Ricerca su Platone

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Testo

Damiana Casile
PLATONE

IDEE
La parola "idea", innanzitutto, deriva dalla radice greca "id-"che è a sua volta riconducibile al verbo "orao", vedere: è quindi qualcosa che si può vedere ma non con gli occhi, bensì con l'intelletto; la percezione degli oggetti sensibili risveglia il ricordo delle idee dell'iperuranio, le quali permettono di misurare l'inferiorità e la deficienza degli oggetti sensibili rispetto ad esse. Così qualunque oggetto sensibile possa essere detto bello, non coincide mai con l'idea della bellezza nella sua perfezione ed immutabilità. L'idea di bellezza, per esempio, è il modello ed il criterio in base al quale possiamo denominare belli determinati oggetti: infatti è perchè già possediamo l'idea di bellezza che possiamo designare belli questi altri oggetti. Nei primi dialoghi Platone aveva presentato l'indagine di Socrate proiettata alla ricerca di definizioni, ossia di risposte corrette alla domanda:"Che cos'è x?"(dove x sta per bello, giusto...). Per Platone la risposta a questa domanda consiste nel rintracciare l'idea in questione (per esempio l'idea di bellezza, di giustizia...). L'idea è dunque un "universale": ciò significa che i molteplici oggetti sensibili, dei quali l'idea si predica, dicendoli per esempio belli o giusti, sono casi o esempi particolari rispetto all'idea: una bella persona o una bella pentola sono casi particolari di bellezza, non sono la bellezza. Mentre gli oggetti sensibili sono caratterizzati dal divenire e dal mutamento, soltanto delle idee si può propriamente dire che sono stabilmente se stesse; proprio questa differenza di livelli ontologici, ossia di consistenza di essere, qualifica le idee come modelli rispetto agli oggetti sensibili corrispondenti. L'attività di un artigiano, per esempio di un costruttore di letti, è descrivibile da parte di Platone come un insieme di operazioni che mirano a foggiare un determinato materiale (in questo caso il legno) secondo il modello dell' idea del letto, alla quale egli si riferisce costantemente con il suo pensiero. L'idea è quindi dotata di esistenza autonoma, nè dipende per la sua esistenza dal fatto di poter essere pensata; essa è ciò di cui gli oggetti sensibili partecipano. La partecipazione all'idea,per esempio, di bellezza rende un determinato oggetto sensibile bello. Si usa solitamente dire che le idee abbiano una quadruple valenza: 1)Ontologica (dal participio del verbo essere greco):due cavalli, per esempio, si assomigliano perchè compartecipano all'idea. L'idea rende conto di ciò che una cosa è. Le cose sono infatti quel che sono perchè imitano le idee. 2)Gnosologica (dal verbo greco "gignosco",conoscere):noi conosciamo le cose perchè facciamo riferimento all'idea di uguaglianza: nella realtà empirica l'uguaglianza non esiste; essa esiste in un'altra dimensione. Due uomini si assomigliano perchè partecipano entrambe all'idea di uomo. 3)Assiologica (da "axiologia",la scienza che studia i valori): l'idea è il modello (in Greco "paradigma") imitando il quale ogni cosa tende al bene, che è lo scopo di ogni cosa: per un cavallo il bene sarà correre veloce. Ovviamente le imitazioni non potranno mai essere uguali al modello; questo avviene per diversi motivi: uno che merita di essere ricordato è che le idee nell'iperuranio non avevano nè forma, nè colore, nè dimensioni...quindi se disegniamo un triangolo bianco è già diverso dal modello che non aveva alcun colore e che paradossalmente li aveva tutti. Platone sostiene quindi la causa finale: secondo lui la causa il motivo per cui avviene una cosa è il suo fine stesso; la causa finale di una casa è farvi abitare della gente: ci sono però anche delle "concause"(che noi definiremmo "la condizione senza la quale..."), in questo caso i mattoni, il cemento...la vera causa finale però è l'idea stessa, sul modello della quale la casa viene costruita: il fine della casa infatti è essere fatta sul modello dell'idea di casa, cioè nel migliore dei modi: il meglio di ogni categoria corrisponde infatti alla sua idea. 4) Unificazione della molteplicità: gli uomini sono tanti ma l'idea di uomo è una sola .

IL BENE IN SE’
Il punto di arrivo della conoscenza è il bene in sè, l'idea di bene, cui Platone allude qua e là nei suoi dialoghi, sempre velatamente, chiamandola "misura", "uno", "bellezza"...Si tratta del più alto livello di argomentazione platonica: ce ne parla però in maniera molto indiretta e sfumata e doveva rientrare nelle dottrine non scritte; Platone stesso ci dice che lui non ne parlerà usando una strana metafora, che si può definire "bancaria": dice che parlerà "del figlio e non del padre", termini che in greco significano anche "interesse" e "capitale": quindi si può intendere "vi parlerò dell'interesse e non del capitale". Si serve poi di un'efficace metafora "solare": il bene sta al mondo delle idee come il sole sta a quello sensibile. Con bene in sè, idea di bene si intende un bene assoluto e non relativo ad altre cose come le idee (l'idea di forza, ad esempio, è un bene relativo perchè può essere un bene come un male: dipende dall'uso e dalle circostanze). Il bene in sè è la conoscenza suprema e sublime a cui sono chiamati i filosofi-re, che devono seguire il lungo percorso di studi: esso è il top del percorso educativo: quando si ottiene la conoscenza del bene in sè si è chiamati a governare la città; ciò che porta ad orientare ogni cosa verso il bene, a renderla buona è proprio la conoscenza del bene in sè. Per molti aspetti esso coincide con l'idea del bello: la bellezza è il modo in cui si esterna il bene interno: è una concezione ampiamente diffusa in tutto il mondo greco. Secondo Platone il sole è la "ratio essendi" (la ragione di essere)e la "ratio cognoscendi" (la ragione di conoscere)nel mondo sensibile:è infatti grazie al sole che riusciamo a vedere il mondo sensibile; in sua assenza vediamo molto male ed è grazie a lui che conosciamo la realtà sensibile. Il sole consente poi la vita: dove non c'è il sole non c'è vita. Il bene riveste le stesse funzioni del sole, però nel mondo intellegibile delle idee, che in un certo senso sono anch'esse "ratio cognoscendi" e "ratio essendi": l'idea fa sì che un cavallo sia tale e che lo si riconosca. Come detto, l'idea ha anche valenza assiologica (i cavalli mirano ad imitare l'idea di cavallo) ed è bene aggiungere di "unità della molteplicità": i cavalli sono tantissimi, ma l'idea di cavallo è unica e la si può definire "stampo" dei cavalli. Il bene in sè, oltre a quelle del sole, svolge le funzioni anche delle idee: risulta quindi inesatto definirlo idea: è una idea delle idee, una super-idea che si trova ad un livello superiore delle idee e che riveste funzioni analoghe a quelle delle idee sul mondo sensibile, ma sulle idee a stesse. Le idee sono unità della molteplicità, ma tuttavia sono tante: quindi si può fare lo stesso discorso che facevamo per le funzioni delle idee sul mondo sensibile; esse dovranno avere qualcosa in comune tra di loro. Esse rappresentano il bene per ciascuna categoria, il punto cui devono mirare i componenti di ogni "classe": le idee tendono ad essere il bene per la loro categoria: l'idea di uomo è il punto cui tutti miriamo: le idee fanno quindi riferimento al bene in sè, che è quindi un principio supremo, una super-idea. Esso svolge le stesse funzioni che le idee svolgono nel mondo sensibile, ma sulle idee stesse: ce le renderà conoscibili (conosco un'idea perchè è il bene della sua categoria), le farà esistere (esistono nella misura in cui sono il bene della loro categoria, partecipano al bene). L'idea del bene sarà anche l'unità della molteplicità delle idee, che sono innumerevoli, pur essendo il solo modello per ogni categoria. Abbiamo detto che a volte, al posto di bene in sè, troviamo "uno","misura"...Abbiamo anche già parlato di quella volta che Platone tenne la conferenza sul bene parlando di matematica: dunque l'"uno" ben si riallaccia. Ma che cos'era il bene in sè? Per Platone esso è unità, armonia, ordine, misura, unità... In altri dialoghi parla del bene in sè, del vertice della realtà, come coppia di principi, o meglio come principio bipolare: al vertice della realtà ci sarebbero dunque l'"uno" e la "diade indefinita". L'"uno" è l'unità, la diade fa riferimento al 2, quasi all'idea di 2: Platone col 2 vuole chiaramente indicare la negazione dell'unità, suggerendo il principio della molteplicità o almeno un primo passo verso di essa. Con il bene in sè (in greco "katà auton") sta pian piano rivelandoci l'esistenza di un 5° livello, principio supremo della realtà. La dottrina delle idee serve a spiegare perchè, in fin dei conti, le cose sono buone, o meglio le idee sono buone: il mondo sensibile cerca di imitare la bontà delle idee, ma con scarsi risultati. Abbiamo fin'ora detto che le imitazioni risultano imperfette: è un'ipotesi molto vaga. E' il momento di spiegare perchè le cose non sono perfettamente buone: bisogna o ammettere un altro principio o ammettere la bipolarità del principio: accanto all'"uno"(il bene vero e proprio) c'è la diade, la molteplicità concettuale che crea disordine. Cerchiamo di ritracciare lo schema già trattato in precedenza, però più corretto:

E' una gerarchia ontologica:più si sale e più cresce il tasso di essere perchè si ha esistenza sempre più forte: l'idea di cavallo non muore, il cavallo sì. Il punto di partenza, puramente teorico, addirittura sotto il livello delle immagini-imitazioni, è il non essere, poi troviamo l'essere pieno delle idee; il bene in sè, però, per Platone è per "dignità e per potenza" superiore all'essere: se le idee sono l'essere ciò che le motiva (il bene in sè) non può essere. Di fronte a questa affermazione di Socrate (ricordiamoci che a parlare è lui, con parole platoniche) l'interlocutore del dialogo esclama con stupore "Oddio!". In realtà esclama "per Apollo". Un interprete ha avanzato un'ipotesi: dato che è un pezzo di dialogo particolarmente allusivo egli ha ritenuto che sotto l'espressione "Apollo" (la divinità del sole, già qui ci può essere un collegamento alla proporzione precedente) si possa leggere "a" (alfa privativa) e "pollos", che significherebbe non molteplice. Effettuando questa affermazione non ci dice tanto ciò che il principio supremo è, quanto piuttosto ciò che non è (molteplice). Il bene risulta quindi coglibile con qualcosa che sta oltre alla conoscenza: se i livelli della conoscenza corrispondono all'essere e il non essere non è conoscibile, man mano che cresce il tasso di essere cresce il tasso di conoscibilità: ma il bene in sè è sopra,al di là dell'essere e quindi ha una conoscibilità totalmente fuori dal normale. Platone stesso ci dice che è una conoscenza extra-razionale. Schematizziamola in un grafico:

la conoscenza non è nient'altro che un tentativo del soggetto di arrivare all'oggetto o dell'oggetto di arrivare al soggetto: limitiamoci a dire che è un tentativo di unione tra soggetto ed oggetto. Se si sale dalla parte del soggetto,di pari passo si sale da quella dell'oggetto: crescono di pari passo. Paradossalmente, però, l'identificazione tra soggetto e oggetto implica l'inconoscibilità: per conoscere ci deve essere un soggetto che compie l'azione ed un oggetto che viene conosciuto: se vengono a mancare, manca di conseguenza anche la conoscibilità. Il bene in sè si trova esattamente nel punto di incontro tra soggetto ed oggetto: Platone afferma che la conoscenza del bene in sè sia un'esperienza mistica dove però è indispensabile la ragione; la si potrebbe tranquillamente definire una mistica di superamento della ragione.

IL PARRICIDIO
Nel Sofista Platone immagina un dibattito tra materialisti (i seguaci di Democrito) e idealisti (in un certo senso tra le compagini degli idealisti possiamo annoverare il Platone di tempi addietro, quando aveva appena scoperto il mondo intellegibile delle idee), chiamati "gli amici delle idee". Gli uni sostengono l'esistenza solo delle cose materiali (ma se così fosse, come si farebbe a dire, per esempio, che una cosa è giusta? Infatti se una cosa è giusta è perchè partecipa all'idea di giustizia: quindi le idee, enti immateriali, esistono), gli altri sostengono anche l'esistenza delle cose non materiali e di conseguenza delle idee in quanto subiscono un'azione: vengono pensate e conosciute. Così, però, entra in crisi la concezione delle idee come un qualcosa di immobile: esse esistono nella misura in cui subiscono un'azione e di conseguenza è ovvio che ciò comporti il movimento. Le idee si muovono perchè subiscono l'azione dell'essere conosciute. Dopo di che, Platone passa ad esaminare 5 idee di fondamentale importanza: l'essere, la quiete, il movimento, l'identico, il diverso. Platone fa subito notare come queste 5 idee siano in rapporto complesso tra di loro ed è come se fossero vive perchè hanno rapporti complessi le une con le altre. Si arriva a dire che il mondo delle idee sia un mondo vivo, dotato di intelligenza (sennò come farebbero le idee ad avere rapporti complessi ?); queste 5 idee sono tra l'altro molto importanti per esemplificare che il mondo delle idee non è affatto statico. Dapprima si considerano l'essere, la quiete ed il movimento: derivano tutte e tre dalla discussione precedente (l'essere e le 2 ipotesi, quella dei materialisti, secondo i quali l'essere è in continua evoluzione e non è mai lo stesso, e quella degli idealisti, secondo cui è un essere immobile) e si comincia una complessa e articolata indagine per analizzare i vari rapporti che intercorrono tra queste idee: ogni idea, infatti, partecipa di altre idee, senza però identificarvisi: è chiaro che solo l'idea di essere è l'idea di essere, ma tutte le altre idee ne partecipano: infatti tutte le idee esistono, sono. Solo l'idea della quiete è l'idea della quieta, ma molte altre ne partecipano(lo stesso vale per quella di movimento). Si passa poi all'idea di identico e di diverso: ogni idea è identica a se stessa e diversa dalle altre, pur non identificandosi nell'idea di identico e di diverso. L'idea stessa dell'essere partecipa all'idea di non essere perchè l'essere è se stesso ma non è nessun’altra idea. Da qui nasce il famoso parricidio di Parmenide: anche il non essere è, esiste ; si evidenzia quindi la distinzione di essere con valore copulativo (quel libro è bello) da essere con valore esistenziale (l'uomo è): dire "una cosa non è" non vuol dire negare la sua esistenza, ma dire che è diversamente: la penna non è il libro. Nasce quindi la possibilità dell'errore, che prima pareva negata: sbagliare significa dire le cose diversamente da come sono. Vi è quindi il nuovo valore della parola "dialettica": le idee si richiamano le une alle altre e tra loro intercorrono complessi rapporto:sono vive e "pensanti", in quanto si rapportano tra di loro secondo una logica. Secondo Platone le idee sono come le lettere dell'alfabeto che si possono legare e formare un numero quasi infinito di parole ,attenendosi però alle precise regole del discorso; così le idee si possono legare con altre idee (ma non con tutte) secondo determinate leggi e non a caso (come le parole unite a caso non hanno senso, così anche le idee).

LE DONNE
Nel quinto libro della Repubblica, Platone affronta la questione della diversità dei sessi e assume posizioni piuttosto aperte, soprattutto se teniamo in considerazione dei tempi in cui é vissuto, tempi in cui l' attività manuale, per esempio la coltivazione dei campi, era predominante: Platone sta tratteggiando il suo stato ideale, visto come grande famiglia, caratterizzato dall' abolizione della proprietà privata. Socrate, il protagonista del dialogo di cui Platone si serve per esprimere le sue idee, arriva a dire che perfino le donne e i figli devono essere in comune; quest' affermazione, chiaramente, suscita scalpore presso i suoi interlocutori, i quali lo travolgono di domande: Socrate si trova decisamente in difficoltà e prende come esempio per spiegare ciò che intende il mondo dei cani, ipotizzando che le femmine debbano svolgere le stesse mansioni dei maschi: andare a caccia e fare tutto ciò che fanno i maschi. Se ogni attività deve essere comune, é ovvio che dovranno avere la stessa educazione, lo stesso allevamento impartito ai maschi: l' unica differenza sarà che i maschi saranno più vigorosi, dice, Socrate, che comunque é chiaramente consapevole della divergenza della natura dei due sessi; evidentemente nature diverse dovrebbero svolgere funzioni diverse, secondo la logica più tradizionali, ma Socrate é convinto di poter dimostrare che le cose non stiano necessariamente in questi termini: le persone calve e quelle chiomate hanno la stessa natura? Qualora abbiano natura opposta, allora se i calvi fanno i calzolai, a rigore i chiomati non possono fare i calzolai: ma é assurdo. Il problema consiste nel chiedersi in quale senso usiamo i termini "diverso" e "identico" quando li poniamo in connessione con il termine "natura": i calvi é vero che sono diversi dai chiomati, ma forse ne consegue che ai primi spettano compiti totalmente diversi da quelli che spettano ai secondi? Naturalmente tutti i membri del genere umano hanno delle differenze, Platone lo sa bene, ma esistono differenze rilevanti a tal punto da determinare una radicale disuguaglianza e distinzione di funzioni e attività? Non va poi dimenticato che in età moderna una di queste differenze rilevanti sarà ravvisata nel colore della pelle come motivo per giustificare l' esistenza della schiavitù. Platone invece usa il concetto di "differenza naturale" solo in connessione all' attitudine a svolgere determinate funzioni: in questo senso si può correttamente dire che un medico é diverso da un falegname, ma non che il sesso maschile é diverso da quello femminile. Rispetto alla determinazione delle funzioni da svolgere all'interno di una città giusta quale quella che Platone si propone di tratteggiare perde dunque totalmente rilevanza il diverso ruolo svolto da maschio e femmina nel processo riproduttivo: infatti in che cosa differiscono gli uomini dalle donne? Secondo Socrate e Platone nel fatto che le donne partoriscano, mentre gli uomini fecondano: ma allora, per quel che riguarda funzioni quale la difesa della città, per esempio, entrambi i sessi possono attendere alle stesse occupazioni. Tuttavia, Socrate fa notare come in tutti i campi l'uomo risulti superiore alla donna, nonostante ci siano anche donne superiori a certi uomini. Così per quel che riguarda l'amministrazione statale "non c'é occupazione che sia propria di una donna in quanto donna nè di un uomo in quanto uomo; ma le attitudini naturali sono similmente disseminate nei due sessi, e natura vuole che tutte le occupazioni siano accessibili alla donna e tutte all' uomo, ma che in tutte la donna sia più debole dell' uomo", dice Socrate. Così come per gli uomini, ci saranno donne più portate per la ginnastica, altre più portate per la musica, altre più portate per la difesa dello stato e così via; una donna portata per la difesa dello stato, difenderà lo stato meglio di un uomo non portato per la difesa dello stato, e viceversa: ma nel caso di un uomo e una donna entrambi portati per la difesa dello stato, allora l'uomo risulterà superiore. Già i Pitagorici avevano ammesso nella loro scuola le donne, dimostrando grande apertura mentale, e anche Epicuro consentirà alle donne l'accesso al "Giardino"; ben diversa é invece la concezione delle donne di Aristotele: la natura non fa nulla invano e con tutta la materia a disposizione crea il maggior numero possibile di cose: tuttavia ci possono essere scarti, come le unghie o i capelli, che la natura crea per sovrabbondanza di materia: così é anche per la donna, che viene creata dalla natura come "scarto", tuttavia si tratta di uno scarto che serve all'uomo per perpetrare la specie.

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