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Categoria: | Filosofia |
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Testo
Stefano Dalle Molle Classe IV A Tc.
Il pensiero utopico dall’antichità al rinascimento
Solo nel Rinascimento, con l’opera di Tommaso Moro che il termine utopia entra nell’uso, ma è uno dei tanti generi letterari più antichi e che ricorrono spesso. Essa la possiamo trovare nel mondo classico sotto forma di evocazione poetica dell’età dell’oro oppure come una prospettiva ideale capace di condurre il cammino concreto dell’uomo.
Possiamo inoltre ritrovare l’utopia nelle concezioni millenaristiche che ripercorrono il Medioevo e acquista una precisa dignità letteraria e filosofica poi nel Rinascimento con un’insistente ricerca di una comunità governata da leggi giuste grazie alle quali l’individuo può avere una vita sicura, socialmente utile e spiritualmente serena.
Nel pensiero contemporaneo da un lato si sono accentuati l’aspetto della speranza innato nel concetto di utopia e la sua carica di critica sociale, dall’altro si sono sottolineati i rischi di totalitarismo sottesi a ogni progetto che voglia regolarmente con eccessiva precisione la vita umana.
Il percorso
L’utopia intesa come desiderio di andare oltre la realtà esistente è già presente nel mondo antico, specificandosi come ricerca di una legge ideale dalla quale fondare le istituzioni umane. Ad esempio Platone, che nella Repubblica ha sottolineato il modello di uno Stato che pur non esistendo in verità in nessun luogo sulla terra, è capace di rappresentare l’idea di giustizia che deve guidare la convivenza umana.
Così pure nella poesia il riferimento all’età dell’oro, ad esempio nelle Bucoliche di Virgilio, si manifesta come attesa di un rinnovamento completo del mondo, in grado di inaugurare un’età di pace e armonia.
Nel mondo medievale gli slanci utopici e le attese millenaristiche del ritorno di Cristo sulla terra appaiono strettamente intrecciati come ci è testimoniato dall’opera di Gioacchino da Fiore il quale annuncia l’imminente arrivo dell’età dello Spirito.
Il termine utopia è usato per la prima volta nel 1516 per designare l’isola che Raffaele Itoldeo, protagonista dell’opera di Tommaso Moro, ha conosciuto nel corso dei suoi viaggi. Il “luogo che non è in nessun luogo” è assunto come una sorta di esperimento mentale grazie al quale Moro può insieme muovere una dura critica alle condizioni economiche e civili dell’Inghilterra del tempo e ipotizzare le caratteristiche di una convivenza civile ordinata e prospera, in grado di permettere a tutti di attendere liberamente ai propri interessi.
Ben diverso è il clima che respira nella Città del Sole di Tommaso Campanella che appare caratterizzata da un’organizzazione che regola in modo attento tutti gli aspetti della vita degli individui. Animata dal desiderio di liberare l’uomo dalla sofferenza e dalla miseria e attraversata da un’ansia di rinnovamento politico e morale, l’opera campanelliana descrive una città caratterizzata da un’urbanistica razionale e ricca di rimandi astrologici, in cui il governo è in grado di garantire il benessere a tutti gli abitanti.
Per realizzare questo disegno l’accento viene posto sui momenti comunitari della vita associata, al prezzo però di sacrificare l’iniziativa individuale.
Tra le pagine dell’opera di Francesco Bacone l’utopia si caratterizza per l’unione di scienza e tecnica, con la delineazione di una società nella quale la tecnologia solleva l’uomo dalle necessità quotidiane e modifica il modo in cui egli si confronta con la natura. È agli scienziati che viene affidato il compito di rispondere alle domande sui limiti del sapere scientifico che il progresso tecnologico comporta.
Passando al pensiero novecentesco la riflessione sull’utopia continua ad occupare un posto rilevante, qui però si viene a creare un contrasto tra chi, come il filosofo Bloch e il teologo Moltmann, ritiene la speranza come la chiave per andare oltre la realtà esistente e rendere attuali le potenzialità di giustizia e chi, come Popper, ritiene che l’utopia comporti il rischio di un’organizzazione totalitaria della società.
Anche la narrativa di quest’epoca ha affrontato il tema dell’utopia dimostrando una sensazione di angoscia nei confronti di una società costituita dal rendere l’uomo schiavo nei confronti della tecnica e schiacciata dal predominio di ideologie che manipolano l’esistenza umana e tentano di cancellare perfino le stesse emozioni.
L’utopia nell’antichità
Nella Politica di Aristotele Ippodamo viene visto come uno dei primi pensatori utopici dell’epoca greca.
Ippodamo si espandeva inoltre sull’amministrazione della giustizia e sulla necessità di nominare i magistrati scegliendoli nell’ambito di tutte le tre classi dello Stato.
Alcuni tratti del pensiero di Ippodamo li possiamo trovare nella riflessione fatta da Platone, che nella Repubblica evidenzia una moltitudine di caratteri che poi successivamente sarebbero diventati tipici del pensiero utopico, infatti Platone tende la propria opera come un modello o progetto ideale a partire dal quale organizzare la situazione politica concreta.
Sempre secondo Platone il compito della filosofia è quello di evitare la frattura tra mondo ideale e mondo reale portando cosi gli uomini a sollevarsi nel sensibile per contemplare e realizzare ciò che è corretto, perciò il pensiero utopico ha la funzione di indicare all’uomo la pienezza di senso e il cammino per realizzarla.
Lo Stato ideale si presenta non come “non luogo” ma come pienezza dell’essere differenziandosi così dai vari concetti di utopia che troveremo nel Rinascimento.
Qui Platone continua affermando che secondo lui bisogna affidare ai filosofi il governo, in quanto loro riescono ad arrivare a ciò che sempre permane invariabilmente costante, ovvero alla verità del mondo delle idee che è eterna e sempre identica a sé.
Il mito poetico dell’età dell’oro
Se intendiamo l’utopia come la legge ideale possiamo parlare della celebrazione dell’età dell’oro che spesso possiamo ritrovare nella poesia greco – latina.
Ne sono un esempio l’ Ecloga IV delle Bucoliche di Virgilio, nella quale è cantato il ritorno dell’età dell’oro sulla terra.
Virgilio qui esprime una profonda ansia di rigenerazione, raffigurando una natura non più ostile all’uomo e il superamento della malvagità.
Qui però non sono indicate le condizioni politiche che renderanno possibile tutto questo: la descrizione insiste piuttosto sulla considerazione delle novità qualitative che interverranno nella vita di tutti i giorni, inoltre si ha la sottolineatura delle caratteristiche positive della nascente epoca che vale come critica degli aspetti artificiali e disumanizzati dell’età presente.
Il tema dell’età dell’oro lo ritroviamo anche nell’ Aminta di Torquato Tasso dove nella fine del primo atto il coro evoca le lodi all’età antica, ricordata e celebrata con nostalgia.
Il millenarismo medievale
Per tutto il Medioevo non si trovano opere utopiche nel senso esplicito del termine, perché l’escatologia cristiana assorbe in sé le aspirazioni verso un mondo di giustizia e di eguaglianza e insieme si propone come critica dei disordini e delle manchevolezze del tempo presente. La convinzione che la storia dell’umanità sia la storia del diffondersi del Regno di Dio sulla terra e delle difficoltà che tale sviluppo comporta per giungere al suo compimento alla fine dei tempi costituisce l’asse teologico che guida la visione storica dell’uomo medievale.
In questo periodo risultava però irrisolto il problema che riguardava la seconda avvenuta di Cristo, in questo modo si diffuse una nuova concezione chiamata chiliasmo o millenarismo, in cui si sosteneva che con la seconda avvenuta di Cristo si sarebbe celebrato il settimo e ultimo periodo della storia del mondo.
Nel 1100 l’abate calabrese Gioacchino da Fiore propone con i suoi scritti una riedizione della tradizione millenaristica ricca di potenti suggestioni di rinnovamento sociale sulla terra. Parla di un’imminente avvio di una “terza età”: all’età del Padre e a quella del Figlio sarebbe subentrata l’età dello Spirito il quale avrebbe liberato gli uomini dagli affanni e dalle contraddizioni dell’età presente.
Le pagine dell’opera di Gioacchino contengono una forte ansia di rivolgimento complessivo delle strutture della società e hanno un’indubbia funzione utopica, come indicazione di un futuro rinnovato e come critica di un presente che tradisce e ignora le promesse messianiche di giustizia, garantite dalla morte e risurrezione di Cristo.
Anche in questo caso si parla di utopia in un senso profondamente diverso da quello che sarà proprio nel Rinascimento: la prospettiva del regno dello Spirito è la pienezza a partire dalla quale si giudica l’oggi e manca l’idea che sia “ciò che non è” a far da traino a ciò che invece esiste.
Tommaso Moro: l’utopia della libertà
Nel 1516 viene pubblicato lo scritto di Tommaso Moro dal titolo Utopia nel quale un viaggiatore di nome Raffaele Itoldeo narra le caratteristiche di vita e di governo di una comunità situata su un’isola lontana retta da leggi e consuetudini molto diverse da quelle dei Paesi europei del tempo. Il titolo stesso dell’opera è stato assunto quale denominazione di un genere letterario che, come abbiamo gia visto, esisteva già prima di Moro e avrà anche in seguito grande fortuna, definendo in qualche modo una categoria dello spirito.
L’utilizzo di termini che portano alla irrealtà fanno si che questa opera sia una proposta politica non di immediata realizzabilità ma sembra additare una meta che valga come indicazione di un percorso possibile e come critica della situazione esistente, infatti all’interno delle pagine dell’opera di Moro viene descritta la vita concreta dell’Inghilterra di quell’epoca con le sue varie sfaccettature.
È da notare anche la divisione dell’opera in due libri: in uno Moro sviluppa la critica contro la situazione inglese di quel tempo, nell’altro invece descrive la vita nell’isola dell’utopia.
L’attività che caratterizza la società di Utopia è l’agricoltura, la vita sociale è retta da un limitato numero di leggi di facile interpretazione ed è strutturata in modo patriarcale, con magistrati eletti per gruppi di famiglie.
Infine il punto chiave di questa società è dato dall’assenza di proprietà privata: Moro descrive la vita libera e armonica degli Utopiani il quale, appunto, hanno abolito la proprietà privata. Tutti i cittadini sono uguali tra loro senza distinzione di censo e hanno un tenore di vita modesto.
Tommaso Campanella: l’utopia dell’ordine
La Città del Sole fu scritta da Tommaso Campanella nel 1602 dopo il fallimento della congiura che egli aveva organizzato contro il governo spagnolo nel 1599 e che avrebbe dovuto portare all’instaurazione di una repubblica teocratica. L’opera risente dell’attesa di una grande trasformazione che avrebbe dovuto vedere la luce grazie alla struttura dei nuovi Stati nazionali e si presenta on l’idealizzazione del programma della fallita insurrezione calabrese. Proprio questa ispirazione determina un’importante differenza tra la città campanelliana e le altre costruzioni utopiche rinascimentali, le quali, come mostra l’Utopia di Moro, erano abbastanza “esperimenti mentali” invece qui ci troviamo di fronte a una sorta di manifesto programmatico di una possibile iniziativa politica.
Questo scritto nel quale convergono attese messianiche ed elementi astrologici, fiducia nella razionalità umana e fede cristiana, vibrante aspirazione alla libertà e precisa regolamentazione di tutte le attività concrete, esprime le varie sfaccettature dell’animo di Campanella, che si sente investito dalla missione di liberare l’uomo dai mali che lo tormentano.
La Città del Sole si trova su un colle ed è distinta in sette gironi, ognuno dei quali ha il nome di un pianeta. Vi si può accedere attraverso quattro porte, ciascuna orientata verso un punto cardinale, da cui si dipartono quattro strade che intersecano i sette gironi. Alla sommità della città vi è un gran piano, saldamente fortificato, su cui sorge un tempio rotondo, senza muri intorno. Sull’altare è presente un mappamondo.
In questo tempio si venera in culto del cristianesimo, salvo i sacramenti.
Da notare sono le istituzioni dell’isola che appaiono come il riflesso dell’eterna armonia del cosmo e che ci aiutano a capire come Campanella si presenti insieme nelle vesti di riformatore politico e di riformatore religioso, intrecciando i due piani in modo non separabile: nella sua opera troviamo infatti sia il riferimento alla concreta situazione di vita del tempo, sia il rimando agli aspetti metafisici, religiosi e pure astrologici della sua filosofia.
A capo della Città del Sole c’è il Metafisico, il quale detiene nelle sue mani sia il potere spirituale che quello temporale ed è anche il primo astrologo dello Stato solare. Con lui cooperano tre principi chiamati Pon, Sin e Mor, cioè Politica, Sapienza e Amore, i quali si occupano delle questioni militari, della scienza, dell’educazione e dei precetti che occorre stabilire per la procreazione. I quattro supremi magistrati sono la personificazione delle forze e dei principi che regolano l’universo nella sua interezza e sono in grado di condurre gli abitanti della città a un rapporto propizio con il divino per consentire un’ottima qualità della vita.
L’isola tecnologica di Francesco Bacone
Pubblicata postuma nel 1627, la Nuova Atlantide è un’opera, ambientata nell’isola cui aveva fatto cenno Platone nel Crizia e che costituiva, con il suo fascino misterioso, un richiamo costante nel pensiero utopico e più in generale fantastico.
Caratteristica dell’opera è l’idea del dominio dell’uomo sulla natura tramite la tecnica. Il compito degli scienziati riuniti nella Casa di Salomone è non solo quello di studiare la natura, ma anche di tradurre le conoscenze in soluzioni tecniche.
Nell’opera vi è anche l’anticipazione di scoperte scientifiche che solo molti anni dopo troveranno conferma: possiamo ricordare la capacità di ritardare la vecchiaia, la modificazione dei caratteri somatici, il trapianto di una specie in un’altra, la fabbricazione di ricchi concimi per la terra, la produzione di nuove fibre per l’abbigliamento e di nuovi materiali come la carta e il vetro, la realizzazione di minerali e di cementi artificiali, imbarcazioni che possono navigare sott’acqua, strumenti che sono in gradi di riprodurre dei suoni e di trasmetterli e molte altre cose ancora.
Si distinguono due questioni irrisolte che emergono dalla riflessione baconiana: la prima riguarda la mancanza di riferimenti all’organizzazione politica dell’isola e questo può avere una duplice motivazione. In primis il fatto che l’opera è rimasta incompleta, inoltre si potrebbe anche pensare che vi sia un motivo di ordine teorico risiedente nella convinzione secondo cui la soluzione delle esigenze basilari della vita umana porta con sé la soluzione dei problemi politici: l’abbondanza dei bene ottenuta grazie al progresso scientifico, renderebbe così superflua la tecnica politica.
Il secondo problema è costituito dalla domanda che echeggia nelle ricerche degli scienziati intorno al collegamento tra ciò che è possibile fare da un punto di vista operativo e ciò che è opportuno fare. In altre parole ci si domanda se sia sempre corretto tradurre in realizzazione concreta ciò che è tecnicamente possibile.
Sta di fatto però che a queste problematiche non sono riusciti a trovare una soluzione in grado di risolverli.
Il principio speranza
Uno dei filosofi che ha ripreso il tema dell’utopia all’inizio del Novecento è Ernst Bloch che nel 1918 con Lo spirito dell’utopia introduce il tema nella sua considerazione della storia.
Attento a raccogliere in essa la concretezza delle singole esperienze umane e convinto della necessità di un pensiero in grado di varcare le frontiere dell’esistente, inoltre egli sviluppa una forma di marxismo utopico, intendendo con il termine utopia non già una realtà illusoria, ma il “non essere ancora” di una realtà che potrà realizzarsi in futuro.
Nel suo libro Il principio speranza Bloch prende in esame un ampio panorama dei progetti di liberazione umana che sono stati via via ideati nella storia intendendo il marxismo come la forza rivoluzionaria concreta capace di dare loro un effettivo compimento e una realizzazione storica.
Nella sua prospettiva anche la religione e la Bibbia sono tappe del cammino dell’umanità verso la sua identità attualmente nascosta e oppressa dalle strutture di dominio presenti nella storia.
In conclusione qui il pensiero utopico viene considerato come “la sentinella più avanzata e più attiva del faticoso tendere verso l’aurora che travaglia il mondo” ovvero verso quel futuro che, inserito nella storia, attende di essere liberato nelle sue potenzialità dell’impegno convinto di ogni uomo e dalla concreta azione rivoluzionaria.
Utopia ed escatologia
Il tema del futuro, che di norma nell’utopia filosofica ha particolare rilievo, ritorna nel pensiero religioso sotto forma di escatologia, cioè discorso sulle realtà ultime della vita umana e del mondo, e anche in questo caso si presenta come istanza critica nei confronti della situazione esistente.
Utopia ed escatologia, pur essendo accomunate da una radicale insoddisfazione nei confronti del presente, aprono due tipi di immagine del futuro non solo tra loro indipendenti, ma in ultima analisi profondamente divergenti.
L’utopia risulta molto spesso, infatti, come un tentativo di desacralizzare il futuro dell’uomo per portarlo a prendere coscienza del fatto che egli può bastare a se stesso perciò l’utopista vuole fondare una sorta di paradiso terrestre integralmente umano, eliminando il male e l’imperfezione.
L’escatologia, invece, mettendo in primo piano la categoria della speranza pone il cristianesimo il atteggiamento critico verso la realtà del mondo attuale, ma evita nello stesso tempo ogni assoluzione delle realizzazioni umane.
Secondo il teologo luterano Jürgen Moltmann si può affermare che il cristianesimo, in quanto “escatologia dal principio al fine e non soltanto in appendice”, è direttamente coinvolto in un’azione critica e nello stesso istante consente di distruggere “la presunzione che si trova nei movimenti che guardano al futuro”.
Per Moltmann la categoria della speranza che anima il pensiero cristiano apre realtà future senza quella rigidità che caratterizza il pensiero utopico basato su fondamenti puramente razionali.
Inoltre pensa che l’escatologia cristiana possa parlare al futuro in quanto non parla in senso generale ma si riferisce a Gesù Cristo e al suo destino dopo la morte.
In difesa della società aperta
Tra i pensatori che nel corso del Novecento si sono scontrati con il pensiero utopico abbiamo Karl Popper che ha sottoposto a critica radicale le premesse teoriche che ne sono alla base. Nei suoi studi del 1944 e 1945, Miseria dello storicismo e La società aperta e i suoi nemici, viene sviluppata una indagine a tutto campo nei confronti delle tesi centrali del pensiero utopico.
L’autore contrappone a tale modello, un modello gradualistico e riformista che propone piccole correzioni che possono di continuo essere modificate e migliorate.
Popper pensa che il metodo utopico cerca di riplasmare l’intera società secondo un piano regolatore preciso. Si tratta di un tentativo perseguito con accanimento, anche se poi nella realizzazione concreta il pensatore utopico è costretto a ricorrere a improvvisazioni di fronte a problemi imprevisti. Ciò che caratterizza in negativo il pensatore utopico è che egli è portato a imbrigliare tale elemento con mezzi istituzionali, allargando il ruolo dello Stato ed estendendo il suo piano dalla trasformazione della società a quella dello stesso uomo per forgiarlo e adattarlo alla situazione ideale in cui è stato posto, inoltre, la pretesa di attuare piani per il controllo della società intera conduce i sistemi utopici al totalitarismo.
Concludendo Popper propone, contro i teorici di una società chiusa, una società aperta che sola può stimolare, attraverso le istituzioni democratiche, la libertà e l’iniziativa dei singoli e dei gruppi per risolvere i differenti problemi sociali, correggendo e perfezionando di volta in volta le soluzioni proposte.
L’angoscia letteraria per l’utopia
A partire dagli anni Venti del Novecento in Europa ci si imbatte, soprattutto in ambito letterario, in autori che con veemenza esprimono sentimenti di angoscia nei confronti dell’utopia, di modo che le loro opere possono essere definite come “distopie”, cioè utopie negative.
L’utopia si trasforma da sogno affascinante, capace di accendere la speranza, in un incubo terrificante, da “non luogo” ideale a minaccia incombente da respingere con tutte le forze. È lo sviluppo del totalitarismo, che si diffonde nel nostro continente in nome di differenti ideologie, a portare a una critica radicale dello stesso pensiero utopico.
Tra i più significativi autori anti – utopisti possiamo ricordare Aldous Huxley, che scrive nel 1932 Il mondo nuovo, e Gorge Orwell che nel 1949 compone 1984.
Il libro di Huxley è ambientato in un immaginario Stato totalitario del futuro dove tutto è sottomesso ai dettami della razionalità produttivista: i cittadini hanno risolto i loro bisogni materiali, in quanto sono liberi dalla guerra, dalla fame e dalle malattie e possono soddisfare anche i piaceri materiali. Però il prezzo da pagare in modo tale che tutto ciò avvenga è orribile: ciascun individuo è concepito in provetta sotto la supervisione di ingegneri genetici, durante l’infanzia è condizionato tramite l’uso di droghe e con l’ausilio della tecnologia perché occupi nell’età adulta un ruolo produttivo prefissato fin dalla nascita. Tutto ciò si può riassumere come una rinuncia all’individualità e alle emozioni per poter raggiungere al benessere fisico, però ad un certo punto un giovane si affaccia in un mondo “perfetto” ma il tentativo di ribellione contro un potere totalizzante non ha molto fortuna.
Spesso le tesi proposte nell’opera di Huxley vengono riprese in molti saggi come Ritorno al mondo nuovo del 1958 nel quale Huxley mostra come numerose delle sue orribili previsioni si siano avverate.
Il libro 1984 di Orwell immagina un mondo diviso intre grandi superstati: Oceania, Eurasia ed Estasia i quali sono in continua lotta tra loro anche se tra loro avviene un gioco di alleanze temporanee. In quest’opera sono raccontate delle terribili situazioni che sono state più volte riprese per descrivere incubi che il futuro sembra riservarci.
Si può pensare ad esempio al controllo totale che “il Partito” e i suoi onnipotenti ministeri esercitano sulla popolazione e che ha come scopo quello di ottenere il condizionamento ideologico e morale di tutti gli abitanti per renderli completamente succubi del sistema e pronti anche a tradire ogni sentimento di affetto nei confronti dei propri cari per servire in modo assolutamente acritico lo Stato.
Infine, come già è successo in Huxley, la rivolta individuale contro la realtà super organizzata dello Stato rivela una vana illusione di poterla dominare e sconfiggerla.