Materie: | Tema |
Categoria: | Filosofia |
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Data: | 16.04.2007 |
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Testo
L’ALIENAZIONE
Il concetto varia a seconda del tempo e del contesto: nel Medioevo, Riccardo di San Vittore identificò l'a. con il terzo grado dell'itinerario mistico della mente verso Dio, corrispondente alla dimenticanza delle cose finite e alla contemplazione del soprannaturale; affatto diverso è l'uso che ne fece Rousseau, che vide nell'a. l'unica e sovrana clausola del contratto sociale, per cui l'individuo cede i propri diritti naturali alla comunità dando così luogo alla formazione di una volontà generale legislatrice. Hegel lo usò nuovamente in un senso metafisico come un momento del processo che va dalla coscienza all'autocoscienza, e più precisamente il momento in cui la
coscienza si estrania da sé e si considera una cosa. Tale momento però viene superato quando la coscienza scopre che gli oggetti fuori di sé sono una sua creazione ed esprimono la sua stessa realtà. Questo perdersi per ritrovarsi ha il suo epilogo (tutto positivo) nella consapevolezza totale. Un'interpretazione critica e uno sviluppo del concetto hegeliano di a.
sono presenti in Marx. Questi rimprovera a Hegel di aver confuso l'obiettivazione, cioè il farsi cosa dell'uomo attraverso il lavoro, e l'a., cioè lo smarrimento di sé, la perdita di ciò che è proprio dell'uomo in quanto uomo. L'obiettivazione è, in altre parole, momento positivo del processo che conduce alla realizzazione dell'unità dell'uomo e della natura; l'a. è invece nello stesso processo un momento negativo, in quanto scinde tale unità (così p. es. la religione – e qui Marx ricorda Feuerbach – scinde il rapporto tra l'uomo e i prodotti della sua volontà). Al concetto di a. come perdita di sé si rifanno molte correnti della filosofia contemporanea, in particolare l'
esistenzialismo e il personalismo.
II termine è comunemente associato alla riflessione di Marx, che si serve
della categoria di a. negli scritti filosofici giovanili in riferimento critico all'accezione propostane da Hegel. Se per questi, infatti, con a. si intende la separazione fra coscienza e realtà empirica (oggettivazione dello spirito assoluto nella natura e nella storia), per Marx l'a. esprime la posizione dei soggetti sociali nella società capitalistica divisa in classi. In particolare, in questo significato materialistico, l'a. si applica alla condizione operaia. Nell'industria, il lavoratore – privato dei mezzi di produzione e di scambio e impossibilitato a controllare il ciclo produttivo di cui egli stesso diviene parte cedendo la propria forza lavoro in cambio del salario – esprime in
maniera esemplare la condizione alienata dell'intera umanità. Si tratta, perciò, di un aspetto centrale e nevralgico della filosofia materialistica, le cui potenzialità critiche risultano peraltro
ridimensionate dagli sviluppi maturi della produzione marxiana – più lontana dalla sua matrice filosofica e meno impegnata nella polemica anti-idealistica delle opere giovanili – e negli stessi contributi dei pensatori marxisti del Novecento. In particolare, G. Lukács – collocando il concetto di a. nella più vasta problematica del rapporto fra scienza, tecnica e dominazione sociale – tende a identificarla con la reificazione, intesa come primato della produzione di beni sulla libera espressione della coscienza umana. In questo senso, la nozione di a. si riavvicina a quella originariamente avanzata da Hegel e dalla scuola idealistica tedesca, seppure in un contesto sociologico inedito (la società industriale) e in una prospettiva ideologica rivoluzionaria, tesa a
sottolineare il nesso operante fra a., conflitto sociale e antagonismo politico di classe. Meno ideologica, ma ancor più radicale concettualmente, è la tesi di G. Friedmann, che collega intrinsecamente a. e lavoro, per cui solo un processo di liberazione dal lavoro in quanto tale (e non dal solo lavoro "alienato", secondo il presupposto marxista) potrebbe consentire il superamento dell'alienazione. Su questa linea si collocano anche i contributi successivi degli studiosi della Scuola di Francoforte. Th. W. Adorno interpreta l'a. come espropriazione dai diritti e dai doveri derivanti dalla conoscenza e, perciò, come espropriazione del comando sociale da parte dei centri di potere attivi nella società del consenso manipolato. H. Marcuse sviluppa l'intuizione di Friedmann considerando il lavoro come intrinsecamente alienato, indipendentemente dagli specifici rapporti di produzione. Già M. Weber, d'altronde, aveva assunto il concetto di a. in una prospettiva più ampia di quella di Marx, estendendolo a soggetti sociali diversi e a varie categorie professionali, ben al di là dei confini della classe operaia. Nell'ottica weberiana, a. divenne perciò soprattutto assenza di potere, privazione di influenza decisionale, delega a ristrette élites dominanti delle responsabilità collettive. La scuola funzionalistica nordamericana ha prodotto un'ulteriore interpretazione della categoria di alienazione. Per R. K. Merton, p. es., a. è sinonimo di mancata o imperfetta identificazione – da
parte di un gruppo sociale o di un singolo individuo – con i valori dominanti e le mete condivise di una comunità. In una simile prospettiva, l'a. tende a confondersi con l'anomia e, quindi, a configurarsi come una sorta di indicatore del malessere di una società scarsamente solidale e con una scarsa coesione civile e morale (dissenso rispetto ai valori collettivi, assenza di "fini condivisi"). Anche in riferimento a tematiche proprie della psichiatria e della psicologia sociale, non sono mancati i tentativi di ricondurre l'a. a manifestazione di disadattamento soggettivo, pur motivandola con più generali ragioni culturali e sociali. A., dunque, come privazione di potere (anche per effetto dello sviluppo della potenza anonima della tecnologia); come assenza di significato (venir meno del senso del ruolo e della funzione rivestiti dal lavoratore nel processo produttivo); come eclisse dell'appartenenza individuale alla comunità; come rifiuto a partecipare al processo sociale che si esprime nel lavoro (autoestraneazione): questa pluralità di significati, e la complessiva dilatazione del concetto – che aveva nei filosofi idealisti e nell'economicismo marxista una sua definizione relativamente circoscritta e rigorosa – è sicuramente all'origine del suo declino nell'uso scientifico della ricerca sociale. Declino che non contrasta con la persistente fortuna del termine di a. nella generica versione fatta propria dalla pubblicistica corrente e dalla stessa produzione artistica contemporanea.