Utopia

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Testo

La parola utopia deriva dal greco où tòpos che significa, alla lettera "non luogo" nessun luogo e ha precise origini storiche. Fu coniata e usata per la prima volta, nel 1516, dallo scrittore inglese Tommaso Moro come titolo di un suo libro che descriveva uno stato ideale. Da allora essa è passata nel linguaggio corrente a indicare la descrizione di un mondo immaginario che possiede istituzioni diverse e migliori di quelle vigenti nella realtà. ispirate a principi etici e sociali ritenuti di solito irrealizzabili. Se la parola nasce con Moro. il fatto che essa esprime e' molto più antico.
L'aspirazione a una società ideale in cui le incongruenze e le ingiustizie della società reale siano sanate e redente accompagna costantemente il corso della storia, è uno degli impulsi fondamentali e permanenti del suo divenire. Essa ha cercato soddisfazione, a seconda delle situazioni storiche, nella fede religiosa, negli schemi tracciati dalla ragione, in motivi passionali che si condensano nel mito. Già la repubblica platonica, nell'antichità, se da un lato è connessa alla concreta base della polis greca, trascende dall'altro ogni formazione politica reale per delineare e esaltare, in un ideale posto fuori del tempo, nel sopramondo astratto della ragione, i valori etici eterni, le esigenze che presiedono alla formazione di ogni tipo di stato. Sotto questo aspetto Platone è il padre dell'utopismo, e ne fissa per sempre una forma a cui si richiamerà per secoli il pensiero politico.

Il mondo romano, invece, è povero o addirittura privo di tendenze utopistiche. Il suo forte senso giuridico, l'orgoglio realistico ed egemonico del civis, la scarsa propensione alla astrazione filosofica, la stessa potenza politica e vastità territoriale non ne favoriscono certo lo sviluppo. Il suo realismo politico avverte con istintiva chiarezza il limite del possibile. Al tempo della decadenza, semmai, l'ideale politico assume un colorito nostalgico, viene cercato nel passato, nelle virtù quiritarie della repubblica. La Germania di Tacito con la sua esaltazione della forza e della severità primitive delle genti germaniche, ne è un tipico esempio. Più tardi, il cristianesimo polarizza l'attesa e la tensione a una società nuova verso la città di Dio: il suo messianesimo assorbe l'aspirazione utopistica.

Per tutto il Medioevo l'esigenza di rinnovamento si veste, com'è noto, di forme religiose; la redenzione del mondo umano si confonde con l'attesa, sempre viva, del Regno celeste e l'età felice viene cercata in un punto de! tempo trascorso, nella purezza e povertà esemplari della Chiesa primitiva; oppure indicata nella suggestione che assume riflessi di leggenda, della grandezza e della saggezza del dominio romano.
La precarietà del limite tra realtà e immaginazione è una caratteristica dell'epoca: Chiesa e Impero, e per la grandezza di ciò che rappresentano e per la carica simbolica che posseggono, riescono a contenere i disegni più audaci, le fantasie più fervide. dal sogno di Gioacchino da Fiore a quello di Cola di Rienzo.
L'utopia, nel senso più proprio e pertinente del termine, nasce insieme col mondo moderno: quando, col Rinascimento, la posizione dell'uomo nei confronti della natura e della società muta radicalmente.
Mentre le scoperte geografiche rompono gli orizzonti tradizionali e li allargano all'infinito, e le ricerche scientifiche moltiplicano il potere dell'uomo sulle cose, le forme sovvertitrici dell'economia borghese, stimolando la concorrenza, dilatando il profitto, elevando il danaro a potenza nuova, provocano la crisi delle oligarchie dirigenti, attuano un vasto ricambio di ceti, introducono nuove forme e costumi di vita
. Cadono, nel campo filosofico. norme secolari imposte dall'ossequio a una concezione trascendente: la natura basta da sola a offrire la norma del vivere e possiede in sè un .intima misura di armonia e di sviluppo. Essa è la ragione, la nuova, autonoma, terrena norma; con un accento trionfale in questa rivelazione dell'autonomia dell'uomo, c'è la gioia della scoperta e l'operosità della conquista: un rigoglio di pienezza vitale pervade tutte le forme del vivere.
Sono le prime, acerbe note del grande moto che culminerà, dopo due secoli, nell’illuminismo.
Come può giudicare e criticare il passato, così la ragione può tracciare il disegno della nuova società. .Si nutre in essa una fiducia che giunge fino ad attribuirle qualità demiurgiche: il suo schema della società futura rappresenterà il modello normativo a cui dovrà attenersi la storia nel suo sviluppo. Così il razionalismo umanistico subentra alla fede religiosa nel tratteggiare le linee di una nuova età felice. Declina l'attesa del Regno celeste. si affaccia l'attesa del Regno dell'uomo.

E' su questo terreno che nasce il pensiero utopistico del Rinascimento.
Esso possiede una profonda spinta rivoluzionaria. Ritorno alla natura significa ritorno all'uguaglianza originaria; ma assicurare l’uguaglianza., nella comunità umana, non si può che attraverso la legalità; e alla legalità spetta quindi il compito di far rispettare l'uguaglianza anche nella condizione economica degli uomini o, perlomeno, di correggere le ingiustizie più vistose e stridenti.
Si immagina facilmente quale radicalismo sovvertitore possa così spiegare, nel pensiero politico e sociale, il razionalismo umanistico che sta alla base dell'utopia dell'epoca.
Esso trasferisce lo schema dello Stato perfetto in isole remote o in paesi immaginari, non toccati dalla rivelazione cristiana, non soltanto per moda letteraria ispirata dai viaggi di scoperta, ma soprattutto per sfuggire al pericoloso confronto tra il modello disegnato dalla ragione e la morale e la dogmatica della Chiesa.
Riconoscere in tutti gli uomini la presenza di diritti naturali significa inoltre dilatare potenzialmente il microcosmo utopistico a società universale: i diritti naturali e universali dell'uomo e del cittadino, proclamati dalla rivoluzione francese, hanno nel cielo dell'utopia rinascimentale i loro lontani progenitori.
Sarebbe errato tuttavia attribuire allo schema dell'utopia un valore soltanto razionale.
In realtà esso è raggiunto anche dal riflesso di problemi politici, sociali, economici impostati dalla storia contemporanea.
Dentro il modello ideale, soprastorico, da ricollegare a Platone, s'annida una protesta da ricondurre alla storia del tempo. La ragione. con l'autorità che le conferisce la sua conquistata autonomia, chiede conto al principe del suo dispotismo, alla società delle sue ingiustizie, ai privilegiati delle loro ricchezze; impotente, da sola, a sanare quei mali contemporanei che tuttavia individua e denunzia, ne trasferisce la soluzione al di fuori e al di sopra della storia.
Essa precorre il corso della storia: coglie e interpreta i problemi che affiorano ormai alla sua superficie, ma per la cui soluzione le forze sociali non sono ancora mature, e ne prospetta soluzioni necessariamente astratte.

In un duplice senso l’utopia è quindi l’indizio e l'annuncio di una trasformazione della società: nella critica, spesso intrisa di ironia e di sarcasmo, delle istituzioni vigenti, che contribuisce così a logorare e a screditare, e nel disegno esemplare di società nuove e liberanti.
Nell'utopia di Moro i due momenti sono chiaramente distinti: all'acuta critica della società inglese dell'epoca, svolta nel primo libro, corrisponde, nel secondo, l'elogio dello Stato felice dove quei mali storici sono risanati.
Nè bisogna dimenticare, per cogliere nella sua interezza il nesso sottile che lega l'utopia alla storia, che in certe zone estreme della società, laddove il radicalismo razionalistico riesce a far leva su punte rivoluzionarie avanzate, la distanza tra superficie storica e schema ideale tende a diminuire fin quasi ad annullarsi, come avverrà, nel Cinquecento, in certe comunità anabattiste che rappresentano l'ala estrema della Riforma e che tendono a realizzare programmi di un radicalismo sociale assai prossimo all'utopia.

La letteratura utopistica di quest'epoca rappresenta dunque un momento della coscienza europea.
Per un'indagine esauriente sulla sua natura non basta però studiare il terreno storico su cui è nata: bisogna seguire l'utopia nell'altro suo versante, nel suo processo di ritorno alla realtà, chiedersi se essa è stata capace di indicare sia pure sommariamente, le linee che la trasformazione della società ha poi seguito, e misurare quindi la sua efficacia come norma regolativa, la sua incidenza effettiva sul terreno storico.
A questo proposito Sorci ha potuto giustamente definire certe utopie come
«ipotesi di lavoro ».
Ma è da ricordare sempre, tuttavia, che utopia non è riformismo. nell' astrattezza della sua catena consequenziaria, la ragione ignora i compromessi e gli adattamenti della pratica.
La ripercussione dei suoi modelli ideali sulla storia è mediata, indiretta, contraddittoria: calandosi nella realtà gli schemi razionali subiscono tutte le modificazioni e le deformazioni imposte dalla resistenza dei fatti.
E' difficile rinvenire negli istituti storici i connotati della paternità utopistica.
E bisognerà ancora controllare se viceversa, come avviene di solito nelle società troppo arretrate e chiuse, l'utopia non si trasformi da proposta in evasione, da piano razionale in costruzione arbitraria dell'immaginazione, che elude i problemi invece di prospettarne una soluzione e si disperde in velleità e in aspirazioni non criticamente apprezzabili.
Altri motivi, oltre che la protesta della ragione e le sollecitazioni della storia, contribuiscono alla fioritura del pensiero utopistico agli inizi del mondo moderno.
E’ stato più volte notato che, dopo l'affermazione della Controriforma in una parte dell'Europa, in quest'aspirazione comune allo Stato ideale si avvertono notevoli diversità.
La frattura religiosa si estende a tutti i campi. Si potrebbe sostenere che la lacerazione profonda operata sul tessuto europeo in prosieguo di tempo dalla Riforma protestante viene prefigurata, sul terreno dell'utopia, da due vie, due modi diversi proposti dal pensiero politico per ricostruire la società.
Quando i fermenti liberali della Protesta vengono contraddetti e combattuti e si apre un'epoca di intolleranza, di persecuzioni, di guerre di religione, l'utopia diventa anche Io schermo e il rifugio di un pensiero che voglia avanzare nuove concezioni, nuovi spunti rivoluzionari e eterodossi.
In Italia nella seconda metà del Cinquecento e più nel Seicento il diffondersi e l'imporsi dei principi controriformistici apre un conflitto tra la nuova concezione rinascimentale del mondo e dell'uomo e il concetto di una Provvidenza e di un'autorità che regolano ancora dall'alto le vicende della storia e della vita morale e politica.
Il razionalismo umanistico è costretto a fare i conti con l'intransigente autoritarismo tridentino che non può accettare di affidare esclusivamente alle forze umane, senza ricorso a principi rivelati o trascendenti, la costruzione della società ideale e tanto meno una religione naturale desunta dalla sola ragione.
La carica di radicalismo implicita nell'ideale razionale viene così dispersa o soffocata.
Un'altra distinzione è da aggiungere che riecheggia la tradizionale oscillazione dello spirito italiano tra municipalismo e universalismo: quella tra utopia cittadina, dove i motivi di critica sociale hanno la prevalenza, e utopia universale. che ha di mira la ricostituzione di un'unità ecumenica e si fonda quindi su motivi prevalentemente religiosi.
Ognuna delle tre opere proposte (Utopia, Nuova Atlantide, La città del sole) ha caratteristiche proprie: ma vi ricorrono anche esigenze e principi tipici, e comuni.
Intanto la nuova società appare fondata sul lavoro: è la sua razionalizzazione e la sua estensione all'intera comunità, anche alle donne, che permette di aumentare il livello della produzione a beneficio di tutti e permette a tutti, e non più a una sola minoranza privilegiata, di dedicare il tempo libero all'elevazione spirituale.
Anche l'antica aspirazione alla comunanza dei beni acquista un accento nuovo quando il lavoro sia concepito come titolo necessario alla loro distribuzione e come condizione necessaria al pieno godimento di tutti i diritti.
Si avverte qui la protesta e la condanna, esplicita del resto, sia in Moro che in Campanella, contro una società ancora gravata dal peso di parassiti e di oziosi; nei problemi della generazione di Campanella, in quelli dell'abitazione e dell'eccedenza o carenza demografica, accennati da Moro, si affacciano problemi e interessi che già richiamano quelli della moderna società di massa; la richiesta di nuove gerarchie elettive fondate sul sapere, sul merito, sulla capacità, che ricorrono alla consultazione popolare, sta ad indicare il declino, nelle coscienze più vigili e avvertite, dei principi di assolutismo, dei diritti del sangue, della fondatezza dei privilegi del censo.
La scienza, se in Campanella, che pure ne intuisce le implicazioni sociali, ha ancora aspetti magici e astrologici, diventa poi in Bacone il centro di una nuova concezione del mondo, lo strumento per edificare il nuovo « regno dell'uomo »; contro l'arbitrio dei singoli, contro il prepotere dei principi, si leva il limite dell'ostacolo di una razionalità comune a tutti gli uomini, a cui ineriscono ormai diritti innati e naturali, anche se la schiavitù, che Campanella respinge, è ancora accolta da Moro che leva tuttavia la sua protesta contro la pena di morte.
Il cristianesimo, risolto in religione naturale, perde di conseguenza, con la rigidezza del dogma, l'intransigenza che condanna e perseguita.
L'interesse si incentra ormai non tanto nel problema del potere politico, sul modo di conquistarlo e di esercitarlo, quanto in quello della condizione degli individui e della società tutt'intera sotto il potere e per opera del potere.
L'accento si sposta dal problema della sovranità a quello della convivenza, dal vertice alla base della piramide sociale.
Entro l'involucro dello stato accentratore, burocratico, assolutista dell'epoca la ragione avanza la sua protesta, interpretando, e talora deformando, le richieste elementari delle masse popolari e testimoniando la crescita del loro peso.
Moro, con la sua proposta di giustizia sociale e di tolleranza religiosa fondate sulla denunzia di un'iniqua situazione storica; Campanella che, in piena Controriforma, insiste nel suo sogno di una società modellata dalla ragione e governata dal sapere; Bacone, con la sua intuizione di una scienza che trasformi la natura per metterla a servizio dell'uomo, prefigurano, ognuno a suo modo, lineamenti e valori essenziali della futura civiltà europea.
“La grande missione dell'Utopia - per dirla col Cassirer- è di dar adito al possibile, in opposizione alla passiva acquiescenza all'attuale stato di cose.”
Il pensiero simbolico trionfa della naturale inerzia dell'uomo e lo dota di una nuova facoltà, la facoltà di riformare continuamente il suo universo.
Da “L'utopia" a cura di L.Bordone, ed. Loescher

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