La filosofia politica tra realismo e utopia nel Rinascimento

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Testo

La filosofia politica tra utopia e contrattualismo
Indice
Indice 2
Filosofia politica – Introduzione 3
UNITA' 1 - L’ideale di rinnovamento
politico nel Rinascimento 4
Niccolò Machiavelli 5
La vita in sintesi 5
Parole chiave nel pensiero politico 5
Contestualizzazione storica 9
Giovanni Botero 10
La vita in sintesi 10
Parole chiave nel pensiero politico 10
Contestualizzazione storica 10
Filosofi al confronto: le soluzioni ai vari problemi 12
Thomas More 13
La vita in sintesi 13
Parole chiave nel pensiero politico 13
Contestualizzazione storica 16
Tommaso Campanella 17
La vita in sintesi 17
Parole chiave nel pensiero politico 17
Contestualizzazione storica 19
Filosofi al confronto: le soluzioni ai vari problemi 20
Conclusione personale 21

Filosofia politica – Introduzione
La filosofia politica si occupa in parte di descrivere le organizzazioni sociali, passate e presenti e in parte di valutare queste organizzazioni. Per esempio, descrive i caratteri essenziali di varie forme di governo (democrazia, monarchia e così via) e nel contempo si pone varie domande su di esse, per esempio "qual è la giustificazione ultima per l’esistenza di una qualsiasi forma di governo?". Un problema fondamentale affrontato dalla filosofia politica è la differenza tra l'agire politico e l'agire in modo moralmente giusto: l'azione umana riconosciuta moralmente giusta non corrisponde necessariamente ad un'azione politicamente valida; e viceversa (nell'affrontare questo problema è essenziale l'idea di Machiavelli, che per primo è riuscito a separare completamente la politica dalla morale;vedi pag.4).
Essa si occupa, inoltre, di problemi come "quali sono (o quali dovrebbero essere) i giusti limiti del potere del governo sui membri della società?", "è possibile esercitare un rigido controllo sugli affari economici delle persone senza limitare la loro libertà politica?", "i rappresentanti eletti di un corpo legislativo dovrebbero votare come credono meglio, o dovrebbero semplicemente rispecchiare l’opinione di maggioranza del loro elettorato?" e così via.
Possiamo caratterizzare ancor meglio la filosofia politica suddividendo le sue teorie in "classiche" e "moderne". Le teorie politiche classiche possono essere definite, in linea di massima, teorie che offrono dei consigli su come realizzare una società ideale. Di converso, le teorie moderne si dedicano primariamente al chiarimento del significato di questi consigli e dei termini che usiamo nelle discussioni politiche. Le teorie moderne cercano di rispondere a domande come "cosa si intende con la locuzione"diritti umani universali"?" (dalla Carta dell’onu), "qual è la corretta analisi del termine "stato"?" e così via. Nell'epoca contemporanea la filosofia politica, oltre ad occuparsi dello studio dello Stato, inteso come il centro del potere politico, analizza e studia tutto ciò che riguarda il pubblico, anche problemi di natura sociale ed economica.

UNITA' 1 - L’ideale di rinnovamento
politico nel Rinascimento
Il Cinquecento è un secolo di profondi cambiamenti che segnano la nascita della modernità. Estremamente importanti per lo sviluppo di una nuova concezione dell’uomo,della vita e dell’universo sono la Riforma Protestante ed, in seguito, la Rivoluzione Scientifica, in quanto influiscono pesantemente sul ruolo egemonico della Chiesa in ambito culturale e politico: questa perde così la propria centralità, l’uomo dotato di ragione nella sua vita terrena diventa l’aspetto peculiare, mentre la vita ultraterrena vi viene subordinata. E’ da sottolineare che, infatti, la Riforma ha reso l’uomo l’unico vero protagonista della religione,eliminando totalmente qualsiasi altro mediatore, mentre la Rivoluzione Scientifica ha reso l’uomo consapevole delle proprie capacità e soprattutto della propria ragione. Segue perciò una vasta secolarizzazione della società e della cultura, importantissimo cambiamento che ha investito anche la storia, concepita ora come incessante sostituzione di una realtà con un'altra:la storia è progresso. Una rilevante conseguenza di queste trasformazioni è riscontrabile nella filosofia politica, poiché cambia l’approccio ad essa: diventa storiografia. Inevitabilmente l'uomo inizia ad interrogarsi in modo realistico in ambito politico, servendosi quindi della storia per descrivere lo stato, i governanti, i diritti; inoltre la religione perde il proprio primato nei confronti della politica. Nascono così le opere di filosofi come Machiavelli e Bodin e, poco dopo, i Giusnaturalisti, sempre allontanandosi dall'ideologia religiosa, fondano le proprie teorie su un'indagine puramente razionalistica.
In Europa con il rafforzamento degli Stati Nazionali, si fa strada la discussione sulla sovranità, sui diritti dell'uomo e sulle forme di governo. Molti filosofi si concentrano sulla teorizzazione di uno stato utopico. In Italia però, dove ancora vi è frammentazione politica, i vari comuni si sono solamente trasformati in signorie, cambiamento questo che di certo non è servito all'unificazione in un unico Stato, ma ha avuto la conseguenza di spostare l'attenzione della filosofia politica sul principe: ed è così che Machiavelli elabora la sua più importante opera.

Niccolò Machiavelli
La vita in sintesi
Niccolò Machiavelli nacque a Firenze nel 1469 da una famiglia di modesta agiatezza, il padre era un uomo di legge, amante degli studi e possessore di una biblioteca, la madre era un’autrice di rime sacre. Ebbe un’educazione umanistica basata sui classici latini. Un documento della sua formazione culturale testimonia il suo interesse per una cultura materialistica ed epicurea proprio negli anni in cui a Firenze trionfava lo spiritualismo e l’ardente religiosità di Savonarola, di cui sicuramente era oppositore. Dopo la caduta di Savonarola, poté ottenere importanti cariche politiche. I suoi incarichi gli conferirono grandi responsabilità nel campo della politica interna, estera e militare della Repubblica. Nel giugno del 1502 compì una missione presso Cesare Borgia, il duca Valentino che con l’appoggio del padre, papa Alessandro VI, si era impadronito del Ducato d’Urbino, e restò molto colpito dalla sua figura di politico audace e spregiudicato, che aspirava a costruirsi un vasto stato nell’Italia centrale, sino a dominare la stessa toscana. Nel Principe proprio la figura del Valentino viene assunta come esempio della virtù che deve possedere un principe. Nel 1512, quando i Medici tornarono a Firenze Machiavelli venne escluso dalla vita politica, che per 14 anni aveva costituito il suo principale interesse: fu per lui un colpo durissimo e si ritirò in una sorta di esilio forzato nel suo podere dell’Albergaccio, presso san Casciano. Nel febbraio 1513 fu sospettato di aver preso parte ad una congiura antimedicea, torturato e tenuto in prigione per 15 giorni e liberato in occasione dell’ascesa al pontificato di Giovanni de’ Medici (Leone X). Tornato nella sua villa, si dedicò agli studi tenendo però i contatti con la vita politica attraverso la corrispondenza con Francesco Vettori. Clemente VII, suo estimatore, gli revocò l'interdizione dai pubblici uffici e gli permise di tornare ad assumere incarichi politici e militari. Morì nel 1527, poco dopo la restaurazione della Repubblica.
Parole chiave nel pensiero politico
Teoria e prassi (ovvero la “verità effettuale”)
Le concezioni di Machiavelli scaturiscono dal rapporto diretto con la realtà storica, in cui egli è impegnato in prima persona grazie agli incarichi che ricopre nella repubblica fiorentina. Il suo pensiero si presenta così come una fusione di teoria e prassi: la teoria nasce dalla prassi e si risolve in essa. Alla base di tutta la riflessione di Machiavelli vi è la consapevolezza che l’Italia contemporanea sta attraversando una crisi politica, una crisi militare, e anche una crisi morale.
Per Machiavelli l’unica via d’uscita da una così straordinaria “gravità de’tempi” è un principe dalla straordinaria “virtù”, capace di organizzare le energie che potenzialmente ancora sussistono nelle genti italiane e di costruire uno Stato abbastanza forte da contrastare le mire espansionistiche degli Stati vicini. A quest’obiettivo storicamente concreto è indirizzata tutta la teorizzazione politica di Machiavelli, la quale perciò si riempie della passione di chi partecipa con calore ad un momento decisivo della storia del proprio paese.
Machiavelli elabora una teoria di cui aspirava una portata universale, fondata quindi su leggi valide in tutti i tempi e tutti i luoghi: queste leggi così si fondono e danno luogo a una vera e propria teoria scientifica.
Scienza politica
Machiavelli è stato indicato come il fondatore della moderna scienza politica. La teoria politica del Medioevo era subordinata all’etica, nel senso che il giudizio sull’operato di un politico era soggetto al criterio del bene o del male. Machiavelli rivendica invece con forza l’autonomia dell’azione politica: essa possiede delle proprie leggi specifiche, e l’agire degli uomini di Stato va studiato e valutato in base a tali leggi: occorre cioè, nell’analisi dell’operato di un principe, valutare esclusivamente se esso ha saputo raggiungere i fini che devono essere propri della politica, rafforzare e mantenere lo Stato, garantire il bene dei cittadini.
Machiavelli ha il coraggio di mettere in luce ciò che avviene realmente nella politica, non di delineare degli Stati ideali.
Oltre al campo autonomo su cui si applica la nuova scienza, Machiavelli ne delinea chiaramente il metodo. Esso ha il suo principio fondamentale nell’aderenza alla “verità effettuale”, come si è appena sentito, Machiavelli, proprio perché vuole agire sulla realtà, ne deve tenere conto, quindi per ogni costruzione teorica parte sempre dall’indagine sulla realtà concreta, verificabile, mai da verità universali e astratte. Solo mettendo insieme tutte le varie esperienze si può giungere a costruire principi generali.
L’esperienza per Machiavelli può essere di due tipi: quella diretta, ricavata dalla partecipazione personale alle vicende presenti, e quella ricavata dalla lettura degli autori antichi.
Alla base di questo modo di accostarsi alla storia vi è una concezione tipicamente naturalistica: Machiavelli è convinto che l’uomo sia un fenomeno di natura al pari di altri, e che quindi i suoi comportamenti non varino nel tempo. Per lui gli uomini “camminano sempre per vie battute da altri”, perciò propone il principio tipicamente rinascimentale dell’imitazione. Si augura che gli uomini di oggi guardino ai grandi esempi, li prendano a modello e si sforzino di riprodurli. Da questa visione naturalistica scaturisce la fiducia di Machiavelli in una teoria razionale dell’agire politico, che sappia individuare le leggi a cui i fatti politici rispondono necessariamente, e che si fonda su un'antropologia naturalistica.
Antropologia naturalistica
Machiavelli considera l'uomo come essere naturale e, in quanto tale, segue necessariamente delle leggi naturali costanti nel tempo, proprio come accade per gli eventi storici. Questa visione puramente naturalistica non è però nulla di positivo: egli, infatti, parte da una visione crudamente pessimistica dell’uomo come essere morale. Gli uomini per Machiavelli sono malvagi: egli non ne teorizza filosoficamente le cause, non indaga se lo siano per natura o in conseguenza di una colpa originaria da essi commessa, si limita a constatarne in modo empirco gli effetti nella realtà. In un passo famoso del Principe afferma che la molla che li spinge è l’interesse materiale ed egoistico, non sono i valori e i sentimenti disinteressati e nobili.
Agire politico assoluto
Le leggi della convivenza umana sono dure e spietate, perciò il principe non può seguire sempre l’ideale e la virtù: deve sapere anche essere “non buono”, dove lo richiedano le esigenze dello Stato, deve essere umano oppure feroce come una bestia, a seconda delle circostanze: per questo Machiavelli propone per il politico l’immagine del centauro, che è appunto mezzo uomo e mezza bestia.
L'agire politico ha inoltre valore assoluto in quanto esso,come già detto, viene analizzato nell'ambito della “scienza politica”,autonoma da qualsiasi altra ideologia: l'azione politica diviene una sorta di “fenomeno naturale”, analizzato così come si presenta nella realtà.
Dalla descrizione dell'agire politico, scaturisce un altra parola chiave:
Utilità o necessità
Egli sa bene che certi comportamenti del principe, come venir meno alla parola data o uccidere senza pietà i nemici, sono atti moralmente riprovevoli. Ma ha il coraggio di andare sino in fondo nella sua distinzione del giudizio politico da quella morale: questi comportamenti, che sono “malvagi” secondo la morale, sono “buoni”, cioè efficaci e produttivi, in politica, perché assicurano il bene dello Stato, e con esso anche il bene dei cittadini. Viceversa altri comportamenti, che sarebbero “buoni” moralmente, risultano “cattivi” in politica, perché indebolirebbero lo Stato e comprometterebbero la sua sicurezza. Machiavelli non “giustifica”, constata solo che certi comportamenti, buoni o cattivi che siano, sono indispensabili per conquistare e mantenere lo Stato. Non solo ma Machiavelli distingue tra “principi” e “tiranni”: principe è chi opera a vantaggio dello Stato, e, se usa metodi riprovevoli, lo fa per il bene pubblico; tiranno è chi è crudele senza necessità, e solo a suo vantaggio. Per il filosofo, dunque, l'unico fine dell'agire politico è l'utilità dell'azione, così come, all'inizio dell'opera, sottolinea la propria volontà che la sua opera sia utile.
Lo stato e il bene comune
Solo lo Stato può costituire un rimedio alla malvagità dell’uomo, al suo egoismo che disgregherebbe ogni comunità a causa delle spinte individualistiche contrapposte. La durezza e la violenza del principe devono sempre avere per fine questo bene comune, cioè la salvaguardia della convivenza civile dalle spinte egoistiche e dalla disgregazione: dunque il principe si eleva dall'egoismo individuale combattendolo con forza e astuzia al fine di attuare i valori comuni della società. Per mantenere lo Stato sono indispensabili certe virtù civili, l’amore di patria, l’amore per la libertà, la solidarietà, l’onestà, che costituiscono il cemento del vivere collettivo. Ma per radicare tali virtù sono necessarie precise istituzioni: la religione, le leggi, le milizie. A Machiavelli non interessa, nella prospettiva politica, la religione nella sua dimensione concettuale, in quanto contenuto di verità, né nella sua dimensione spirituale, come garanzia di salvezza, ma solo come instrumentum regni, come strumento di governo. La religione “scende dall'alto, saviamente ammaestrando gli animi e raffermandoli nell'adempimento dei loro doveri civili”. Questa era la funzione rivestita dal paganesimo dei Romani che indiceva alla forza virile, al coraggio, allo sprezzo del pericolo. In un capitolo famoso dei “Discorsi” rimprovera invece alla religione cristiana di aver avuto un’influenza negativa, inducendo gli uomini alla contemplazione e alla rassegnazione, a svalutare le cose del mondo per guardare solo al cielo. In secondo luogo, in ogni Stato ben ordinato sono le buone leggi il fondamento del vivere civile, perché disciplinano il comportamento dei cittadini, li indirizzano a fini superiori. Infine la forza militare è assolutamente essenziale per la solidità dello Stato sia interna che esterna. Esse devono essere composte di cittadini, perché solo così si possono avere truppe fedeli e valorose.
Conflitto
Le relazioni tra i vari Stati, sono concepite da Machiavelli in maniera fortemente conflittuale e la guerra, come qualsiasi altra azione politica, non è né giusta né sbagliata, perché l'unica guerra da combattere è quella necessaria, e la forza militare è fondamentale a questo proposito.
Stato misto
La forma di governo che meglio risponde a quest’idea di Stato ordinato e sicuro è quella repubblicana, alla base di uno stato misto che sappia saggiamente equilibrare le varie spinte individualistiche con i necessari pesi e contrappesi. Questo Stato presenta una gerarchia di classi sociali e un forte potere centrale: ottimi esempi per comprenderne la struttura sono stati forniti da Sparta e dalla repubblica romana.
Ad ogni modo, Machiavelli manifesta semplicemente la sua preferenza, senza spingersi in una accurata descrizione dello stato-modello in quanto è alla verità effettuale che l'uomo deve volgere lo sguardo. Infatti, per la situazione che l’Italia sta vivendo, il principato si presenta come l'unica soluzione per costruire uno stato sufficientemente saldo.
Virtù e fortuna
Si delineano così due concezioni della “virtù”: la virtù politica del singolo, del politico-eroe, che brilla nei momenti d’eccezionale gravità, e la virtù civile del buon cittadino, che opera entro le stabili istituzioni dello Stato, e che non è meno eroica della prima. Ma Machiavelli sa bene che l’uomo nel suo agire ha precisi limiti, e deve fare i conti con una serie di fattori a lui esterni, che non dipendono dalla sua volontà. Questi limiti assumono il volto incostante della fortuna. È questo un altro grande tema della civiltà umanistico – rinascimentale, che fa anch’esso la sua comparsa sin da Boccaccio. Dalla tradizione umanistica Machiavelli eredita la convinzione che l’uomo può fronteggiare vittoriosamente la fortuna. Egli ritiene che essa sia arbitra solo della metà delle cose umane, e lasci regolare l’altra metà agli uomini. Vi sono per Machiavelli vari modi in cui l’uomo può contrapporsi con felice esito alla fortuna. In primo luogo essa può costituire l’“occasione” del suo agire, la “materia” su cui egli può imprimere la “forma” da lui voluta. La “virtù” del singolo e l’“occasione” s’implicano a vicenda. In secondo luogo la “virtù” umana s’impone alla fortuna attraverso la capacità di previsione, attraverso la costruzione degli “argini”contro lo straripamento del fiume,come evidenzia Machiavelli in una famosa metafora di virtù e fortuna in un passo del Principe.
La “virtù” di cui parla Machiavelli è quindi un complesso di varie qualità:l'agire per il bene comune, il sapersi adattare ai vari casi concreti e particolari, prevedendo i comportamenti degli avversari e gli sviluppi delle situazioni, l'essere in grado di dimostrarsi “buoni” e “non buoni” a seconda delle necessità. La virtù del politico è quindi una sintesi di doti intellettuali e pratiche, che conferma come nel pensiero Machiavelliano teoria e prassi non vadano mai separate. Una qualità ulteriore del principe deve essere quella della simulazione e dissimulazione.
Simulazione e dissimulazione
Un buon principe deve essere in grado di simulare e dissimulare, ovvero deve riuscire ad ingannare gli altri facendo finta di pensare e voler fare qualcosa che in realtà non si ha intenzione di fare e, quindi, nascondere i veri propositi. Non importa quindi come chi governa sia in realtà, ma come si presenta e agisce; fondamentale tecnica, questa, se si vuole ottenere il consenso.
Forza e consenso
Nello stesso rapporto che vi è tra virtù e fortuna, ritroviamo la forza e il consenso: la fondamentale e reciproca complementarietà dei ruoli di questi due elementi, fa sì che senza la forza il consenso si riveli mutevole, e che senza il consenso la forza sia futile.
Contestualizzazione storica
Cos'ha Machiavelli del pensiero Umanista e Rinascimentale?Come si collega la sua opera alla situazione storica?
Machiavelli, da bravo umanista, attinge dai libri antichi, ma soprattutto dagli antichi esempi: punto fondamentale, questo, poiché è ciò a cui bisogna ispirarsi, è quindi da qui che parte il principio dell'imitazione. Tipicamente umanista è anche la convinzione che esistono leggi generali e costanti, la visione laica dell'agire politico, l'idea di fortuna e l'impostazione scientifica del discorso, rigoroso ed empiricamente fondato. Inoltre l'opera è storicamente contestualizzata in quanto è addirittura volta a ristabilire l'ordine e la pace in un'Italia frammentata e debole come quella del Cinquecento.

Giovanni Botero
La vita in sintesi
Giovanni Botero nacque vicino Cuneo nel 1544. Entrò giovanissimo nella Compagnia di Gesù, ma poi, poiché gli fu più volte negata la professione dei voti (forse a causa della sua personalità complessa e controversa), chiese di esserne escluso. Fu poi segretario di Carlo Borromeo per circa quindici anni; morto quest'ultimo stette alle dipendenze del duca di Savoia, Carlo Emanuele I e divenne consigliere di Federico Borromeo. Morì nel giugno del 1617.
Parole chiave nel pensiero politico
Ragion di stato cattolica
Centrale nel pensiero di Botero è la “ragion di stato cattolica”, che rispecchia la sua volontà di riportare la politica all'interno di una sfera propriamente cattolica. Secondo lui, infatti, all'azione politica doveva essere garantita un'azione morale, che spingesse il politico ad operare seguendo principi morali e non personali: il governante deve comunque elevarsi al di sopra dell'egoismo individuale dei cittadini ed operare esclusivamente per il bene comune. In quest'ultimo concetto ritroviamo un po' l'idea machiavelliana, perché, per quanto Botero possa essere considerato l'”anti-machiavelli”, non rinuncia ad alcune caratteristiche dell'arte del governo riscontrabili nel principe machiavelliano. In effetti, Botero sembra essere guidato nel suo pensiero da due diverse tendenze: da un lato, egli subordina nettamente lo Stato alla Chiesa cattolica, dall'altro riconosce la primaria importanza della politica. In questa apparente contraddizione, si riscontra l'originalità e allo stesso tempo il conformismo di Botero e in particolare della sua opera più importante: il “Della ragion di stato”.
Conformismo e originalità
La riflessione di Botero cade nel conformismo allorché accetta perfettamente la teoria della Controriforma, ma allo stesso tempo spicca sulle altre la sua originalità nella considerazione data al reale, al concreto, al mondano, ai dati geografici. Egli, da bravo osservatore, si sofferma sui singoli Stati effettivamente esistenti, sulle province e città, analizzandone commerci, guerre, economia.
Virtù
Il principe di Botero doveva essere il modello per i sudditi, doveva eccellere in ogni virtù, perché facilmente ci si sottomette a chi è superiore, difficilmente a chi è pari o addirittura inferiore. Il principe deve perciò possedere le seguenti virtù: prudenza (nell'essere sempre al di sopra delle parti), giustizia (nei confronti dei sudditi per mantenerli e difenderli), liberalità(deve saper dare ai suoi sudditi, in particolare alla plebe), valore(deve essere un ottimo condottiero).
Contestualizzazione storica
Cos'ha Botero del pensiero della sua epoca a cavallo tra Cinquecento e Seicento?Come si collega la sua opera alla situazione storica?
Innanzitutto l'adesione alla Controriforma della Chiesa, di cui accetta ogni parte, in particolare l'avversione all'eresia, considerata un pericolo per lo Stato, poiché chi cambia religione lo fa per interesse personale, e ciò danneggia il bene comune. Inoltre a quei tempi si discuteva molto dell'opera di Machiavelli: c'era chi lo lodava come grande filosofo, chi lo riteneva addirittura un “diavolo” per la sua immoralità. Botero si pose come “mediatore” tra queste due tendenze, in quanto, pur riconoscendo la necessità di una morale che controllasse la politica, volle creare una figura di principe migliore di quella machiavelliana, dimostrando comunque che l'arte di prendere e conservare il potere poteva essere compatibile anche con la morale cattolica. In questo sta la differenza tra questi due pensatori: per Machiavelli l'autonomia della scienza politica comportava la subordinazione della Chiesa, che era instrumentum regni, per l'altro lo Stato diventa instrumentum ecclesiae. Dall'autore del “Principe”, egli riprende anche degli aspetti dell'utilizzo della forza, poiché ne ritiene necessario l'utilizzo in caso di disobbedienza e rivolta del popolo, ed anche della visione del governante, che deve essere temuto più che amato.
Per quanto riguarda la contestualizzazione storica, Botero ricorre spesso ad esempi storici ed anche attuali: parla della Francia del suo tempo rovinata dalle lotte interne, della Spagna che è riuscita invece a trovare la pace interna grazie alle guerre condotte all'estero, loda Milano per le opere di bonifica e così via.

Filosofi al confronto: le soluzioni ai vari problemi
Quesito
Machiavelli
Botero
Qual è la giustificazione ultima per l’esistenza di una qualsiasi forma di governo?
Libertà, stabilità e sicurezza dello stato.
Mantenere i popoli nell'ordine cattolico.
In base a cosa vi è la legittimazione del potere?
In base al possesso di fatto: Machiavelli esclude qualsiasi legittimazione per discendenza o elezione.
C'è rapporto tra morale e politica?
La politica è autonoma da qualsiasi ideologia.
La politica trova nella morale un apparato ideologico.
L'azione politica ha principi e /o fini?
Ha un fine: l'utilità.
Ha dei principi:sono quelli etico-religiosi.
Conta più lo stato o l'individuo?
Lo stato.
Lo stato.
Qual è la migliore forma di governo?
Lo stato misto repubblicano.
La politica è affidata alle istituzioni o al/ai governante/i?
Al governante.
Al governante.
Qual è il rapporto tra Chiesa e Stato?
la Chiesa è instrumentum regni.
lo Stato è instrumentum ecclesiae.
Che caratteristiche deve avere il politico o il principe?
Deve avere virtù, ovvero deve agire per il bene comune, saper cogliere l'occasione, sapersi adattare ad ogni circostanza, saper essere uomo e bestia, “buono e “non buono”,saper dissimulare e simulare.
Prudenza, giustizia, liberalità, valore.
La Filosofia politica deve concentrarsi su realismo od utopia?
Sul realismo.
Sul realismo.

Thomas More
La vita in sintesi
Thomas More, italianizzato in Tommaso Moro, nacque a Londra nel 1478. Entrato nella corte di Enrico VIII, venne nominato cavaliere e divenne poi un illustre avvocato e giudice, anche se della sua attività forense non ci siano pervenuti documenti. Iniziò i suoi studi da vero e proprio umanista, e fu grande amico di Erasmo da Rotterdam. Si guadagnò il titolo di “difensore della fede” in seguito alla partecipazione alla stesura de “La difesa dei sette sacramenti”, una polemica contro la dottrina protestante. Moro, infatti, fu un grande sostenitore della Chiesa, sia per quanto riguarda il suo potere spirituale, sia per quello temporale, e si impegnò nella caccia agli eretici. Il rapporto con il re fu sereno fin quando Enrico non chiese il divorzio e la possibilità di risposarsi al papa, desiderio unito alla volontà di sottomettere il clero al potere regale. Tommaso Moro rifiutò di prestare giuramento al re ripudiando "ogni autorità straniera, principe, o potentato" , e così nel 1535 fu giustiziato.
Le opere di filosofia politica scritte da Moro, sono perlopiù basate sul desiderio di rappresentare la massima forma di governo che sarebbe stato possibile raggiungere: è coinvolto in una discussione che porterà alla definizione dei caratteri generali dello stato ideale.
Parole chiave nel pensiero politico
Utopia
Importantissima opera è l'Utopia, scritta tra il 1515 e il 1516, divisa in due libri, critica e progetto sotto la forma di un dialogo tra tre personaggi: Moro, Pietro Gilles e Raffaele Itlodeo, un compagno di Amerigo Vespucci con cui ha esplorato regioni lontane, tra cui Utopia, lo stato perfetto. Il termine “utopia” fu coniato da Moro stesso,che l'ha dal greco antico, e significa letteralmente "luogo inesistente", oppure "luogo bellissimo": in effetti la descrizione dello stato perfetto assume spesso i connotati del luogo irreale, l'isola che non ha luogo. Tutti i personaggi, tutte le cose sono ironicamente contrassegnate dalla privazione o dalla lontananza: Ademo il re, che non ha popolo; Anidro il fiume di questa terra, senz'acqua; Alxopoliti, gli abitanti senza terra e senza patria; Amauroto la capitale, città ignota ed oscura.
Quest'opera ha avuto molteplici e contrastanti interpretazioni, a partire da Adriani, che l'ha considerata il segno della crisi del cristianesimo, in quanto esso viene conformato con la religione naturale. Hexter l'ha vista come la descrizione dello stato ideale per un umanista cristiano, Ruyer come una revisione di Platone. Gibbins, invece, la interpreta come simbolo di un platonismo cristiano. Alcuni storici vedono in Utopia il socialismo scientifico, altri le aspirazioni della borghesia in ascesa. Dalle numerose interpretazioni, scaturisce la complessità dell'opera di Moro, egli stesso complicato nell'attaccamento al passato, nella fedeltà alla Chiesa, al presente, nell'importanza data ai dati e ai problemi d'attualità, al futuro, nella sua visione umanistica.
Critica economica e sociale
Il primo libro è tutta una critica alla società inglese agli inizi del Cinquecento, presentata sotto le vesti del dialogo tra Moro stesso e gli altri due personaggi sopra nominati, Pietro e Raffaele. E' un'analisi spietata dei problemi sociali ed economici, quasi scientifica, da cui emerge una situazione drammatica: inutili guerre che impoveriscono lo Stato, frati oziosi, nobiltà parassitaria e una classe povera fortemente dipendente dalla nobiltà che la costringeva a mendicare e a fare lavori pesanti, retribuiti miseramente. Inoltre More critica i lati negativi della proprietà privata e la netta distinzione che essa creava tra classi. La posizione di More riguardo la pena di morte e il fatto che, con questa, fossero puniti anche i ladri che erano in molti casi costretti a rubare per necessità è resa molto bene dalle parole di Raffaele Itlodeo: “Non meravigliarti, poiché quella punizione non fa giustizia, né può essere utile al bene pubblico: è troppo atroce per una colpa come quella e inutile per scoraggiare chi ruba. Il furto è un reato troppo poco grave per essere punito con la pena di morte, ma non c’è pena abbastanza orribile per impedire di rubare a chi non ha altro mezzo di sussistenza…’’ed inoltre ‘’…è ingiusto che una perdita di denaro possa causare la perdita di una vita. Sono convinto infatti che non tutta la ricchezza del mondo non valga la vita d’un uomo”.
Fortemente criticata da Moro è la spinta data dal governo britannico all'allevamento di pecore per la produzione laniera a discapito dell'agricoltura, in modo particolare della cultura di cereali. A quel tempo, poiché era aumentata la domanda di lana a livello europeo, si manifestò anche un aumento del costo del prodotto, con la conseguenza che l'allevamento ovino divenne un'attività piuttosto redditizia. I grandi proprietari cominciarono perciò a recintare i pascoli impedendone l’uso comunitario permesso dalle regole del feudalesimo e cacciando qualsiasi contadino. Fu un colpo fatale per la classe dei poveri contadini, che furono costretti ad abbandonare le campagne per mendicare nelle città.
Isolamento
Il secondo libro è completamente diverso dal primo, perchè si sposta da una dimensione reale come quella dell'Inghilterra cinquecentesca ad una dimensione astratta come quella del ”luogo che non esiste”, descritto da Raffaele, ovvero presenta la soluzione dopo aver esposto il problema.
Gli abitanti di Utopia si sono isolati dal resto del mondo mentalmente, economicamente e geograficamente. Infatti tutto ciò che è straniero è visto con molta diffidenza, con lo stesso occhio si guarda lo scambio culturale e commerciale; Utopia, in origine una penisola, è stata trasformata in isola attraverso la costruzione di un canale e sono presenti addirittura barriere naturali che impediscono o perlomeno ostacolano il passaggio da e verso la “regione della felicità”, quasi come se anche la natura si fosse piegata a questa volontà degli abitanti di isolarsi.
Simmetria e geometrizzazione delle città
A Utopia sono presenti cinquantaquattro città tutte identiche tra loro, all'interno delle quali lo spazio è stato strutturato seguendo regole e schemi ben precisi, come la posizione del mercato, che è al centro della città, o quella degli ospedali, situati nelle periferie in modo tale da assicurare la tranquillità ai pazienti e da tenere gli altri abitanti al sicuro da eventuali epidemie. La vita è perfettamente pianificata, e ben organizzata è anche la suddivisione della popolazione in famiglie e il metodo di governo.
Governo e leggi semplicistiche
La popolazione è divisa in famiglie formate da non più di quaranta membri, e con un assetto patriarcale secondo il quale gli anziani assicurano la disciplina all'interno delle proprie famiglie. Per ogni trenta famiglie vi è un filarco, un magistrato che viene eletto ogni anno, ogni dieci filarchi si elegge un magistrato superiore, detto protofilarco, il quale insieme a tutti gli altri colleghi elegge un principe segretamente. Le decisioni più importanti vengono prese dai protofilarchi in un consiglio ogni tre giorni. Due protofilarchi a rotazione vengono accolti in Senato. Il potere di questi magistrati, però, è piuttosto limitato per quanto riguarda la sfera politica, poiché l'azione del governo è incentrata su questioni puramente produttive. Le leggi sono presenti in numero esiguo e tendono ad essere piuttosto semplici, in modo da poter evitare la presenza di legislatori.
Comunismo
In Utopia è fondamentale l'uguaglianza sociale, e a questo proposito è eliminata la proprietà privata: in tal maniera nessuno possiede, ma tutti posseggono. Ogni cittadino, senza alcuna distinzione (neppure di sesso) lavora solo sei ore al giorno, e il resto della giornata po' essere dedicato alle attività che più si preferiscono, dal divertimento alla lettura al disegno. L'occupazione fondamentale dei cittadini di Utopia è l'agricoltura alla quale si dedicano a turni tutti i componenti delle varie famiglie in modo che nessuno si dedichi sempre ad un lavoro pesante e tutti sono controllati dagli sifogranti che vigilano affinché nessuno sia ozioso. Gli abitanti esonerati dal lavoro manuale sono pochissimi, come ad esempio coloro che si occupano della ricerca scientifica. Il lavoro svolto è solo quello sufficiente per i bisogni strettamente necessari della città, dal momento che il superfluo è disprezzato, non esiste lusso, né viene data importanza a oro e argento. I beni sono equamente suddivisi tra i cittadini, che si accontentano di quel poco a disposizione: la loro è una vita semplice e felice.
Pace
Eliminata la proprietà privata, gli abitanti di Utopia sono un popolo assolutamente pacifico, perché non sono soggetti all'invidia e alla competizione. Non esiste un esercito perché la guerra viene concepita solo nel caso in cui ci sia la necessità di difendere le proprie terre, mentre è disprezzata la guerra per la conquista di altre regioni.
Tolleranza
La tolleranza religiosa è una caratteristica peculiare di Utopia, anche se viene venerato un dio comune a tutti, unico e superiore che rappresenta il divino. Un principio rivoluzionario, visti i tempi, che pone in questione l’assolutezza dello stesso cristianesimo. Agli abitanti è concesso credere in qualsiasi religione,e si condanna solo l'intolleranza di chi minaccia gli appartenenti ad un altro credo religioso. L'unica limitazione sta nel fatto che le dottrine che non credono nell'immortalità dell'anima e nella provvidenza divina non possono essere diffuse.
Fiducia nella scienza
Anche se la società di Utopia è prettamente agricola, Moro non rinuncia ad aggiungervi la ricerca scientifica. La fiducia che l'inglese ripone nelle scienze è palese in vari passi dell'opera: primo, sono considerate parte dell'atteggiamento religioso, in quanto Dio non rifiuta la curiosità dell'uomo nei confronti del suo creato,ma anzi la approva, secondo, permettono il progresso sociale, terzo, i ricercatori sono esentati dal lavoro manuale e qualunque scienziato, anche se straniero, viene accolto con calore.
Lo stesso rapporto esistente tra progresso scientifico e progresso sociale fa sì che le scienze si rivolgano a ricerche più pratiche che teoriche, dando impulso allo studio del “modus operandi” dell'universo. Effettivamente, gli utopi sono esperti di astronomia, mentre non sono affatto nteressati dall'astrologia.

Contestualizzazione storica
Cos'ha Moro del pensiero umanista e rinascimentale?Come si collega la sua opera alla situazione storica?
Innanzitutto, nel primo libro di “Utopia” l'analisi critica dei mali del suo paese è dettagliata e rigorosa ed ha il tipico taglio scientifico di un razionale discorso umanista. Inoltre, nell'opera è chiarissima l'influenza che hanno avuto su di lui i viaggi e le scoperte geografiche del tempo ed in effetti, ciò è visibile anche in una dimensione propriamente esteriore poiché la descrizione della società degli utopi è presentata sotto forma di racconto marinaresco. Ed ancora, da bravo umanista, Moro attinge dai classici, in particolare da Platone (l'idea del comunismo aristocratico era già presente nella Repubblica): nel Rinascimento, il neoplatonismo aveva avuto larga approvazione. Infine, per ben comprendere la contestualizzazione storica di Thomas More, è sufficiente aver presente la prima parte della sua opera più importante.

Tommaso Campanella
La vita in sintesi
Nato a Stilo, in provincia di Reggio Calabria, Campanella era figlio di un calzolaio povero, prese gli Ordini Domenicani non ancora quindicenne, studiò teologia e filosofia con diversi maestri.
Ben presto fu attratto dal pensiero di Telesio che gli insegnò che la conoscenza è sensazione e che tutte le cose naturali ne possedevano. A Napoli venne in contatto con l'astrologia; i riferimenti astrologici infatti sarebbero diventati una caratteristica costante nei suoi scritti.
Le concezioni non ortodosse di Campanella - specialmente in contrasto con l'autorità di Aristotele - lo portarono in conflitto con la Chiesa. Denunciato all'Inquisizione, fu confinato in un convento.
Dopo la sua liberazione si fece portatore di una cospirazione contro il potere spagnolo il cui scopo era quello di formare una società basata sulla comunità dei beni e delle mogli, poiché, sulle basi di alcune profezie era stato predetto l'avvento di una catastrofe che avrebbe rinnovato il mondo dello spirito nell'anno 1600. Tradito da due compagni cospiratori, fu preso ed incarcerato a Napoli. Fingendo problemi mentali riuscì a fuggire la pena di morte, ma fu condannato all'ergastolo:durante la prigionia scrisse le sue opere più importanti. Fu liberato definitivamente nel 1629 grazie all'intervento del papa.
Nel 1634 però, una nuova cospirazione in Calabria, portata avanti da uno dei suoi seguaci, gli procurò nuovi problemi. Con l'aiuto di un cardinale e di un ambasciatore francese, fuggì in Francia, dove fu benevolmente ricevuto alla corte di Luigi XIII. Passò il resto dei suoi giorni al convento parigino di Saint-Honoré, fino alla sua morte, nel 1639.
Parole chiave nel pensiero politico
Politica teologica
Campanella è convinto che ci sia bisogno di porre fine ai conflitti religiosi, e, per raggiungere tale obiettivo, non ritiene necessaria la tolleranza religiosa, bensì propone un rinnovamento del cattolicesimo, che andrà poi a costituire l'unica vera religione. Infatti egli ritiene che la rivelazione cristiana sia l'unica che coincide con il pensiero razionale di cui Dio ha dotato l'uomo, ed è per questo che chi segue le leggi della ragione, segue anche in consapevolmente la dottrina cristiana: è quanto avviene nella città del Sole, dove gli abitanti, pur non essendolo dichiaratamente, in effetti sono dei cristiani veri e propri che mancano solo dei sacramenti.
L'intenzione di Campanella, dunque, è quella di creare uno stato alle dipendenze del re-sacerdote, il papa, ovvero sogna una teocrazia universale. Questa aspirazione ad una politica teologica è senza dubbio il risultato di due diversi tipi di pensiero: la prima è quella umanistico-rinascimentale della razionalità delle religioni, l'altra è quella medievale, che teorizzava la supremazia della Chiesa.
Come già accennato, la politica teologica di Campanella non prenderà forma nella realtà, ma in una sua opera scritta in carcere: “La città del sole”. E' un dialogo poetico (fortemente condizionato dalla “Repubblica” di Platone) tra due personaggi: l’Ospitalario, cavaliere dell’ordine di Malta, e il Genovese, nocchiero di Colombo. Quest’ultimo racconta di aver girato il mondo scoprendo nell’isola di Taprobana, una città ideale per leggi e costumi.
La città utopica immaginata dall’autore è infatti retta da un re-Sacerdote, chiamato appunto Sole (o Metafisico). Detiene assoluto potere spirituale e temporale. I requisiti fondamentali di questo governatore devono essere: erudizione, saggezza, conoscenza (sia dal punto di vista teorico che pratico), creatività e vena artistica. Deve avere più di trentacinque anni perché abbia l’esperienza necessaria a condurre lo stato. Anche in questo testo, come si ritrova nella dottrina, il filosofo è la figura più adatta a governare, in virtù della sua saggezza e della ricerca della conoscenza. È assistito da tre Prìncipi: Pon, Sin, Mor; rispettivamente: Potestà Sapienza ed Amore. Il primo si occupa delle arti militari, il secondo delle scienze e dell’istruzione (anche della religione), il terzo dell’accoppiamento e dell’eugenetica.
Simmetria e geometrizzazione della città
La città è divisa in sette grandi gironi con i nomi dei pianeti, attraversati da quattro strade e porte, una per ogni punto cardinale. È inespugnabile. In ogni girone sono rappresentati o conservati importanti reperti per lo studio.
Comunismo dei beni e delle donne - Eugenetica
Uno dei fondamenti della Città del Sole è la comunanza dei beni, i solari dividono la stessa mensa e vestono gli stessi costumi, ognuno ha pari opportunità e riceve eguale educazione da infante: come nella “Repubblica” di Platone, l’abolizione della proprietà privata è alla base dell’uguaglianza tra le persone a prescindere dalla discendenza o dalla stirpe.
Anche le donne sono in comune, e gli accoppiamenti sono gestiti e diretti da Mor, il quale tiene in considerazione principalmente l’equilibrio necessario (“…e non si accoppiano se non le femine grandi e belle alli grandi e virtuosi, le grasse a’macri, e le macre alli grassi, per far temperie.”), ma anche l’interpretazione degli astri ed il consiglio medico. Nessuna femmina si concede prima dei diciannove anni e nessun maschio prima dei ventuno, per gli uomini il rapporto sessuale è lecito solo con donne sterili o gravide, in modo che la prolificazione sia sempre controllata. I bambini crescono assieme, e come nella Repubblica di Platone, non conoscono i genitori. Nelle visioni utopistiche della società, l’eugenetica è quindi un tema presente, che però evidenzia come l’estremizzazione esasperata di qualsiasi concezione immaginaria dell’organizzazione sociale perfetta porti comunque ad una “disumanizzazione” dell’individuo.
Uguaglianza sociale
Mentre nel libro del filosofo greco, la società era differenziata in classi d’appartenenza, artigiani, difensori e governanti, con diverso peso e riconoscimento, Campanella vede una città più egualitaria, con organi elettivi, nella quale ognuno è abile ed adatto ad un mestiere, un’arte o un impiego, compatibilmente con l’età, il sesso e la predisposizione individuale; nonostante questo è forte e ben radicata l’idea razzista.
Religione Razionale
L’elemento caratterizzante è dato dalla religione, che, in questa città, è una religione naturale, razionale, che però si identifica con i dogmi della religione cattolica, per cui i solari credono spontaneamente in un Dio uno e trino e in tutti gli altri dogmi della religione cattolica. Il testo è ricco di nozioni astronomiche ed astrologiche, il culto è molto simile ad uno precristiano, arricchito dai sette sacramenti. È ancora forte la convinzione dell’immortalità dell’anima, utile anche per esorcizzare la paura della morte (se ne parla a proposito della guerra) ed incentivare gli atti eroici e le prodezze individuali.
Educazione
Campanella ritiene che gli abitanti della Città del Sole debbano tutti lavorare sia manualmente che intellettualmente in modo da poter garantire a tutti il tempo di potersi dedicare alle attività intellettuali. Valorizza le arti pratiche quanto quelle liberali. Dimostra che si può lavorare quattro ore al giorno e per il resto del tempo dedicarsi all’ “imparare giocando”, cioè all’approfondire delle esperienze intellettuali in modo da recarsi piacere. Su questo imparare giocando è formata la sua pedagogia. Per lui i bambini devono essere condotti dai maestri lungo le sette mura che circondano la città istoriate in modo da costituire il libro di testo su cui devono essere formati, vengono addestrati visivamente e direttamente ad un sapere enciclopedico. La scuola non si deve svolgere in ambiente chiuso perché l’istruzione non deve essere una costrizione. In questo modo, l’autore fa emergere la posizione che assume nei confronti della rigidità e della pesantezza della scuole basate sul modello scolastico-aristotelico.
Scienza e magia
Fondamentale nella città del Sole è l'astrologia, ma è abbastanza forte anche la presenza delle scienze naturali, infatti nell'elenco delle scienze sono presenti entrambe e allo stesso modo. Campanella idealizza la stesura di una sorta di enciclopedia, contenete tutte le conoscenze, da far leggere a tutto il popolo.
Contestualizzazione storica
Cos'ha Campanella del pensiero umanista e rinascimentale? Come si collega la sua opera alla situazione storica?
Campanella, come More, riprende sicuramente da Platone: era tipica dei rinascimentali la conoscenza dei filosofi classici, e in particolare di Aristotele(le cui teorie erano criticate da Campanella) e Platone. Come molti dei suoi contemporanei, egli credeva nell'astrologia e nella magia.
Per quanto riguarda il contesto storico in cui possiamo collocare “La città del Sole”, possiamo dire che:le regole della generazione controllata sono evidentemente un riflesso dell'eccessiva prolificazione nella miseria e negli stenti economici della popolazione meridionale; e allo stesso modo le concezioni egualitarie e comunitarie sono il riflesso dell'ancora presente organizzazione feudale, che genera forti miserie al confronto con prepotenti e grandi ricchezze. Inoltre, emerge la critica contro la rigida educazione di stampo aristotelico e, nella volontà di dare un'educazione resa in modo semplice, per immagine, è celata la critica all'ignoranza in cui la gente del sud della penisola italiana era volontariamente lasciata dalla presenza spagnola.

Filosofi al confronto: le soluzioni ai vari problemi

Quesito
Moro
Campanella
Qual è la giustificazione ultima per l’esistenza di una qualsiasi forma di governo?
L'uguaglianza degli uomini, il raggiungimento del piacere (inteso come felicità).
Il seguire le leggi razionali, quindi cristiane.
In base a cosa vi è la legittimazione del potere?
I magistrati sono eletti, ma in realtà non posseggono dei veri e propri poteri politici.
In base al “sapere”: il governo è retto dal filosofo.
L'azione politica ha principi e /o fini?
I fini sono il bene comune, l'uguaglianza, la felicità e la pace.
Ha dei principi razionali che corrispondono con quelli cristiani.
Conta più lo stato o l'individuo?
Lo Stato.
Lo Stato.
Qual è la migliore forma di governo?
Lo Stato comunista.
La Repubblica teocratica.
La politica è affidata alle istituzioni o al governante?
Alle istituzioni, ma il potere loro affidato è molto tenue.
In primo luogo al governante, il re-sacerdote, poi anche ai filosofi.
Qual è il rapporto tra Chiesa e Stato?O comunque qual è il ruolo della religione nella società?
La religione serve ad integrare le conoscenze, perchè l'uomo da solo non è in grado di giungere alla felicità. Nessuna religione viene imposta.
Potere temporale e potere spirituale sono uniti in un solo re-sacerdote.
La Filosofia politica deve concentrarsi su realismo od utopia?
Utopia.
Utopia.

Conclusione personale
Non trovo che la città idealizzata da Campanella possa essere considerata come uno stato perfetto, in quanto imperfetto il fondamento: l'unione di potere spirituale e potere temporale in un unico organo o addirittura persona non è accettabile in nessuno stato secondo me. Inoltre è eccessivo l'affidamento all'astrologia, poco conforme con quel razionalismo tanto auspicato dal filosofo, poiché è più un richiamo alle superstizioni e credenze cabalistiche medievali che ad un pensiero umanista. L'imposizione dell'eugenetica va in contraddizione con l'ideale di libertà e trasforma l'uomo in un essere quasi “meccanico”, conducendolo infine ad un conformismo, oltre che mentale, anche fisico.
La soluzione di Thomas More è secondo me più giusta se si considerano alcune caratteristiche delle città di Utopia, come la tolleranza religiosa (anche se comunque è limitata e limita anche la libertà di parola, negando la diffusione di dottrine non credenti nell'immortalità dell'anima), e l'assenza di un re.
Ad ogni modo, credo che la definizione di una società utopica sia inutile, dal momento che gli uomini imperfetti non potranno mai giungere alla costruzione dello stato perfetto, e, se pure esistessero uomini perfetti, questi non avrebbero alcun bisogno di regolarsi perché sarebbero già in grado di farlo da soli. E' vero anche che è importante avere un modello a cui ispirarsi, che ci sproni al miglioramento: tuttavia, dubito che il modello auspicato più giusto sia quello di una società totalmente uniformata all'interno, in cui ogni uomo ha perso la propria personalità, la propria originalità, una società conformista quindi,dove la critica è condannata, la famiglia sparita, dove ogni uomo è solo un “burattino uguale a tutti gli altri.
Il mondo non è bello perché è vario??

Fonti: Libri (Dialogos, i volti della letteratura,gli utopisti del 500 e del 600, La città del Sole-Campanella ), enciclopedia, Wikipedia http://it.wikipedia.org/, appunti.
La filosofia politica tra utopia e contrattualismo
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Esempio



  


  1. Ada

    Polis origine nella Grecia