ppar (date il nome giusto a ciascuno dei vettori disegnati in figura).
Quindi:
• per avere l’equilibrio del blocco sul piano inclinato è necessario che la tensione della fune sia uguale e contraria a Ppar;
• per avere l’equilibrio della carrucola fissa la tensione della fune ai due capi deve essere la stessa;
• per avere l’equilibrio del contrappeso la tensione della fune deve essere uguale e contraria al suo peso.
In totale il peso del contrappeso deve uguagliare Ppar:
Ppar = 1000 Kgppsin(5°) = 1000s0,087 = 87 Kgp
Il contrappeso per tenere fermi 1000 Kg sul piano inclinato è di soli 87 Kg.
3.0 LE FORZE DI ATTRITO
ATTRITO RADENTE. Quando un corpo “striscia” sopra una superficie senza rotolare, il suo moto è ostacolato da una forza detta attrito radente e dovuta all’interazione tra superficie del corpo e “pavimento”.
Questa forza può ben essere messa in evidenza con un semplice esperimento (Fig. 3.0.1):
una cassa viene lanciata con una velocità iniziale vi = 10 m/s e si osserva il tempo che impiega a fermarsi (5 secondi). L’esperimento è fatto in due modi: una prima volta il contatto con il pavimento avviene tramite la superficie laterale della cassa (grande superficie); in un secondo esperimento a strisciare è la base (piccola superficie). In entrambi gli esperimenti la cassa impiega 5 secondi a fermarsi e percorre lo stesso tratto d. Come interpretiamo questo esperimento?
Poiché nel tempo Pt = 5 secondi la velocità è passata da 10 m/s a zero, vuole dire che abbiamo un /v = -10 m/s ed una corrispondente decelerazione
a = av//t = -10/5 = -2 m/s2
Ma dal paragrafo 2.0 noi sappiamo che le accelerazioni (e le decelerazioni che altro non sono se non accelerazioni negative) sono sempre da associare a forze:
chiamiamo forza di attrito radente quella che fa rallentare un corpo che striscia sopra una superficie (quando non ci siano altre evidenti forze “rallentatrici”!).
Una prima caratteristica delle forze di attrito è dunque quella di essere sempre dirette in modo opposto alla velocità dell’oggetto e di “sparire” non appena l’oggetto si fermi.
Una seconda caratteristica deducibile dall’esperimento sopra descritto è che le forze di attrito non dipendono dalla quantità di superficie in contatto, nel senso che non cambiano se striscia una superficie grande o una piccola (dipendono però dai materiali di cui sono fatti “pavimento” e “oggetto strisciante”).
Non pensate ai pattini da ghiaccio come controesempio a quanto appena detto: con quel tipo di pattini è infatti noto che una diminuzione della superficie in contatto provoca una diminuzione di attrito, e ciò è esattamente il contrario di quanto da noi appena sostenuto! I pattini su ghiaccio rappresentano però una caso un po’ speciale, perché l’aumento di pressione (associato alla diminuzione di superficie dei pattini) provoca lo scioglimento momentaneo dello strato di ghiaccio a contatto con i pattini, per cui i questi non strisciano sul ghiaccio ma sono “sospesi” su un piccolissimo strato d’acqua, e questo riduce chiaramente moltissimo l’attrito. Provate però a muovervi con i pattini sul pavimento di casa: sicuramente: il pavimento non si scioglie e avere pattini con piccola o grande superficie non fa più differenza.
Una terza caratteristica è questa: la forza di attrito dipende dalla forza che preme il corpo contro la superficie.
Volendo tradurre tutto con una formula matematica, abbiamo
Far = KaraPeff (3.0.1)
ove Kar è una costante senza unità di misura che dipende dai materiali (oggetto strisciante e pavimento) e Peff è la forza che “effettivamente” preme l’oggetto strisciante contro il pavimento. Facciamo qualche altra precisazione circa questa “forza effettiva” (fig.3.0.2):
• se l’oggetto che striscia è posto sopra un piano orizzontale è chiaro che chi preme è l’intero peso dell’oggetto (Peff = P);
• se invece l’oggetto striscia sopra un piano inclinato è chiaro che a premere contro il piano non è tanto P quanto la sua componente ortogonale Port (Peff = Port);
• se l’oggetto viene fatto strisciare su un piano orizzontale da una forza che ha anche una componente verticale verso l’alto, Peff è dato dalla differenza tra il peso del corpo e la componente verticale della forza trainante (vedi problema 53 pag. 142 del libro di testo).
ESEMPIO. Un corpo con massa 300 Kg striscia su un piano inclinato (60°) con coefficiente di attrito radente pari a 0,4. Determinare la forza di attrito radente che si oppone al moto e la forza Ppar che è causa del moto.
P = 300 9,8 9 3000 N
Ppar = (2.9.2) = 3000 sin(60°) = 3000s0,86 = 2600 N
Port = (2.9.3) = 3000 cos(60°) = 3000c0,5 = 1500 N
Far = 0,4 Peff = 0,4 1500 = 600 N
Abbiamo dunque una forza di 2600 N che spinge verso il fondo del piano inclinato ed una forza di 600 N che si oppone a questo moto (spinge verso la cima del piano inclinato).
ESEMPIO. Un corpo di 100 Kg è posto su un piano inclinato (45°) e scende a velocità costante. Determinare il coefficiente di attrito radente.
Riferiamoci alla figura 3.0.2. Se la velocità è costante allora le forze agenti sul blocco devono annullarsi; ortogonalmente al piano abbiamo Port e la reazione vincolare R che già si annullano, lungo il piano abbiamo Ppar e Far: visto che il blocco scende al velocità costante dovrà essere Ppar = Far.
P = 100 9,8 9 1000 N
Ppar = 1000 sin(45°) = 1000s0,7 = 700 N
Port = 1000 cos(45°) = 1000 0,7 = 700 N
Per il piano inclinato sappiamo che la forza che preme è Port; avremo dunque
Far = K 700
Poiché in questo caso la forza di attrito è uguale a Ppar avremo
700 N = K7700 N ==> K = 1.
NOTA BENE: quando con la nostra auto procediamo su una strada piana alla velocità di 100 Km/h, il motore fornisce una forza “in avanti” e, nonostante questa forza, l’auto non accelera. Perché? Se non accelera è perché, oltre alla forza “in avanti” del motore, c’è una forza “all’indietro” - dovuta all’attrito dell’auto con l’aria – esattamente contraria a quella del motore. Se non esistesse l’attrito, una volta raggiunta la velocità prescelta, potremmo spegnere il motore ed andare avanti all’infinito (le forze servono infatti solo per accelerare, non per i moti rettilinei uniformi). Eppure l’attrito è anche essenziale per la vita di ogni giorno: senza attrito sarebbe davvero difficile raccogliere un fazzoletto, tutto scivolerebbe inevitabilmente dalle nostre mani, camminare sarebbe impossibile.
ATTRITO VOLVENTE. Quando un corpo, invece di strisciare, rotola sopra una superficie esiste una forza che si oppone al moto detta forza di attrito volvente. Questa forza dipende dal “peso effettivo” del corpo ed anche dal raggio:
Fav = Kav Peff/r (3.0.2)
ove Kav è il coefficiente di attrito volvente ed r il raggio.
Kav ha come unità di misura il metro.
(3.0.2) ci dice che la forza di attrito volvente aumenta se aumenta il “peso efficace” Peff (direttamente proporzionale a Peff) e se diminuisce il raggio r (inversamente proporzionale a r).
In generale l’attrito volvente è molto minore dell’attrito radente (meglio rotolare che strisciare; l’invenzione della ruota è considerata una pietra miliare della civiltà) e le ruote alte contribuiscono a diminuire l’attrito volvente.
30/06/10 C:\Documenti\momento.doc
2.1 IL CORPO RIGIDO: una piccola disquisizione filosofica nell’ambito della fisica
Sino ad ora, dovendo disegnare un corpo fisico su cui sono applicate delle forze, abbiamo supposto che il corpo in questione fosse tutto concentrato in un punto, e applicate su questo punto abbiamo disegnato le frecce rappresentanti i vettori forza agenti (approssimazione mediante “punto materiale”).
I corpi fisici reali, però, sono più estesi del solo punto geometrico e dunque permettono ai vettori forza di non essere attaccati tutti al medesimo punto.
Questo ha conseguenze fisiche notevoli:
le figure a fianco rappresentano la stessa situazione fisica (forze uguali e opposte applicate ad una faccia sorridente), eppure se usiamo l’approssimazione del punto materiale diciamo con sicurezza che il punto rimane fermo essendo sottoposto a forze uguali e contrarie applicate nello stesso punto (risultante nulla), mentre se guardiamo all’oggetto reale capiamo come la faccia, pur rimanendo in effetti sostanzialmente ferma, ruoterà in verso orario.
Questo deve farci capire che la fisica fatta fino ad ora dà risposte giuste solo circa la traslazione dei corpi (traslazione = corpo che si muove parallelamente a se stesso), mentre potrà essere inadeguata a descrivere i moti rotatori dei corpi estesi.
Questo difetto nella descrizione della rotazione ce lo potevamo aspettare dato che – descrivendo punti geometrici – è veramente difficile distinguere un punto fermo da uno che ruota su di sé!
Il fatto che a partire da ora cominciamo a trattare i corpi quali sono (corpi estesi) non deve farci pensare che il nostro studio sarà esente da idealizzazioni:
i nostri corpi estesi saranno infatti “corpi rigidi” ovvero corpi che
1. non si deformano anche se sottoposti a grandissime forze;
2. sono in grado di generare reazioni vincolari comunque intense senza rompersi.
Questo vuol dire che l’idealizzazione del corpo rigido andrà benissimo per descrivere una barra di acciaio (che non si deforma anche se sottoposta a grandi forze ed è in grado di sorreggere (reazione vincolare) pesi molto grandi senza rompersi), ma andrà veramente male per descrivere una palla di gomma.
L’esempio della faccia fatto in questo paragrafo ci prepari a queste novità:

2.2 LE FORZE DI REAZIONE VINCOLARE
Le tre figure a lato rappresentano situazioni di corpi vincolati, ovvero limitati nel loro movimento da piani d’appoggio, da perni, (da guide, rotaie, ecc.).
Le forze di reazione vincolare (indicate solitamente con R) sono forze speciali, nel senso che non sono dovute alla presenza di molle, attrazioni gravitazionali, ecc. e nemmeno hanno una intensità predefinita:
sono forze che vengono introdotte per comodità di calcolo (per riuscire a tenere conto di piani d’appoggio, perni…) e, per quanto riguarda la loro intensità, hanno un carattere adattativo, ovvero cambiano di intensità a seconda delle forze vere agenti sul sistema.
Se la forza peso attiva nella prima figura è di 100 Kgp, per esempio, allora la reazione vincolare R del piano di appoggio deve essere pure di 100 Kgp ma verso l’alto, in modo che il corpo risulti fermo anche senza disegnarci sotto alcun piano.
Per quanto riguarda le reazioni R dei piani d’appoggio, queste hanno sempre la direzione ortogonale al piano d’appoggio e sono da posizionare sulla linea che separa il piano d’appoggio e il corpo (vedi prima ed ultima figura).
Il carattere adattativo delle forze di reazione vincolare si può esprimere anche così:
se le forze attive su un corpo non si equilibrano e tuttavia il corpo rimane equilibrato è perché i vincoli si adattano alle forze attive generando forze di reazione uguali e contrarie.
Relativamente alla figura qui a fianco, supponamo che le forze peso (attive) verso il basso siano di 500 N ciascuna e che, tuttavia, il sistema appaia in equilibrio:
questo succede perché il vincolo (un perno in questo caso) ha generato una reazione vincolare R di 1000 N verso l’alto adattandosi alla sollecitazione della forza attiva.
Volendo scrivere l’equazione per l’equilibrio traslazionale dei corpi vincolati diremo che questo è raggiunto quando la somma di tutte le forze attive sul corpo + le reazioni vincolari vale zero.
Forze attive + Reazioni vincolari = 0 (2.2.1)

2.3 FORZE E ROTAZIONI: IL MOMENTO DELLE FORZE
Supponiamo che su un corpo rigido vincolato da un perno agisca una forza F a distanza d dal perno e che questa forza venga fatta agire via via con le 4 direzioni diverse rappresentate in figura: siccome è “inchiodato” dal perno, il corpo rigido non potrà traslare (= muoversi parallelamente a se stesso) in direzione della forza applicata e si limiterà dunque a ruotare.
L’equilibrio per le traslazioni è chiaramente garantito dalle forze di reazione vincolare generate dal perno (e lì applicate) che saranno sempre uguali e contrarie alle forze attive F applicate via via nelle quattro direzioni scelte: di nuovo viene evidenziato il carattere adattativo delle forze di reazione vincolare (cambiano direzione e verso a seconda delle forze attive F applicate. Esercizio: disegna sulla figura le 4 forze di reazione R).
In quale dei 4 casi indicati la forza F avrà il suo massimo effetto rotatorio?
È lecito attendersi che questo effetto aumenti se aumenta F e pure che la rotazione intorno al perno sia tanto più facile quanto più F è applicata lontano dal perno (l’effetto rotatorio aumenta se aumenta distanza d: nelle porte – che ruotano attorno ai cardini – la maniglia è collocata il più lontano possibile dai cardini stessi); dovrebbe essere però chiaro dalla figura che, quando la forza F è applicata lungo la congiungiente tra perno e forza stessa, l’effetto rotatorio diventa nullo:
ci si prospetta dunque l’idea che l’effetto rotatorio delle forze non dipenda solo dall’intensità della forza e dalla sua distanza d dal perno ma anche dall’angolo che la forza F forma con la congiungente perno-forza.
Fra le 4 forze disegnate in figura, poi, quella con maggiore effetto rotatorio è quella diretta a 90° dalla linea perno-forza.
Possiamo far confluire le tre considerazioni precedenti circa l’effetto rotatorio delle forze in una nuova grandezza fisica detta momento della forza M così definito:
M = F·d·sin(M) (2.3.1)
ove o è l’angolo tra la forza F e la linea perno-forza.
Il momento M definito con (2.3.1) riassume efficacemente tutto quanto detto sopra: infatti M cresce se cresce F, cresce se aumenta d ed è massimo se l’angolo n è di 90° (poiché la funzione seno è massima – e vale 1 – quando l’angolo è 90°). L’origine del termine sin(s) nella formula (2.3.1) è spiegato meglio nella figura seguente: se la forza F non è ortogonale alla congiungente perno-forza, la scompongo in direzione ortogonale (ottenendo Fort) e parallela (ottenendo Fpar); Fpar non provoca nessuna rotazione perché agisce lungo la direzione perno-forza, per cui l’effetto rotatorio di F è tutto dovuto alla sua componente Fort ortogonale alla linea perno-forza.
Ma quanto vale Fort?
Dalla figura appare chiaro che
Fort = F sin(s) (2.3.2)
Si usa dunque FSsin (s), e non semplicemente F, perché di F l’unica componente a provocare rotazione è quella ortogonale e vale proprio Fesin(s).
Dalla figura appare evidente che la distanza b tra il perno e la retta di azione della forza (distanza usualmente detta “braccio della forza”) vale
b = dbsin(s) (2.3.3)
La formula (2.3.1) può dunque essere riscritta come
M = FMddsin(s) = F)b (2.3.4)
Da questa formula è evidente che le unità di misura per il momento delle forze sono NDm oppure Kgppm.
Il momento M di una forza F può dunque ottenersi in tre modi equivalenti:
1) forza per distanza perno-forza per seno dell’angolo tra forza e retta perno-forza
2) forza per distanza per componente della forza ortogonale alla retta perno-forza
3) forza per braccio
Dei tre modi quello meno ambiguo è il primo ed è quello che useremo.
Il momento di una forza è un vettore ed ha bisogno per essere completamente definito anche di una direzione ed un verso. La (2.3.1) serve a determinare il modulo di M, mentre per direzione e verso si ragiona in questo modo:
la direzione del vettore momento è sempre ortogonale al piano ove avviene la rotazione ed il verso è quello che segna il pollice della mano destra le cui dita si chiudono seguendo la rotazione.
Poiché nei nostri semplici esempi la rotazione avviene sempre nel piano del foglio di carta, la direzione del vettore momento sarà quella ortogonale al foglio; su questa direzione stabiliremo il verso entrante nel foglio se la rotazione causata dalla forza è oraria e uscente dal foglio se la rotazione è antioraria.
Esempio:
La sbarra della figura 2.3.2 è sottoposta ad una forza di 200 N alla distanza di 2 metri dal perno e con un angolo di 30° rispetto alla retta perno-forza. Calcolare il momento M della forza e dire se è diretto fuori o dentro il foglio.
M = 200 N M 2 m sin(30°) = 200 s 2 0,5 N0m = 200 Nmm. Verso uscente dal foglio (antiorario).
NOTA BENE:
Perché quando calcoliamo il momento delle forze per oggetti che ruotano attorno ad un perno non teniamo conto anche delle forze di reazione vincolare R generate dal perno stesso?
Riferendoci alla figura 2.3.2 e all’esempio sopra, proviamo a calcolare il momento della forza di reazione R:
R dovrà essere uguale e contraria alla forza attiva F, poiché i perni garantiscono da soli l’equilibrio traslazionale, e dunque varrà 200 N.
La distanza fra la forza di reazione R ed il perno vale però zero poiché R è applicata direttamente sul perno.
Dunque il momento di R dato da (2.3.1) vale zero.
È questo il motivo per il quale, esaminando un corpo rotante attorno ad un perno, si calcola il momento delle sole forze attive.
Esercizio: la sbarra di Fig. 2.3.3 è imperniata e sottoposta a tre forze aventi queste caratteristiche
F1 = 50 N, 90° con direzione perno-forza, 0,1 m da perno;
F2 = 10 N, 60° con direzione perno-forza, 2,5 m da perno;
F3 = 30 N, 30° con direzione perno-forza., 3 m da perno.
Trovare il momento totale agente sulla sbarra.
Notiamo che F2 e F3 hanno entrambe momenti antiorari (uscenti dal foglio) mentre F1 ha momento orario (entrante nel foglio.
M1= momento orario di F1 = 50·0,1·sin(90°) = 5 N·m
M2= momento antiorario di F2 = 10·2,5·sin(60°) = 10·2,5·0,8 = 20 N·m
M3= momento antiorario di F3 = 30·3·sin(30°) = 30·3·0,5 = 45 N·m
Momento totale orario = 5 N·m
Momento totale antiorario = 65 N·m
Momento totale generale = 60 N·m antiorario.
La sbarra sottoposta alle tre forze si muoverà dunque in verso antiorario.
OSSERVAZIONE:
nonostante delle tre forze F1 fosse le più grande (50 N), ai fini della rotazione globale è quella che influiva di meno (soli 5 N·m) perché agiva molto più vicino delle altre al perno. È questa una riprova che il momento di una forza cresce con la distanza dal perno come esplicitato nella (2.3.1).
2.3.1 IL MOMENTO DELLE COPPIE DI FORZE
Chiamiamo coppia di forze due forze uguali ed opposte che agiscano su due punti diversi di un corpo esteso.
Già intuitivamente riusciamo ad immaginare che un corpo come quello in figura sottoposto ad una coppia di forza si mette a ruotare.
Alla coppia di forze sarà dunque utile associare la grandezza momento.
Se F è il modulo di una delle forze (l’altra forza varrà –F) e tra le rette di applicazione delle due forze c’è una distanza d (detta “braccio” della coppia), il momento si calcola in questo modo:
M = FMd (2.3.1.1)
Anche alle coppie di forze si usa attribuire un verso orario o antiorario a seconda della rotazione che causano nei corpi.
2.4 EQUILIBRIO DEI CORPI RIGIDI E MOMENTO
Una trave pesante 20 N è appoggiata a due sostegni e sottoposta a due forze verso il basso le cui intensità e posizioni sono deducibili dalla figura 2.4.1.
I due sostegni garantiscono l’equilibrio della trave. Abbiamo visto nel 2.1 che, quando abbiamo a che fare con un corpo rigido esteso, per garantire l’equilibrio non basta che si bilancino le forze agenti sul sistema (condizione che garantisce l’equilibrio traslazionale), ma bisogna fornire condizioni aggiuntive che garantiscano che il corpo sia in equilibrio anche per quanto riguarda la rotazione.
La nostra trave, per esempio, è sottoposta a 5 forze (tre forze vere più due forze di reazione vincolare dovute alla presenza dei sostegni): poiché la forza totale verso il basso è di 170 N allora le due forze di reazione vincolare verso l’alto devono valere sommate 170 N. Questo traduce l’equazione
100 + 20 + 50 – R1 – R2 = 0 (2.4.1)
che sappiamo essere quella che governa l’equilibrio traslazionale.
Dal paragrafo 2.3 sappiamo comunque che la grandezza fisica che “governa” le rotazioni è il momento delle forze.
È logico dunque aspettarsi che la trave sarà in equilibrio per la rotazione quando i momenti orari bilanceranno quelli antiorari.
C’è solo un piccolo problema: nel 2.3 i momenti delle forze venivano calcolati a partire da un perno attorno al quale il corpo poteva ruotare; nella nostra trave non ci sono perni. Come facciamo?
Un teorema della fisica ci dice che, quando parliamo di corpi in equilibrio, un qualsiasi punto O detto POLO può far le veci del perno per il calcolo dei momenti..
Nel nostro esempio metteremo il polo O ove è posizionata R1.
È immediato vedere che in questo modo R1 ha momento nullo essendo nulla la sua distanza dal polo O.
È inutile dire che scegliere di mettere il polo O ove c’è una delle forze incognite (in questo caso le incognite sono R1 e R2) ci semplifica la vita perché riduce il numero di incognite del problema (nelle equazioni del momento infatti vedremo comparire solo R2: R1 è magicamente sparita).
Momenti orari:
M1 = F1·1·sin(90°) = 100·1·1 = 100 N·m
MP = 20·2 = 40 N·m
M3 = 50·3 = 150 N·m
Momento orario totale = 290 N·m.
Momenti antiorari:
MR2 = R2·4Msin(90°) = R2s4
Uguagliando momenti orari e antiorari abbiamo
290 N·m = R2·4 (2.4.2)
dalla quale si ricava
R2 = 290/4 = 72,5 N
Poiché R1 + R2 = 170 (vedi (2.4.1) che traduce l’equilibrio traslazionale), ne segue che
R1 = 170 – 72,5 = 97,5 N.
2.5 ESEMPI IMPORTANTI
LA CARRUCOLA FISSA
In figura 2.5.1 è rappresentata una carrucola fissa: un peso applicato a sinistra esercita una forza F verso il basso ed una forza incognita applicata sul lato destro mantiene l’equilibrio traslazionale e rotazionale.
Vogliamo sapere quanto deve valere questa forza incognita.
Prima domanda:
siamo sicuri che la carrucola possa essere in equilibrio con le sole forze disegnate in figura?
Prima risposta:
abbiamo una forza verso il basso e una in direzione basso – destra; verso l’alto nessuna forza: la carrucola non dovrebbe dunque essere in equilibrio, ma lo è perché è vincolata dal perno e dunque sul perno si generano le forze di reazione vincolare opportune (verso l’alto e a sinistra) in grado di mantenere l’equilibrio (lo ribadiamo: le forze vincolari si “adattano” alle forze attive).
Seconda domanda:
perché se esistono delle forze di reazione vincolare non le abbiamo disegnate?
Seconda risposta:
non le abbiamo disegnate perché queste forze sono posizionate sul polo O e, avendo momento nullo, non compaiono nelle equazioni del momento.
Siamo pronti a determinare la forza incognita X.
Cominciamo col notare che F ha momento antiorario e X momento orario.
MF (antiorario) = F·r·sin(90°) = F·r
MX (orario) = X·r·sin(90°) = X·r
Uguagliando i momenti orari ed antiorari si ha
X·r = F·r ovvero X=F (2.5.1)
La carrucola fissa non ci ha dato dunque nessun vantaggio in termini di forza:
se devo tenere in equilibrio 1000 N devo esercitare una forza di 1000 N; la carrucola fissa mi permette però di mantenere in equilibrio la forza di 1000 N verso il basso applicandone una uguale (1000 N) sempre verso il basso (tirare verso il basso è comodo perché posso “appendermi” alla corda e sfruttare il mio peso).
Possiamo così dire che la carrucola fissa ha la funzione di far cambiare direzione alla forza applicata.
LA CARRUCOLA FISSA VANTAGGIOSA
La carrucola fissa vantaggiosa è ottenuta incollando insieme due dischi di raggio diverso (rp = “raggio piccolo”; rg = “raggio grande”). Le forze sono applicate alla carrucola in questo modo:
Fp è applicata al raggio piccolo; Fg a quello grande.
Vogliamo vedere che relazione esiste tra Fp, Fg e i due raggi.
Non disegniamo le forze di reazione vincolare applicate nel perno perché hanno momento nullo e non compaiono nei calcoli di bilancio del momento.
Fg ha momento orario:
MFg (orario) = Fg·rg
Fp ha momento antiorario:
MFp (antiorario) = Fp·rp
Bilanciando i momenti orari e antiorari abbiamo
Fp·rp = Fg·rg (2.5.2)
e da questa
Fp/Fg = rg/rp (2.5.3).
Usiamo (2.5.2) con qualche numero; supponiamo che Fp = 1000 N e che rp = 0,1 m e rg = 0,3 m. Quale forza dobbiamo applicare sul raggio grande (Fg) per tenere in equilibrio i 1000 N applicati sul raggio piccolo (Fp)?
1000·0,1 = Fg·0,3
Fg = 1000·0,1/0,3 = 1000/3 = 333 N
È evidente che usando questa carrucola abbiamo vantaggi in termini di forza (333 n per equilibrare 1000 N) oltre a poter cambiare direzione alla forza equilibrante (come succedeva sulla carrucola fissa).
NOTA BENE:
la carrucola fissa vantaggiosa moltiplica (o demoltiplica) la forza di un fattore uguale al rapporto dei due raggi.
LA CARRUCOLA MOBILE
In questo caso la carrucola non è appesa al muro tramite il perno:
la sostengono la forza Fs (forza di sinistra) dovuta alla tensione della fune e la forza Fd (forza di destra) dovuta alla nostra mano.
Per comodità mettiamo il polo O come in figura (non avendo perni siamo liberi di scegliere il polo O come meglio ci garba).
Per garantire l’equilibrio traslazionale, le forze verso l’alto (Fs e Fd) devono bilanciare quelle verso il basso (P):
se dunque P vale 1000 N allora Fs e Fd sommate devono fare 1000 N.
Per garantire l’equilibrio delle rotazioni è necessario che i momenti orari bilancino quelli antiorari; notiamo che Fs ha momento nullo in quanto applicata nel polo O.
MP (orario) = P·r
MFd (antiorario) = Fd·2r
Bilanciando i momenti abbiamo
P·r = Fd·2r ovvero Fd = P/2 (2.5.4)
Sapendo che Fd e Fs sommate devono fare P e che Fd = P/2 per la (2.5.4) possiamo dedurre che anche Fs vale P/2 ovvero che
in una carrucola mobile la forza applicata al centro viene divisa in due dalle forze esercitate sui raggi.
Problema: quale forza Fd è necessario applicare tramite una carrucola mobile per tenere in equilibrio 500 N?
Risposta: 250 N.
LA CARRIOLA
PROBLEMA: un peso P da 1000 N è posto nel cassone di una carriola che viene tenuta sollevata da una forza F applicata alle maniglie.
La carriola può ruotare attorno al perno della sua ruota (polo O). Determinare la forza F sapendo che il cassone dista 1 metro dal polo mentre le maniglie distano 2 metri.
SVOLGIMENTO: il sistema è vincolato (dal perno della ruota) per cui l’equilibrio traslazionale è garantito dalle forze di reazione vincolare agenti sul perno e che non sono state disegnate pochè nel calcolo dei momenti che faremo danno contributo zero.
Imponiamo l’equilibrio dei momenti orari ed antiorari.
Poiché le forze P e F sono parallele allora formano uno stesso angolo P con la sbarra della carriola.
MP (orario) = 1000011sin(s) = 1000)sin(s) N)m
MF (antiorario) = FM22sin(s)
Uguagliando i momenti ho
FF22sin(s) = 1000)sin(s) ovvero F = 500 N
La carriola è dunque una macchina vantaggiosa, tanto più vantaggiosa quanto più il cassone è vicino al perno e le maniglie sono lontane (inventatevi un esercizio per verificarlo).
NOTA BENE: poiché le forze agenti sul sistema sono parallele, il termine sin(N) nelle equazioni del momento si è semplificato; nei casi simili potremo essere autorizzati a scrivere le equazioni del momento direttamente senza il termine sin(o) in vista della sua semplificazione.
2.6 COMPOSIZIONE DI FORZE PARALLELE AGENTI SU CORPI RIGIDI
Riferendoci alla figura 2.6.1, sappiamo che quando due forze Fa e Fb parallele agiscono contemporaneamente su un corpo rappresentato da un punto materiale le cose vanno come se agisse una forza sola (la risulatante R) data dalla somma delle due forze e che per tenere in equilibrio il corpo bisogna far agire una forza equilibrante E uguale ed opposta alla risultante (E = -R). Non ci possiamo nemmeno porre il problema di dove applicare la risultante e la equilibrante perché, lavorando nell’approssimazione del punto materiale (tutto il corpo in un punto), non possiamo far altro che applicarle sul punto stesso.
Ben diversa è la situazione ragionando più realisticamente con un corpo rigido esteso (fig 2.6.2: FORZE PARALLELE E CONCORDI):
anche in questo caso sappiamo che la forza risultante R è data dalla somma di Fa e Fb e che la equilibrante E è uguale ed opposta a R, ma in quale preciso punto dovremo applicare questa equilibrante?
Poiché stiamo trattando un corpo in equilibrio possiamo scegliere la posizione del polo O come vogliamo (vedi par. 2.4); per comodità lo metteremo dove agisce la equilibrante: in questo modo il momento di E rispetto ad O vale zero e non entra nelle equazioni di bilanciamento del momento. Chiamiamo a e b le distanza da O di Fa e Fb.
Poiché dobbiamo garantire l’equilibrio, è necessario che i momenti rispetto ad O delle tre forze agenti sul sistema (Fa, Fb ed E) si bilancino:
Mfa (antiorario) = FaMa
MFb (orario) = FbMb
Bilanciando i momenti abbiamo
FaFa = Fbab (2.6.1)
ovvero
(Fa/Fb) = b/a (2.6.2)
La 2.6.2 ci dice che le distanze a e b delle forze agenti dal punto di applicazione della equilibrante sono inversamente proporzionali alle forze stesse; questo vuol sostanzialmente dire che il punto O cercato avrà distanza minore dalla forza maggiore o, in altre parole, la equilibrante si colloca più vicino alla forza più grande.
Quanto “vicino” alla forza più grande ce lo dirà l’equazione (2.6.1).
ESEMPIO: riferendoci alla figura 2.6.2, supponiamo che
• Fa = 100 N
• Fb = 200 N
• distanza AB = 2 metri.
Trovare la posizione della equilibrante E.
Cominciamo a dire che E sarà pari a 300 N verso l’alto e che sarà più vicina a Fb. Se b è la distanza da Fb allora la distanza a da Fa vale (2-b). Scriviamo dunque l’equazione (2.6.1):
1001(2-b) = 200(b 200 - 100bb = 200bb 200 = 300bb b = 200/300 = 0,6
a = (2-b) = 2-0,6 = 1,4.
Cosa succede se le forze agenti sul corpo rigido sono PARALLELE E OPPOSTE?
Sicuramente la equilibrante non potrà più essere posizionata tra Fa e Fb, perché mettendo il polo O in questa posizione sia Fa che Fb avrebbero momenti antiorari che non sarebbero bilanciati da nessun momento orario.
La equilibrante si posizionerà dunque esternamente alla linea AB, in una posizione tale da far equilibrare i momenti di Fa e Fb (di nuovo la equilibrante E non ha momento rispetto al polo O perché è posizionata sul polo stesso):
MFa (antiorario) = FaMa
MFb (orario) = Fbab
FaFa = Fbab (Fa/Fb) = (b/a) (2.6.3)
L’equazione (2.6.3) è identica alla (2.6.2) per cui potremo dire in generale che
la equilibrante di due forze parallele agenti su un corpo rigido va posizionata vicino alla forza più grande e internamente se le forze sono concordi, esternamente se sono opposte.
Non sarà inutile tornare a dire che, poiché risultante R ed equilibrante E si collocano nel medesimo punto, conoscere la posizione della equilibrante equivale a conoscere la posizione della risultante.
NOTA BENE: nel caso Fa e Fb siano uguali, siccome non esiste una forza più grande presso la quale collocare il punto O, la forza equilibrante si posizionerà al centro di AB.
ESEMPIO: riferendoci alla figura (2.6.3)
• Fa = 100 N verso il basso
• Fb = 300 N verso l’alto
• Distanza tra Fa e Fb = 2 metri
Trovare la posizione della equilibrante E.
Poiché siamo nel caso delle forze parallele ed opposte E si posizionerà esternamente ad AB e più vicino a Fb essendo la forza più grande; il valore del modulo di E è 200 N verso il basso. Se O dista b da B allora dista (2+b) da A.
1001(2+b) = 300(b 200 +100bb = 300bb 200 = 200bb b = 1
a = (2+b) = 2 + 1 = 3.
NOTA BENE:
nella teoria e negli esempi fatti abbiamo sempre considerato forze a 90° dalle aste di modo che nelle equazioni del momento non compariva il termine sin(l); se anche tra le aste e le forze ci fosse stato un angolo ), questo sarebbe stato lo stesso per entrambe le forze (sono forze parallele!) per cui sarebbe stato semplificato nelle equazioni di bilanciamento del momento. La formula (2.6.1) ricavata per un caso specifico vale dunque in generale.
2.7 IL BARICENTRO
Ricordiamo che qualunque corpo dotato di massa, in presenza della gravitazione terrestre, è anche “dotato” di una forza peso diretta verticalmente verso il basso; se la massa del corpo è m, allora la forza peso cui è sottoposto è
P = mP9,8 N (2.7.1)
oppure
P = m Kgp (2.7.2)
ESEMPIO: qual è la forza peso cui è sottoposto un corpo con la massa di 100 Kg?
P = 100 KgP9,8 m/s2 = 980 N
oppure
P = 100 Kgp.
Se il corpo da 100 Kg è piccolo e sferico siamo portati a dire che la forza peso da 980 N è applicata al centro della sfera; e se il corpo non è rappresentabile da un punto materiale?
Possiamo supporre qualunque corpo fisico esteso come formato da tante piccole masse rappresentabili da sferette o da punti “pesanti”; su ciascuna di queste sferette elementari agirà un vettore forza peso diretto verticalmente verso il basso (fig. 2.7.1).
Cercare la posizione del punto di applicazione della forza peso totale di un corpo equivale dunque a cercare la posizione della risultante di tanti vettori paralleli e concordi agenti su un corpo.
Chiameremo questa posizione baricentro (centro dei pesi) del corpo:
un corpo esteso e pesante si comporta (ai fini della forza di gravità) come se tutta la sua massa fosse concentrata in quel punto.
Nel caso le forze peso agenti sul sistema siano solo due, il problema della determinazione del baricentro lo sappiamo già risolvere grazie all’equazione (2.6.1).
ESEMPIO: un corpo è formato da due masse m1=10 Kg e m2=100 Kg poste agli estremi di una asta di legno di lunghezza 10 metri e peso trascurabile. Quanto vale la risultante delle due forze peso? Dove si posiziona?
Alla massa m1 è associato un peso di 10A9,8 = 98 N; alla massa m2 un peso di 100s9,8= 980 N.
La risultante R varrà 980+98= 1078 Newton e sarà più vicina alla massa da 100 Kg. Se x è la distanza dai 100 Kg allora (10-x) è la distanza dai 10 Kg.
989(10-x) = 980(x 980 - 98xx = 980xx 980 = 1078xx x = 980/1078 = 0,9 m
Il baricentro si collocherà dunque a 0,9 metri dalla massa da 100 Kg e l’asta con le due masse agli estremi si comporterà (ai fini del peso) come un solo punto materiale lì posizionato e “pesante” 1078 N.
Se i “punti” di cui è fatto il corpo sono più di due bisogna applicare il metodo dei due punti più volte:
si determina il baricentro di due punti trovando un primo baricentro parziale, e poi si trova il baricentro tra questo baricentro parziale ed un terzo punto…..
A parte un eventuale problema di calcoli basta comunque sapere che qualunque corpo pesante è dotato di un baricentro e che, ai fini della gravità, il corpo si comporta come se tutta la massa fosse lì concentrata.
Problema: determinare il baricentro del grappolo d’uva di fig. 2.7.1.
Svolgimento: sarebbe un utile esercizio in vista del compito….
Il baricentro soddisfa le seguenti regole pratiche:
• si colloca sugli assi di simmetria
• si colloca più vicino alle masse più grandi.
NOTA BENE: il baricentro di un corpo può essere collocato anche esternamente al corpo. Il baricentro di un anello, per esempio, è collocato al centro dell’anello essendo questo un centro di simmetria.
2.8 EQUILIBRIO DEI CORPI VINCOLATI E FORZA PESO: PENDOLO FISICO
In figura 2.8.1 è rappresentata una sbarra vincolata da un perno in tre posizioni diverse e sottoposta a forza peso. Dal punto di vista della gravità, questo semplice sistema fisico è equivalente ad avere una massa puntiforme uguale a quella della sbarra concentrata nel baricentro e collegata al perno da un’asta senza peso: siamo insomma in presenza di un pendolo fisico ovvero di un oggetto fisico esteso (non puntiforme) il cui comportamento è assimilabile a quello di un pendolo (il pendolo come l’avevamo studiato era un oggetto puntiforme appeso tramite un filo senza massa). Delle tre posizioni disegnate solo quella centrale corrisponde all’equilibrio:
qui l’equilibrio traslazionale è, al solito, garantito dalla forza di reazione vincolare presente nel perno (e non disegnata), mentre quello rotazionale è dovuto al fatto che la forza peso ha momento nullo essendo zero l’angolo tra la forza e la linea perno-forza (la reazione vincolare ha pure momento zero perché applicata nel perno).
Quando è spostato a destra o a sinistra l’angolo tra forza peso e linea perno-forza è diverso da zero per cui esistono momenti orari e antiorari che tendono a riportare la sbarra nella posizione di equilibrio.
Potremmo dunque dire che una condizione di equilibrio per i corpi vincolati e sottoposti alla forza peso è questa:
si ha equilibrio quando forza peso e vincolo sono sulla stessa verticale (C1)
Forza peso e vincolo sarebbero allineati, però, anche se la sbarra della figura venisse ruotata di 180°:
in questo caso, comunque, una ulteriore piccola rotazione a partire da quella posizione tenderebbe a riportare la sbarra in basso, verso la posizione di equilibrio disegnata.
Diciamo allora che per avere un equilibrio stabile, oltre alla (C1), si deve verificare quest’altra condizione:
il baricentro deve essere nella posizione più bassa possibile tra quelle che possono essere assunte (C2).
Se per un corpo vincolato valgono sia (C1) che (C2) diciamo che il corpo è in equilibrio stabile; se vale solo la (C1) diciamo che si trova in equilibrio instabile e che una piccola perturbazione tenderà a portare il corpo nella posizione a baricentro più basso.
Se, poi, il vincolo fosse posto nel baricentro, l’allineamento tra i due sarebbe sempre garantito (C1) e non ci sarebbe alcuna posizione preferenziale che abbassi il baricentro: il corpo tenderebbe allora a rimanere dov’è in qualunque posizione sia stato messo (equilibrio indifferente).
ESEMPIO: DETERMINAZIONE DEL PERIODO DI UN PENDOLO FISICO
Riferendoci alla figura 2.8.1, supponiamo che la sbarra sia lunga 2 metri e che il perno si trovi a 10 cm da un’estremità. Vogliamo trovare il periodo del pendolo fisico associato.
Sappiamo che il periodo è dato da
T = 2TTTT(l/g)
quando si consideri una massa puntiforme appesa con un filo di lunghezza l.
Abbiamo detto che la sbarra è equivalente ad una massa puntiforme posta nel baricentro; poiché la sbarra è simmetrica il baricentro si troverà a metà (1 metro dall’estremità) ad una distanza pari a (1-0,1 = 0,9) dal vincolo. Il periodo sarà dunque:
T = 6,28TT(0.9/9.8) = 1,9 secondi.
Considerazioni analoghe a quelle per i pendoli possono essere fatte per discutere l’equilibrio di una torre pendente:
il punto d’appoggio della torre fa da perno e, sino a che la forza peso applicata nel baricentro giace entro la base della torre, esiste un momento (antiorario nel caso della figura 2.8.3) che tende a riportare la torre verticale; quando il baricentro “esce” dalla base, si ha un momento (orario nel caso della figura) che tende a far cadere la torre.
Nei giochi per bambini “sempreinpiedi” la base del gioco è così larga e il baricentro così basso che è praticamente impossibile far uscire il baricentro dalla base e far cadere l’oggetto; la nuovissima Mercedes “Classe A” invece, prima delle recenti modifiche, avendo il baricentro piuttosto alto, aveva problemi di stabilità che la portavano a ribaltarsi durante particolari manovre (nella “manovra dell’alce” l’auto si inclinava parecchio sul lato e il baricentro alto usciva dalla base).
2.9 UN DISPOSITIVO “ANTIGRAVITAZIONALE”: IL PIANO INCLINATO
In figura 2.9.1 è rappresentato un blocco pesante in tre situazioni diverse:
1) blocco libero
2) blocco completamente vincolato da un piano d’appoggio
3) blocco parzialmente vincolato da un piano inclinato
Quando il blocco è libero l’unica forza agente è la forza peso P applicata nel baricentro; se è vincolato da un piano orizzontale, oltre alla forza peso verso il basso, esiste anche una forza di reazione vincolare R uguale e contraria al peso e applicata sulla superficie di separazione blocco – pavimento (vedi paragrafo 2.2); se il blocco è appoggiato al piano inclinato, la reazione vincolare R del piano d’appoggio, dovendo essere ortogonale alle superfici in contatto, non ha la stessa direzione della forza peso (diretta invece sempre verso il basso), per cui riesce ad “annullare” il peso del blocco solo parzialmente. Quanto parzialmente? Vediamo:
scomponiamo il vettore forza peso P lungo le direzioni parallela ed ortogonale al piano; chiamiamo la componente parallela al piano Ppar e quella ortogonale Port. Una volta scomposto il vettore P nelle sue componenti possiamo “dimenticarci” di lui e far agire solo le sue componenti: i vettori agenti sul blocco sono dunque Port ,R e Ppar.
In direzione ortogonale al piano inclinato il blocco è “bloccato” dalla presenza del piano e non può muoversi:
se non si può muovere in direzione ortogonale è perché le forze ortogonali Port e R si bilanciano esattamente:
Port = R (2.9.1)
In direzione parallela al piano l’unica forza agente è Ppar, per cui il blocco tenderà a scivolare lungo il piano.
Diamo qualche formula: quanto vale Ppar?
Se guardiamo il triangolo rettangolo fatto dal vettore forza peso e dalle sue componenti, vediamo che P fa da ipotenusa e Ppar da cateto opposto a : per ottenere Ppar devo allora moltiplicare P per sin( ); se voglio ottenere Port moltiplico invece P per cos(():
Ppar = PPsin(s) (2.9.2)
Port = PPcos(c) (2.9.3)
Notando la similitudine tra il triangolo fatto dal vettore peso e dalle sue componenti con quello del piano inclinato stesso potevamo anche scrivere
“Cateto del triangolo delle forze (Ppar) sta a cateto del triangolo del piano inclinato (H = altezza piano inclinato) come ipotenusa del triangolo delle forze (P) sta a ipotenusa del piano inclinato (L = lunghezza del piano inclinato)”
Ppar:H = P:L ==> Ppar = PPH/L (2.9.4)
(2.9.2) e (2.9.4) sono due formule alternative per trovare la forza che spinge i corpi lungo i piani inclinati.
ESEMPIO: un corpo con massa 200 Kg si trova su un piano inclinato di 30°. Trovare la forza peso, la componente del peso parallela e quella ortogonale al piano inclinato. Se volessi tenere fermo il corpo sul piano inclinato, con quale forza dovrei spingerlo? E se volessi fare in modo che si muova a velocità costante?
La forza peso vale (vedi (2.7.1))
P = 200 9,8 9 2000 N (ho approssimato 9,8 con 10)
Ppar = 2000 sin(30°) = 2000s0,5 = 1000 N
Port = 2000 cos(30°) = 2000c0.8 = 1600 N
Port è bilanciato dalla reazione vincolare R del piano; se voglio che il blocco stia fermo devo esercitare una forza uguale e contraria a Ppar ovvero una forza di 1000 N verso la cima del piano inclinato.
Se voglio che il blocco risalga il piano a velocità costante, devo ricordare che “corpo fermo o in moto rettilineo uniforme = forza nulla (risultante nulla)”: sono quindi nel caso precedente e mi basta esercitare una forza di 1000 N verso la cima del piano. Scommetto che vi sembra assurdo: occorre la stessa forza sia per tenere il blocco fermo che per farlo muovere (a velocità costante)! In realtà, partendo con il corpo fermo, devo esercitare inizialmente una forza superiore a 1000 N per vincere la componente Ppar che spinge verso il fondo del piano inclinato e poi, arrivato alla velocità che voglio mantenere costante, spingere con esattamente 1000 N. Insomma, i 1000 N richiesti per far muovere il blocco a velocità costante presuppongono che già il blocco si stia muovendo verso l’alto a quella velocità.
ESEMPIO: si vuole portare un blocco di granito di massa 1 tonnellata ad una altezza H di 10 metri mediante un piano inclinato di lunghezza 100 m. Trovare la forza Ppar e la forza necessaria a spingerlo su per il piano a velocità costante.
Questa volta usiamo, tanto per cambiare, i Kgp come unità di misura delle forze.
1 tonnellata = 1000 Kg. Per la (2.7.2) P = 1000 Kgp.
Usiamo (2.9.4) per trovare Ppar: Ppar = 1000 10/100 = 100 Kgp.
Per spingerlo a velocità costante bisogna esercitare sul blocco una forza F che annulli Ppar (vedi esempio precedente): è dunque necessaria una forza F di 100 Kgp verso la cima del piano, forza che può benissimo essere esercitata da due persone.
Questo esempio è per far capire che i piani inclinati sono da sempre un utile strumento (insieme alle carrucole vantaggiose) per sollevare grandi pesi. Quasi certamente furono usati nella costruzione delle piramidi d’Egitto.
ESEMPIO
Un blocco da 1 tonnellata posto su un piano inclinato di 5° è tenuto in equilibrio da un contrappeso; trovare la massa del contrappeso.
Il sistema è in equilibrio, per cui la carrucola fissa “trasmette” il peso del contrappeso al blocco sul piano inclinato. Il blocco, poi, rimane in equilibrio quando la forza esercitata dalla fune uguaglia Ppar (date il nome giusto a ciascuno dei vettori disegnati in figura).
Quindi:
• per avere l’equilibrio del blocco sul piano inclinato è necessario che la tensione della fune sia uguale e contraria a Ppar;
• per avere l’equilibrio della carrucola fissa la tensione della fune ai due capi deve essere la stessa;
• per avere l’equilibrio del contrappeso la tensione della fune deve essere uguale e contraria al suo peso.
In totale il peso del contrappeso deve uguagliare Ppar:
Ppar = 1000 Kgppsin(5°) = 1000s0,087 = 87 Kgp
Il contrappeso per tenere fermi 1000 Kg sul piano inclinato è di soli 87 Kg.
3.0 LE FORZE DI ATTRITO
ATTRITO RADENTE. Quando un corpo “striscia” sopra una superficie senza rotolare, il suo moto è ostacolato da una forza detta attrito radente e dovuta all’interazione tra superficie del corpo e “pavimento”.
Questa forza può ben essere messa in evidenza con un semplice esperimento (Fig. 3.0.1):
una cassa viene lanciata con una velocità iniziale vi = 10 m/s e si osserva il tempo che impiega a fermarsi (5 secondi). L’esperimento è fatto in due modi: una prima volta il contatto con il pavimento avviene tramite la superficie laterale della cassa (grande superficie); in un secondo esperimento a strisciare è la base (piccola superficie). In entrambi gli esperimenti la cassa impiega 5 secondi a fermarsi e percorre lo stesso tratto d. Come interpretiamo questo esperimento?
Poiché nel tempo Pt = 5 secondi la velocità è passata da 10 m/s a zero, vuole dire che abbiamo un /v = -10 m/s ed una corrispondente decelerazione
a = av//t = -10/5 = -2 m/s2
Ma dal paragrafo 2.0 noi sappiamo che le accelerazioni (e le decelerazioni che altro non sono se non accelerazioni negative) sono sempre da associare a forze:
chiamiamo forza di attrito radente quella che fa rallentare un corpo che striscia sopra una superficie (quando non ci siano altre evidenti forze “rallentatrici”!).
Una prima caratteristica delle forze di attrito è dunque quella di essere sempre dirette in modo opposto alla velocità dell’oggetto e di “sparire” non appena l’oggetto si fermi.
Una seconda caratteristica deducibile dall’esperimento sopra descritto è che le forze di attrito non dipendono dalla quantità di superficie in contatto, nel senso che non cambiano se striscia una superficie grande o una piccola (dipendono però dai materiali di cui sono fatti “pavimento” e “oggetto strisciante”).
Non pensate ai pattini da ghiaccio come controesempio a quanto appena detto: con quel tipo di pattini è infatti noto che una diminuzione della superficie in contatto provoca una diminuzione di attrito, e ciò è esattamente il contrario di quanto da noi appena sostenuto! I pattini su ghiaccio rappresentano però una caso un po’ speciale, perché l’aumento di pressione (associato alla diminuzione di superficie dei pattini) provoca lo scioglimento momentaneo dello strato di ghiaccio a contatto con i pattini, per cui i questi non strisciano sul ghiaccio ma sono “sospesi” su un piccolissimo strato d’acqua, e questo riduce chiaramente moltissimo l’attrito. Provate però a muovervi con i pattini sul pavimento di casa: sicuramente: il pavimento non si scioglie e avere pattini con piccola o grande superficie non fa più differenza.
Una terza caratteristica è questa: la forza di attrito dipende dalla forza che preme il corpo contro la superficie.
Volendo tradurre tutto con una formula matematica, abbiamo
Far = KaraPeff (3.0.1)
ove Kar è una costante senza unità di misura che dipende dai materiali (oggetto strisciante e pavimento) e Peff è la forza che “effettivamente” preme l’oggetto strisciante contro il pavimento. Facciamo qualche altra precisazione circa questa “forza effettiva” (fig.3.0.2):
• se l’oggetto che striscia è posto sopra un piano orizzontale è chiaro che chi preme è l’intero peso dell’oggetto (Peff = P);
• se invece l’oggetto striscia sopra un piano inclinato è chiaro che a premere contro il piano non è tanto P quanto la sua componente ortogonale Port (Peff = Port);
• se l’oggetto viene fatto strisciare su un piano orizzontale da una forza che ha anche una componente verticale verso l’alto, Peff è dato dalla differenza tra il peso del corpo e la componente verticale della forza trainante (vedi problema 53 pag. 142 del libro di testo).
ESEMPIO. Un corpo con massa 300 Kg striscia su un piano inclinato (60°) con coefficiente di attrito radente pari a 0,4. Determinare la forza di attrito radente che si oppone al moto e la forza Ppar che è causa del moto.
P = 300 9,8 9 3000 N
Ppar = (2.9.2) = 3000 sin(60°) = 3000s0,86 = 2600 N
Port = (2.9.3) = 3000 cos(60°) = 3000c0,5 = 1500 N
Far = 0,4 Peff = 0,4 1500 = 600 N
Abbiamo dunque una forza di 2600 N che spinge verso il fondo del piano inclinato ed una forza di 600 N che si oppone a questo moto (spinge verso la cima del piano inclinato).
ESEMPIO. Un corpo di 100 Kg è posto su un piano inclinato (45°) e scende a velocità costante. Determinare il coefficiente di attrito radente.
Riferiamoci alla figura 3.0.2. Se la velocità è costante allora le forze agenti sul blocco devono annullarsi; ortogonalmente al piano abbiamo Port e la reazione vincolare R che già si annullano, lungo il piano abbiamo Ppar e Far: visto che il blocco scende al velocità costante dovrà essere Ppar = Far.
P = 100 9,8 9 1000 N
Ppar = 1000 sin(45°) = 1000s0,7 = 700 N
Port = 1000 cos(45°) = 1000 0,7 = 700 N
Per il piano inclinato sappiamo che la forza che preme è Port; avremo dunque
Far = K 700
Poiché in questo caso la forza di attrito è uguale a Ppar avremo
700 N = K7700 N ==> K = 1.
NOTA BENE: quando con la nostra auto procediamo su una strada piana alla velocità di 100 Km/h, il motore fornisce una forza “in avanti” e, nonostante questa forza, l’auto non accelera. Perché? Se non accelera è perché, oltre alla forza “in avanti” del motore, c’è una forza “all’indietro” - dovuta all’attrito dell’auto con l’aria – esattamente contraria a quella del motore. Se non esistesse l’attrito, una volta raggiunta la velocità prescelta, potremmo spegnere il motore ed andare avanti all’infinito (le forze servono infatti solo per accelerare, non per i moti rettilinei uniformi). Eppure l’attrito è anche essenziale per la vita di ogni giorno: senza attrito sarebbe davvero difficile raccogliere un fazzoletto, tutto scivolerebbe inevitabilmente dalle nostre mani, camminare sarebbe impossibile.
ATTRITO VOLVENTE. Quando un corpo, invece di strisciare, rotola sopra una superficie esiste una forza che si oppone al moto detta forza di attrito volvente. Questa forza dipende dal “peso effettivo” del corpo ed anche dal raggio:
Fav = Kav Peff/r (3.0.2)
ove Kav è il coefficiente di attrito volvente ed r il raggio.
Kav ha come unità di misura il metro.
(3.0.2) ci dice che la forza di attrito volvente aumenta se aumenta il “peso efficace” Peff (direttamente proporzionale a Peff) e se diminuisce il raggio r (inversamente proporzionale a r).
In generale l’attrito volvente è molto minore dell’attrito radente (meglio rotolare che strisciare; l’invenzione della ruota è considerata una pietra miliare della civiltà) e le ruote alte contribuiscono a diminuire l’attrito volvente.
30/06/10 C:\Documenti\momento.doc

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