Socrate

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia

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Testo

1) Introduzione
Socrate (Atene 470 o 469 - 399 a.C.), filosofo greco. Figlio dello scultore Sofronisco e della levatrice Fenarete, Socrate ricevette l'educazione tipica dei ceti agiati ateniesi, pur non essendo propriamente un aristocratico. Approfondì in seguito le discipline della retorica e della dialettica, che i sofisti insegnavano a pagamento, interessandosi inoltre alla speculazione naturalistica e alla medicina; pertanto, si può affermare che recepì le idee fondamentali diffuse nell'ambiente culturale ateniese durante l'età di Pericle. Prese parte come oplita alla guerra del Peloponneso combattuta contro Sparta, dando prova di valore nelle battaglie di Potidea (431-429 a.C.), durante le quali si narra che salvò la vita al giovane Alcibiade; successivamente, si distinse anche nelle battaglie di Delio (424 a.C.) e Anfipoli (422 a.C.).

2) Le fonti
Oltre alle notizie pervenuteci attraverso i Dialoghi del suo più celebre discepolo, Platone, le principali fonti su la vita e il pensiero di Socrate sono le Vite dei filosofi di Diogene Laerzio; la commedia Le nuvole di Aristofane, nella quale Socrate è rappresentato come un maestro nel "commercio di pensiero", poiché insegna ai giovani a far apparire le posizioni errate come le migliori; qualche riferimento nell'opera di Aristotele (che gli attribuisce il merito della scoperta del metodo scientifico) e in quella di Senofonte (che nei Detti memorabili lo ritrae quale grande coscienza etica).

3) Socrate e la politica
Socrate partecipò attivamente alla vita politica della sua città, non solo combattendo in battaglia, ma entrando a far parte del Consiglio dei Cinquecento (406-405 a.C.) e della pritanìa, organismi politici nel cui ambito sostenne scelte coraggiose che talvolta gli procurarono l'opposizione pubblica; dopo la guerra del Peloponneso, durante la dittatura dei Trenta tiranni capeggiata da Crizia, rimase ai margini della vita politica ateniese; con la restaurazione democratica di Trasibulo, tuttavia, attirò su di sé l'opposizione dei nuovi governanti che alla sua persona, e soprattutto alla sua figura di moralista e "filosofo", ascrivevano probabilmente una portata sovversiva; inoltre, gli venivano rimproverate le sue amicizie aristocratiche – soprattutto quelle con Crizia e Alcibiade – considerate compromettenti. Esponenti autorevoli del partito democratico manovrarono tanto da arrivare a un processo che accusava il filosofo di empietà e corruzione dei giovani. Condannato a morte dall'assemblea, Socrate accettò il verdetto con serenità, sottomettendosi alle leggi di Atene.

4) Conoscenza e Virtù

Socrate, che a differenza dei sofisti non chiese mai compensi in denaro per i suoi insegnamenti, non volle affidare i propri insegnamenti alla parola scritta, né fondò scuole filosofiche; agì, come lui stesso affermava, spinto dal suo daímon (il suo "demone" inteso nel significato di "spirito"), una voce interiore che lo incitava alla fedeltà alle proprie convinzioni etiche e alla vocazione filosofica. Si avvalse di un metodo conoscitivo da lui definito “maieutico”, volto cioè a portare alla luce la verità che ciascuno ha in sé attraverso quello strumento privilegiato che è il dibattito orale; trascorse pertanto buona parte della sua vita nei luoghi pubblici di Atene o nelle dimore degli amici, dialogando con chiunque, ricco o povero, volesse ascoltarlo o interrogarlo. Egli era convinto così di far scaturire da ogni interlocutore una maggiore consapevolezza di sé: "curando le anime" intendeva farle pervenire alla verità e alla virtù.

5) L’ironia socratica
Il contributo socratico in filosofia fu soprattutto di carattere etico: egli invitava i suoi interlocutori, mediante tecniche retoriche in parte simili a quelle sofistiche, a trovare una formulazione oggettiva dei concetti di giustizia, amore e virtù, e a coltivare la conoscenza di sé. L'interlocutore, dichiaratosi esperto di una determinata disciplina, veniva provocato da Socrate, il quale, proclamandosi ignorante e affermando di avere come unica certezza quella di non sapere, chiedeva il suo soccorso. Interrogato da Socrate, passo dopo passo, l'altro vedeva poste in dubbio fino alle fondamenta le proprie certezze.

Secondo Socrate, l'azione malvagia o il vizio non sarebbero altro che il risultato dell'ignoranza.

Questo metodo d'indagine era volto a far scaturire e a fissare una definizione individuale della virtù che potesse nel contempo valere universalmente, in opposizione all'orientamento relativista dei sofisti. Tuttavia anche Socrate non espresse mai dottrine positive o formulazioni definitive, né si possono accogliere i Dialoghi platonici come una formulazione rigorosamente oggettiva del suo insegnamento. Si può solo arguire che Socrate avesse considerato la "virtù" – qualunque fosse la sua definizione – una forma di sapere; di conseguenza, l'azione malvagia o il vizio non sarebbero altro che il risultato dell'ignoranza. È passata alla storia anche la sua ironia, la fascinosa forma di dissimulazione retorica che avvinse pensatori come Kierkegaard e Nietzsche.

Tra i suoi allievi, oltre a Platone, si contano Antistene, fondatore della scuola cinica, e Aristippo, fondatore della scuola cirenaica, una delle fonti del pensiero di Epicuro. Alcuni stoici come Epitteto, Seneca e l'imperatore romano Marco Aurelio, considerarono Socrate la guida verso una vita superiore.

6) Il Processo
Nel 399 a.C. Socrate venne accusato da tre concittadini, membri del partito democratico, di non riconoscere gli dei di Atene (forse in riferimento al daímon) e di corrompere i giovani. L'Apologia di Platone espone l'appassionata autodifesa di Socrate, che rifiutò di farsi difendere al processo. Pur potendo salvarsi dalla condanna richiesta (la pena di morte) dichiarandosi colpevole, rimase coerente fino alla fine con le proprie convinzioni etiche e non rinunciò alla sua idea del bene per abbracciare la volontà strumentale di una fazione politica. Quando, secondo il costume ateniese, formulò una controproposta alla pena di morte chiedendo alla corte di pagare solo una piccola multa, irritò a tal punto la giuria che la maggioranza votò per la pena di morte.
Benché i suoi amici intendessero organizzare una fuga dalla prigione, come racconta Platone nel Critone, Socrate preferì obbedire alla legge e morire senza commettere un'illegalità. Trascorse l'ultimo giorno di vita nel carcere con amici e discepoli, e la sera, secondo il resoconto del Fedone di Platone, si diede serenamente la morte bevendo la cicuta, veleno con il quale nell'antica Atene venivano eseguite le condanne.

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