Platone

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia

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Testo

Il platonismo può essere adeguatamente compreso solo in riferimento alla crisi politico-culturale a cui Atene stava andando incontro. Se, infatti, in un piano politico, ritroviamo sconfitte militari, esperimenti di governo fallimentari e altri avvenimenti che concorrono alla crisi, in ambito culturale la situazione non cambia: la dissoluzione del pensiero di Socrate e l’esasperazione della sofistica sono alcuni esempi. Platone, aristocratico, sente molto vicina questa crisi e per questo desidera fortemente una stabilità sia politico che culturale. Essendo filosofo inoltre, egli tende a vedere tale crisi in modo più generale, come una crisi dell’uomo, una società che è giunta al limite del malessere. Per questo, seguendo l’esempio di Socrate, che sentì la necessità di un rinnovamento etico dell’uomo e di un superamento del relativismo sofistico, ricercando valori universali, è convinto dell’insufficienza di un semplice mutamento governativo e della necessità di una riforma globale dell’esistenza umana. Da ciò il platonismo, che si presenta come una rinnovata filosofia in grado di tradursi in vera e propria rivoluzione culturale e in un progetto politico riformatore dell’ordine esistente. La sua è quindi l’idea di una politica filosofica ossia di un progetto di rifondazione della politica alla luce del sapere e della ragione.

Platone nacque a d Atene da famiglia aristocratica nel 428 a.C. Fu scolaro di Cratilo, seguace di Eraclito. A vent’anni cominciò a frequentare Socrate e fu suo discepolo fino alla morte del maestro. Quest’ultima fu di decisiva importanza per la sua vita: egli vide tale morte come una forma di ingiustizia e di condanna della politica del tempo. Da ciò nacque la sua idea di riformare la politica, costituendo una filosofia che conducesse l’uomo singolo e la comunità verso al giustizia. In seguito fece molti viaggi, di cui però no parla molto, ad eccezione di quello in Italia meridionale, dove conobbe le comunità pitagoriche, e a Siracusa, dove strinse amicizia con Dione , zio di Dionigi il giovane, figlio di Dionigi il vecchio, tiranno della città. Si dice che per opera sua Platone venne venduto come schiavo, poi riscattato da Anniceride di Cirene, il cui denaro venne però rifiutato quando si seppe che fosse realmente lo schiavo e venne utilizzato per fondare l’accademia. Tale scuola era organizzata su esempio delle comunità pitagoriche, e per questo costituì una specie di associazione religiosa, un tiaso. Alla morte di Dionigi il vecchio, Platone fu chiamata a Siracusa da Dione alla corte di Dionigi il giovane, per proporre la riforma politica. Ma l’urto tra Dionigi e Dione, che fu esiliato, interruppe il tentativo di Platone. In seguito fu lo stesso Dionigi a richiamarlo, e Platone così partì, soprattutto con l’intento di aiutare l’amico Dione. A causa della chiusa mentalità di Dionigi, non si giunse a nessuna riforma e dopo un certo tempo, Platone ritornò ad Atene dove visse fino a 81, morì nel 347.

Platone è il primo filosofo dell’antichità di cui ci sono rimaste tutte le opere. Possediamo 34 dialoghi e 13 lettere che vennero ordinate da Trasillo in nove tetralogie. Difficile è determinare l’autenticità di tali scritti, ed è questo il compito della critica storica. I metodi di cui ci si avvale sono lo studio approfondito dello stile, del contenuto, della tradizione, delle testimonianze, che hanno oggi permesso di accertare la purezza di molti scritti, tra cui pure le Lettere di Platone, considerante invece spurie dall’antichità. Oltre a questi scritti, che come vedremo, Platone scrisse in forma dialogica, il filosofo tenne anche dei corsi intitolati Intorno al bene, che però non volle mettere per iscritto, ritenendo l’uso del dialogo più opportuno per la profondità degli argomenti trattati. Queste “dottrine non scritte” riguardano la teoria delle idee, e quella dell’amore.

Platone è indissolubilmente legato alla persona e al pensiero di Socrate, anzi, la ricerca di Platone tende a configurarsi come uno sforzo di interpretazione della personalità filosofica di Socrate, in quanto Platone, nel descrivere il pensiero del maestro, formula principi che in realtà egli non insegnò, ma che Platone vede come incarnati nella sua stessa persona. Atto di fedeltà al maestro, è la stessa convinzione che lo scritto non possa invogliare alla ricerca, ed è proprio per questo che Platone scrive le sue opere sotto forma di dialoghi, comunque indirizzati al mondo esterno all’accademia. Questa concezione del dialogo come filosofare ha fatto si che egli abbia praticato e vissuto la filosofia come una ricerca inesauribile, uno sforzo continuo verso una verità che l’uomo non potrà mai possedere completamente, ma avrà sempre bisogno di interrogarsi.

Caratteristica fondamentale del platonismo è il mito, racconti fantastici attraverso cui vengono esposti dottrine e concetti. A lungo si è dibattuto sull’utilità platonica di tali racconti, giungendo così a due motivazioni principali: il mito come strumento per comunicare in maniera più accessibile concetti e dottrine al proprio interlocutore; e mito come ancora un mezzo che il filosofo utilizza per poter parlare di realtà che vanno oltre il limite del pensabile, un “tappa” lacune filosofiche. Il mito platonico vive però soltanto in stretta comunanza con il discorso filosofico e tale uso rende particolarmente difficile l’interpretazione filosofia di Platone, poiché in qualche caso non si capisce bene dove finisca il mito e cominci la filosofia, e viceversa.

Nonostante l’interesse di Platone sia stata la politica, motivazione che lo ha portato a formulare una nuova filosofia, bisogna pensare a tale filosofo come un nuovo Socrate, per quanto riguarda la vastità delle sue conoscenze. Infatti i suoi interessi spaziarono in tantissimi campi quali per esempio la gnoseologia, la metafisica, la religione, l’etica, la pedagogia.

PRIMO PERIODO:

I primi due periodi della filosofia di Platone sono essenzialmente dedicati alla difesa dell’insegnamento socratico e alla polemica contro i sofisti. L’Apologia e il Critone chiariscono la fase della morte di Socrate: la sua reazione di fronte all’accusa, la non fuga dalla morte, ecc…
La prima è essenzialmente l’esaltazione del compito che Socrate si è assunto nei suo confronti e nei confronti degli altri, ossia l’esaltazione della sua vita dedita alla ricerca filosofica. “Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta dall’uomo”, così disse Socrate e non tralasciò il suo compito. Gia in questo scritto si nota la filosofia come ricerca, a cui pure Platone deve dedicarsi.
Il Critone invece presenta il problema della possibile fuga dalla pena: Socrate non lasciò la missione cui l’uomo si è impegnato di ricerca filosofica, tradendola con compromessi o fughe.
Il altri dialoghi si ritrovano poi i tre capisaldi dell’insegnamento socratico cui Platone fa riferimento: la virtù unica è come scienza; come scienza è insegnabile a tutti; consiste nella felicità dell’uomo.
Queste tesi sono espresse pienamente nei dialoghi del Protagora e del Gorgia, ma vengono introdotte e dichiarate vere da alcuni dialoghi minori, dove Platone, utilizzando il metodo dialogico, dimostra per esempio che la virtù è unica, poiché se le virtù fossero tante bisognerebbe essere capaci di descriverle senza fare riferimento alle altre e egli dimostra l’impossibilità di una descrizione di questo tipo( nel Eutifonte e nel Carmide); inoltre la virtù unica coincide con un unico valore, il bene, e non possono essere tanti i valori, poiché corrisponderebbero a virtù differenti, e come dimostrato la virtù è unica (Ippia maggiore, Liside. Infine Platone sostiene che per intraprendere il percorso di ricerca filosofica bisogna ammettere la propria ignoranza (Ione, Ippia minore).

Queste tesi fondamentali riguardanti la virtù vengono descritte da Platone il tre grandi dialoghi: il Protagora, L’Eutidemo e il Gorgia.
Nel primo di questi si esprime essenzialmente che la virtù è unica, è pari a scienza ed è perciò insegnabile. Socrate sostiene infatti che al virtù di Protagora rappresenta un insieme di abilità acquisite per esperienza e la scienza è solo una di esse. Queste non sono perciò insegnabili poiché costituiscono patrimonio privato. Per Socrate invece la virtù è scienza , e poiché essa può essere insegnata, ciò vale anche per la virtù, in quanto scienza. Il Protagora nega quindi all’insegnamento sofistico ogni valore educativo. Di fronte poi al crollo della sofistica tali ragionamenti sembrarono più veri che altro. Ma eristica e retorica rimanevano ancora validi: per questo Platone volge contro i sofisti altri due dialoghi: l’Eutidemo per la prima, e il Gorgia per la seconda.
L’Eutidemo è soprattutto una rappresentazione del metodo eristico dei Sofisti. Con questo metodo si giungeva alla conclusione che qualunque cosa si dica è vera in quanto è. Ma se tutto è vero, dice Socrate, non c’è niente da imparare e da insegnare, e al stessa eristica diventerebbe inutile. In realtà nulla si può insegnare se non la sapienza, ed essa non può essere insegnata ne appresa se non attraverso la filosofia. E qui la critica diventa esaltazione della filosofia. Qui Platone descrive il vero compito della filosofia: l’uso del sapere a vantaggio dell’uomo. La filosofia è l’unica scienza che non solo produce conoscenze, ma insegna ad usare le stesse per vantaggio e felicità dell’uomo.
Nel Gorgia infine Platone attacca la retorica. Platone dice che ogni arte o scienza può persuadere solo intorno al proprio oggetto, ma la retorica consente di parlare di tutto, e non è quindi persuasiva, ma soltanto una pratica adulatoria, che convince gli ignoranti, i quali hanno soltanto una visione sommaria della realtà. La retorica, che da quindi apparenza di verità e giustizia, si pone nei confronti della politica come la culinaria rispetto alla medicina: retorica e culinaria danno piacere superficiale, una dell’anima l’altra del corpo; politica e medicina curano realmente anima e corpo. La retorica serve solo a difendere la propria ingiustizia e non subire la pena. Tale fuga però va contro i principi della vita filosofica e il sottrarsi alla pena non permette all’uomo di espiare i peccati e liberare l’anima (metempsicosi). La giustizia diventa così soltanto una convenzione umana da non rispettare e ola legge di natura diventa quella del più forte, che segue soltanto il proprio piacere. Platone osserva però che l’intemperante non è più felice nel saltare da un piacere all’altro, perché sarà sempre insoddisfatto e spinto a cercare di meglio. L’insoddisfazione è mancanza, e mancanza è dolore. Piacere e dolore vengono così ad unirsi. Ma male e bene non possono essere comparati con piacere e dolore. Il bene si raggiunge soltanto con la virtù, e la virtù è l’ordine e la regolarità della vita umana.

Altro importante dialogo è il Cratilo, che funge da critica contro il verbalismo, direttamente collegato con l’eristica. Il problema sta nella reale derivazione del linguaggio, se convenzione umana o derivazione naturale. Per Platone, a differenza dei sofisti, il linguaggio viene stabilito dalla natura: un nome è tale perché richiamala cosa cui si riferisce. Ogni nome dovrà quindi descrivere la natura della cosa significata, e avranno in parte carattere naturale, in parte convenzionale. Non si può comunque sostenere, come fa Cratilo, che la conoscenza delle cose è la conoscenza dei nomi, poichè chi non conosce i nomi non è detto che non conosca le cose. In tale dialogo si ritrovano così le tre ipotesi riguardo al linguaggio: che sia pura convenzione umana; che derivi dalla causalità naturale; o che richiami l’oggetto cui si riferisce. Per Platone, il linguaggio è si una convenzione dell’uomo, ma non è arbitraria, ma legata alla natura delle cose. A differenza inoltre degli altri casi, la tesi di Platone difende una possibile falsità di tale linguaggio che apre nuove strade alla filosofia ontologica.

SECONDO PERIODO:
La dottrina delle idee (teoria non-scritta):
Se nei dialoghi del primo periodo Platone si era dedicato principalmente a illustrare e difendere le teorie del maestro, se pur filtrandole attraverso i suoi interessi, ora, nel secondo periodo, Platone si distacca da esso, elaborando la teoria più importante della sua filosofia, la teoria delle idee, rilevante per Platone, quanto l’Essere per Parmenide, o i numeri per Pitagora.
La genesi di tale teoria è da recarsi nell’approfondimento del concetto di scienza. Per Platone la scienza è perfezione, ma essendo convinto che la mentre riproduca ciò che esiste in realtà, egli si chiede quale sia la riproduzione mentale della scienza, l’oggetto della scienza. Naturalmente non potrà essere un qualcosa del mondo, in quanto le cose sono dominio di una conoscenza imperfetta, quella dell’opinione. Oggetto della scienza saranno quindi, per Platone, le idee, intese come entità propie, perfette, che vivono in un mondo di perfezione a sestante, l’iperuranio. Le idee saranno strettamente collegate con le cose nei rapporti di modello e copia. Due sono quindi i concetti di Platone: il dualismo gnoseologico per l’esistenza di due gradi di conoscenza (opinione e scienza) cui fanno riferimento due esseri distinti, le cose e le idee, e quindi dualismo ontologico. Tale teoria sembra pure derivare da integrazioni di altri filosofi. Da Eraclito il concetto del nostro mondo come imperfezione, e da Parmenide le caratteristiche delle idee (come l’Essere), e i due dualismi, tra cose e Essere (ontologico), e sensibilità e ragione (gnoseologico).
Nella maturità del pensiero Platonico si ritrovano due tipi principali di idee: le idee-valori (giustizia, bene), corrispondenti a principi etici estetici e politici; e le idee-matematiche, corrispondenti ad entità aritmetiche e geometriche. Sembra che poi Platone accennasse a idee di cose naturali o artificiali, come l’umanità, ma su questo carattere è rimasto a lungo incerto. Nella vecchiaia tuttavia Platone formulerà il concetto di idea come la forma unica e perfetta di ogni classe di cose a cui si riferisce un preciso nome, e che è possibile studia mediante la scienza. Queste idee confluiscono poi all’idea delle idee, come in una scala gerarchica piramidale, dove ala base sta la matematica e al vertice il bene che viene considerato divino poiché possiede le caratteristiche dell’Essere di Parmenide, ma non Dio poiché non è creatore.
Tali idee sono inoltre: criteri di giudizio delle cose, poiché noi giudichiamo qualcosa in relazione all’entità perfetta che la rappresenta, e conosciamo tale identità poiché prima di nascere eravamo nell’iperuranio sotto forma di idee; causa delle cose, poiché noi siamo in quanto imitiamo la nostra entità perfetta.
I raporti tra idee e cose saranno quindi di mimesi (imitazione), metessi (in quanto fanno in parte parte delle idee), parusia (in quanto le idee possono essere presenti nelle cose).

La conoscenza per Platone è direttamente collegata con la dottrina delle idee, sulla base del concetto della reminescenza, ricordo. Noi conosciamo il concetto di idea e di cose in quanto lo ricordiamo da quando la nostra anima, viveva, disincarnata, nell’iperuranio, prima di incarnarsi in noi. Conoscere diventa così ricordare, e rappresenta una forma di innatismo, in quanto deriva appunto dai ricordi delle idee che portiamo dentro di noi, e non deriva dall’esperienza sensibile, e di empirismo, in quanto è poi l’esperienza sensibile a far emergere tali ricordi. Tale teoria è un’ulteriore vittoria sull’eristica, che sosteneva che l’uomo non può indagare ne su ciò che sa, ne su ciò che non sa, risultando inutile indagare su ciò che si sa e impossibile indagare su ciò che non si sa. Ma la nuova concezione chiarisce che la conoscenza dell’uomo non parte da zero, ma da una sorta di pre-conoscenza rappresentata da ricordo. La nostra conoscenza della verità non è totale, ma neanche nulla.
(Menone, Fedone, Fedro)

Nel Fedone Platone sostiene poi l’immortalità dell’anima attraverso tre prove principali: quella dei contrari, secondo cui, poiché le cose si generano dal loro contrario in natura, la vita genera morte e la morte genera vita; quella della somiglianza, secondo cui l’anima è immolate poiché simile alle idee che sono esse stesse immortali; quella della vitalità, in quanto l’anima, essendo soffio vitale, partecipa all’idea di vita e non può contenere quella della morte.
Inoltre il filosofo presenta la filosofia come una preparazione alla morte, in quanto filosofare significa morire ai sensi e al corpo, liberare l’anima in modo che possa giungere alle idee.
La teoria dell’immortalità dell’anima serve a Platone per spiegare il problema del destino. La nostra sorte è strettamente legata con una decisione presa nel mondo delle idee. Questa teoria viene spiegata con il mito di Er:, morto in battaglia, risuscitò e raccontò agli uomini la sorte che gli attende dopo la morte. Secondo ciò, le anime, prima della reincarnazione, devono effettuare una scelta della loro vita futura, la cui decisione è solamente influenzata dalle esperienze della vita precedente, e non da alcuna divinità.

Cuore della teoria delle idee è poi l’opposizione al relativismo sofistico. Per Platone tale teoria tende a identificarsi con una filosofia negatrice di ogni punto di vista e di ogni certezza teorica e pratica. Di fronte al relativismo per Platone non c’è altra via se non la restaurazione di qualche principio assolutistico. La teoria delle idee diventa uno strumento prezioso e permette a Platone di dichiarare la presenza si strutture o perfezioni ideali che hanno una validità oggettiva e universale, indipendentemente dall’uomo. Messo da parte l’umanismo sofistico e socratico, è di nuovo qualcosa di extraumano a regolare l’uomo. E’ la verità, le idee, a misurare l’uomo e non più il contrario. Crolla così il relativismo conoscitivo e morale dei sofisti: la conoscenza torna a essere assoluta e non più relativa all’individuo; si parla di un linguaggio uguale per tutti; anche la morale torna ad avere valore assoluto basate sulle idee-valori come bene e giustizia.

(Politica nella teoria delle idee) Il superamento del relativismo sofista rivela il suo pieno significato in campo politico. Un tempo il relativismo dava libero sfogo alle disparità e all’urto delle opinioni, ma ora la dottrina delle idee offre agli uomini uno strumento che gli permette di uscire dal caos delle opinioni e di far cessare le lotte e le violenze che la molteplicità dei punti di vista aveva fatto cominciare. La conoscenza delle idee porta alla costituzione di una scienza politica universale e quindi alla pace e alla giustizia fra gli uomini.

La dottrina dell’amore e dell’anima:
Il sapere stabilisce tra l’uomo e le idee, e tra tutti gli uomini comunemente associati nella ricerca, un rapporto definito da Platone come amore o eros. A questa teoria sono dedicati due dialoghi: il Convito e il Fedro. Il primo si dedica principalmente all’oggetto dell’amore, la bellezza, e a determinare in essa i gradi gerarchici; mentre il Fedro considera l’amore nella sua soggettività, come elevazione progressiva al mondo delle idee, di cui fa parte la bellezza.
Nel Convito i discorsi degli interlocutori esprimo i caratteri subordinati e accessori dell’amore: Pausania distingue l’eros volgare, del corpo, da quello celeste, delle anime; Erissimaco vede nell’amore l’armonia fra tutte le cose; Aritofane esprime con il mito degli androgeni (uomo e donna insieme) preistorici, poi separati da Dio per una colpa originaria, il carattere fondamentale dell’amore: l’insufficienza. Da qui parte poi Socrate con la teoria dell’amore come mancanza, come continua ricerca di qualcosa che non si possiede. L’amore non possiede la bellezza ma la desidera, poiché essa è il bene che rende felici. La bellezza è quindi l’oggetto di desiderio dell’amore.
Ma la bellezza ha gradi diversi a cui l’uomo si solleva lentamente. Pria c’è la bellezza del corpo, poi quella dell’anima, poi quella delle istituzioni e delle leggi, infine quella delle scienze, e poi la bellezza in se, eterna e perfetta, oggetto della filosofia.

La soluzione al problema di come l’anima umana può percorre questi gradi di bellezza e raggiungere le idee, si ritrova nel Fedro, il quale parte quindi dalla considerazione dell’anima. La natura dell’anima può essere rappresentata come una coppia di cavalli, uno eccellente (bianco) e l’altro pessimo (nero), guidati da un’auriga. Tale auriga tenta di raggiungere il mondo delle idee, ma se da una parte è tirata da un forte cavalo bianco verso il suo scopo, un cavallo nero ostacola tale raggiungimento. Per poco quindi l’anima può contemplare le idee, tirata in giù dal cavallo nero, perdendo le ali e incarnandosi in u corpo di uomo. L’anima che sarà stata più tempo in contatto con le idee, si incarnerà in un uomo colto e dedito alla ricerca della sapienza e dell’amore; quelle che saranno state meno in contatto si incarneranno in uomini distaccati da tale ricerca. Amore quindi, che non può essere contemplato da un anima “rozza”, viene risvegliato dalla bellezza, e quest’ultima è quindi mediatrice tra l’uomo e le idee. Quando l’amore diventa guida dell’uomo verso le idee, esso non è più puro desiderio, ma procedimento razionale verso le idee, dialettica, intesa come ricerca dell’essere in se e dell’unione amorosa delle due anime nell’apprendere e nell’insegnare. E’ quindi sia psicologia, guida dell’anima, sia retorica, la vera arte della persuasione.

Lo stato e il compito del filosofo:
Tutti temi dei dialoghi platonici si trovano espressi nella Repubblica, che li ordina e li connette intono al motivo centrale di una comunità perfetta. Il progetto di tale comunità è fondato sul principio secondo cui i mali e i disordini nelle città non possono smettere fin quando la filosofia e il potere politico non coincideranno nella stessa persona e l’uomo al potere non sarà filosofo o viceversa. Lo scopo e il fondamento di tale comunità è la giustizia, che pone delle regole basi nella vita comunitaria. La giustizia è necessari per la nascita dello stato, stato diviso in tre classi: i governanti con la virtù della saggezza, i guerrieri con la virtù del coraggio, e i cittadini (lavoratori). La temperanza è poi la virtù comune a tutti e su cui si basa il rapporto tra governanti e governati. La giustizia comprende tutte queste virtù e si realizza quando ciascuno adempie al suo compito. Come nello stato, Platone concepisce l’anima divisa in tre parti: quella razionale, l’anima ragiona e domina gli impulsi; quella concupiscibile, principio degli impulsi corporei; quella irascibile, che lotta per ciò che la ragione ritiene giusto. Nell’uomo singolo la giustizia si avrà quando ciascuna parte dell’anima adempierà al suo compito. Così la giustizia dello stato e quella dell’individuo corrono parallelamente.

Questa divisione classista di Platone è vista da lui come necessaria per lo stato, in quanto esistendo compiti diversi, devono esistere anche persone diverse. L’appartenenza ad una classe piuttosto che ad un’altra e connessa con la tripartizione dell’anima: anima razionale→governanti; anima irascibile→guerrieri;anima concupiscibile→lavoratori. Esiste anche parecchia mobilità sociale, ma lo spostamento di un membro da una classe all’altra avviene eccezionalmente.

Affinché poi lo stato funzioni bene, i governanti non devono possedere beni propri, ne famiglia, per non essere influenzati nelle decisioni. Beni e donne sono i comune, e i figli e i loro parenti sono gli uni sconosciuti agli altri. Ma in questo modo i governatori sono felici, con tutte queste restrizioni? La loro felicità risiede nella giustizia, nell’adempimento del loro compito, ed essendo filosofi inoltre, non hanno bisogno di beni mondani poiché sono gia felici di loro.

Platone è consapevole che questo stato impossibile, ma egli l prende da esempio, e considera le altre forme di governo,come degenerazione di questa:possedimento di beni da arte dei governanti→timocrazia; ricchi al potere→oligarchia; troppa libertà al popolo lavoratore→democrazia; eccessiva libertà della democrazia→tirannide.

La politica di Platone ha come base una ostilità contro la democrazia. Infatti il suo progetto di una riforma della comunità umana nasce proprio in antitesi con la degenerazione della democrazia ateniese. Questo giudizio contro al democrazia e i suoi leaders, fautori di essa, nasceva non solo dall’insicurezza causata dal clima del tempo, ma soprattutto dal desiderio di un modello aristocratico di governo, essendo lui un aristocratico convinto che il demos deve sottostare ai potenti, i migliori, gli aristocratici.
La divisione in classi sostenuta da Platone e contenuta nella Repubblica, non obbedisce solo a un criterio funzionale, ma soprattutto ad un criterio politico di una rigida divisione delle attività, in grado di garantire un modello statico e gerarchico di coesione sociale, contro i vari sommovimenti democratici. Essendo ogni persona obbligata a eseguire il proprio compito, non può assolutamente interferie con gli altri.
I questo modo lo stato è sano soltanto se quando ognuno attende al proprio compito e fa coincidere la necessità di tale funzione con il bene del tutto. In questo modo Platone abbatte il principio chiave della democrazia: la gestione comune della cosa pubblica. Infatti Platone ritiene che la politica sia una prerogativa della sola classe aurea, che non deve neppure stare a sentire i voleri dei lavoratori per effettuare le proprie scelte. Questo regime di assoluto controllo nei minimi particolari di pochi potenti sui lavoratori è detto statalismo, e vale per tutte le persone. Questo stato platonico, descritto nella Repubblica, è si aristocratico, nel senso che governano i migliori, ma questi non sono tali per caso, forza o ricchezza, ma solo per il possesso del sapere.
Ma se come detto nessuno può influenzare in alcun modo le decisioni dei governanti, come si fa a sapere se essi custodiscono lo stato in modo oggettivo, o per se stessi? A causa di questo problema Platone definisce che un custode, per custodire per bene lo stato, deve prima saper custodire se steso. Da questo la grande importanza del sistema educativo. Platone concepisce lo Stato come una grande Accademia avente come scopo la formazione dei custodi. Platone infatti è convinto che un individua abituato fin dalla nascita al bene, continuerà ad agire per esso, e quindi a favore dello stato. Questa educazione e le virtù che ne conseguono, riguarda però solo due classi, governanti e guerrieri, non per i lavoratori, in quanto il sapere deve essere prerogativa delle sole classi superiori.

Ma cos’è la conoscenza?
Platone, esplicitando il proprio concetto di sapere come fotografia dell’oggetto, afferma che ciò che è, è conoscibile, e ciò che non è, non è conoscibile. Perciò all’essere, e quindi alle idee, corrisponde la scienza, che è la conoscenza vera; al non-essere, l’ignoranza; e al divenire corrisponde l’opinione, tra la conoscenza e l’ignoranza. In particolare la conoscenza per Platone è divisa in due parti, quella sensibile e quella razionale, a loro volta divise in due parti. La conoscenza sensibile (doxa) rispecchia il nostro mondo mutevole e comprende: a) l’immaginazione (eikasia) che ha per oggetto le ombre e le immagini degli oggetti (ovvero le impressioni superficiali); b)la credenza (pistis) che ha come oggetto le cose sensibili (la percezione degli oggetti). La conoscenza razionaleo scientifica (episteme), che rispecchia il mondo immutabile delle idee: a) la ragione matematica (dianoia), che ha per oggetto le idee matematiche; b)l’intelligenza filosofica (noesis) che ha per oggetto le idee-valori.
Platone inoltre ritiene la filosofia superiore alla ragione matematica, in quanto quest’ultima è ancora connessa con il sensibile attraverso le sue nozioni primitive di punto, linea ecc…La filosofia invece, come scienza suprema, pur muovendo da ipotesi, le considera realmente tali, come punti di partenza per giungere alle idee. La superiorità della filosofia consiste inoltre sul fatto che la scienza non si occupa di questioni etico-politiche, ciò che invece fa la filosofia. Ciò però non esclude che la matematica sia per Platone di grande importanza. Essa viene suddivisa in aritmetica (arte del calcolo), geometria (scienza degli enti immutabili), astronomia (scienza del movimento ordinato e perfetto), la musica (come scienza dell’armonia). Queste discipline matematiche costituiscono la propedeutica della filosofia. Per Platone l’educazione passa prima per la musica e la ginnastica, poi le discipline propedeutiche. In seguito, se pronto, ci si dedicherà alla filosofia o dialettica, poi al tirocinio pratico nelle cariche militari e civili, infine gli ottimi potranno assurgere al governo dello Stato.

La teoria della conoscenza e dell’educazione trova una rappresentazione nel mito della caverna. Degli uomini incatenati sono rivolti all’interno di una caverna verso una parete. Dietro di loro un muro sul quale sono poste delle statuette e dietro il muro degli uomini che muovono tali statuette e un fuoco, la cui luce proietta l’ombra delle statuette sulla parete. Ad un certo punto uno schiavo riesce a liberarsi, si gira e vede le statuette, e comprende che la realtà che vedeva non era altro che una proiezione delle statuette. Poi esce dalla caverna e comprende che le statuette sono anch’esse imitazioni di cose reali rese visibili dal sole. Dapprima, non riuscendo a guardare il sole direttamente, lo osserva attraverso l’acqua, poi osserva lo osserva di notte con le stelle, e infine riuscirà a osservarlo completamente. Volendo comunque rimanere a osservarlo, sceglie di rendere partecipi anche i suoi compagni di tali bellezze, ma entrando nella caverna, la luce precedente non gli permetterà più di vedere le ombre. Verrà così deriso dai compagni che lo accuseranno di malessere agli occhi, ma lui continuerà a tentare di convincere i compagni di ciò che ha visto, e alla fine verrà ucciso.
Ora nella simbologia del mito ritroviamo: gli schiavi sono gli uomini; le catene sono l’ignoranza e le passioni; le ombre sono le immagini superficiali delle cose (immaginazione); le statuette sono le cose del mondo sensibile (credenza); il fuoco è il principio con cui i filosofi spiegano le cose; la liberazione dello schiavo è l’azione della conoscenza e della filosofia; il mondo esterno alla caverna è le idee; le immagini riflesse nell’acqua sono le idee matematiche che preparano ala filosofia; il sole è l’idea del Bene; la tentazione di rimanere fuori dalla caverna è la voglia del filosofo; il rientro nella caverna è il dovere del filosofo; le derisioni sono le incomprensioni degli ignoranti; l’uccisione dello schiavo libero è la sorte toccata a Socrate.

Nella Repubblica ritroviamo poi anche una condanna contro l’arte, che per Platone deve essere completamente esclusa dal curriculum dei filosofi per due motivi principali: il primo, di carattere metafisico-gnoseologico, riguarda la concezione dell’arte come imitazione di un imitazione, tre gradi lontana dal vero, in quanto essa riproduce, imita, cose del mondo terreno che sono anch’esse imitazione delle idee. Per questo, secondo Platone, l’arte tende a rinchiudere l’anima nel mondo sensibile, invece di liberarla e lasciarla raggiungere le idee. Il secondo motivo invece, di carattere pedagogico-politico, attacca in particolare l’arte della rappresentazione, come la commedia o la tragedia, che viene considerata come corruttrice degli animi. Questo tipo di arte infatti incatena l’animo alle passioni che rappresenta e poiché i re-filosofi devono essere completamente distaccati da ogni sentimento, quest’arte deve essere messa al bando.
Oltre a questi due motivi si tende a considerarne pure un terzo, di carattere storico-culturale. La battaglia platonica contro l’arte deriva anche dal desiderio di sbarazzarsi di una forma di cultura che al tempo in Grecia era base dell’educazione, e per questo si contrapponeva all’idea platonica di un’educazione filosofica fin da piccoli.
Fuori da questa critica sono però i miti, che pur essendo imitazioni delle imitazioni, sono soggetti alla filosofia, e per questo non vengono condannati.

A causa della grande importanza di questo scritto, si è a lungo dibattuto su alcuni caratteri contenuti nella Repubblica. Il primo di questi sono e utopie, ossia i progetti di città ideali impossibili, che hanno portato alcuni a considerare l’opera platonica come l’opera di un sognatore. Altri invece hanno esaltato Platone proprio per il suo utopismo, vedendone la vera filosofia e politica, in quanto questo modello ideale corregge gli errori e porta alla stabilità lo stato.
Altro carattere è la tesi dei filosofi al potere. Anche qui taluni la considerano come una ridicola affermazione di un’intellettuale astratto, altri l’hanno invece presa in discussine: alcuni, come Kant, la disdegnano (il potere corrompe la mente), altri invece, come De Ruggero, la elogiano (l’utilizzo della ragione porta ad un governo più stabile).

IL TERZO PERIODO
Revisione e approfondimento:
Nell’ultimo periodo di Platone abbia una revisione del suo pensiero con il sorgere di alcune problematiche sulla sua tesi riguardanti soprattutto il mondo delle idee e il rapporto di esso con il mondo della realtà sensibile.
Nel Parmenide, Platone si interroga sulla consistenza della teoria delle idee, porgendole, per bocca del sofista, alcune difficoltà.
Il primo problema è la presenza dell’idea nelle cose, poiché posto che l’idea è l’uno, non si capisce come essa possa essere presente in tutte le cose senza essere moltiplicata o divisa. Altro problema è lo scaturire dalla stessa idea la molteplicità di essa: infatti nello considerare un oggetto come le molteplici idee che lo compongono più l’idea stessa di tale oggetto nasce una terza idee che comprende quelle prima, che se considerata insieme alle idee che la compongono ed ella stessa, formerà una quarta idea, e così via fino all’infinito. Tale problematica è detta del terzo uomo.
Nel Sofista però nasce e viene risolto il problema dello scontro con la logica Parmenidea. Secondo la sofistica infatti solo l’essere è e il non-essere non è. Ma per Platone questa teoria presa alla lettera rappresenterebbe una condanna alla teoria delle idee, poiché l’inesistenza assoluta di ogni forma di non-essere implicherebbe la non molteplicità delle idee e la negazione dei loro rapporti reciproci.
Nonostante questi problemi però Platone afferma la grandissima importanza della teoria delle idee, fondamentale per la filosofia, come punto stabile nella molteplicità delle cose, e unica teoria in grado di definire la scienza. Questi discorsi sono contenuti nel Parmenide e nel Teeteto. Ma la non negazione della teoria delle idee porta per forza di cose a rinunciare al pensiero eleatico. Ed è per questo che nel Sofista, Platone compie un vero e proprio parmenicidio. Ao, non si capisce come essa possa essere presente in tutte el cose senza essere moltiplicata o divisa.tà sensibile.

Per spiegare la molteplicità delle idee e i loro rapporti di comunicazione, Platone elabora la teoria dei generi sommi, cioè dei cinque attributi fondamentali delle idee: l’essere, l’identico, il diverso, la quiete e il moto. L’essere, poiché e idee esistono; l’identico, poiché ogni idea è identica a se stessa; il diverso poiché ogni idea è si identica a se stessa ma distinta dalle altre, altrimenti non si avrebbe la molteplicità. E qui si arriva al top della critica contro Parmenide. Secondo Platone infatti l’errore del filosofo di Elea è stato nel confondere il nulla con il diverso. Se A non è B non significa che uno dei due non esista, ma semplicemente che sono diversi fra loro. In questo modo Platone elimina il problema del nulla, poiché il non-essere non è più il nulla assoluto, ma un nulla relativo, rappresentato dal diverso. In tal modo si supera anche il problema sofista dell’errore. Gli eristi affermavano inesistenza dell’errore, poiché lo paragonavano al nulla, al non-essere, ma se come dimostrato il non-essere rappresenta il diverso, anche l’errore torna ad esistere sotto forma di un dire le cose diversamente da come sono in realtà.
Oltre poi a questi 3 caratteri Platone nel aggiunge altri due, per descrivere i rapporti tra le cose: di quiete, se in un discorso due idee non hanno niente in comune; e di moto se invece queste idee comunicano fra di loro.

Altro concetto che viene revisionato nel terzo periodo è il concetto di essere. Platone ora supera i due concetti precedenti, quello dei materialisti (essere = corporeità), e quello di altri, tra cui egli stesso nella maturità (essere = idee), giungendo alla definizione generale ed universale di essere come possibilità: qualunque cosa che possieda la capacità di agire o subire da parte di qualche cosa anche solo per una volta, ossia qualunque cosa possa entrare in relazione con qualcos’altro. Tale teoria sarà considerata la più valida fino ad Aristotele, che indagherà sui caratteri comuni fra ogni tipo di essere.

Per stabilire i vari rapporti fra le idee e le modalità con cui questi possono avvenire Platone utilizza al scienza delle idee, ossia la dialettica. Nella Repubblica la dialettica viene considerata come la scienza delle idee-valori (bene, giustizia, ecc…); nel Fedro si accenna alla tecnica del discorso filosofico: determinazione e definizione delle idee e poi divisione di tale idea nelle sue articolazioni. Solo nel Sofista però viene descritto il vero metodo. Naturalmente la dialettica parte dal presupposto che le idee possano interagire fra di loro, in quanto se tutte lo facessero diventerebbe inutile la dialettica e tutto risulterebbe vero come nella sofistica, mentre se tutte non lo facessero risulterebbe impossibile il discorso. L’unica via è quella intermedia e la dialettica diventerà unificazione e diversificazione di determinate idee: la dialettica consisterà nel definire un’idea mediante successive identificazioni e diversificazioni, attraverso un processo dicotomico, che avanza dividendo per due un’idea, sino a giungere ad un’idea indivisibile, scartando poi tra queste due divisioni quella sbagliata, e continuando con quella giusta.

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