Schopenauer

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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Testo

Schopenhauer
Schopenhauer, reagendo all’idealismo, nega l’identità tra realtà e razionalità, e sostiene che la realtà è un continuo processo irrazionale privo di meta finale.
La filosofia deve avere come punto di partenza l’esperienza. Egli accusa l’idealismo di non aver compreso il vero significato della contrapposizione tra fenomeno e noumeno, tra apparenza e realtà, e di essere passato dalla inconoscibilità del noumeno alla sua eliminazione e alla spiritualizzazione di tutta la realtà.
Rifacendosi a Kant, sostiene che il mondo è una nostra rappresentazione, che esiste solo in relazione al soggetto che lo percepisce, che nessuno può uscire da sé stesso e vedere le cose per quello che sono. Se, dunque, il mondo è fenomeno, esso è condizionato dalle forme a priori di spazio, tempo e causalità. Ogni cosa esiste nello spazio e nel tempo mentre il soggetto è fuori dallo spazio e dal tempo e se esso svanisce, svanirebbe anche la rappresentazione del mondo: soggetto e oggetto sono, perciò, inseparabili ed erra sia il materialismo che nega il soggetto, riducendolo a materia, sia l’idealismo che nega l’oggetto, riducendolo a soggetto. L’unica verità è che il nostro mondo come ci appare è un insieme di rappresentazioni condizionate dalle forme a priori della coscienza: ogni nostra sensazione di oggetti è spazializzata e temporalizzata, dopodiché entra in azione l’intelletto che ordina queste nostre sensazioni secondo le categorie della causalità. Quest’ultima è l’unica categoria in quanto tutte le altre sono riconducibili ad essa, trasforma la sensazione soggettiva in intuizione oggettiva. Si capisce perché Schopenhauer dia tanta importanza al principio di causalità, che assunse quattro forme di necessità (fisica, logica, matematica e morale), che determinano le categorie degli oggetti conoscibili.
Ma l’intervento dell’intelletto non ci porta oltre il mondo sensibile: il mondo non è realtà in sé, è una realtà falsata, è come un sogno, come una cosa vista attraverso il velo di Maya; bisogna quindi squarciare questo velo in modo da raggiungere la realtà noumenica che per Schopenhauer, a differenza di Kant, è raggiungibile dall’uomo.
L’uomo, dice Schopenhauer, non è solo fenomeno dei fenomeni ma dietro il corpo (che è fenomeno) è anche interiorità, che porta l’uomo a sentisi vivere e a voler vivere, ed è proprio questa volontà, essenza principale del nostro essere che squarcia il velo di Maya e ci fa comprendere che la cosa in sé è la Volontà. E questa una forza cieca, insaziabile, libera, irrazionale, senza scopo, che vibra non solo in noi ma in tutto l’universo, che spinge tutti gli esseri della natura a lottare l’un l’altro per imporsi e dominare sul reale. Unica è questa forza pur se si differisce il suo grado di manifestazione, unica ed una pur se si divide in molti enti. La Volontà si manifesta nel monde fenomenico attraverso due fasi logicamente distinguibili. Nella prima fase la volontà generale si oggettivizza in idea simile a quelle platoniche, nella seconda fase si oggettivizza negli individui (intendendo con ciò tutte le cose dell’universo). Tra questi e l’idea c’è un rapporto di copia – modello, in quanto l’individuo non è altro che la riproduzione di quell’unico prototipo (l’idea). Quindi questa forza vitale si oggettivizza in tutta la natura, vegetale e animale, ma diventa cosciente solo nell’uomo.
L’essenza del mondo è volontà insaziabile, continuo desiderare, continuo tendere, bisogno inesauribile, quindi sofferenza, dolore, in quanto non si appaga mai: la soddisfazione è brevissima, una volta conseguito l’oggetto dei nostri desideri perde tutta la sua appetitosità, il suo interesse. Appagato un desiderio ne subentra un altro e se ciò non accade è il moto terribile, la noia, male peggiore del dolore. Il pendolo della vita oscilla tra il dolore e la noia. Tutti soffrono e l’uomo più di tutti e ancor più l’uomo di genio, perché è più sensibile, più consapevole di questa realtà.
E’ un pessimismo cosmico, spesso paragonato a quello di Leopardi. Però prima di tutto un filosofo non può essere paragonato ad un poeta, e poi, se il Leopardi dalle esperienze personali è portato ad un pessimismo individuale che solo più tardi diventa cosmico, Schopenhauer parte già dal pessimismo cosmico.
La volontà si serve dell’uomo per raggiungere il suo scopo, che è quello della perpetrazione della vita. La strada per la salvezza dal dolore dato dalla volontà di vivere è costituita dall’annientamento della volontà.
Esso non si ottiene attraverso il suicidio. Infatti il suicida è colui che, deluso della sua vita, si uccide perché odia la sua vita, non la vita in genere; perciò suicidandosi non risolve il problema, ma fa trionfare la volontà. Schopenhauer ha notato che vi sono dei momenti in cui l’uomo è impermeabile all’azione della volontà, per esempio nel momento in cui crea o contempla un’opera d’arte: in questo momento si è liberi da affanni, da preoccupazioni, da desideri. Ma la gioia estetica è di breve durata e non è una via per uscire dalla vita, ma solo una consolazione per restarvi.
Con l’arte l’uomo giunge a conoscere le idee, platonicamente intese come le eterne forme degli oggetti, come oggettivazione prima della volontà. La musica si propone come immediata rivelazione della volontà a sé stessa. La musica è l’arte più profonda, capace di metterci a contatto con le radici stesse della vita e dell’essere.
Ma comunque questa funzione liberatrice dell’arte è solo temporanea e parziale. Quindi la via della redenzione presuppone altri sentieri.
L’Etica è un tentativo di superare l’egoismo e di vincere quella lotta incessante degli individui tra di loro che costituisce l’ingiustizia e che rappresenta una delle maggiori fonti di dolore.
La morale si concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la pietà. La giustizia, che è un primo freno all’egoismo, ha un carattere negativo, poiché consiste nel non fare il male e nell’essere disposti a riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere a noi stessi. La verità si identifica con la volontà positiva ed attiva di fare del bene al prossimo. Diversamente dall’eros, che è un falso amore, l’agape (carità) è vero amore. Ai suoi massimi livelli la pietà consiste nel far propria la sofferenza di tutti gli esseri, e nell’assumere su di se il dolore cosmico. Sebbene la morale della pietà implichi una vittoria sull’egoismo, essa rimane all’interno della vita e presuppone un attaccamento ad essa. Per cui Schopenhauer si propone il traguardo di una liberazione totale non solo dall'egoismo e dall'ingiustizia, ma dalla stessa volontà di vivere. Questa liberazione è l’ascesi.
L’ascesi presuppone la castità perfetta (che impedisce il perpeturarsi della vita), la povertà intenzionale e la rassegnazione. Così annullando ogni istinto, ogni impulso, ogni desiderio, diventando indifferenti a tutto, l’uomo potrà annullare la volontà, rifugiandosi nella nolontà che corrisponde al Nirvana degli indiani e allo "Stato di Grazia" dei Cristiani.
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Questi appunti appaiono per gentile concessione di Luca e Laura Bruno. Schopenhauer –

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