Simposio di Platone

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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Testo

SIMPOSIO
Platone

Il Simposio si distacca dagli altri scritti di Platone per la sua struttura, che si articola non tanto in un dialogo, quanto nelle varie parti di un agone oratorio, in cui ciascuno degli interlocutori, scelti tra il fiore degli intellettuali ateniesi, espone con un ampio discorso la propria teoria sull’amore. La cornice in cui si inseriscono i vari interventi è rappresentata dal convito, offerto dal poeta tragico Agatone per festeggiare la sua vittoria negli agoni delle Grandi Dionisie del 416 a.C. Fra gli invitati, oltre a Socrate e al suo discepolo Aristodemo, il medico Eurissimaco, il commediografo Aristofane, Pausania, il suo amico Fedro, figlio di Pitocle; verso la fine, fa una clamorosa apparizione anche Alcibiade, completamente ubriaco, incoronato di edera e di viole, che si presenta per festeggiare Agatone, e che viene accolto con cordialità.

FEDRO
Il primo a parlare tra gli invitati è Fedro, egli afferma che Amore è il più antico fra tutti gli dei ad essere onorato, come attestano Esiodo, nella Teogonia, e Acusilao, che all’origine del mondo pongono il Caos e la Terra e quindi anche Amore. E Parmenide sostiene che la Giustizia “per primo, fra tutti gli dei, si prese cura di Amore”. È amore a spingere amante e amato a gareggiare in coraggio, valore, nobiltà d’animo: gli eserciti, se costituiti da tutti amanti e amati, sono imbattibili: “Se vi fosse dunque qualche possibilità perché una città o un esercito fossero costituiti per intero da amatori e da amati, non vi è modo per cui potessero disporre meglio la propria esistenza tenendosi lontani da ogni bruttura e gareggiando tra di loro in desiderio di gloria, e combattendo insieme gli uni con gli altri, essi vincerebbero, anche se in pochi, per così dire, tutti gli uomini. Infatti l’uomo che ama sarebbe disposto ad essere visto da tutti gli altri mentre abbandona la posizione o getta via le armi più che dal proprio amato e sceglierebbe di morire più volte invece di questo. E quanto ad abbandonare l’amato o non portagli aiuto quando corre pericolo non c’è nessun vile a tal punto che amore stesso non lo renda pieno di ardore in valore, tanto da eguagliarlo anche a chi è valorosissimo in natura;…”
Ed ecco che Fedro porta alcuni esempi, primo fra tutti quello di Al cesti che superò in amore i genitori di Admeto, suo sposo, tanto da farli apparire estranei alla sua vicenda, e da suscitare l’ammirazione degli dei; cosa che non avvenne a Orfeo che tornò indietro dall’Ade senza risultato, poiché era apparso vile. Gli dei invece onorarono Achille che per sua scelta morì in aiuto e vendetta di Patrocolo, suo amante , riservando a lui l’Isola dei Beati.
Verso la fine del discorso si assiste a un rovesciamento del concetto greco secondo il quale l’amato è superiore all’amante, perché autosufficiente, non soggetto a urti e scossoni. Perciò il greco ama l’uomo, ritenendo la donna indegna di essere superiore. Qui invece la superiorità è dell’amante e perciò il merito maggiore è dell’amato che ama: Achille, mentre Al cesti non amata, ma amante.
L’ultima frase del discorso inoltre sottolinea l’importanza di Amore:
“Così io sostengo che Amore è il più antico fra gli dei, il più meritevole di onore e quello che è più padrone di spingere gli uomini, da vivi e da morti, all’acquisto della virtù e della felicità.”

PAUSANIA
È il secondo a parlare, egli distingue due generi di Amore, così come esiste Afrodite ÈÈÈÈÈÈÈ (“celeste”), senza genitori, e Afrodite (“comune”, “volgare”) figlia di Zeus e Dione, così esiste anche un Amore “uranio” che si accompagna ad Afrodite “urania” e un Amore “pandemio”, volto più che altro ad amare i corpi e non le anime: l’Amore “uranio” invece trascende quello corporale e si fa guida verso un elevato sentire. Infatti l'Amore volgare, ha come unico scopo la brutale soddisfazione dei sensi, mentre quello celeste, infinitamente più elevato, spinge ad educare a cose nobili ed alte colui che si ama. Chi è oggetto dunque di questo amore è indotto a contraccambiarlo perché “è bello in tutti i modi mostrarsi compiacenti a causa della virtù”. Il suo discorso si conclude con un excursus sull’amore nelle varie regioni della Grecia.
“È cosa brutta quando si ha compiacenza per un abbietto e in maniera abbietta, è bella invece quando la si prova per uno meritevole e in maniera bella. Abbietto è l’amante volgare, innamorato più del corpo che dell’anima: non è un individuo che resti saldo, come salda non è nemmeno la cosa che egli ama. Infatti quando svanisce il fiore della bellezza del corpo del quale era preso “si ritira a volo” ad onta dei molti discorsi e delle promesse. Chi invece si è innamorato delle spirito quando è nobile resta costante per tutta la vita perché si è attaccato a una cosa che resta ben salda.”

ERISSIAMACO
Come terzo, in sostituzione di Aristofane che è colto dal singhiozzo, tocca ad Eurissimaco, il quale, da buon medico, considera l’amore un fenomeno naturale e ne distingue gli aspetti normali da quelli morbosi, nell’esporre la sua teoria però si trova d’accordo sulle due specie d’Amore individuate da Pausania “che Amore dunque sia duplice, pare a me che sia un distinguere bene”. Amore comunque, nel suo realizzarsi, deve essere un qualcosa di armonico e di equilibrato in ogni sua azione: infatti la “soverchieria”, “il disordine” insiti in ogni forma di attrazione, non possono riuscire a buon fine, ma determinano contagi, malattie, guasti e distruzione: “ma quando invece l’Amore diventa incontenibile e infuria violento durante le stagioni dell’anno, produce guasti e distrugge molte cose.”
Eurissimaco inoltre all’inizio del suo discorso, ci propone una sua definizione di medicina, e di armonia, e afferma che “nella musica, nella medicina e in tutte le altre attività umane e divine, per quanto è dato, bisogna bene osservare l’uno e l’altro di questi amori: infatti sussistono ambedue.”

ARISTOFANE
Come quarto, rimessosi dal singhiozzo, interviene Aristofane, egli spiega la sua devozione verso Amore per mezzo di un fantasioso, ma significativo mito. Per lui, all’origine del mondo, esistevano tre generi della stirpe umana: quello maschile, quello femminile e l’androgino che partecipa del maschio e della femmina. La forma di ogni essere umano era circolare: quattro mani, quattro gambe, due volti su una testa sola, quattro orecchie, due organi genitali e tutto il resto come ci si può immaginare da ciò. Zeus è indotto a tagliare a metà questi esseri per la loro tracotanza al fine di renderli più deboli.
“da tempo è dunque connaturato che negli uomini l’amore degli uni per gli altri che si fa conciliatore dell’antica natura e che tenta di fare un essere solo da due e di curare la natura umana. Ciascuno di noi dunque è come un contrassegno d’uomo, giacché è tagliato in due come sogliole, da uno diventa due.”
Ma da questa divisione in parti nasce negli umani il desiderio della primitiva congiunzione, tanto che le “parti”, una volta strette di nuovo nell’amplesso, muoiono di fame e di torpore per non volersi più separare.
“Questo è il motivo per il quale la nostra natura antica era così e noi eravamo tutti interi: e il nome d’amore dunque è dato per il desiderio e l’aspirazione all’interno.”

AGATONE
Per quinto parla il padrone di casa che definisce Amore il dio più bello e più nobile. Egli si incarica di dire “qual è e di quali beni artefice” è Amore. “Amore è il più felice perché è il più bello e il migliore. È il più bello perché è tale: anzitutto è il più giovane tra gli dei”. Inoltre “è il più giovane e il più soave, e oltre a ciò è come flessuoso nell’aspetto. Non sarebbe infatti in grado di abbracciarsi ovunque, né di entrare in ogni anima di nascosto e poi uscirne se fosse inflessibile.”
Da sottolineare l’affermazione che “tra Amor e bruttezza c’è sempre guerra”, poiché Amore simboleggia la bellezza, “la sua esistenza tra i fiori reca una testimonianza della bellezza della carnagione del dio…”
Egli non fa ingiustizia né la subisce. Perché “giustizia”, “morigeratezza”, “potenza” e “sapienza” sono le virtù che lo contraddistinguono: “la cosa più grande è che Amore non fa ingiustizia né la subisce da parte di un dio né contro un dio, né da parte di un uomo, né contro un uomo; né egli soffre per violenza, se pure prova qualche sofferenza, perché la violenza non si attacca ad Amore; né quando agisce, agisce con violenza, perché ognuno volentieri in tutto serve ad Amore e le cose che mettono d’accordo chi lo desidera con chi lo desidera, “le leggi regine della città”dicono che è giusto.
Agatone compone anche versi in onore di Amore:
“ pace fra gli uomini e sul mare una tranquillità senza vento,
luogo di quiete e di sonno nell’affanno dei soffi impetuosi.”
E conclude il suo discorso tessendone un elogio molto poetico.

SOCRATE
Interviene per sesto, sulle prime tenta di schernirsi per la sua incapacità a dire: lo sostiene comunque la convinzione che su ogni cosa “basta dire la verità”, quindi, anche su Amore egli farà lo stesso, scegliendo ed ordinando nel modo migliore le cose più belle. In sostanza “Amore è amore di alcune cose…”, in particolare “di quelle di cui si avverte mancanza”. A questo punto sul discorso di Socrate si innesta quello di Diotima, la donna Mantidea, maestra di Socrate della concezione di Amore. Secondo essa “Amore non è bello…e non è neanche buono”, ma un qualcosa di mezzo tra bello e brutto, tra buono e cattivo, tra mortale e immortale, “un gran demone” insomma. Fu concepito da Penia (“Povertà”) che si congiunse con Poro (“Abbondanza”) alla festa del genetliaco di Afrodite: ne è venuto quindi un essere intermedio tra il divino e l’umano che, assieme alle qualità positive, assomma in sé anche quelle negative. Socrate, come apprende da Diotima, su Amore era caduto nello stesso equivoco nel quale cadono tutti o quasi gli uomini che in Amore credono solo al lato più bello. Tutto questo deriva dal fatto che Amore viene identificato con l’amato e non con l’amante: il primo è delicato, compiuto, il secondo invece è quale appare nella descrizione che Diotima ne viene facendo. Ma quale è la molla che spinge l’amante verso l’amato? L’attrazione della bellezza può essere uno stadio, ma non se è fine a se stessa: è il desiderio di gloria, di onore, di immortalità che deve congiungere chi ama a chi è amato, anche a costo della propria vita. Così tra gli uomini chi è fertile nel corpo è attratto dalla donna e cerca la felicità nella discendenza della prole e nella continuità, chi invece è fertile nell’anima cerca un’anima bella a cui unire la propria e può creare con questa una comunanza più profonda di quella che si può avere con i figli. Su questo piano chi ama riuscirà “a capire che tutto il bello che riguarda il corpo è cose ben da poco”.

ELOGIO DI SOCRATE DA PARTE DI ALCIBIADE
Dopo che Socrate ha concluso il suo discorso, ubriaco, irrompe nella sala del banchetto Alcibiade e, dopo una breve schermaglia con Socrate, ne tesse il più splendido elogio. Pur senza aver udito le considerazioni di Socrate, Alcibiade viene a darne la più viva e diretta dimostrazione: Socrate gli è stato maestro, amico, gli ha salvato la vita in battaglia, gli ha fatto attribuire dagli strateghi, in guerra, quei riconoscimenti che avrebbe meritato per se. “quando avvenne lo scontro per il quale gli strateghi mi concessero i premi del valore, nessuno tra i soldati mi salvò se non costui, che non volle abbandonarmi benché ferito, ma con me trasse in salvo anche le armi. E io, Socrate, chiesi ripetutamente gli strateghi che i riconoscimenti li concedessero a te,…ma gli strateghi guardando solo alla mia condizione erano intesi a dare a me le insegne del valore e tu ti impegnasti più di loro perché io fossi a riceverle e non tu.”
Socrate gli ha resistito quando egli gli ha fatto dono della sua bellezza: perché non a questo egli mirava. Era attratto invece “dalla bellezza in se, genuina, pura, non mescolata, non incorporata di carni umane, né di colori, né di ogni altra vacuità mortale.” Era attratto a contemplare invece la “bellezza divina nel suo unico aspetto”.
“Sappiate che a lui non importa nulla se uno è bello e ne fa così poco conto quanto nessun altro, né gli interessa se è ricco o se ha un altro titolo di quelli che, per la gente, portano alla felicità. Ritiene di ben poco conto tutti questi beni, e che noi, vi assicuro, non siamo nulla e passa la sua vita ostentando candore e scherzando, ma quando poi si impegna seriamente e si apre, non so se uno ha mai visto le splendide qualità che ha all’interno: io le ho già osservate, da tempo, e mi apparvero così divine, dorate, belle e meravigliose da provare che si doveva fare subito quel che Socrate comandava. “
“Si potrebbero dire molte altre cose per lodare Socrate e tutte da far meraviglia, ma mentre per ogni altro atteggiamento nella vita tali cose si potrebbero dire anche di altri, il fatto di non essere egli simile a nessuno degli uomini, né degli antichi, né di quelli di adesso, questa è cosa degna di ogni meraviglia….Ma come è fatto quest’uomo, quanto a stranezza, lui e i suoi discorsi, neppure cercando si potrebbe cercare uno che gli si avvicini né tra gli uomini d’ora, né tra quelli di un tempo, a meno di metterlo a confronto con quelli che dico io, cioè non con un uomo, ma con i sileni e i satiri, lui e i suoi discorsi.”

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