Socrate

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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Testo

Socrate (1)

Socrate, padre fondatore della filosofia ateniese, è un sofista, si serve con grande abilità dell’uso della parola, ma al contrario dei sofisti non fa coincidere la verità con l’opinione e meno che mai la nega, ma ne fa il fine ultimo della filosofia. Dunque, la filosofia per Socrate non è possesso della verità o negazione della verità, ma ricerca della verità. La parola ha adesso il suo vero significato: “amore per la sapienza”. Non si ama ciò che si è ma ciò che si vuol possedere, quindi l’uomo non possiede la verità ma vuole conoscerla. Dunque, il filosofo è colui che cerca la verità, cerca di avvicinarsi alla sapienza. Non possiede nessuno dei due, ma sa che esistono come fine ultimo della sua ricerca. Socrate adotterà la dialettica negativa di Parmenide, cioè la verità non esiste, non coincide con l’opinione, e quindi compito della filosofia è smantellare le opinioni, gli errori, demolire sistematicamente ciò che sembra vero per spianare la strada in direzione della verità. La dialettica ha la funzione di smascherare l’errore. Socrate non scrive neanche una parola, ma si conosce il suo pensiero dai suoi discepoli che lo hanno rappresentato in numerose opere giunte fino a noi. I discepoli sono parecchi, ma il più famoso di tutti è Platone. Per cui, il 90% dei pensieri di Socrate, li ricaviamo dalla dialettica di Platone. Almeno in parte, ciò che Platone attribuisce al maestro, deve essere stato detto da lui. Quindi, si può ragionevolmente riconoscere una filosofia Socratica. In genere, questa filosofia coincide con le opere giovanili, quelle della prima fase. In polemica con i sofisti e con gli argomenti sofistici insegna, dunque, che compito della filosofia è ricercare, far venir fuori, la verità non da un procedimento persuasivo ma piuttosto da una serie di domande a risposta interna. Queste domande, in cui Socrate è maestro, sono quelle retoriche. Dunque Socrate è innanzitutto un abilissimo utilizzatore delle parole. La forma interrogativa è rafforzativa dell’enunciato. La finta domanda contiene una enunciazione rafforzata, ovvero attraverso la domanda retorica si trasforma qualcosa di falso in verità. Dunque, una domanda finta che serve a generare consenso vero intorno a una qualche interpretazione. Socrate utilizza una serie di domande retoriche, quindi domande che contengono in sé delle verità condivise, per far cadere l’interlocutore in contraddizione. L’ironia socratica è il dire le cose senza rinnego, ma in modo tale nell’apparente verità dell’enunciato sia sempre presente una più autentica verità superiore ricavabile rovesciando il significato letterale del significato.

Socrate (2)

Sviluppo della polis, che è una società organizzata e finalizzata allo sviluppo economico, in cui quindi la politica e l’economia sono strettamente legate, lo scopo principale del cittadino ateniese è quello di vivere meglio, quindi nascita della borghesia e cambiamento della politica, cioè della vita organizzata della polis. Negli stati pre-greci il portiere appartiene a uno o pochi, nella polis arcaica appartiene a una aristocrazia di proprietari terrieri, nella polis pitagorica è governata dai dotti, organizzati nelle loro scuole. Ma, con l’affermazione di Atene, la città è governata dai ricchi, o per lo meno da chi possiede la terra e chi pratica i traffici, i commercio. Questo trasforma sensibilmente il senso della politica, perché la finalizza non tanto al mantenimento dell’ordine quanto alla realizzazione degli scopi economici, finanziari del ceto dominante. Ciò comporta il fenomeno della corruzione. Dove il potere è tutto nelle mani di uno solo, la corruzione non è utile. Dove il potere economico, invece, è diviso tra molti ed è crescente, si crea una gara al governo della città per raggiungere il conseguimento di vantaggi. Con l’impresa militare, l’invio di una flotta è finalizzato non solo alla grandezza e potenza di Atene, ma soprattutto al conseguimento di vantaggi economici. Il denaro scorre in elevate quantità all’interno della città e corrompe la parte più abbiente della popolazione. I sofisti si adattano perfettamente a questa nuova società, perché non in segnano più il vero e il falso in senso astratto, ma come si può usare la parola per sconfiggere i propri avversari, per essere più persuasivi. Quindi, una città di mercanti, avvocati, speculatori, all’interno della quale la questione politica finisce per coincidere con la questione morale. Quindi, parlare di politica e parlare di morale diventa un sinonimo. Al centro della crisi della classe dirigente ateniese, c’è Socrate, che si serve per sconfiggere i sofisti delle loro stesse armi, ovvero della parola come strumento raffinato per dimostrare che la verità esiste, è oggetto di una ricerca interiore di tipo dialettico che consiste nella individuazione dell’errore e nel suo superamento. Quindi, la ricerca della verità, della sapienza, coincide con un procedimento finalizzato a liberarsi dell’errore. Ogni volta che un uomo si libera dell’errore compie un atto, non solo intellettuale, ma anche morale, perché l’errore diventa sinonimo di comportamento scorretto, inaccettabile, e la ricerca della verità coincide con la buona politica. Nella polis tutti partecipano alla forma politica. Dunque, il buon cittadino è quello che cerca la verità, cerca di sbarazzarsi dell’errore e agire, non secondo i propri interessi, ma disinteressatamente, perseguendo un bene comune che coincide con il principio morale verso il quale la filosofia tende. La dialettica socratica muove, dunque, verso l’etica della morale. I sofisti fanno filosofia a pagamento, mentre Socrate la fa per il piacere di farla, quindi separa completamente il problema di come campare dalla filosofia. Il suo vivere quotidiano è disinteressato al potere economico, è un buon cittadino, va in guerra e si comporta degnamente, vive accontentandosi di poco, però ama profondamente confrontarsi con gli altri in piazza, per le strade, nei banchetti. Si hanno continuamente discussioni che convincono che la ricerca della verità è un bene comune che può sostituire qualsiasi necessità di bene. Ovviamente, suscita molto amore in coloro che vogliono costituire una nuova classe dirigente, i socratici, e molto odio, perché il suo disinteresse maschera l’uso strumentale della conoscenza e della filosofia che viene fatto dagli altri. Quindi, Socrate non è più politicamente neutro, come gli altri filosofi, rispetto alla polis, ovvero al discorso socratico si è d’accordo o si e contro e come spesso accade in politica, alcuni dei suoi più fervidi discepoli acquisiscono ruoli importanti e quelli che non lo condividevano, arrivano a condividerlo. L’insegnamento morale, nella sua forma più alta, è raccontata dalle apologie di Senofonte e Platone. La difesa di Socrate non è altro che il racconto di come si comporta di fronte a una accusa di empietà e corruzione dei giovani in un famoso di processo che si conclude con la sua condanna a morte. Dunque, il comportamento pratico è ispirato dalla superiorità dei suoi principi rispetto alla sua vita. Non dà molta importanza alla vita, quanto a sfidare la giustizia ateniese per dimostrare che la vita è meno importante dei principi per cui si vive. Quindi, un modello di vita ideale così largamente noto nel mondo antico che verrà utilizzato come storia per piccole varianti per raccontare storie successive analoghe, come il sacrificio di Cristo sulla croce che viene rappresentato in modi simili al sacrificio socratico e l’ultima cena in cui beve e mangia con i suo discepoli come Socrate nell’ultima notte. Quindi si può dire che il racconto della morte di Socrate diventa un tòpos, un luogo alto, importante e costante della letteratura successiva. Quando nel 1500 fanno il processo a Tommaso Moro, egli si comporta davanti al tribunale con un procedimento socratico. Per cui socratismo e platonismo diventano un comportamento morale al rapporto politico per fornire un esempio di modo giusto di vivere e morire.
Se l’uomo segue i suoi istinti reagisce a ogni sollecitazione in modo immediato, naturale. Se l’uomo segue la virtù è evidente, da Parmenide in poi, che deve fare i conti con gli istinti. Ciò che per i suoi istinti e il suo corpo è bene, deve essere sempre e comunque negato. Da qui nasce la liturgia del cibo, secondo la quale in un determinato momento bisogna saper resistere alla fame, imporsi sui propri istinti per derminate ragioni, per raggiungere un obiettivo. Persino la castità dei religiosi è un resistere all’istinto in nome di qualcos’altro che, se non è l’istinto, è la ragione. La radice di questo comportamento è riconducibile al fatto che se la verità esiste e non coincide con ciò che uno vuole considerare vero, si può perseguire la verità sottraendosi al dominio dei sensi. In termini logici, si ricorda Parmenide, perché quello che è vero per i sensi, non è assolutamente vero. Ovvero sembra essere, ma non è e bisogna cercare altrove. Quindi la verità che si ricerca è un qualcosa di intangibile che però risulta più forte degli istinti. La dialettica viene messa, dunque, al servizio della morale, perché ci si rende conto che se ciascuno segue i propri istinti, ne ricava soddisfazioni, ma la comunità, ovvero il suo rapporto con gli altri, ne verrebbe profondamente danneggiato. Resistere agli istinti in nome di un principio ricercato in ciascuno, significa scoprire ciò che di autentico si ha in comune con gli altri. Quindi, stabilire un rapporto altruistico e solidale con chi si entra in contatto.
Il simposio è la costante del banchetto dove si appagano i bisogni. Ma il banchetto socratico, cristiano, è l’esatto contrario. Ciò che conta nel banchetto non l’istinto umano, ma il valore simbolico. Quindi il banchetto è la comunione, ovvero il momento in cui delle persone mettono in comune qualcosa: letteralmente il cibo, simbolicamente l’atteggiamento psicologico, culturale, morale (religioso) con cui si partecipa. Lo simposio è lo stare insieme condividendo anche il cibo, non come fine ma come mezzo della comunicazione. Gorgia diceva che comunicare è impossibile, ovvero le parole servono solo a ingannare. Socrate dice che comunicando non si arriva alla verità, ma la dialettica è il momento in cui si ha un percorso di ricerca della verità, perché dicendo all’altro ciò che serve al confronto, alla fine del banchetto ci si è arricchiti della posizione dell’altro che non è vista come una posizione da sconfiggere, ma come condizione stessa per muoversi sul percorso della verità. La dialettica diventa il modo per comunicare agli altri la propria opinione e verificare se questo è corretto. L’uomo che banchetta con la ragione è quello che si è messo sulla strada per conoscere la verità. Il rapporto con gl’altri è un tutt’uno con la scelta morale, che consiste non nell’agire per ciò che si ritiene bene, ma nel mettere costantemente a confronto ciò che si ritiene il bene con ciò che il bene sembra essere. In questo dialogo, necessariamente, c’è chi sbaglia e chi ha ragione. Ogni discepolo, nel momento stesso in cui mette in discussione se stesso e cambia idea, si avvicina alla posizione del maestro. Attraverso questo rapporto si lascia un patrimonio critico di riflessione e interpretazione su cui i successori potranno fare ulteriori approfondimenti e ricerche. La verità non si tocca, non si vede, ma si ricerca dentro di sé mediante la parola che è uno strumento per comunicare con gli altri. Questo è il logos nella sua forma completa. Ricercare la verità significa indicarla e stabilire se si è sulla strada giusta, significa raccontare quello che si pensa e discuterne con gli altri. La verità, dunque, è nascosto dentro di sé e il dialogo serve a farla venire fuori. Lo scultore attua lo stesso procedimento, ovvero la figura che vuole scolpire è già contenuta nel marmo e lui rimuove l’errore per tirarla fuori. Dunque, il rapporto maestro-discepolo consiste nel mettere insieme due persone che vogliono pensare, che sono convinte che ciò che sembra essere non è, che cambino le loro opinioni in buona fede cercando di eliminare dall’opinione originale l’errore. Alla fine ottengono la verità, ovvero si sono liberati dell’errore e hanno fatto un passo avanti verso la verità.

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