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Categoria: | Filosofia |
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Testo
A. SCHOPENHAUER (1778 – 1860)
La filosofia di Schopenhauer rappresenta una CRITICA RADICALE dell’idealismo, considerato come una degenerazione del Kantismo e come un pensiero mistificatorio, cioè che dà un’immagine FALSATA della realtà. Per certi aspetti la filosofia di Schopenhauer può essere interpretata come la sintesi di diversi MOTIVI: da un lato un RITORNO ad impostazioni Kantiane, alla teoria delle IDEE DI PLATONE, alla tradizione della MISTICA tedesca, dall’altro una CONTAMINAZIONE di alcuni TEMI delle grandi religioni filosofiche orientali, come l’INDUISMO ed il BUDDISMO. La filosofia di Schopenhauer inoltre si colloca nel quadro di una più generale REAZIONE all’idealismo filosofico di FICHTE, SCHELLING e soprattutto HEGEL: una reazione che si muove in diverse direzioni, come l’ESISTENZIALISMO di SOREN KIERKEGAARD, il naturalismo di L. FEUERBACH, il materialismo storico di K. MARX, l’irrazionalismo di SCHOPENHAUER, il POSITIVISMO di A. COMTE.
-IL MONDO COME RAPPRESENTAZIONE–
Nel 1819 Schopenhauer pubblicò il suo capolavoro filosofico “IL MONDO COME VOLONTÀ E RAPPRESENTAZIONE”, composto da 4 libri, i primi 2 dedicati alla teoria gnoseologica del MONDO inteso come RAPPRESENTAZIONE; gli altri 2 dedicati alla teoria metafisica del MONDO come VOLONTÀ. Nella sua concezione gnoseologica Schopenhauer si ispira in parte alla dottrina Kantiana della NATURA FENOMENICA, del modo empirico. Kant aveva già separato una COSA IN SÈ inconoscibile da un’APPARENZA FENOMENICA conoscibile: Schopenhauer accetta questa impostazione portandola all’estremo. Per Kant il mondo dell’esperienza si presenta come FENOMENO, cioè come ciò che appare e si manifesta all’intuizione sensibile; il termine FENOMENO non assumeva ancora una connotazione NEGATIVA, quale invece assumerà in SCHOPENHAUER: infatti per quest’ultimo il fenomeno è inteso soprattutto come APPARENZA ILLUSORIA che nasconde, come un VELO, una REALTÀ PROFONDA, metafisica, che la conoscenza umana, intesa come RAPPRESENTAZIONE, non riesce a COGLIERE. Ma in cosa consiste il mondo come RAPPRESENTAZIONE? Schopenhauer ritiene che si possa parlare del mondo in primo luogo e soprattutto come RAPPRESENTAZIONE DEL SOGGETTO, come aveva già intuito tutta la filosofia moderna, da Cartesio a Kant: l’esistenza del mondo, inteso come OGGETTO di conoscenza, si risolve in nient’altro che in una “rappresentazione” che di ESSO si forma il SOGGETTO; per il soggetto conoscente il mondo oggettivo è soltanto una rappresentazione e nulla più. Così Schopenhauer esprime questo concetto:. La rappresentazione richiede necessariamente 2 TERMINI, , come le chiama Schopenhauer: da un lato il soggetto che conosce e che rappresenta, dall’altro l’oggetto conosciuto e rappresentato. Questi due termini si limitano reciprocamente, nel senso che e viceversa. Il soggetto conosce l’oggetto tramite le sue forme pure A PRIORI, come Kant ha insegnato, che sono 3: spazio, tempo, causalità. Schopenhauer riduce le 12 categorie intellettuali di Kant all’unica categoria della CAUSA, che le comprende e sintetizza TUTTE, assumendo diverse FUNZIONI. È stato merito di Kant aver capito che l’oggetto viene conosciuto secondo le modalità a priori, universali e necessarie, del soggetto; il soggetto quindi costituisce l’attività SINTETICO-FORMALE mentre l’oggetto costituisce la materia, il contenuto di tale attività e coincide con il mondo fenomenico. Il mondo infatti si presenta, si manifesta come una serie inesauribile di fenomeni che vengono collocati in un rapporto di SITUAZIONE (SPAZIO), SUCCESSIONE (TEMPO), DIPENDENZA E RELAZIONE (CAUSALITÀ). Sulla base di questa teoria della rappresentazione, Schopenhauer condanna 2 DIFETTI che si sono delineati nella tradizione filosofica, IL REALISMO E L’IDEALISMO, due posizioni ERRATE che vanno respinte. Infatti il realismo ha fatto DERIVARE IL SOGGETTO pensante dall’OGGETTO-natura: la CAUSA del soggetto pensante sarebbe, secondo questa prospettiva, la natura oggettiva, ASSOLUTIZZATA come un IN SÈ indipendente dal soggetto. All’opposto l’idealismo ha assolutizzato il soggetto pensante, facendolo diventare un PENSIERO INFINITO, che addirittura AVREBBE GENERATO l’oggetto stesso, concepito come un suo effetto: il merito dell’idealismo è stato senz’altro quello di affermare che NON SI PUÒ PARLARE DI UN OGGETTO SE NON IN RELAZIONE AD UN SOGGETTO CHE LO PENSA, imponendogli le PROPRIE FORME (Kant), ma l’errore è stato quello di concepire il soggetto come un IO ASSOLUTO ED INFINITO (Fichte, Hegel) mentre Schopenhauer ritiene, in COMPLETO ACCORDO con Kant, che il soggetto umano pensante sia solo una realtà FINITA, LIMITATA, INDIVIDUALE.
-SCHOPENHAUER E KANT–
I rapporti tra Schopenhauer e Kant sono dunque molto stretti e, come detto, per certi aspetti Schopenhauer RECUPERA tematiche ed impostazioni di Kant; tuttavia esistono anche differenze NON IRRILEVANTI tra i due grandi filosofi tedeschi. Si è già visto come Schopenhauer semplifichi la STRUTTURA DELL’INTELLETTO riducendo le 12 categorie all’unica funzione della CAUSALITÀ, onnicomprensiva di tutte le altre. Tuttavia la differenza più significativa consiste nel MODO in cui Schopenhauer concepisce l’intelletto: mentre per Kant quest’ultimo è un’ATTIVITÀ sintetico-formale, discorsiva e giudicante (nel senso che costruisce GIUDIZI), basata su concetti PURI ben DISTINTI dalle intuizioni SENSIBILI a cui si applicano, per Schopenhauer invece l’intelletto è una FACOLTÀ INTUITIVA NON DIVERSA DALLA SENSIBILITÀ; ciò significa che, secondo Schopenhauer, l’intelletto intuisce gli oggetti empirici, cioè entra in CONTATTO DIRETTO ED IMMEDIATO CON I DATI FENOMENICI, allo stesso modo in cui lo fa la sensibilità tramite le forme a priori dello spazio e tempo. L’intelletto ORDINA tali dati secondo le leggi e le relazioni della CAUSALITÀ per cui, grazie ad esso, noi riusciamo a costituire il mondo degli oggetti esterni secondo una TRAMA di relazioni causali necessarie: se noi ci fermassimo solo all’azione delle forme a priori di spazio e tempo non riusciremmo ad organizzare il materiale delle sensazioni in OGGETTI unitari aventi relazioni reciproche, anzi non riusciremmo nemmeno a percepire il senso del MONDO ESTERNO, cioè a capire che le sensazioni ci derivano dal mondo degli oggetti materiali ESTERNI. Quindi per Schopenhauer, diversamente da Kant, l’intelletto è facoltà intuitiva, come la sensibilità, tanto che l’una e l’altra sono fortemente intrecciate e connesse e non sono più qualitativamente ETEROGENEE. D’altra parte anche in Schopenhauer, come in Kant, l’intelletto è una struttura psichica A PRIORI, quindi costitutiva dell’uomo in quanto tale e non ACQUISITA: ma mentre Kant amava considerarla come una funzione trascendentale del soggetto, cioè come qualcosa comunque di IMMATERIALE, Schopenhauer invece ne sottolinea e ricerca le basi MATERIALI E FISIOLOGICHE, identificando l’intelletto con una FUNZIONE ben precisa del CERVELLO. Rispetto a questo intelletto intuitivo, LA RAGIONE per Schopenhauer si configura come la facoltà del pensiero FORMALE E DISCORSIVO, basato cioè su meccanismi formali e su concetti ASTRATTI, tanto più astratti quanto più risultano LONTANI dalla concretezza della vita fenomenica. Queste diversità si spiegano in virtù delle DIVERSE PROSPETTIVE in cui si muovono Kant e Schopenhauer: infatti mentre il primo muoveva da un’esigenza logico-gnoseologica che mirava a verificare limiti e possibilità della mente umana e considerava la scienza newtoniana come autentico modello di conoscenza (e così facendo Kant dava consistenza gnoseologica ed ontologica al mondo dei fenomeni), Schopenhauer Invece muoveva soprattutto da un’esigenza metafisica e quindi era portato a considerare il livello del modo fenomenico solo come REALTÀ FALSA, APPARENTE E ILLUSORIA, quindi COME realtà fittizia che nasconde L’ESSERE AUTENTICO, VERO E PROFONDO. In questo modo di vedere le cose Schopenhauer Era molto vicino a PLATONE e a PARMENIDE, che avevano appunto concepito la realtà SCISSA in DUE PIANI, uno superficiale, illusorio e falso (quindi, in un certo senso, IRREALE), che per PARMENIDE era costituito da da quello che lui chiamava MOLTEPLICE E DIVENIRE e per Platone dal MONDO SENSIBILE, ed un VERO, METAFISICO, che per Parmenide era l’ESSERE unico ed immutabile e per Platone il MONDO IDEALE. A questa tradizione filosofica occidentale bisogna aggiungere l’influsso dell’antica SAPIENZA INDIANA contenuta IN tesi come il MANTRA, i BRAHMANA, le UPANISAD, i VEDA. Secondo le verità contenute in tali testi ci sarebbe una realtà LIMITE profonda, una sorta di SOSTANZA UNICA TOTALE chiamata BRAHMAN: questo Brahman sta anche a fondamento dell’ATMAN, che sarebbe il SÈ, cioè l’IO profondo che non muore e non si corrompe ed è al di là dello spazio e del tempo e di ogni PASSIONE; principio vitale dell’universo(Bahman) e principio vitale dell’uomo (Atman) coincidono, come nella relazione macrocosmo-microcosmo, e dall’altra parte l’Atman è cosa ben diversa dall’Io apparente ed empirico, soggetto al ciclo di nascita e morte. Infatti l’io apparente appartiene al KARMAN, che sarebbe l’”AZIONE” che determina e governa il divenire e la molteplicità fenomenica: l’ASSOLUTO Brahman-Atman è costretto a diventare KARMAN, cioè ad incarnarsi in forme individuali e materiali, cioè ad esistere fenomenicamente, perdendo la coscienza dell’unità universale ed originaria (si noti la forte analogia con la teoria della metempsicosi dell’orfismo, di Pitagora, di Platone). Queste esistenze si ripetono senza che se ne possa intuire la FINE, in quell’ininterrotto nascere e morire chiamato SUMASARA. Tuttavia il divenire è un’illusione a cui la sapienza indiana ha dato il nome di MAJA. Sollevare il VELO DI MAJA significa rendersi conto che ad attribuire VERA REALTÀ alla molteplicità e al divenire è solo l’ignoranza del PRINCIPIO UNITARIO, in cui molteplicità e divenire si dissolvono, per poi ritornare a rinascere. Schopenhauer si ispira direttamente a questa sapienza filosofico-religiosa indiana.
-IL MONDO COME VOLONTÀ-
Infatti per Schopenhauer la rappresentazione NON ESAURISCE TUTTA LA REALTÀ del mondo, poiché il mondo come rappresentazione è il mondo fenomenico, quindi il mondo dell’apparenza falsa ed illusoria, che nasconde una dimensione più vera e profonda. Il mondo della rappresentazione fenomenica COINCIDE proprio con il VELO DI MAJA, che il sapiente deve SOLLEVARE per scoprire una VERITÀ grande e terribile. Ma cosa consente all’uomo, al sapiente di squarciare questo VELO? Non certo la scienza intellettuale di cui aveva parlato Kant, ma nemmeno la RAGIONE idealistica: le scienze governate dall’intelletto infatti RIMANGONO alla superficie, ci spiegano il “dove”, il “quando”, il “perché” dei fenomeni ma non l’essenza profonda, il mistero metafisico della VITA. La pretesa Ragione dialettico-metafisica degli idealisti risulta, agli occhi di Schopenhauer, soltanto un sapere ASTRATTO, DISCORSIVO E FORMALE, del tutto INCAPACE di penetrare e cogliere l’essenza nascosta della realtà, giacchè esso appare persino lontano e staccato dallo stesso mondo fenomenico.
-LA CORPOREITÀ-
Quel è dunque la CHIAVE che permette all’uomo di sollevare il VELO DI MAJA? Secondo Schopenhauer essa è costituita dalla dimensione FISICO-CORPOREA. L’uomo infatti non è puro spirito, puro soggetto conoscitivo, non è un’intelligenza angelica INCORPOREA (“alate testa d’angelo senza corpo” come si esprime Schopenhauer): l’uomo è anche e soprattutto corporeità, è un corpo tra altri corpi, è un oggetto dell’estensione materiale collocata nello spazio e nel tempo e soggetto alle leggi della casualità necessaria, un oggetto circondato da altri oggetti estesi. L’io consapevole e conoscente intuisce e si rappresenta senz’ altro il proprio corpo come “oggetto fisico”, cioè come FENOMENO simile ad altri fenomeni: MA IL CORPO NON È SOLO OGGETTO di una semplice RAPPRESENTAZIONE. Il corpo infatti, IL PROPRIO CORPO, viene immediatamente AVVERTITO E SENTITO DALL’EGO (come direbbe FREUD), quindi dall’interno di sé, come il CENTRO OSCURO di tutte una SERIE DI TENDENZE istintive, di IMPULSI fortissimi, di BISOGNI BIOLOGICI, di SENTIMENTI (fame, sete, sonno, desideri sessuali, stati d’animo, EMOZIONI, TENSIONI muscolari ecc.); in altre parole l’io consapevole avverte il proprio corpo come CENTRO DI VOLONTÀ, cioè come oscura VOLONTÀ DI VITA che vuole assolutamente affermarsi. Attraverso l’ esperienza della propria corporeità l’ uomo scopre che COME FONDAMENTO ultimo del proprio essere c’è un , c’è una volontà di vivere che PERMEA ogni atto, persino ogni pensiero della sua ESISTENZA: la stessa struttura ANATOMICA E FISIOLOGICA del suo corpo appare del tutto FUNZIONALE all’ affermazione del proprio profondo, ”metafisico” ISTINTO DI VITA. Non si tratta semplicemente di una volontà di fare o non fare qualcosa, di un desiderio momentaneo che SCOMPARE quando viene soddisfatto, di un istinto che si manifesta SOLO in un determinato TEMPO E SPAZIO, cioè di un ASPETTO LIMITATO, SUPERFICIALE E PASSEGGERO DI SÈ, MA SI TRATTA INVECE DELLA RADICE ESSENZIALE, METAFISICA DEL PROPRIO ESSERE FISICO E MENTALE.
-LA VOLUNTAS-
In questo modo l’uomo SCOPRE E SPERIMENTA “LA VOLUNTAS”, cioè quell’ che non solo è il FONDAMENTO del proprio ESSERE individuale ma si presenta come l’ ESSENZA metafisica di ogni COSA, come una FORZA VITALE universale che anima tutti gli esseri, che permea di sé tutti gli aspetti della natura e ci riporta alla mente tutto il “CONATUS SESE CONSERVANDI” di SPINOZA: ogni cosa VUOLE ESSERE, VUOLE VIVERE, VUOLE CONSERVARE SE STESSA, e ciò vale non solo per gli organismi animali e vegetali ma anche per il mondo INORGANICO. La voluntas quindi non può COSTITUIRE UN principio limitato al mio essere individuale proprio perché non cioè alcuna ragione di pensare che la radice profonda dell’ essere dell’uomo SIA DIVERSA dalla radice di tutti gli altri enti del mondo. Pertanto quella “cosa in sé” di cui parlava KANT è proprio la VOLUNTAS, che quindi si presenta come PRINCIPIO METAFISICO della realtà: in quanto tale essa appare UNICA, INFINITA E LIBERA; infatti il principio metafisico, per definizione, non può che essere unico e quindi INFINITO, giacchè esso supera i confini spazio-temporali. Spazio e tempo infatti costituiscono il PRINCIPIO DI INDIVIDUAZIONE della voluntas, attraverso cui essa si oggettiva e si divide in una molteplicità di ENTI. Anche l’assoluta libertà è un REQUISITO necessario di un’essenza metafisica poiché nulla può OPPORSI alla sua piena e totale REALIZZAZIONE. Ma questa voluntas libera ed infinita risulta anche IRRAZIONALE ed INAPPAGABILE: a proposto di S. infatti si parla di filosofia irrazionalistica. In che senso è da intendere l’irrazionale di Schopenauer? La risposta è DATA dalla profonda convinzione del filosofo tedesco sulla natura assolutamente IRRAZIONALE della voluntas: ciò significa che la voluntas, in quanto energia cosmica vitale, NON ha ALCUNA GIUSTIFICAZIONE, non ha alcuna RAGION D’ESSERE, non ha alcun SENSO, né SCOPO, né FINE che non sia soltanto un cieco ed assurdo VOLER ESSERE. Pertanto l’essenza stessa della realtà e della vita è NON-RAZIONALE, è una FORZA che vuole assolutamente essere, che vuole conservare, potenziare e perpetuare se stessa AL DI FUORI e AL DI LÀ di ogni MOTIVAZIONE, di ogni razionale FINALITÀ. Nel suo cieco ed inarrestabile impeto, la voluntas non realizza piani né immanenti né trascendenti, non tende a nulla, non vuole nulla che non sia solo la mera conservazione di sé. In questo senso la filosofia di S. si pone come una VISIONE IRRAZIONALISTICA esattamente agli antipodi del razionalismo assoluto di Hegel; S. ribalta l’aforisma hegeliano “tutto ciò che è reale è razionale” poiché, per lui, tutto ciò che è reale è totalmente arbitrario ed assurdo, non possiede alcuna ragion d’essere. D’altronde questa forza cieca risulta INESAURIBILE, INSAZIABILE, poiché ogni suo appagamento, ogni sua realizzazione è solo la PREMESSA di un NUOVO IMPULSO, di un nuovo desiderio, per cui il mondo appare come un INCESSANTE DISPIEGARSI di un principio che ripropone eternamente questo concetto, si affida al celebre brano dell’ECCLESIASTE (Bibbia): “Vanità delle vanità, tutto è VANITÀ…Tutte le cose sono in travaglio e nessuno potrebbe spiegarne il motivo…ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole”.
-IL PROCESSO DI OGGETTIVAZIONE-
La voluntas, pertanto, in quanto essenza metafisica unica ed infinita, si manifesta IN OGNI ASPETTO ed IN OGNI LIVELLO della realtà; essa è la “forza che vive e vegeta nella pianta, quella per cui si forma il cristallo, quella che indirizza la bussola verso il polo, quella che scocca nel contatto tra 2 metalli, quella che si rivela nelle affinità elettive della materia, come repulsione ed attrazione, separazione e combinazione e da ultimo perfino la gravità”. È significativo notare come lo stesso S., pur avendo negato totalmente la filosofia idealistica, sia STATO comunque anche lui influenzato da quell’impostazione tipica della metafisica romantico-idealistica che FA DERIVARE il mondo finito e determinato da un principio infinito ed indeterminato: anche in S. troviamo infatti l’idea che il mondo fenomenico finito sia apparenza ed EFFETTO di una ESSENZA INFINITA e metafisica, la VOLUNTAS. Per spiegare il passaggio dalla voluntas indeterminata ed infinita al mondo naturale concreto, S. riprende alcune tematiche platoniche, in particolare la TEORIA del MONDO IDEALE. La voluntas infatti per POTERSI AFFERMARE ed ESTRINSECARE deve realizzare un PROCESSO di OGGETTIVAZIONE graduale e gerarchico, attraverso cui essa si materializza, si determina, si concretizza, dando vita infine alla MOLTEPLICITÀ degli enti e degli individui che popolano la natura: il mondo infatti si presenta come una ORDINATA struttura ONTOLOGICA basata su MOMENTI GERARCHICI ben definiti: se infatti la radice della realtà non ha senso né giustificazione, ciò NON IMPLICA che la realtà stessa NON SIA ORDINATA, “RAZIONALE” (basata cioè su leggi ben precise, non contraddittorie), INTELLEGIBILE. Un momento essenziale del processo di oggettivazione è dato dalla FISSAZIONE della voluntas in MODELLI IDEALI, in UNA molteplicità di ESSENZE eterna, quindi al di fuori del fluire spazio-temporale; tali essenze sono intese platonicamente come gli ARCHETIPI IMMUTABILI e COSTANTI sulla base dei quali si formano poi progressivamente gli individui concreti: ad ogni grado e livello della realtà corrisponde un MODELLO IDEALE, da cui discende una gerarchia di forme gradatamente sempre più complesse. Esiste dunque una STRUTTURA IDEALE di tutta la realtà, un’architettura di modelli intelligibili in cui la voluntas infinita si FISSA, si OGGETTIVA e si DETERMINA e da cui deriva, per fasi successive (una successione ontologica più che cronologica), una sempre maggiore individuazione, fino ad arrivare ai singoli individui concreti.Il passaggio da un grado ad un altro avviene in quanto la voluntas NON PUÒ MAI PLACARSI nelle sue progressive oggettivazioni: in questo procedere verso una sempre più alta affermazione di sé , la voluntas vive una LACERAZIONE intrinseca, giacché è spinta ad abbandonare e superare le sue FORME INFERIORI, più deboli, per aprire la strada a manifestazioni di sé, sempre più potenti, più forti, più elevate. S. descrive il processo di oggettivazione e di determinazione della volontà come una continua LOTTA AUTODISTRUTTIVA: “Ogni grado nell’obiettivazione della volontà contende all’ALTRO la materia, lo spazio, il tempo…Fenomeni meccanici, fisici, chimici, organici, facendo avidamente RESSA per venire alla luce, si STRAPPANO l’un l’altro la materia stessa, poiché ciascuno vuol rendere manifesta la propria idea…Questa lotta universale raggiunge la più chiara evidenza nel MONDO ANIMALE, che ha per proprio nutrimento il mondo VEGETALE, ed IN Cui ogni animale diventa PREDA di un altro, ossia deve CEDERE la materia…potendo ogni animale conservare la propria esistenza solo col sopprimerne costantemente un’altra. In tal modo la volontà di vivere DIVORA perennemente SE STESSA”. Il culmine di questo processo è dato dalla comparsa dell’uomo in cui, tramite il cervello, la voluntas acquista coscienza ed intelligenza; ma ciò costituisce tutt’altro che un PROGRESSO positivo, come è stato ottimisticamente decantato sia nell’illuminismo che dall’idealismo: l’intelligenza consapevole infatti NON È ALTRO che un SOFISTICATO e PERFIDO STRUMENTO della cieca voluntas, attraverso cui essa persegue i suoi SCOPI, affermando ad un livello più alto la sua assurda volontà di essere. E nel mondo umano si riproducono quelle stesse lacerazioni autodistruttive che si sono incontrate nei gradi più bassi: individui contro individui, classi contro classi, popoli contro popoli in una incessante ed assurda nonché DOLOROSA, lotta per il dominio. La comparsa della coscienza e dello spirito non è affatto il CULMINE di un processo positivo ma appare piuttosto in una luce di negatività pessimistica.
-IL PESSIMISMO-
Queste premesse metafisiche sono la base della cupa visione pessimistica che avvolge la riflessione filosofica di Schopenhauer. In primo luogo l’uomo appare a Schopenhauer avvolto da una SOLITUDINE ONTOLOGICA poiché egli è senza speranza, non può aggrapparsi ad alcuna FEDE RELIGIOSA, ad alcuna PROVVIDENZA salvifica, né di natura TRASCENDENTE (Cristianesimo) né di natura IMMANENTE (il progresso illuministico, la libertà dell’assoluto hegeliano ecc.): nella storia non agisce alcun PIANO e la vita si presenta nella sua totale arbitrarietà ed assurdità. L’uomo inoltre è una MACCHINA DESIDERANTE INAPPAGABILE, prigioniera del meccanismo del desiderio che non si arresta mai, poiché ogni soddisfazione è solo una pausa e una premessa di un NUOVO DESIDERIO; ma il desiderio implica una MANCANZA, una INCOMPLETEZZA, una IMPERFEZIONE che genera DOLORE, INSODDISFAZIONE, senso di frustrazione e di impotenza, che caratterizza non solo la condizione umana, ma quella di TUTTI GLI ESSERI VIVENTI. La celebre affermazione di Leibniz viene ribaltata da Schopenhauer per cui il mondo in cui viviamo è IL PEGGIORE DEI MONDI POSSIBILI.
Quella condizione esistenziale chiamata “FELICITÀ’” non esiste realmente sicché , il che significa che la felicità si può definire SOLO IN NEGATIVO, come quello che NON E’, e pertanto risulta solo una tragica ILLUSIONE, poiché la condizione normale è il DESIDERIO-DOLORE, rispetto a cui la cosiddetta felicità appare come una TREGUA, una PAUSA, un’ATTENUAZIONE del DESIDERIO doloroso. Quando il dolore scompare momentaneamente subentra la NOIA, quel senso di VUOTO e INUTILITA’ che attanaglia l’esistenza la quale, come abbiamo visto, non ha alcun senso: la vita umana oscilla tra il dolore e la noia. Il pessimismo schopenhaureano si basa inoltre sulla constatazione che la vita naturale, umana e sociale è DOMINATA dalla LEGGE della sopraffazione, della violenza, del dominio, della forza: il più forte schiaccia il più debole per essere a sua volta schiacciato. Tra gli ESSERI VIVENTI non c’è solidarietà, amore, simpatia, se non in forme interessate e mascherate, che nascondono un desiderio di dominio: ogni ottimismo sulla natura umana va liquidato giacché l’uomo è tutt’altro che un ANGELO ma, come ha insegnato Hobbes, è piuttosto un LUPO, animato da un feroce egoismo che lo induce ad uccidere, distruggere, aggredire; chi rappresenta la natura umana in modo diverso opera una vera e proprio MISTIFICAZIONE (questi concetti di S. sono estremamente importanti per la cultura contemporanea giacché condizionano direttamente due grandi psicologi-filosofi dell’Ottocento-Novecento, vale a dire NIETZSCHE e FREUD; Freud ad esempio parlerà di PULSIONI distruttive o pulsioni di MORTE). Pertanto, da che il mondo esiste, si ripete sempre la stesa vicenda, la vita si ripropone sempre allo stesso modo, cioè come desiderio, dolore, violenza, NON-SENSO (questo concetto ritornerà in Nietzsche nell’idea dell’ETERNO RITORNO DELL’EGUALE). Un’altra tragica illusione umana è data dall’AMORE, così esaltato dagli uomini e cantato dai poeti (vedi Romanticismo); in realtà esso si rivela come un PERFIDO INGANNO della VOLUNTAS e, come tale, deve essere demistificato e smascherato. La natura, il GENIO della SPECIE, ha reso infatti l’EROS come l’ISTINTO PIU’ POTENTE, come l’esperienza più PIACEVOLE e ATTRAENTE che possa darsi (anche questo concetto ritornerà in Freud sotto forma di PULSIONE EROTICA, LIBIDICA, VITALE); tutto ciò affinché gli individui SIANO COSTRETTI A RIPRODURSI, e riproducendo e perpetuando così la stessa Voluntas.
-IL PROCESSO DI LIBERAZIONE-
L’uomo pertanto è vittima di un destino di dolore e sofferenza, che è legato alla sua stessa condizione ONTOLOGICA. L’uomo d’altra parte, essendo dotato di coscienza, è l’essere che SOFFRE di PIÙ, molto di più di tutte le altre forme viventi: l’uomo infatti, in quanto è capace di staccarsi dall’immediatezza del presente, è in grado di proiettare la propria condizione di desiderio e di dolore sia verso il passato, verso ciò che non c’è più (il che determina NOSTALGIA e MALINCONIA), sia verso il futuro, verso ciò che deve ancora venire (il che determina PAURA, INCERTEZZA, ATTESA). Tuttavia proprio questa coscienza e questa ragione, che aumentano la sua sofferenza, possono anche offrire all’uomo una POSSIBILITÀ di REDENZIONE, di LIBERAZIONE del giogo del desiderio e del dolore: il punto di partenza per iniziare un cammino di liberazione sta proprio nella PRESA di COSCIENZA di questa CONDIZIONE, di questo DESTINO; quando la ragione comprende ciò può cominciare anche ad indicare le STRADE di una possibile liberazione, come hanno dimostrato le grandi religione asiatiche, INDUISMO e BUDDISMO. La stessa conoscenza filosofica del mondo, in quanto svela l’essenza metafisica delle cosa, cioè la Voluntas, può anche offrire gli strumenti per un possibile superamento della VOLONTÀ. Occorre dunque ricercare e mettere in ATTO procedimenti ed esperienze della quali la Voluntas venga bloccata, neutralizzata, negata, venga in qualche modo trasformata in NOLUNTAS (NON VOLERE): negare la Voluntas significa contrapporre ad essa una sorta di RESISTENZA, di NON VOLERE. A questo proposito occorre sottolineare il fatto che Schopenhauer esclude l’ipotesi del SUCIDIO sulla base di queste considerazioni: ad un’analisi attenta il suicidio si presenta come ATTO individuale EGOISTICO che non sopprime la Voluntas in quanto tale ma NE RIMANE PRIGIONIERO. Chi si suicida infatti lo fa non perché VUOLE NEGARE la Voluntas in sé ma perché è INSODDISFATTO della propria vita e vorrebbe ancora vivere, anche se in MODO DIVERSO, dimostrando così di essere schiavo del proprio EGOISMO: ma l’egoismo appunto la massima espressione della Voluntas, quindi il suicida NON SI È LIBERATO DA ESSA; occorre invece trovare qualcosa che sia in grado di PORTARCI FUORI dalla Voluntas metafisica, per quanto ciò possa essere possibile, giacché si tratta di andare CONTRO la stessa essenza della realtà. Schopenhauer ritiene di trovare ciò nelle esperienza dell’ARTE, dell’ETICA e dell’ASCESI, tre tappe progressive di un processo di fuoriuscita della Voluntas.
-ARTE-
L’esperienza estetica costituisce per Schopenhauer una forma di negazione della Voluntas in quanto in essa si realizza una “SOSPENSIONE” del desiderio di vita. Qui Schopenhauer si allontana da Kant, il quale aveva negato che il giudizio estetica potesse essere teoretico e conoscitivo, e si avvicina invece alla teorie idealistico-romantiche, in particolare quelle di SCHELLING, secondo cui l’INTUIZIONE ESTETICA sarebbe capace di penetrare e cogliere l’essenza profonda e vera della realtà, mentre la conoscenza comune e quella scientifica si FERMEREBBERO alla superficie della cose, all’aspetto FENOMENICO. Nel godimento estetico di un oggetto BELLO l’uomo NON SI FERMA affatto agli aspetti sensibili, particolari e concreti dell’oggetto stesso, ma arriva a cogliere il MODELLO IDEALE, eterno ed immutabile, che si nasconde dietro l’apparenza EMPIRICO-SENSIBILE: l’arte, l’estetica sono appunto contemplazione di questo CONTENUTO IDEALE presente sia negli oggetti naturali sia nelle creazione artistiche dell’uomo; ma per cogliere tale contenuto eterno ed universale bisogna sapersi ELEVARE dal piano superficiale della fenomenicità in perenne divenire al piano dei modelli ideali immutabili e puri, che costituiscono l’essenza profonda e vera delle cose. Ma perché il soggetto umano possa ELEVARSI a questo PIANO egli deve STACCARSI DAL FLUSSO dei desideri, delle passioni, degli interessi che dominano il suo IO fenomenico ed empirico per entrare in una DIMENSIONE di “sospensione” di questo divenire spazio-temporale: così egli diventa un PURO SOGGETTO CONOSCITIVO in grado di “vedere” l’essenza ideale delle cose. L’esperienza estetica pertanto costituisce un’interruzione del flusso VITALE doloroso, un momento in cui la coscienza dimentica i suoi CRUCCI, le sue PENE, suoi DESIDERI, per lasciarsi finalmente . In questo senso per Schopenhauer l’esperienza estetica consente di uscire dal flusso dell’esistenza e quindi di fermare il dolore ad esso connesso; Schopenhauer inoltre descrive anche una GERARCHIA delle forme artistiche, procedendo da quelle più basse (architettura) a quelle più elevate (pittura, poesia, musica): contrariamente ad Hegel, Schopenhauer assegna il primato alla MUSICA ritenendo che, mentre ogni altra forma artistica coglie SOLO UNA della forme in cui si manifesta la Volontà, la musica invece ne coglie direttamente l’essenza, ne rappresenta l’immagine diretta e per questo è l’UNICA capace di narrare . Da sottolineare, in questa teoria, la forte influenza del romanticismo, particolarmente evidente nel considerare l’intuizione estetica SUPERIORE alla conoscenza scientifico-razionale, che silimita solo a cogliere i nessi causali e spazio-temporali del mondo fenomenico. Tuttavia l’arte ed il bello costituiscono ancora una RISPOSTA INADEGUATA al problema della LIBERAZIONE della VOLUNTAS: il LIMITE più grave di questa “LIBERAZIONE ESTETICA” è dato dal suo essere MOMENTANEA, PROVVISORIA, un qualcosa che si esaurisce in una brave parentesi. Inoltre quella estetica è ancora un’esperienza INDIVIDUALE che non sopprime del tutto l’EGOISMO: il problema vero è quello di uscire dall’egoismo, di negarlo, per questo Schopenhauer definisce la bellezza più una “CONSOLAZIONE DELLA VITA” che una vera e propria “LIBERAZIONE DALLA VITA”.
-ETICA-
L’etica, in quanto pone gli individui in relazione con GLI ALTRI, costituisce una possibilità di superare l’egoismo. Quando Schopenhauer parla di morale e di etica NON intende affatto riferirsi al PIANO STORICO, SOCIALE e POLITICO poiché egli NON CREDE affatto alla possibilità di una RIFORMA CIVILE e MORALE che passi attraverso lo Stato: egli non ritiene, come Hegel, che lo Stato sia una realtà etica in cui il singolo possa realizzarsi, e, quando parla di moralità la considera solo nel suo aspetto di INTERIORITÀ, di qualcosa del tutto interno alla coscienza. L’etica si esprime, secondo Schopenhauer, in due atteggiamenti fondamentali: GIUSTIZIA e COMPASSIONE. La giustizia ci induce a considerare gli ALTRI PARI A NOI stessi e quindi NON fare del MALE e recare DANNO agli altri per ricavare un proprio vantaggio; l’uomo morale quindi è un UOMO GIUSTO che pone un FRENO al proprio egoismo individuale, mettendo se stesso sullo stesso piano degli altri. Ma un maggiore superamento dell’egoismo si ha con la COMPASSIONE, che costituisce un atteggiamento etico più attivo e POSITIVO; con la compassione infatti si sviluppa un autentico sentimento di AMORE e SOLIDARIETÀ verso il PROSSIMO, una amore DISINTERESSATO (quindi ben diverso da quello EROTICO) che somiglia a quello che i cristiani hanno chiamato AGÀPE. Nella compassione l’individuo assume su di sé le sventure ed il dolore degli altri, condividendone il COMUNE DESTINO; la compassione pertanto . Non si tratta solo di un atteggiamento psicologico, ma anche e soprattutto di una manifestazione METAFISICA poiché, tramite la compassione, riconosciamo che in tutte le cose del mondo si agita la medesima VOLONTÀ di VITA e quindi un UNICO DOLORE ci accomuna a tutti gli esseri dell’universo.
-ASCESI-
Tuttavia anche la compassione è limitata poiché essa comunque è un COMPATIRE, è un SOFFRIRE INSIEME agli ALTRI; ci troviamo quindi ancora all’interno della volontà, all’interno della VITA, mentre il problema è di USCIRE dalla VITA, di RINNEGARLA. Ciò è possibile solo intraprendendo il viaggio dell’ASCESI che, come dice la stessa parola, è un ALLENAMENTO, una TECNICA di NEGAZIONE della Voluntas. Qui Schopenhauer si riallaccia tanto alla tradizione ASCETICA occidentale, prima greca a poi cristiano, quanto alle teorie ed alle secolari pratiche dell’induismo e del buddismo. L’ascesi comincia quando l’uomo cessa di VOLERE, esercitando la massima INDIFFERENZA per ogni cosa e finendo per provare ORRORE per quella volontà di vivere che è il nucleo profondo del proprio essere. Il primo GRADINO dell’ascesi è costituito dalla CASTITÀ PERFETTA, cioè la negazione totale dell’impulso sessuale alla generazione. Seguono poi la POVERTÀ VOLONTARIA, il DIGIUNO, il SACRIFICIO (ovvero la mortificazione di tutti gli istinti e i desideri) ed il NIRVANA, ultimo STADIO dell’ascesi. Il Nirvana è un’esperienza INTERIORE che non può essere comunicata come se fosse una conoscenza qualunque. Essa costituisce la completa NEGAZIONE della Voluntas, che viene convertita in Noluntas; secondo Schopenhauer solo un ristretto numero di persone è riuscito a raggiungere questo stato di ESTASI, RAPIMENTO, ILLUMINAZIONE: i Santi, gli Asceti, i grandi SAGGI dell’Occidente e dell’Oriente. Ciò è dovuto al fatto che il Nirvana presuppone una LOTTA IMPARI contro la STESSA ESSENZA della vita (). Tuttavia quando si raggiunge il Nirvana . Alla fine il Nirvana si risolve in una completa uscita dalla spazio-tempo ed in una NULLIFICAZIONE del MONDO (oggetto) e dello stesso IO INDIVIDUALE (soggetto); nel Nirvana l’identità individuale tende a DISSOLVERSI nella CONTEMPLAZIONE del NULLA: . Solo allora: ; la condizione del Nirvana è data dunque da QUIETE, PACE, RIPOSO, SILENZIO e chi raggiunge questo STATO di GRAZIA finalmente comprende che: .