Filosofia: dalla nascita a Platone

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Testo

L’ORIZZONTE DELLA GRECIA ARCAICA.
Nel periodo arcaico (XII-VII secolo a.C.), e cioè dal medioevo ellenico alla nascita delle polis, nella Grecia arcaica, si producono le condizioni storico culturali che favoriranno la nascita e lo sviluppo della filosofia. Gran parte della cultura arcaica greca è espressione di una civiltà orale. Solo dall’VIII secolo a.C., infatti, viene introdotta la nuova scrittura di tipo alfabetico. La cultura orale, in particolare, la ritroviamo nel linguaggio (l’elaborazione e la trasmissione della cultura richiedono l’uso di tecniche di apprendimento mnemonico), il quale carattere è narrativo (trasmette conoscenze personificandole, è carente di forme concettuali astratte).
Nella società arcaica è inoltre importante la figura del poeta: egli è considerato maestro di verità, portatore di una sapienza che viene dall’alto, “dettatagli” dalle Muse (divinità), e che egli si incarica di trasmettere agli altri uomini.
La cultura arcaica è infine caratterizzata dalla presenza dei miti. Un mito è un racconto metaforico ed allegorico, tipico di un linguaggio orale che trasmette conoscenze in modo rivelato. i miti servono 1 a conservare e trasmettere le regole di costume ed il patrimonio culturale, per rafforzare così la tradizione, 2 a sottrarre alla paura della morte o, peggio, dell’oblio, e 3 a fornire una spiegazione causale dei fenomeni naturali (teogonie: narrazione mitologiche sulla generazione degli dei e della natura; cosmogonie: narrazioni sull’origine e la formazione dell’universo).
Ecco le principali caratteristiche della religione greca (forma ufficiale: olimpica, seguita da quella oracolare e misterica):
1- non è una religione rivelata;
2- è una religione politeista, sintesi delle varie religioni autoctone;
3- non ci sono né profeti, né testi sacri, né vi è una chiesa;
4- è una religione misterica, di pochi.
LA NASCITA DEL LOGOS.
Cause della nascita della filosofia:
1- nascita della democrazia (l’affermazione di regimi democratici permette la nascita di nuove forme di comunicazioni sociali basate su discussioni e dibattiti. Acquista un nuovo peso la parola (logos), come capacità di argomentare e, quindi, come uso controllato e consapevole del linguaggio.);
2- diffusione alfabeto fenicio (è un alfabeto fonetico (logica combinatoria), non più ideografico e quindi, almeno potenzialmente, accessibile a tutti e non solo alla casta sacerdotale(non più una cultura elitaria).);
3- la scrittura come fattore di divulgazione e di razionalizzazione (con la scrittura ha luogo una graduale evoluzione delle capacità e delle competenze logico-comunicative degli intellettuali greci, e cioè una più elevata padronanza del linguaggio). L’affermazione della scrittura, inoltre, favorisce il costituirsi di un linguaggio astratto. Questo si basa sull’impiego di sostantivi impersonali al posto dei nomi propri e sull’introduzione dell’articolo determinativo seguito da nomi astratti e dall’infinito dei verbi (la “vista”, il “vedere”…).
Il linguaggio astratto si configura come condizione indispensabile per l’avvio della riflessione scientifica e per la stessa nascita della filosofia.
INOLTRE….
La democrazia favorisce e garantisce il libero pensiero; viceversa il libero pensiero mantiene in vita la democrazia. Esiste quindi un rapporto dialettico tra democrazia e libero pensiero.
Democrazia: dibattito, voto, capacità di argomentare.
Argomentare: capacità di esprimere giudizi motivati.
Democrazia greca: democrazia borghese (o comunale).
Borghesia = ceto medio (artigiani e commercianti). Dal 1200: anche banchieri. Dal 1700: anche industriali.
Astrazione: procedimento logico che prescinde dai dati sensibili.
Astratto: che non ha relazione con i dati sensibili.
Diffusione alfabeto:
SOPHIA E PHILOSOPHIA
Etimologicamente philosophia significa “amore della sapienza”. Pertanto la filosofia è voglia di essere un individuo, di essere critico (critico: vede i pro ed i contro) di non essere massa e omologato, ma avere un pensiero proprio. Bisogna ben definire, però , il significato di sophia. Il significato più antico e più generico era “saper fare”, capacità di usare delle téchnai consistenti in particolari conoscenze, regole e procedimenti, che potevano essere insegnati e appresi. Nella cultura greca, fino a Socrate e Platone, la sophia per eccellenza era l’arte poetica e sophos (“sapiente”), era il poeta. A partire dal VI secolo a.C., per sophia si intenderà anche l’essere esperti in alcune scienze, dalla medicina alla matematica. Nel V secolo, i sofisti verranno definiti coloro che vogliono insegnare la sophia ai giovani, e sophia significherà l’arte politica, la padronanza dell’uso della parola, il possesso di conoscenze scientifiche.
LA SCUOLA DI MILETO.
Secondo Aristotele, l’oggetto principale delle prime indagini filosofiche è stata la natura (physis) e “fisiologi” sono stati chiamati quei filosofi. I fisiologi si sono sforzati di individuare il principio di tutte le cose: arché.

I greci pensavano che le realtà sensibili fossero fenomeni di un’altra realtà che non si vede e che è l’archè, la sostanza, l’essenza, le fondamenta, l’origine, la struttura, di ciò che si vede. E che, quindi, se si fossero fatti un’idea delle fondamenta, avrebbero compreso anche tutti i suoi effetti, i suoi fenomeni, perché questi appaiono caotici, molteplici, ed in continua trasformazione (caos).
Idea: immagine mentale.
Cosmo: realtà sostanziale (opposto di caos = realtà sensibile)
MILETO (ASIA MINORE), VI SECOLO a.C. :
-Talete: considerato da Aristotele l’iniziatore della ricerca filosofica sull’archè, cioè sul principio originario da cui nascono tutte le cose e al quale tutte le cose ritornano, attribuendogli l’idea che questo principio sia costituito dall’acqua.
[L’acqua nei miti:
-Genesi: Jhavè creò l’acqua, dall’acqua, la vita
-Grecia: Oceano è il padre di tutte le cose
-Iliade: Achille che va verso il mare, che è la madre Teti… ]
-Anassimandro: la vita è qualcosa di indeterminato e di indefinito: è un apeiron.
[Indeterminato: nessuna caratteristica qualitativa
Indefinito: nessun limite nello spazio e nel tempo, è un fatto quantitativo.]
-Anassimene: la matrice di tutte le cose, è qualcosa di determinato, ma infinito: è l’aria, intesa come un soffio vitale, un anemos.
PITAGORA ED I PITAGORICI.
Con Pitagora siamo nella Magna Grecia, luogo nel quale costituisce una comunità le cui finalità sono originariamente etico- religiose e scientifiche, ma che presto diviene anche un’associazione politica schierata. Tale comunità, inoltre, era l’unica, insieme a quella di Epicureo, ad accettare le donne, in una Grecia fortemente misogina; e aveva un carattere religioso esoterico (riservate a cerchie ristrette di iniziati, e quindi elitarie e aristocratiche) e non essoteriche (basate su insegnamenti rivolti a tutti).
Per Pitagora il corpo è una tomba che imprigiona l’anima (dottrina orfico- pitagorica della reincarnazione dell’anima: metempsicosi). Quest’ultima però si può purificare mediante l’esercizio ascetico, che mira a distaccarla dal corpo già durante la vita corporea, ad esempio mediante la musica e lo studio dell’astronomia.
Secondo Pitagora l’essenza della realtà è una struttura logico-matematica, cioè ai Pitagorici va fatta risalire la concezione per cui l’essenza ultima della realtà è il numero. Esso è costituito da un insieme di unità, e ogni unità si identifica con un punto geometrico. Le cose sono costituite da un numero finito di punti e per ciò sono misurabili (e, quindi, comprensibili). Così l’aritmetica, scienza delle unità che compongono i numeri interi, viene a coincidere con la geometria, scienza dei punti nello spazio (aritmo- geometria).
Presto i Pitagorici si trovarono davanti ad un problema logico che appariva insormontabile: come conciliare l’infinita divisibilità dello spazio geometrico con la finitezza del numero? essi avevano infatti scoperto l’incommensurabilità del lato e della diagonale di un quadrato, mettendo così in discussione il concetto di numero intero ed aprendo la questione dell’infinito matematico.
[Infinito: inesauribilità di una serie per somma o divisione]
Ai Pitagorici viene anche attribuita l’elaborazione di una compiuta teoria astronomica: a Filolao viene attribuita l’ipotesi dell’esistenza di un fuoco centrale a cui ruotano intorno 10 corpi celesti; ad Aristarco una teoria eliocentrica basata sull’idea che il Sole sia al centro dell’universo e che intorno ad essi ruotino i pianeti.
Infine, la matematica assume per i Pitagorici anche un significato mistico.
DUNQUE:
- Il numero è la struttura, l’essenza di ogni fenomeno.
- La matematica è aritmo- geometrica.
- Tutto è misurabile e,quindi, comprensibile.
- L’unita è un punto: se il numero uno è un punto, un numero è una figura geometrica.
DIFFERENZE TRA LA MATEMATICA PIT. E QUELLA ODIERNA:
- la loro è una matematica aritmo- geometrica, a differenza della nostra;
- cambia il sistema segnico: usano linee, punti, figure. Il nostro, invece, è un sistema segnico posizionale, inventato dagli indiani e giuntoci tramite gli arabi. Il tale sistema, è presente anche lo zero, numero che rappresenta l’assenza di quantità, ma tuttavia fondamentale.
- Il significato della matematica pit. è anche di tipo mistico.
SENOFANE.
Il poeta ionico è importante per la sua critica rivolta all’antropomorfismo della religione olimpica, cioè alla rappresentazione della divinità in forma umana, con tutti i vizi e le passioni dell’uomo. Rappresentare Dio come alienazione delle nostre caratteristiche, infatti, sostiene Senofane, porterebbe ad un degrado morale. Aggiunge, inoltre, che in realtà c’è un solo Dio, essere unico, mai generato, immortale ed immobile (eterno).
ERACLITO.
Eraclito usa un linguaggio oscuro, enigmatico (in lui, cioè che rimane di un filosofo è la laicità), da cui traspare la sua convinzione che la verità sia per pochi (visione elitaria). La ricerca eraclitea della verità è solitaria, condotta guardando soprattutto a se stesso (introspezione), si pone come un modo di vivere e di atteggiarsi diverso da quello degli uomini comuni. Questi si fidano solamente delle apparenze e dei dati sensibili e sono incapaci di ragionare. Credono di essere desti, ma in realtà dormono, poiché rimane loro nascosto ciò che fanno da svegli così come non ricordano ciò che fanno quando dormono.
Eraclito, inoltre, considera Pitagora ingannatore, in quanto sostiene che il “saper molto” non insegna a pensare rettamente. Egli, infatti, mira a conoscere la natura intima delle cose.
Per Eraclito, la vita è innanzitutto mutamento incessante, un fluire continuo: tutto scorre, panta réi. Al filosofo è stata anche attribuita l’idea che la trasformazione perenne delle cose sia determinata, sul piano cosmico, da una specie di fuoco, cioè da un principio materiale da cui tutto deriva e procede, ed in cui tutto si risolve.
Eraclito crede che ogni divenire avvenga tra opposti e generi permanente tensione e conflitto: “la guerra è comune, è padre di tutte le cose”, l’opposizione è una necessità. Ciascun aspetto della realtà, infatti, si oppone all’altro, ma si sviluppa anche dall’altro: non c’è vita se non dallo scontro di due contrari, in qualunque forma si manifesti la vita, c’è stata una sintesi di opposti o dialettica dei contrari.
[esempi: - nei tarocchi la carta della morte sta a significare l’arrivo di un grande cambiamento; - il 25 dicembre era la festa pagana della vita nel giorno più cupo, i cristiani vi celebrano la nascita di Gesù. In realtà Gesù nacque nel mese di Nisan, tra marzo e aprile, nello stesso periodo della sua morte; - Dante va nel regno dei morti dove le anime sono quelle di uomini che erano già morti in vita.]
Nel descrivere la natura contraddittoria del reale Eraclito si avvale anche di termini ambigui: vita (bìos) è il nome dell’arco (biòs), ma opera la morte.
LA SCUOLA ELEATICA.
PARMENIDE
Secondo Parmenide, la ricerca della verità deve essere esclusivamente razionale e, quindi, bisogna procedere utilizzando solamente la ragione. Inoltre, è necessario distinguere la verità dall’opinione, la quale è un’idea soggettiva, doxa, negativa se utilizzata in ambito scientifico. In tale campo, infatti, è necessaria la sola presenza di una verità oggettiva e speculativa (al contrario, in ambito politico è essenziale l’esistenza di più opinioni per non cadere in una dittatura). Per quanto riguarda la conoscenza, secondo Parmenide esiste una sola via (strada, metodo, procedimento): quella cioè di astrarsi e procedere esclusivamente con la ragione. Infatti, se ci fidassimo dei sensi (osservazione sensibile) arriveremmo a delle opinioni soggettive (doxa) e, quindi, errate. Ragionare in modo astratto, quindi, utilizzando il principio di non contraddizione.
Seguendo tale logica,diciamo che l’essere è e non può non essere:
essere non è = morte
non essere è = nascita
mi astraggo e vedo che nascita e morte includono una contraddizione, quindi non sono logiche e perciò non possono essere vere. Fondamentalmente, sostanzialmente, la vita, l’essere è eterno, ovvero non ha nascita né morte, non ha inizio né fine.
Per lo stesso ragionamento, osservando i fenomeni in trasformazione e astraendomi, mi accorgo che questi includono una contraddizione nel tempo: qualcosa è perché non è più quello che era e non è ancora quello che sarà. Per cui la trasformazione è ciò che apparentemente vedo, ma essenzialmente l’essere è immutabile, la vita non cambia.
Ancora, posso dire che l’idea di molteplicità include una contraddizione nello spazio in quanto le realtà, che sono molte, sono definite poichè non sono altre realtà e, perciò, la molteplicità è solamente apparenza e fondamentalmente l’essere è unico.
Perciò Parmenide è considerato il fondatore dell’ontologia (letteralmente, “scienza di ciò che è”), cioè l’iniziatore del discorso filosofico intorno all’essere.
ZENONE.
Discepolo di Parmenide, si assunse il compito di difendere le tesi di Parmenide dai suoi critici. Secondo Aristotele, le confutazioni di Zenone hanno aperto la via ad una nuova disciplina logica, la dialettica, con la quale si ammette come ipotesi la tesi dell’antagonista e, partendo da essa, si ricavano con il ragionamento delle conclusioni contraddittorie, che confutano quell’ipotesi. Zenone confutò così la realtà della molteplicità e del mutamento sostenute dagli altri filosofi.
Contro la molteplicità: due argomenti principali
• Se si ammette che le cose sono molte, esse dovrebbero essere tante quante sono, non di più né di meno: quindi il loro numero dovrebbe essere finito. Eppure, anche così, il loro numero non può che essere infinito, perché fra le une e le altre cose se ne potranno pensare sempre altre e, fra queste e le prime, altre cose ancora, e così via all’infinito. Quindi, per assurdo, le cose, finite di numero, sarebbero infinite.
• Se si ammette che le cose sono composte da più elementi: o questi elementi non hanno grandezza, ma allora le cose composte da elementi senza grandezza non avrebbero a loro volta alcuna grandezza, cioè non esisterebbero; oppure questi elementi hanno una grandezza, ma allora le cose, finite, essendo composte da infiniti elementi (per l’argomento precedente), avrebbero un’infinita grandezza.
Contro il movimento: quattro argomenti (consideriamone solo due).
• Celebre è il paradosso del “piè veloce” Achille, che non potrà mai superare la tartaruga. Prima, infatti, egli deve raggiungere il punto da cui questa è partita: ma durante il tempo in cui egli fa questo, la tartaruga si è spostata un po’ più avanti. Achille cerca di raggiungerla nel nuovo punto, ma quando è arrivato ad esso trova che l’animale si è spostato ancora più avanti, sia pure di poco. Lo stesso avviene quando egli copre quest’ultima frazione di spazio: l’animale si è spostato di una – sia pur minima- frazione. E così via all’infinito: il velocissimo eroe si avvicinerà sempre più alla lentissima tartaruga senza, però, raggiungerla mai.
• Infine un altro argomento afferma che una freccia in movimento sarebbe, in realtà, ferma. Il moto può essere rappresentato come una serie di spazi occupati – uno dopo l’altro- dalla freccia. Ma in ciascun spazio occupato la freccia è ferma. Se questo è vero, allora il movimento della freccia è formato da una successione di spazi/istanti nei quali essa è ferma: quindi il movimento è impossibile, perché non può essere composto unicamente di momenti di immobilità.
Paradosso: da “para” = va contro “doxa” = l’opinione
Zenone dice che la scienza è paradossale.
IL NATURALISMO DEL V SECOLO.
DEMOCRITO.
Secondo Democrito, tutto nella realtà è strutturalmente fatto di atomi di materia (materialismo). Inoltre, ogni fenomeno trova spiegazione in cause puramente fisiche, senza il ricorso agli scopi di qualche “mente” cosmica o divinità, senza alcun intervento divino (meccanicismo). Respinge però la tesi della divisibilità all’infinito: se pensassi che è possibile la divisione all’infinito, dividendo all’infinito arriverei al niente. Ma così dovrei ammettere che dal niente sia possibile generare qualcosa. Si giunge così alla conclusione razionale che i corpi possono essere divisi solo finchè non si giunge ai loro componenti ultimi, cioè a elementi materiali non ulteriormente divisibili, gli atomi. (Gli atomi sono gli elementi costitutivi della materia.)
Gli atomi, oltre ad essere infiniti di numero, sono eterni ed immutabili. Essi non hanno quindi caratteristiche qualitative, ma solo quantitative: la loro diversa combinazione produce l’idea (illusoria) di fenomeni sensibili diversi tra loro. La condizione del movimento degli atomi è il vuoto: dentro di esso si compongono e si scompongono, si muovono dentro di esso e solo perché c’è esso.
I SOFISTI.
Con i sofisti ci troviamo nel V secolo ad Atene. Essi, sono portatori di una visione cosmopolita, e non più localistica, della realtà. Sono maestri itineranti, ed offrono il proprio insegnamento a coloro che desiderano dotarsi delle competenze necessarie ad esercitare un ruolo di primo piano nella vita politica della città democratica. Per questo, principalmente, i sofisti insegnavano ai figli dei borghesi in ascesa, che volevano istruire i loro figli per far sì che potessero partecipare alla vita politica della città [istruzione come elemento di emancipazione].

Nel V secolo, infatti, il consolidamento della democrazia richiede la formazione di una nuova classe dirigente competente, che sia cioè all’altezza dei problemi di governo di una società complessa (molteplice, articolare, plurale; e cioè mischiata, multi- etnica, multi- culturale, mercantile, borghese. No complicata). I sofisti, propongono quindi di insegnare ai giovani una diversa sophia, che comprenda non solo un saper fare politico, ma anche un’ampia gamma di conoscenze. Per far questo, elaborarono una nuova enciclopedia del sapere. La loro concezione della paideìa (educazione) aveva le seguenti caratteristiche:
- si rivolge non solo al fanciullo, ma anche all’uomo in via di formazione e all’adulto;
- non si occupa solo della mente, ma anche del corpo;
- si ispira ad un’idea democratica di formazione del cittadino.
Inoltre, in un contesto caratterizzato dall’isonomia (uguaglianza davanti alla legge), la città in questo periodo si presenta come una vera e propria “agenzia educativa”, che esercita questo compito in molti modi: dalle assemblee, alle feste religiose, al teatro.
Platone, a nome dell’aristocrazia, operò una demonizzazione dei sofisti, criticando il fatto che essi si facessero pagare, portando ad un degradamento della cultura. In realtà, l’aristocrazia temeva l’emancipazione della borghesia e la sua partecipazione alla vita politica.
Elemento distintivo dei sofisti è anche il relativismo etico- conoscitivo secondo il quale esistono tante verità quante sono gli individui; inoltre, propongono l’utile come criterio fondamentale della condotta individuale e collettiva.
Nel quadro dell’insegnamento sofistico, infine, ha un ruolo centrale l’arte della retorica, ossia la tecnica del discorso persuasivo. La situazione politica e culturale, infatti, richiedeva una vincente capacità persuasiva e una completa padronanza di linguaggio. Per questo, i sofisti ricorrevano alle antilogie, ossia discorsi contrapposti, in cui educavano a dimostrare per vera una tesi, ed anche il suo contrario.
Istruzione:
- fattore economico
- fattore democratico
- emancipazione sociale e politica
- arma contro la demagogia.
SOCRATE.
Con Socrate abbiamo una cesura netta con il mondo dei poeti e del mito. Figlio di uno scultore e di un’ostetrica, Socrate svolgeva la sua attività nell’agorà, e quindi nelle piazze, nelle vie e nei centri della vita pubblica, impegnato in un’incessante ricerca e in un continuo dialogo con i giovani e con uomini di ogni ceto e condizione. La filosofia quindi non è più una misteriosofia, e l’interesse, prima rivolto ai fenomeni naturali e sacri, si sposta verso i fenomeni umani, la politica e la vita nella polis. Il discorso diventa esclusivamente razionale, e, quindi, viene espulso l’interesse per il sacro. Atto necessario anche per evitare discriminazioni che potevano mettere in discussione l’isonomia.
COMPITO DEL FILOSOFO.
Secondo Socrate, compito del filosofo è quello di controllare, con l’istruzione, il potere politico per far sì che la democrazia non degeneri in una partitocrazia. Egli, infatti, si descriveva come un tafano posto ai fianchi della città (paragonata ad un cavallo di razza), con il compito di stimolare, rimproverare ogni giorno, dovunque, ogni suo cittadino, per persuaderli a seguire la virtù. Ovviamente, ciò non faceva piacere alle autorità, alle quali non faceva affatto comodo avere un cervello che ragionasse ma, soprattutto, insegnasse a ragionare. È per questo motivo che fu operata una demonizzazione nei confronti del filosofo, accusato di corrompere i giovani e allontanarli dalla religione. In realtà, Socrate insegnava loro semplicemente a ragionare anche sulla religione, allontanandoli da un modo acritico di vivere la religione. Altre critiche, gli vennero rivolte dal commediografo Aristofane, il quale nella sua commedia Nuvole, presentò la figura di Socrate in forma caricaturale, come un sofista empio ed imbroglione. Ancora, Senofonte, uomo d’ordine e soldato, delinea la figura del filosofo esprimendo apertamente il suo sconcerto e la sua difficoltà. Bisogna aggiungere, infine, che Socrate non ha lasciato alcuno scritto e che le informazioni su di lui le abbiamo grazie alle opere di Platone, suo discepolo ed amico, e di Aristotele, a sua volta discepolo di Platone. Socrate verrà condannato a morte respingendo, nell’attesa dell’esecuzione della condanna, ogni idea di fuga e di esilio, affrontando la morte in piena coerenza con la sua vita e le sue idee.
LA FILOSOFIA DI SOCRATE.
Con Socrate, non possiamo parlare di una vera e propria sua filosofia: secondo lui, il vero maestro non doveva insegnare le proprie idee all’allievo, ma dargli i mezzi per crearsi un’idea, un pensiero proprio. Così, l’attività filosofica si configura come una ricerca aperta e critica, capace di metter in discussione ogni idea e ogni apparente certezza; la filosofia è dialogo tra allievo e maestro nel quale avviene un arricchimento reciproco, è ricerca in comune, ascolto reciproco e confronto, critica verso chi pretende di avere il monopolio della Verità.
Con Socrate, si può parlare di “illuminismo greco”, retrodatando un termine che avverrà molto più tardi (1700), in Francia.
IL METODO SOCRATICO.
Nell’ambito del dialogo, Socrate crede che in primo luogo si debba liberare l’interlocutore dalla presunzione del sapere. A tale scopo, il filosofo si avvale dell’ironia, una forma di dissimulazione con la quale il filosofo pone domande al proprio interlocutore fingendosi d’accordo, per poi confutare impietosamente le sue risposte. Con tale metodo, si riesce così a creare un binario di comunicazione. Al momento dell’ironia, segue quello della maieutica, l’arte di far partorire, che Socrate esercita sugli uomini e sulle “anime partorienti” invece che sulle donne e sui corpi. L’insegnamento socratico non trasmette il sapere, ma comunica lo stimolo per la ricerca, aiutando ciascuno a generare, cioè a far nascere da sé la verità di cui è gravido: egli fa partorire, non partorisce lui stesso una verità. L’arte della maieutica è, quindi, un lavoro introspettivo, un metodo della ricerca in comune.
Infine Socrate fa un appello contro la hybris (egocentrismo): i greci infatti non la tolleravano in quanto erano in costante ricerca dell’armonia.
LA CONCEZIONE DELL’ANIMA.
Conoscere se stessi, mettendosi in discussione nella ricerca e nel dialogo con gli altri, significa per Socrate prendersi cura dell’anima. Ma che cos’è l’anima secondo il filosofo? Sembra infatti che egli abbia elaborato una concezione non religiosa dell’anima: essa è per lui la sede della coscienza e del pensiero. Inoltre l’anima, se vuol conoscere se stessa, dovrà fissare un’altra anima.
[differente dal cristianesimo: nella concezione cristiana, infatti, non è possibile conoscere se stessi, e quindi arrivare a Dio, se non lavorando da soli (monachesimo).]
LA CONCEZIONE DELLA MORTE.
Secondo Socrate, il morire è una di queste due cose:
- o è un “non essere più nulla”, un rifondersi all’energia dell’universo;
- oppure è un “mutar sede”, un recarsi nell’Ade e trovarvi tutti i morti. E allora morire sarebbe una “consolazione straordinaria”.
Comunque, afferma Socrate, per l’uomo retto, ben guidato dalla sua anima, non è possibile intervenga male alcuno, né in vita, né in morte.
La concezione socratica dell’anima mostra così un carattere laico e razionale, coerente con la sua idea del filosofare. In questo quadro po’ essere collocato anche il riferimento al daimònion, il demone che Socrate afferma di recare in sé, una specie di divinità la cui voce si fa sentire per dirgli ciò che non deve fare.
Infine, il filosofo afferma che per poter dialogare, in primo luogo ci si debba chiedere qual è il concetto, che cos’è, ti estì.
PLATONE.
Con Platone siamo nel IV secolo. Di famiglia aristocratica, fu allievo di Socrate e, alla sua morte, aprì ad Atene una scuola filosofica, scientifica e politica, l’Accademia, un vero e proprio istituto di ricerca frequentato da giovani scienziati e intellettuali proveniente da diverse città. In questo modo, con la filosofia di Platone si torna alla misteriosofia, una filosofia per pochi e, quindi, con una selezione di classe e di merito.
Degli scritti che possediamo oggi di Platone, 34su 36 hanno la forma del dialogo nei quali, spesso, uno dei due interlocutori è Socrate. Questi sono suddivisi in tre gruppi:
• i dialoghi della giovinezza:
- Apologia di Socrate, nel quale si chiede cos’è la giustizia (ti esti);
- Protagora, Gorgia, nei quali attacca il pensiero sofista;
• i dialoghi della maturità:
- Simposio, un dialogo a più voci;
- Repubblica, dove teorizza l’ascesa al potere dei filosofi;
- Fedro, dove troviamo il mito dell’auriga;
• i dialoghi della vecchiaia:
- Parmenide, dove parla del dualismo ontologico;
- Timeo, il libro dove più si sente l’influsso pitagorico-matematico.
I dialoghi platonici costituiscono lo sviluppo di una ricerca incessante, legata al confronto con una pluralità di punti di vista. La scelta del filosofo di scrivere i dialoghi, dopo aver dichiarato nel Fedro la sua diffidenza nei confronti della scrittura, è probabilmente dovuto alla capacità di un testo scritto di raggiungere un pubblico più vasto di quello costituito dai frequentatori dell’Accademia. Nei dialoghi platonici, però, non sempre troviamo tecniche argomentative razionali. A volte, infatti, queste lasciano il posto ad una forma espressiva tradizionale, il mito. Questo può avere due funzioni:
- allegorica, quando ci sono argomenti che vanno oltre le capacità di comprensione mentale e così il mito diventa l’unico modo per parlarne
- divulgativa, per spiegare meglio alcuni argomenti e per educare.
LA VERITà.
- in natura: si cerca
- in politica: ci si mette d’accordo
- nella religione: già data (dogma).
Secondo Platone la Verità è un qualcosa che già sai, ma che devi ricordare (la maieutica, quindi, diventa il ricordo, anamnesi). Perciò la verità non è più una sintesi, ma è qualcosa di assoluto. Il maestro, allora, diventa colui che, avendo già ricordato, ti può aiutare a riconoscere la verità la quale è stata dimenticata nel momento in cui hai preso forma e sei entrato in una diversa dimensione. Il fatto, però, che il maestro già ricordi la verità, può diventare pericoloso e poco controllabile.
SIMPOSIO.
Il simposio, letteralmente “banchetto”, è un dialogo a più voci. Ci si riuniva intorno ad un tavolo tra uomini e si beveva per introdurre un’euforia che facilitasse la conversazione su un determinato argomento. Per ultimo parlava Socrate, che dava la sua opinione. In un mito del Simposio di parla di Eros. La sacerdotessa Diotima (donna accettata perché non greca), racconta che Amore (Eros) è un daimonion, un’entità intermedia tra gli uomini e gli dèi nata da Povertà e Ingegno, che vaga in cerca della bellezza e della sapienza, di cui sente la mancanza e che desidera far proprie. Eros è quindi nostalgia, mancanza della bellezza, della verità, è la metafora del filosofo. Compito di eros è quindi quello di “farti sentire il bisogno”. Eros è energia, è una “Divina mania”, una follia, pazzia assegnata dagli dèi agli uomini per favorire l’apprezzamento delle cose belle e portarli al riconoscimento della bellezza in se (Dio).
L’ALLEGORIA DELLA CAVERNA E LA TEORIA DELLA LINEA.
Nel dialogo Repubblica troviamo un mito, l’allegoria della caverna, nel quale Platone esprime la propria rappresentazione della condizione umana: gli uomini sono incatenati in una grotta in modo da poter vedere solo davanti a sé nella caverna. Così essi non possono vedere ciò che è alle loro spalle, ossia l’uscita, una strada dove gli uomini camminano portando con sé ogni sorta di oggetto, e un fuoco che brilla in alto, come un sole. Gli schiavi così, potendo vedere solo ke ombre di tutto ciò che gli è alle spalle, credono che sia quella la realtà. Ad uno di loro però potrebbe capitare di liberarsi e guardare verso la luce provando dolore agli occhi e non riuscendo più a scorgere le ombre che prima vedeva così bene: egli vedrebbe gli oggetti sulla strada, ma dubiterebbe della loro realtà e riterrebbe invece cere le ombre. Egli soffrirebbe ancora di più se fosse costretto ad uscire dalla caverna: rimarrebbe abbagliato dalla luce del sole, ma poco per volta si abituerebbe alla visione del mondo reale fino ad arrivare alla contemplazione del sole. Ripensando alla condizione di schiavo, sarebbe allora felice del cambiamento e proverebbe pietà per gli uomini nella caverna. Ma se tale pietà lo spingesse a riscendere nella grotta i suoi occhi, abituati alla lice del sole, non riuscirebbero più a vedere nelle tenebre, provocando il riso degli schiavi. In tal modo, chi vorrebbe tentare l’ascesa fuori la caverna per ridursi come lui?o, ancora, se egli cominciasse a liberare e a condurre fuori quei prigionieri, essi non proverebbero ad ucciderlo? Proprio come era successo a Socrate. Nello stesso dialogo viene anche descritto, attraverso la teoria della linea, un processo conoscitivo per cogliere l’ordine oggettivo della realtà, un mito, quindi, che rappresenta in forma allegorica i diversi gradi della conoscenza. Platone immagina infatti una linea divisa in due segmenti: il primo rappresenta l’ambito dell’opinione (doxa), il secondo quello della scienza che, a sua volta, si divide in due segmenti. I gradi della conoscenza sono quindi tre:
- Conoscenza sensibile, ossia doxa, la quale non è vera conoscenza ed è rappresentata nel mito dalle ombre.
- Conoscenza matematica, che porta al di là degli oggetti particolari, dà un’idea delle leggi naturali, è la dianoia, cioè il procedimento della scienza che, muovendosi da ipotesi e assiomi, giunge alla conoscenza delle relazioni matematiche. È il riflesso nell’acqua.
- Conoscenza della verità, l’intellezione, noesis, che è la visione delle idee e conduce al piano dell’essere, guardo i fenomeni per capire la verità. È il sole (idea del bene).
Idea divina non in senso antropomorfico e confessionale.
Per capire la logica, serve l’astrazione (anche come esercizio psicologico).
LA MATEMATICA.
Matematica: senso delle proporzioni, del bello.
Grazie alla matematica si comprende la struttura dell’universo. Quando si comprende cos’è la matematica, a cosa serve, allora si passa alla maieutica, l’anamnesi (ricordo). L’aiuto del filosofo è quello di accenderti la voglia, Eros. Nel mito della caverna si dice: per poter arrivare al momento in cui si arriva alla conoscenza della verità, serve la matematica. Inoltre, matematica:
- scientifico, per comprendere la logica;
- esistenziale, con l’astrazione mi allontano dal mondo fenomenico, prendo le distanze.
La matematica come ipotesi (che sta sotto, ti da le basi) per la filosofia.
La matematica è un metodo, procedimento assiomatico, analitico, deduttivo da cui si trae una conclusione.
ASSIOMI = dignità logica che non deve essere dimostrata
INTUIZIONE = colpo d’occhio della mente che coglie la verità senza ragionare (operazione immediata)
INTELLEZIONE = la mente comprende la verità come frutto laborioso di un ragionamento (mediazione logica)
Platone dice: PRIMA ci si allena a ragionare, utilizza la dianoetica, attraverso i gradi della conoscenza, si studia al matematica, POI si arriva ad utilizzare la matematica per fare ipotesi immediate su tesi comprese prima.
SINOSSI = il concetto è una visione sinottica, quando arrivo all’intuizione ho una visione sinottica.
Quindi Procedimento:

prima ci sono i vari livelli di conoscenza spiegati nel mito della caverna

poi si passa attraverso la maieutica, il ricordo
si può formulare una propria ipotesi immediata.
AMORE.
Amore celeste = spirito
Amore volgare = corpo
L’amore per Platone infatti è così visto:
amore celeste = amore ANCHE spirituale
amore volgare = amore solo fisico.
IDEE.
Platone dice: dobbiamo farci un’idea (immagine speculativa) delle Idee (modello a cui si rifanno i giudizi di valore, stabile essenza a cui ricondurre tutti i significati, realtà, ordine oggettivo, trascendenza, principio supremo).
Idee (archetipi):
- matematici (forme geometriche)
- valori ( bene, verità, giustizia, bellezza):
esistono tanti archè per ogni tipo di fenomeno (archetipi). L’insieme di archetipi costituisce il cosmo. Se il mondo fenomenico fondamentalmente è armonico, matematico, allora il mondo fenomenico è bello (Verità, Dio, Bene).
Bellezza essenza della struttura matematica che è l’essenza dei fenomeni.
RAPPORTO TRA IDEE E COSE.
Platone sostiene che il rapporto fra cose e Idee è di “partecipazione” (metessi), per cui, ad esempio, una cosa è bella in quanto partecipa della “bellezza” in sé. Ma il loro rapporto è anche di “imitazione” (mimesi): le cose sono copie somiglianti delle Idee. Dunque, l’imitazione implica qualche “somiglianza” fra ciò che è imitato e ciò che imita.
FEDRO.
Nel Fedro troviamo il mito dei due cavalli. Questi tirano il cocchio e sono continuamente in conflitto tra loro, in quanto uno è di buona razza, l’altro no. Quando l’auriga, che cerca di governare la pariglia di cavalli, non ci riesce, arriva l’Eros, un’anima dal cielo che riequilibra le parti.
Quindi:
cavallo di razza = energia vitale;
cavallo nero = desiderio; passioni
auriga = ragione;
bisogna trovare un equilibrio tra le tre parti poiché solo se la ragione raffredda le passioni può esserci sentimento.
Passioni: sei passivo, sei travolto;
Sentimento: sai dove andare, dove direzionare le tue sensazioni.
I cavalli corrono in una piana, quella della Verità (pianura, si vede tutto, è tutto chiaro)
MITO DI ER.
Secondo Platone il nostro destino dipende dalle nostre scelte e non è dovuto a qualche maledizione divina o al fato. Questo è meglio spiegato nella Repubblica, con il mito di Er. Er è un guerriero morto in battaglia e poi resuscitato per poter riferire agli uomini ciò che accade dopo la morte. Nel racconto si immagina che alle anime, al momento in cui devono reincarnarsi, venga offerta la possibilità di scegliere tra vari tipi di vita, con l’avvertenza che “la responsabilità è di chi sceglie, il dio non è responsabile”. Secondo Platone quindi quando muori “porti dentro” un arricchimento che ti fa essere sempre vivo, sveglio e, quindi, più sei “arricchito” più scegli bene in quale vita reincarnarti. A questo mito, si ispira Dante, ma anche l’Eneide, l’Odissea ed Il libro della scala, un libro islamico che narra del viaggio interiore di ascesa e discesa dell’anima a Dio.
REPUBBLICA.
Nella Repubblica, il più importante dialogo della maturità, Platone esprime la sua utopia politica, particolare perché reazionaria anziché progressista. Egli infatti teorizza il potere in mano ai filosofi in quanto considera la democrazie rischiosa. Platone elabora così un modello ideale di stato articolato in tre classi gerarchicamente ordinate:
1- classe più bassa: i produttori, cioè la borghesia, che ha il compito di soddisfare i bisogni che l’uomo non può compiere senza un aiuto.
2- classe intermedia: i guerrieri, ossia l’aristocrazia, che, spinti dalla thymos (carica passionale), difendono la patria.
3- classe più alta: i guardiani, i filosofi, essi sono scelti tra i guerrieri e sono i custodi chiamati a governare.
Notiamo che le tre classi sociali corrispondono alle tre tendenze dell’anima:
- i produttori = il desiderio, il cavallo nero
- i guerrieri = le emozioni psichiche, il cavallo di razza
- i guardiani = la ragione, l’auriga.
Ma corrispondono anche ai tre livelli di conoscenza:
- produttori = conoscenza sensibile
- guerrieri = conoscenze matematiche
- guardiani = conoscenze della verità.
Inoltre, secondo Platone, vi è uno stato giusto solo quando ognuno rispetta, esercita le funzioni per cui è nato. Le virtù che prevalgono sono:
1- concupiscenza (borghesia)
2- coraggio (aristocrazia)
3- sapienza (filosofi).
Per tutte e tre le classe prevale la temperanza.
La posizione sociale, secondo il filosofo, dipende da una predisposizione innata dell’animo (predisposizione naturale). Perciò la divisione della scala sociale diventa giustificazione alla stessa differenziazione; lo stato in cui Platone viveva era quindi ingiusto e innaturale.
La magistratura controlla: dà lezioni ai giovani e, vedendo come essi reagiscono, decidono che tipo di animo hanno, che tendenza prevale.
Metafora:
1- produttori = anima bronzea;
2- guerrieri = anima argentea;
3- guardiani = anima aurea.
TIMEO.
Nel Timeo Platone racconta il mito del Demiurgo per esporre la sua ipotesi circa l’origine dell’Universo. Questo è opera, appunto, del Demiurgo, che l’ha ricostruito operando sulla materia rifacendosi al mondo delle idee. Utilizzando quindi le idee come modelli. L’universo plasmato dal Demiurgo esprime un ordine che rivela la presenza della natura di strutture matematico- geometriche. Tuttavia rimangono alcune domande:
- da dove viene la materia?
- Le idee archetipo sono un’immagine filosofica di Dio o anch’esse includono l’immagine di un Dio che le ha create?
- Il Demiurgo da dove viene?
Nella visione cristiana questi tre elementi si riassumono in una visione creazionista antropomorfa: Dio.

PLATONE CONDANNA L’ARTE.
Arte: mymesis mimeseos (imitazione dell’imitazione).
L’arte allontana dalla verità perché è copia della copia, cioè è copia dei fenomeni che sono copia dei modelli perfetti. Solitamente invece l’arte è considerata un modo più veloce per intravedere la bellezza, la verità. Infatti l’arte è espressione, fa vedere a tutti ciò che l’artista ha intravisto.
Arte:
- artista deve essere viaggiatore (mentale), ha sensibilità;
- l’artista deve avere capacità tecniche per poter comunicare
- chi guarda l’arte deve essere aperto e disponibile ad osservare.
Platone dice che l’arte allontana perché Platone si riferisce all’arte dei poeti, alla poesia che per lui allontana dalla verità. Solo la filosofia porta alla verità, frutto del ragionamento.

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