Spiritualismo in Bergson

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SPIRITUALISMO

Lo spiritualismo, inteso come corrente filosofica che colloca nella coscienza interiore il proprio principio gnoseologico, trova il suo primo fondamento in Sant'Agostino, nell'argomentazione presente nello scritto apologetico La vera religione (del 390 circa), dove troviamo la famosa formula: Noli foras ire. In te ipsum redi. In interiore homine habitat veritas. “La verità dimora nell'uomo interiore”, dice Sant'Agostino, e continua “e se scoprirai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso”. Approfondire il discorso ci porterebbe a toccare Platone: sia per qunto riguarda la distinzione corpo-anima, sia per il concetto della superiorità di ciò che non muta (l'invito di Agostino è appunto quello di trascendere, andare oltre se stessi nel momento in cui ci si rende conto della mutevolezza della stessa anima umana).

Anche le concezioni soggettivistiche di Cartesio, Pascal e Malebranche furono fonti di ispirazione per lo spiritualismo francese del XIX secolo, quando Cousin coniò appunto il termine. Per quanto riguarda Blaise Pascal (1623-1662) è importante ricordare la sua distinzione tra esprit de géométrie ed esprit de finesse: il primo capace di dedurre la conoscenza rigorosamente da principi astratti, concentrandosi sul mondo della geometria e della scienza, il secondo operante intuitivamente, e applicabile all'analisi della realtà umana, inafferrabile tramite gli analitici ragionamenti del procedimento razionale....“le coeur a son raison que le ment ne connais pas...”, sosteneva appunto Pascal

Henri Bergson
Henri Bergson nacque a Parigi il 18 ottobre 1859, da famiglia ebrea di origine polacca. Si laureò in lettere e in matematica all'École Normale Supérieure, dove seguì i corsi di Boutroux e di Ollé-Laprune. Nel 1889 ottenne il dottorato in filosofia, con una doppia dissertazione, una in latino, L'idea di luogo in Aristotele, e l'altra in francese, il Saggio sui dati immediati della coscienza, che già nel titolo mostra quello che sarà il metodo della filosofia bergsoniana: liberare dalle strutture intellettuali fittizie la vita originale della coscienza per attingerla nella sua purezza, intuitivamente, insomma. Dapprima insegnò nei licei di Angers e di Clermont-Ferrand. Nel 1896 pubblicò Materia e memoria, opera dedicata allo studio dei rapporti tra corpo e spirito., con la quale influì molto su William James e su Marcel Proust: l'essenza dello spirito è riconosciuta nella memoria e al corpo si attribuisce la funzione di limitare e scegliere i ricordi per i fini dell'azione. Nel 1899 venne chiamato a insegnare al Collège de France, e l'anno seguente fu eletto membro dell'Acadèmie des sciences morales et politiques. Sempre nel 1900 pubblicò il saggio sul significato del comico, Il riso.

L'opera tra le più importanti rimase però L'Evoluzione creatrice (1907), dedicata a illustrare la natura della vita come una corrente di coscienza (elan vitale) che s'insinua nella materia asservendola a sé ma rimanendone anche limitata e condizionata. Tre importanti raccolte di saggi sono i libri intitolati L'energia spirituale (1919), Durata e simultaneità (1922), in cui polemizza con la concezione del tempo di Einstein, e Il pensiero e il movente (1934). Ne Le due sorgenti della morale e della religione (1932) Bergson ha illustrato il significato etico e religioso della sua dottrina. Nel 1928 gli venne conferito il premio Nobel per la letteratura. Di origine ebraica, si avvicinò progressivamente al cattolicesimo, ma rifiutò di farsi battezzare, nel timore, come scrisse nel suo testamento, di avallare con il suo prestigio l'antisemitismo che all'epoca dilagava in Europa sotto le insegne naziste. Morì a Parigi il 4 gennaio 1941.
ANALISI DEL PENSIERO
Oggi negli ambienti filosofici europei si sta riscoprendo Bergson, dopo che, confinato nelle categorie dello spiritualismo e dell'intuizionismo, era rimasto per molti anni appannaggio della cultura cattolica: il filosofo non fu molto amato dalla generazione a lui successiva, la generazione dell'esistenzialismo, del gruppo parigino di intelletuali formato da Sarte, la De Beauvoir, Raymond Aron, Merleau-Ponty e altri, e questo segnò forse la sua condanna. Ma lo spiritualismo bergsoniano fu la prima di una serie di reazioni all'imperante clima positivista di fine '800. Fin dalla tesi di laurea (Saggio sui dati immediati della coscienza), rifiutò il catarttere quantitativo con cui filosofi come Hobbes, Comte o Spencer pretendevano di analizzare ogni aspetto della realtà. Si presentò con Bergson una delle questioni più discusse del XX secolo: il tempo. Se la concezione tradizionale voleva il tempo come una successione spazializzata d’istanti omogenei e uniformi, Bergson introduce l'idea di durée, la durata reale. Essa è la successione degli stati della coscienza nel momento in cui l'IO si lascia vivere, è il tempo che regola la dimensione interiore dell'uomo: Bergson osservò che le sensazioni non erano tessere distinte, ma si compenetravano, come le note di una melodia, come le membra di un essere vivente. Per giungere a tale consapevolezza ovviamente è necessario staccarsi dalla normale concezione che si ha del tempo fatto di istanti autonomi: Bergson usa una metafora efficacissima (come è efficace ed icastico tutto il suo stile, che gli valse il premio Nobel per la letteratura), una metafora riferita alla geometria. Come quando un punto percorre una linea, solo astraendoci dalla posizione del punto e ponendoci com,e osservatori esterni, possiamo concepire la vera forma della linea, così è per la coscienza. Tali concetti vanno necessariamente collegati alle scoperte in campo matematico (le geometrie non euclidee) e fisico (la teoria della realtività) prossime a venire.

Come già osservato da Freud, solo nel sonno viene abbattuta la barriera tra la sfera più razionale, intellettiva, concentrata sul mondo esterno e quella più interna, nacosta, regolata da leggi diverse, che paiono alogiche. Crollano i limiti dello spazio e del tempo. Bergson in questo caso distingue tra Io rifratto e Io fondamentale: è quest'ultimo a risvegliarsi e a scorrere secondo la sua durata reale.

Dunque anche la questione della memoria diviene importante nella riflessione bergsoniana e sarà prorpio questa a suggerire a Proust il tema della Recherche:





Del resto questo è ciò che la coscienza constata senza fatica tutte le volte che, per analizzare la memoria, segue il movimento stesso della memoria che lavora. Si tratta di ritrovare un ricordo, di evocare un periodo della nostra storia? Noi abbiamo coscienza di un atto sui generis attraverso il quale ci stacchiamo dal presente per ricollocarci dapprima nel passato in generale, e poi in una certa regione di esso: [...]A poco a poco esso appare come una nebulosità che potrebbe condensarsi; da virtuale passa allo stato attuale; e man mano che i suoi contorni si delineano e la sua superficie si colora, esso tende a imitare la percezione. Ma con le sue profonde radici rimane attaccato al passato, e se, una volta realizzato, non risentisse della sua virtualità originaria, se non fosse contemporaneamente uno stato presente e qualcosa che spezza il presente, noi non lo riconosceremmo mai come ricordo.
Henry Bergson, Materia e memoria
Bergson parla di due tipi di memoria, la memoria abitudine e la memoria coscienza: è quest'ultima che raggruppa la successione dei ricordi, come in una lunghissima pellicola cinematografica. È la memoria che costituisce la base della dimensione interiore, della coscienza umana. Bergson raffigura quest'ultima come un cono rovesciato, dove la base è appunto la memoria-coscienza, mentre il vertice è la memoria-abitudine, funzionale all'azione, insomma quella direttamente collegata all'unica immagine che si autopercepisce come tale, il corpo. Bergson lo definisce un taglio trasversale nel divenire universale: infatti esso poggia su un piano immaginario, quello della percezione attuale...dalla configurazione così ottenuta, di cono rovesciato, deduciamo che il presente è condizione del passato, su cui poggia.

Tra il passato e il presente c’è ben altro che una semplice differenza di grado. Il mio presente è ciò che mi interessa, ciò che vive per me, e, in breve, ciò che mi provoca all’azione, mentre il mio passato è essenzialmente impotente. [...]Cos’è per me il momento presente? La caratteristica del tempo è di scorrere; il tempo già trascorso è il passato, e chiamiamo presente l’istante in cui scorre. Ma qui non si può trattare di un istante matematico. La materia, in quanto estesa nello spazio, deve essere definita, a nostro avviso, un presente che ricomincia incessantemente, e, inversamente, il nostro presente è la materialità stessa della nostra esistenza, cioè un insieme di sensazioni e di movimenti, e nient’altro che questo. E questo insieme è determinato, unico per ciascun momento della durata, proprio perché sensazioni e movimenti occupano i luoghi dello spazio e perché, nello stesso luogo, non ci possono essere più cose contemporaneamente.
Henry Bergson, Materia e memoria
È importante , per quanto concerne il nostro percorso, parlare anche della distinzione che Bergson fa tra intelligenza e intuizione. Questo avviene con l'opera Introduzione alla metafisica, del 1903, dove l'intelligenza è un procedimento analitico che scompone la realtà ed è funzionale alla ricerca scientifica, per il suo carattere pratico; l'intuizione invecepermette una conoscenza di tipo metafisico, ed è l'unico mezzo per conoscere la realtà nonostante esso abbia un carattere puramente teoretico. Ciò che è interessante è il concetto di intuizione come identificazione simpatetica con l'oggetto della conoscenza, una forma di sapere, insomma, con cui l'IO stabilisce un contatto diretto con l'esterno, riuscendo a comprenderlo senza scomporlo (corrompendolo così e privandolo della sua dimensione VERA). È un concetto che si ritrova, per esempio, in alcune estetiche del primo '900: l'Einfuhlung di Worringer, lo spirituale nell'arte di Kandiskji, il fanciullino pascoliano.

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