Idealismo ed Hegel

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

Voto:

2.5 (2)
Download:313
Data:06.11.2000
Numero di pagine:48
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
idealismo-hegel_2.zip (Dimensione: 39.55 Kb)
trucheck.it_idealismo-ed-hegel.doc     136 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

Idealismo:una filosofia monista
L’Idealismo è un tentativo di spiegare la totalità del reale partendo da un unico principio : l’idea, l’attività del logos. Si tratta quindi di una filosofia monista, che nella storia della filosofia s’incontra piuttosto raramente. I filosofi hanno quasi sempre accettato il dualismo fra materia e spirito, fra corpo ed anima, fra mondo sensibile e mondo intelligibile, fra phýsis e lógos, che si impose fin dai tempi antichi come schema tradizionale di comprensione della realtà.
Ma il desiderio profondo della ragione è sempre stato quello di dedurre il tutto da un principio unico, come sembrano indicare già i primi filosofi ionici e dopo di loro Platone, Aristotele, Plotino, fino ai moderni Spinoza ed altri. Quindi, nonostante le evidenti difficoltà che comporta spiegare la materia ricorrendo allo spirito (idealismo) o lo spirito ricorrendo alla materia (materialismo), ogni tanto sono comparsi dei sistemi monistici, alcuni dei quali di grande potenza teoretica e fascino. Uno di questi è senza dubbio l’idealismo tedesco.
Se all’uomo d’oggi riesce abbastanza comprensibile un monismo di tipo materialistico, dati i progressi scientifici che cercano di dare una spiegazione fisico–chimica dei fenomeni spirituali, più difficile da comprendere appare l’altro tipo di monismo, quello che vuole ricondurre la materia allo spirito, come è appunto l’idealismo.
È’ necessario quindi fare una breve premessa ponendo una certa attenzione su come si sia formata la ragione illuminista. Essa è diventata dapprima la suprema auctoritas, il giudice di tutta la realtà, comprese le cose più sacre, con tutta la dignità che questa posizione comporta. Quindi essa è diventata la luce che scaccia le tenebre, non solo in grado di giudicare tutta la realtà, ma anche di modificarla efficacemente e radicalmente; in sostanza le sono stati attribuiti caratteri divini. Infine, con Kant, la ragione aveva scoperto non solo di essere il legislatore della natura, ma che al suo esterno non vi era altro che ciò che il filosofo tedesco indica come cosa in sé, una non conoscibile “produttrice di sensazioni per il soggetto gnoseologico”.
Il dualismo fra la sfera fenomenica e quella noumenica fu considerato dai critici di Kant come una sconfitta della ragione, essendo essa costretta ad ammettere due realtà razionalmente incompatibili (una avvolta nel determinismo e l’altra che postula necessariamente la libertà), sconfitta che si sarebbe trasformata in una vittoria, anzi in un trionfo, se la filosofia fosse riuscita a superarlo. Chi si decise risolutamente ad abbattere questo ostacolo fu J. G. Fichte, il quale dimostrò che anche la cosa in sé era prodotta dall’Io, fuori dal quale non rimaneva dunque più nulla. Così nacque l’idealismo.
Se consideriamo che si era partiti poco più di cent’anni prima dalla necessità di ridimensionare le pretese della ragione e di ancorarla saldamente alla realtà empirica, dobbiamo ammettere che ci troviamo di fronte ad un movimento dialettico interno alla ragione molto significativo. Passo dopo passo essa non solo si era posta al di sopra di tutto, ma era arrivata a non riconoscere più nulla al di fuori di sé. La ragione, o meglio la Ragione, era diventata l’Assoluto.
Idealismo ed epistéme
Kant era arrivato a dimostrare che se la metafisica è una grande passione della ragione, tuttavia all’uomo non è dato di trasformare questa sua passione in una scienza. Il suo discepolo Fichte fu invece di parere opposto, come suggerisce già il titolo della sua opera filosofica più importante Fondamenti della vera dottrina della scienza (prima ed. 1794, più volte riedita). Egli riteneva che lo scopo della filosofia fosse proprio di essere scienza (Wissenschaft), ma non una scienza fra le altre, bensì la scienza delle scienze, quella conoscenza con i caratteri dell’oggettività e dell’universalità, che sta a fondamento di ogni conoscenza particolare e che fin dai primi tempi la tradizione filosofica aveva chiamato metafisica; così come aveva usato il termine epistéme (scienza) per indicare quel modo di conoscere che si pone coscientemente al si sopra della dóxa (opinione soggettiva). Quello che il filosofo tedesco aveva elaborato nella sua opera era dunque un nuovo fondamento per un conoscere di tipo epistemico, con il quale realizzare una metafisica.
Per comprendere meglio l’essenza del problema, ritorniamo a quando esso era emerso per la prima volta nella storia della filosofia, con il sofista Protagora ai tempi della Grecia classica. Egli aveva affermato che «ad ogni lógos si può contrapporre un altro lógos», cioè che tutto può essere contraddetto, che la conoscenza non può essere che dóxa e che il relativismo è insuperabile. Coloro che non si rassegnarono a questa sconfitta della ragione con le conseguenze relativistiche e scettiche, s’impegnarono nella ricerca di un fondamento per un sapere oggettivo, epistemico, in grado di resistere agli attacchi degli scettici.
Fra di essi vi era Aristotele. Ad un certo punto della sua ricerca egli ritenne di aver trovato un punto d’appoggio, che parve subito come una fortezza inespugnabile, in grado di resistere alle argomentazioni degli scettici, e che fu significativamente chiamato: principio di non contraddizione. La sua forza stava nel fatto che per confutarlo era necessario presupporlo: quindi esso era inconfutabile e la convinzione di Protagora di poter contraporre ad un lógos un altro lógos, in quanto tutto poteva essere contraddetto, era errata. Su questo principio di non contraddizione era possibile poi, utilizzando un metodo corretto con procedimenti deduttivi che rispettassero pienamente le regole della logica (come il sillogismo), fondare una conoscenza epistemica e dimostrare che i sofisti arrivavano a conclusioni relativistiche solo perché commettevano errori di ragionamento. Per merito di Aristotele la ragione prese fiducia in se stessa e fu in grado di elaborare una conoscenza dell’“essere in quanto essere” e delle “cause prime”, cioè una metafisica la quale si presentava come un potente sistema onnicomprensivo.
All’inizio dell’epoca moderna, con la crisi della metafisica aristotelica, la filosofia si era dovuta confrontare di nuovo con il problema della fondazione dell’epistéme per difenderla dal ritorno del pensiero relativistico e scettico. In quell’occasione il confronto si era risolto di nuovo a favore di chi riteneva possibile una conoscenza di tipo epistemico e con la sconfitta dello scetticismo. Ciò avvenne anche per l’apporto del nuovo metodo che la scienza moderna si era dato e che esercitava sui filosofi un fascino straordinario. Fu comunque necessario pagare un alto prezzo, perché da una parte si ebbe una svolta soggettivistica, con relativo allontanamento della verità dalla certezza, e dall’altra un appiattimento dell’epistéme filosofica sul metodo della scienza moderna.
Il fondatore dell’idealismo, Fichte, ritenne a sua volta di poter andare avanti sulla strada tracciata da Aristotele ed arrivare ai fondamenti della vera dottrina della scienza, tenendo conto dei risultati a cui erano giunti i filosofi moderni, in particolare Descartes e Kant. Egli cominciò con il notare che il principio d’identità (A=A), che fa parte del principio di non contraddizione (identità, non contraddizione, terzo escluso) non era più adeguato dopo la svolta soggettivistica cartesiana, che aveva dato il primato all’ego cogitans. Era necessario ripartire dall’Io, perché il principio d’identità esiste solo se l’Io lo pone, e quindi elaborare una nuova logica fondata sull’Io trascendentale.
Fichte mise in evidenza questa nuova logica, cioè il movimento logico-dialettico dell’Io, rivelatosi all’analisi del filosofo come attività pura, in grado di porre Sé e anche ciò che è fuori di Sé. Questo movimento è caratterizzato da tre momenti (l’Io pone se stesso, oppone a sé un Non Io, oppone a sé un Non Io divisibile ed un Io divisibile) attraverso cui si costituisce la totalità del reale, perché dopo l’eliminazione della kantiana cosa in sé, nulla è rimasto fuori dall’Io che non sia prodotta dall’attività stessa dell’Io.
Era così delineata la nuova “dottrina della scienza”, una nuova metafisica in piena sintonia con la svolta soggettivistica attuata dal pensiero moderno. Fichte, d’accordo con Aristotele, non considerava la metafisica come “ciò che sta al di là della fisica” (perché in questo modo essa si ridurrebbe alla teologia razionale) ma come scienza (epistéme) dell’«essere in quanto essere e delle cause prime».
La filosofia di Fichte venne poi continuata da Schelling. Dapprima egli individuò nell’intuizione intellettuale e nell’opera d’arte lo strumento più adeguato per raggiungere la meta ultima della ricerca filosofica, cioè l’Assoluto, inteso come unità della filosofia della Natura e dell’Io trascendentale. Ma dopo il 1801, a partire dall’opera Esposizione del mio pensiero filosofico, per evitare che attraverso l’intuizione artistica fosse dato spazio ad elementi soggettivi (alle illusioni del soggetto), Schelling si rivolse alla ragione come lo strumento più adeguato per cogliere la totalità delle determinazioni ideali e reali all’interno di una filosofia dell’identità, in cui il diverso viene ricondotto all’identico.
Quest’attività della ragione, capace di ricondurre tutto all’Assoluto, essendo al di sopra di rischi soggettivistici, si proponeva come epistemica. La filosofia dell’Assoluto (cioè in definitiva la metafisica schellingiana) a sua volta venne indicata da Schelling come movimento dialettico all’interno dell’Assoluto stesso, individuata ancora in tre momenti distinti, quello dell’identità di ideale e reale, quello dell’estraneazione nel sensibile, nel tempo, nella corruzione, ed infine quello del ritorno all’unità e quindi all’identità dell’identico e del diverso.
Chi portò al suo pieno compimento il processo di pensiero iniziato da Fichte fu Hegel. Nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito egli afferma quale sia lo scopo che si proponeva di conseguire come filosofo: «La figura autentica in cui la verità può esistere è soltanto il significato scientifico [epistemico] della verità stessa. Ora collaborare affinché la filosofia si avvicini alla forma della scienza, affinché giunga alla meta in cui possa deporre il proprio nome di amore del sapere per essere sapere reale è ciò che mi sono appunto proposto».
Per arrivare alla verità come scienza, cioè per raggiungere la dimensione epistemica della verità, egli affrontò il problema esattamente come i suoi predecessori, rifacendosi ai risultati raggiunti dalla dottrina fichtiana della scienza e dalla filosofia dell’identità di Schelling. Ma egli individuò il fondamento scientifico del reale e del razionale in un diverso tipo di movimento dialettico, composto sempre da tre momenti distinti, tesi, antitesi e sintesi, in cui il movimento finale della sintesi (aufhebung da aufheben) riesce, negando e recuperando i due precedenti, ad arrivare a quella superiore forma di riconciliazione che è propria della ragione filosofica nel senso pieno del termine.
Sulla dialettica come metodo d’indagine del reale e del razionale Hegel afferma: «Nessuna esposizione può valere come scientifica [epistemica], la quale non segua l’andamento di questo metodo [la dialettica] e non si uniformi al suo semplice ritmo, poiché è l’andamento della cosa stessa». Il passo è tratto dall’Introduzione alla Scienza della logica, opera che già nel titolo, come la stessa Enciclopedia, ricorda la concezione hegeliana della filosofia come scienza (epistéme) e la dialettica è il metodo per arrivare ad una conoscenza scientifica (epistemica), perché essa coincide con il movimento stesso della realtà, e quindi della razionalità in quanto, come è noto, per Hegel ciò che è reale è razionale e viceversa (ma ciò che non è razionale non è neppure reale!).
Applicando questo metodo egli giunse ad elaborare uno straordinario sistema onnicomprensivo in cui sembra concludersi la stessa storia della filosofia. La capacità del pensiero epistemico di essere sistematico, affermatasi già con Aristotele è interpretata da Hegel come dimostrazione essa stessa di scientificità. Egli afferma infatti nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito: «La figura autentica in cui la verità può esistere è soltanto il sistema scientifico [epistemico] della verità stessa», e nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio aggiunge: «Un filosofare senza sistema non può essere niente di scientifico [epistemico]; ed oltre che un siffatto filosofare per sé preso esprime piuttosto un modo di sentire soggettivo e, rispetto al suo contenuto, accidentale. Un contenuto ha la sua giustificazione solo come momento del tutto, e fuori di questo è un presupposto infondato o una certezza meramente soggettiva: molti scritti filosofici si restringono in tal modo ad esprimere soltanto pareri e opinioni». Coerentemente con l’impostazione epistemica del suo pensiero, per la quale «il vero è l’intero» e non può essere altrimenti, Hegel elaborò il più completo ed organico sistema dell’intera storia della filosofia. Esso era talmente perfetto da poter essere rappresentato graficamente.
Nell’Enciclopedia, opera in cui il pensiero di Hegel giunse alla sua piena maturazione, il sistema ormai era completo e perfetto in ogni sua parte ed il filosofo tedesco poté quindi affermare che il traguardo, che si era proposto, era da considerarsi raggiunto: la philosophia era diventata sophia, la conoscenza scienza. Ma se questo desiderio di raggiungere la sophia è implicito nell’idea stessa della philosophia, la tradizione filosofica aveva sempre avuto la consapevolezza che «sapiente è solo il Dio», come afferma Socrate nell’Apologia, cioè che il sapere umano è destinato a rimanere relegato al campo delle congetture, come ci ricordano Nicola Cusano e, sia pure in modo un po' enfatico, Lessing. Con Hegel questa consapevolezza venne dialetticamente negata-superata e la sua filosofia si propose come momento finale e conclusivo di oltre duemila anni di dibattiti infuocati, di critiche e controcritiche, di passione per la verità.
Egli aveva dimostrato che l’aspirazione della filosofia a realizzare un sapere epistemico in grado di comprendere la totalità del reale con l’uso esclusivo della ragione era giunta al suo compimento. Ma veramente con questo filosofo finisce la storia della filosofia? Veramente dopo di lui non c’è più nulla da comprendere, da cercare, da discutere? nessun traguardo da raggiungere? L’uomo, giunto in possesso della piena verità, è diventato come Dio?
In realtà il pensiero hegeliano ha avuto il merito di mettere in evidenza alcuni aspetti del pensiero epistemico, sui quali fino ad allora non si era riflettuto a sufficienza. Proprio per il fatto di essere giunto al suo massimo traguardo (ciò che è razionale è reale e viceversa) esso manifestò la tendenza a negare-inverare-superare il particolare (accidens) all’interno dell’universale (substantia), il non-razionale all’interno del razionale. Hegel afferma esplicitamente: «La considerazione filosofica non ha altro intento che quello di eliminare l’accidentale» (Lezioni sulla filosofia della storia). Questa dottrina non era certo nuova, ma essa si era mantenuta sul piano della logica con la consapevolezza che il mondo dell’umano non è mai del tutto riducibile alla razionalità. Nel pensiero di Hegel questa distinzione fra reale e razionale venne meno e la logica dell’idea divenne anche logica della realtà; di conseguenza il rapporto fra il particolare e l’universale doveva essere lo stesso in entrambi i campi. Trasportata nella storia e nella politica, questa dottrina condusse il filosofo tedesco a considerare gli individui come inessenziali di fronte allo Stato moderno, che trovava così razionalmente giustificate le sue tendenze totalitarie.
Un altro aspetto del pensiero epistemico messo in evidenza dalla filosofia hegeliana è la dottrina della coincidenza fra l’essere e il dover essere. Essa favorisce un grande ottimismo (tutto è sotto il pieno controllo della ragione). Ma se ciò che è, deve anche essere così come è, non viene data alla libertà che una dimensione apparente e viene a mancare qualsiasi fondamento razionale alle speranze dell’uomo, al suo desiderio di cambiamento. Notevoli sono le implicazioni che questa dottrina ha nel campo della storia, già messe in evidenza a proposito della storiografia illuminista, per la quale ciò che appare come non razionalmente accettabile viene trattato come irrilevante o addirittura inesistente, favorendo così interpretazioni arbitrarie e censure a non finire.
Proprio perché il sistema hegeliano mette particolarmente in evidenza questi aspetti del pensiero epistemico, che ci rivelano la sua natura profonda, esso pone in primo piano il problema delle responsabilità del filosofo e dell’intellettuale in generale. Inoltre esso ci ricorda che il rapporto tra philosophia e sophia, fra razionalità e libertà, fra la totalità e l’individuo rimane di non facile soluzione. Già lo stesso Schelling, dopo il periodo iniziale, aveva ritenuto necessario un profondo ripensamento della filosofia idealista e del sistema hegeliano ed aveva posto significativamente al centro della sua riflessione filosofica il problema della persona, della libertà e del male.
Hegel (1770- 1831)
Opere:
Vita di Gesù
Sulla relazione della religione razionale con la religione positiva
Differenza dei sistemi di filosofia di Fichte e Schelling
De orbitis planetarum
Fenomenologia dello spirito (1807) (distacco da Schelling)
Scienza della logica
Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817) (più compiuta formulazione del sistema)
Lineamenti di filosofia del diritto
Lezioni pubblicate postume (fil. Della storia, estetica, religione, fil. Del diritto, storia della fil.)
Tesi di fondo:
1. il finito si risolve nell’infinito
• la realtà è un organismo unitario, non un insieme di realtà autonome
• la realtà coincide con l’Assoluto e con l’Infinito
• I vari enti coincidono con il finito e sono manifestazioni dell’infinito
• il finito come tale non esiste, è solo un’espressione parziale dell’infinito
• monismo panteistico
• il mondo (finito) è la manifestazione/realizzazione dell’Infinito (Dio)
• Differenze con Spinoza: per S. l’Assoluto è una sostanza statica che coincide con la natura, per H. è un soggetto spirituale in divenire
• tutto ciò che esiste è una tappa della realizzazione
• la realtà quindi non è Sostanza ma Soggetto, processo di autoproduzione che si rivela solo realizzandosi come Spirito
• Il vero è l’intero (Parmenide)
• l’assoluto unitario si realizza nel molteplice dell’esperienza (Eraclito)
2. ragione e realtà coincidono
• Soggetto spirituale infinito, base della realtà = Idea o Ragione
• identità di pensiero ed essere, ragione e realtà
• ciò che è razionale è reale (la razionalità non è astrazione, schema, dover- essere, ma la forma stessa di ciò che esiste, la R. governa il mondo); ciò che è reale è razionale (la realtà non è caotica ma è il dispiegarsi di una struttura razionale)
• la realtà si manifesta in modo inconsapevole nella natura, in modo consapevole nell’uomo
• non si tratta quindi di possibilità ma di sostanziale identità, che implica anche quella tra essere e dover essere
• ironia di H. nei confronti dell’astratto dover essere, della morale ideale
• realtà come totalità processuale necessaria
3. funzione giustificatrice della filosofia
• funzione della filosofia non è quella di guidare e, tanto meno, di determinare la realtà, ma solo quella di prenderne atto e comprenderla
• nottola di Minerva
• Engels e Marcuse hanno cercato di dimostrare come il pensiero hegeliano possa essere letto in modo dinamico e rivoluzionario (il reale è destinato a coincidere con il razionale, l’irrazionale è destinato a perire)
• differenziare tra metodo (rivoluzionario) e sistema (conservatore)
• questa distinzione è contestata da Marx (conclusioni reazionarie)
• Marx contesta aspramente la santificazione del reale
• atteggiamento antiscientifico, H. contesta Newton, considera il sistema solare come totalità organica, si rifà a concezioni rinascimentali; influenze platoniche, neoplatoniche, finalismo aristotelico
• dopo Hegel, frattura filosofia /scienza
• antiempirico e antisperimentale
• comunque il suo tentativo di spiegazione razionale e qualitativa è più illuminista che romantico, la ragione ha la preminenza sul sentimento estetico e misticheggiante (S. è decisamente più romantico di Hegel)
Dialettica
• la dialettica è la legge di sviluppo del divenire, ontologica e logica (di comprensione)
• tesi affermazione di un concetto astratto e limitato
• antitesi negazione e passaggio al concetto opposto
• sintesi unificazione dei due momenti
• aufhebung= superamento, togliere l’opposizione e conservare la verità dei due momenti
• ogni finito non può esistere in se stesso ma solo in un contesto
• significato ottimistico, conciliazione di opposizioni che sono solo momentanei
• il negativo è superficiale e transeunte
• realtà = totalità processuale
Fenomenologia dello Spirito
• Nella F.d.S. Hegel illustra la via che ha percorso la coscienza umana per giungere al principio di risoluzione del finito nell’infinito, all’identità di razionale e reale
• nell’Enciclopedia illustra lo stesso principio così come si attua nelle varie determinazioni della realtà
• La F.d.S. fa comunque parte essa stessa della realtà e quindi è inclusa nel sistema
• La F. è la storia romanzata della coscienza che esce dalla sua individualità e si riconosce come ragione- realtà
• La figura della coscienza infelice è la chiave di comprensione di tutta l’opera
• La c. infelice è scissa in differenze e conflitti (v. W.Meister)
• Scopo introduttivo e pedagogico
• La prima parte dell’opera si divide nei momenti della:
1. coscienza (tesi) in cui predomina l’attenzione verso l’oggetto (certezza sensibile, percezione, intelletto)
2. autocoscienza (antitesi) in cui predomina l’attenzione verso il soggetto
3. ragione (sintesi) in cui si riconosce l’unità profonda di oggetto e soggetto, io e mondo, interno ed esterno
• Nella sezione dell’autocoscienza ci si sposta da un ambito puramente gnoseologico e si spazia in ambiti più vasti (società, religione…)
• l’autocoscienza deve postulare altre autocoscienze per avere consapevolezza di sé, bisogno degli altri, appetito, Begierde
• inizialmente H. poneva alla base di questo riconoscimento l’amore, successivamente il conflitto fra autocoscienze
• ogni autocoscienza è disposta a tutto per affermare la propria autonomia e la lotta si conclude nel subordinarsi di una all’altra (rapporto servo- signore)
• la dinamica si capovolge, il servo, attraverso il lavoro, diventa signore
• apprezzamento dei marxisti (importanza del lavoro, configurazione dialettica della storia); la figura hegeliana però non si conclude con la rivoluzione ma con la coscienza dell’indipendenza del servo e della dipendenza del signore
• spunti esistenzialistici (rapporto conflittuale tra coscienze, angoscia della morte)
• la dialettica servo- signore ha il corrispettivo filosofico nello stoicismo: all’indipendenza dell’Io nei confronti delle cose (servo che diventa padrone) corrispondono la libertà e l’autosufficienza del saggio di fronte a ciò che lo circonda
• per lo stoicismo però la realtà esterna permane
• lo scetticismo invece mette in discussione la stessa realtà esterna
• lo scetticismo è, in maniera consapevole (per sé) ciò che lo stoicismo è in maniera inconsapevole (in sé)
• contraddittorietà dello scetticismo che pretende di affermare una verità nel momento stesso in cui dichiara che nulla è vero (argomento tradizionale)
• coscienza infelice come separazione radicale tra uomo e Dio
• ebraismo (tesi): Dio assolutamente trascendente
• cristianesimo (antitesi): Dio incarnato
• Rinascimento ed età moderna (sintesi): la coscienza si identifica in Dio stesso
Logica
• impalcatura originaria del mondo
• insieme di concetti o categorie che costituiscono, in base all’equazione pensiero = essere, altrettante determinazioni della realtà
• I concetti quindi esprimono la realtà nella sua stessa essenza, non sono pensieri soggettivi contrapposti ad una realtà esterna
• differente cobncezione di categoria rispetto a Kant (funzioni mentali)
• v. schema
fil. natura
• l’idea si realizza come pura esteriorità, non ens, contraddizione insoluta
• ambiguità: caduta dell’Idea o suo potenziamento?
• Dio non può essere conosciuto dalle manifestazuioni naturali
• ciò che è legato al tempo e allo spazio, contingente, individuale è considerato irriducibile alla ragione e quindi fuori della realtà, pura apparenza
• natura come pattumiera del sistema
v. glossario
Spirito
-Spirito Soggettivo:
1. antropologia: anima naturale che emerge dalla psichicità oscura e indifferenziata della natura
2. fenomenologia: coscienza, distinzione di sé nell’altro (v. fenomenologia rispetto alla quale è parte del sistema, non più introduzione ad esso)
3. psicologia: momento teoretico, pratico, libero
• la libertà è intesa come negazione dell’arbitrio, della singolarità e può realizzarsi soltanto oggettivandosi in rapporti giuridici, morali e politici ( passaggio allo S. Oggettivo)
-Spirito Oggettivo (fil. del diritto):
• ricchezza di spunti in riferimento allo Stato Prussiano (Berlino 1821)
1. diritto che si articola in proprietà, contratto (che limita l’appropriazione indebita), diritto contro il torto
2. moralità: innalzamento del soggetto al concetto di bene, regno del dover- essere, critica a Kant, scissione tra volontà e bene
3. eticità: soggettività e oggettività si unificano
• la prima realizzazione della totalità etica è la famiglia; quando I figli crescono si rompe l’unità e si instaura una nuova forma di comunità, la società civile; importanza dell’economia politica, la natura economica delle differenze tra classi sociali, l’alienazione dell’uomo nel lavoro, genesi del proletariato, valore sociale del lavoro
la totalità etica si realizza pienamente nello stato, inteso come realizzazione della libertà
Lo Stato
• lo Stato riunisce in sé il principio della famiglia e della società civile
• la concezione hegeliana dello stato si differenzia dalla teoria liberale dello stato (Locke, Kant…) inteso come strumento per garantire sicurezza e diritti degli individui (sarebbe solo società civile)
• si differenzia anche dal modello democratico (Rousseau) secondo cui la sovranità appartiene al popolo
• secondo H. lo stato ha in se stesso la sua ragion d’essere, lo stato è anteriore e superiore agli individui che lo compongono
• H. rifiuta il modello contrattualistico e quello giusnaturalistico, anche se di quest’ultimo mantiene il ruolo fondamentale delle leggi
• lo S. di H. quindi è uno stato di diritto, non dispotico
• la costituzione non può essere fatta a tavolino e imposta (es. napoleone) ma nasce dalla vita collettiva
• la c. razionale si identifica con la monarchia costituzionale moderna e con la divisione dei poteri (legislativo, governativo, principesco; manca il giudiziario perché l’amministrazione della giustizia fa parte della società civile)
• divinizzazione dello Stato: “L’ingresso di Dio nel mondo è lo Stato”
• solo lo Spirito universale, cioè la storia, può essere giudice dello stato
• la storia ha come momento strutturale la guerra
• giustificazione filosofica della guerra (contr. Kant), inevitabile e morale
La storia
• la s. può apparire mutevole, frammentaria, irrazionale solo ad una visione parziale (intelletto finito); il contenuto della storia del mondo è razionale
• il fine della storia è la realizzazione della libertà dello spirito
• la storia incarna lo spirito del mondo negli spiriti dei popoli
• I mezzi della storia sono gli individui
• la tradizione ha I suoi strumenti negli individui conservatori, il progresso negli eroi o veggenti, segnati dal successo e cui bisogna obbedire (astuzia della Ragione: l’individuo muore, l’idea rimane)
• la libertà si realizza nello Stato
• nella storia del mondo si succedono diverse forme statali:
1. mondo orientale: uno solo è libero
2. mondo greco- romano: solo alcuni sono liberi
3. mondo cristiano- germanico: tutti sanno di essere liberi
• la libertà può realizzarsi solo nello stato etico, in cui l’individuo si risolve nell’organismo universale della comunità
- Spirito assoluto
• l’idea giunge alla piena coscienza della propria assolutezza attraverso I momenti dell’arte religione e filosofia
• il contenuto dei tre momenti è sempre l’Assoluto ( o Dio) ma è diversa la forma in cui esso è conosciuto
1. arte intuizione sensibile
2. religione rappresentazione
3. filosofia concetto
L’arte
• immediatezza della fusione oggetto /soggetto e natura/spirito
1. arte simbolica (arte orientale,squilibrio tra contenuto e forma,uso dei simboli)
2. arte classica ( equilibrio tra contenuto e forma) (figura umana) (culmine)
3. arte romantica (nuovo squilibrio con prevalenza del contenuto, morte dell’arte quale segno della spiritualità moderna)
religione (rapporto tra Dio oggetto della religione e coscienza soggetto della religione)
1. religione naturale (dalla stregoneria e feticismo al panteismo orientale)
2. religioni della libertà (ancora legate ad un orizzonte naturalistico)
3. religioni dell’individualità spirituale (giudaica greca romana)
4. religione assoluta (cristiana, la più vicina alla filosofia ma ancora nella forma inadeguata della rappresentazione)
filosofia (pienezza concettuale)
• quale realtà processuale coincide con la storia della filosofia
• manca lo schematismo triadico
la filosofia ultima nel tempo contiene tutte le precedenti
Confronti
Eraclito:
precursore di Hegel nell’affermare che la realtà è perenne divenire. “E’ stata una grande conquista quella d’aver riconosciuto che l’essere e il non essere sono astrazioni senza verità, e che il primo vero è soltanto il divenire” (Lezioni sulla storia della filosofia)
Platone:
1. P. aveva separato I due ordini del reale e dell’ideale, dell’essere e del dover essere. Per H. questi due ordini coincidono, perché la realtà è come deve essere, il reale è razionale e viceversa.
2. In P. il termine “idea” designa le essenze universali, che sussistono come modelli eterni fuori delle cose concrete. Per H. l’Idea designa il Pensiero in sé che si svolge uscendo fuori di sé, come Natura, per tornare a sé come spirito.
3. L’idealismo platonico lascia sussistere, contrapposta alla realtà spirituale, una realtà materiale irriducibile alla prima. L’idealismo hegeliano non riconosce altra realtà che il pensiero.
Aristotele:
1. A. considera l’ordine dell’essere come distinto dall’ordine del pensiero e pertanto fa della metafisica (scienza dell’essere) e della logica (scienza del pensiero) due scienze distinte. Per H., che identifica l’essere col pensiero, la metafisica coincide con la logica.
2. Per A. il principio supremo, in base al quale è possibile la comprensione della realtà, è il principio di non contraddizione. Per H. il principio supremo di comprensione della realtà è il principio della conciliazione degli opposti (A è anche non- A)
Cusano:
la realtà è coincidentia oppositorum, vale per essa il principio di contraddizione
Vico:
Come V., H. considera la storia non come un seguito di fatti puramente accidentali ma come sottoposta ad una legge razionale (corsi e ricorsi storici) e sorretta da una superiore provvidenza, che mira a raggiungere fini universali utilizzando le passioni individuali. Però, mentre per V. questa razionalità fa capo ad una norma posta da un Dio che trascende il mondo, per H. (che sostituisce alla trascendenza l’immanenza di Dio nel mondo) essa è lo stesso svolgimento necessario della ragione assoluta.
Spinoza:
“Essere spinoziani è l’inizio essenziale del filosofare. Infatti, non si comincia a filosofare senza che l’anima si tuffi anzitutto in quest’etere dell’unica sostanza, in cui è sommerso tutto quello che si era ritenuto vero” (Lezioni di storia della filosofia)
Per H. come per S. le cose che appaiono come finite non hanno vera realtà ma si risolvono in un principio unico, infinito ed eterno (monismo). Questo principio non sussiste fuori delle cose finite ma è presente in esse (immanentismo), il tutto è la manifestazione di Dio (panteismo) e tutto ciò che è, è come deve essere (ottimismo). Spinoza però riconosceva all’unico principio assoluto (la Sostanza) infiniti attributi, di cui solo due conoscibili all’uomo: il Pensiero e l’Estensione (natura). Per H. l’assoluto è soltanto Pensiero, Ragione infinita (ciò che è razionale….)
Per Kant, Fichte, Schelling, Illuminismo e Romanticismo
• la dinamica dell’Assoluto si sviluppa attraverso I tre momenti dialettici dell’ Idea in sé e per sé (tesi), fuori di sé (antitesi) e che ritorna in sé (sintesi).
• Idea in sé e per sé = pura, in se stessa, a prescindere dalla sua realizzazione (Dio prima della creazione), programma, ossatura logico-razionale della realtà.
• Idea fuori di sé = essere altro, Natura, alienazione dell’Idea nelle realtà spazio-temporali
• Idea che ritorna in sé = Spirito, Idea bei sich
• ordine logico, non cronologico
• esiste solo lo Spirito che ha come condizione la natura e come presupposto il programma
• tre sezioni corrispondenti del sapere filosofico: logica (Scienza della logica), filosofia della Natura (Enciclopedia delle scienze filosofiche), filosofia dello Spirito (Fenomenologia dello Spirito)
Contrapposizioni
• Illuminismo = carattere rigido, astratto e parziale della razionalità che indica ciò che dovrebbe essere mentre per H. la realtà è sempre necessariamente ciò che deve essere
• Kant = id. Illuminismo; per K. l’infinito è idea limite, santità e ragione non vengono mai raggiunte. K. indaga le facoltà del conoscere prima di conoscere (es. nuoto)
• Romantici = H. contesta il primato del sentimento (circolo romantico francofortese) , la filosofia è razionale; contesta individualismo. H. risente comunque del clima romantico (creatività dello spirito, sviluppo provvidenziale della storia, spiritualità incosciente della natura, infinito…)
• Fichte = dualismo, spirito/ natura, libertà / necessità; infinito come meta ideale
• Schelling = Assoluto adialettico, unità indifferenziata ed astratta (vacche…)
• la realtà è movimento, coincidentia oppositorum (Eraclito, Cusano), principio di contraddizione; anche nel linguaggio coesistono significati opposti (aufhebung)
• panlogismo frutto di ragione, non ingenuo
storia = teodicea, giustificazione del reale, visione finalistica e ottimistica
Dibattito sulle teorie politiche di Hegel
• apologo della restaurazione, dittatore filosofico al servizio dello stato prussiano (Haym)
questa posizione è contestata da Weil che mostra la non validità dell’equazione tra stato hegeliano e stato prussiano
• portavoce della rivoluzione, progressista, teorico della società civile (Ritter)
• non reazionario ma neanche liberale, solo conservatore(Bobbio), privilegia lo stato e l’autorità piuttosto che l’individuo, più il vertice che la base (stato non totalitario ma ostile alla rappresentanza parlamentare)
• profeta del totalitarismo (Popper) non perché c’è coincidenza ma perché la filosofia di Hegel può giustificare i totalitarismi:
1. lo stato è superiore all’individuo
2. lo stato ricava la sovranità da sé medesimo
3. la sovranità si incarna in una classe di funzionari (disprezzo per il popolo)
4. lo stato permea tutta la vita della comunità
5. lo stato non riconosce alcuna idea etica
6. lo stato è Dio
7. non esiste diritto internazionale
8. la guerra è inevitabile (v Gentile)
• potenziale liberatorio della concezione hegeliana (Marcuse)
INTRODUZIONE:Un conciliatore grande, ma ambiguo.

Hegel (1770-1831) è stato considerato dal suo discepolo e biografo Karl Rosenkranz come il frutto maturo di una stagione della storia della filosofia così straordinaria da poter essere paragonata solo a quel periodo della filosofia greca antica, che aveva meritato la denominazione di filosofia classica. Rosenkranz riteneva che i cinquant'anni che vanno dalla pubblicazione della Critica della Ragione pura alla morte di Hegel meritassero la stessa considerazione e propose per questo periodo la denominazione di filosofia classica tedesca. Hegel stesso era convinto che il suo sistema filosofico desse un senso compiuto non solo alla filosofia tedesca, ma a tutta la storia della filosofia e che quella meravigliosa avventura della storia umana, iniziata con Talete nel VI secolo a. C., si fosse conclusa nel suo sistema filosofico, nel quale il tentativo dei filosofi di comprendere la totalità del reale con l'uso esclusivo della ragione trovava piena realizzazione.

Fino alla scoperta dei suoi scritti giovanili, avvenuta all'inizio di questo secolo, la sistematicità del suo pensiero dava l'impressione che egli fosse sempre stato professore all'Università di Berlino e che avesse sempre insegnato davanti ad uno stuolo di uditori ammirati ed entusiasti. Naturalmente le cose stanno diversamente. Anche il suo pensiero è stato condizionato dal suo vissuto personale e dalla società del suo tempo: anch'egli si era entusiasmato da giovane per l'illuminismo e per la rivoluzione francese, anch'egli aveva subíto poi l'influenza della cultura romantica e lo spirito della Restaurazione. Anch'egli, infine, si era sentito cristiano e luterano.

Egel proveniva da una famiglia medio-borghese. Nel liceo di Stuttgart egli aveva poi incontrato i classici latini e greci. Spinto dal padre a diventare pastore, entrò nel seminario di Tubinga nel 1788, un anno prima dello scoppio della Rivoluzione Francese. Qui Hegel strinse amicizia con Schelling e Hölderlin, con i quali condivise l'entusiasmo per la rivoluzione. Completati gli studi teologici, non volendo fare il pastore, divenne precettore a Berna e a Francoforte. Nel 1799 gli morì il padre, lasciandolo erede di una somma, che gli permise di raggiungere l'indipendenza economica. Così si recò a Jena e cominciò a lavorare presso l'università. In questo periodo ideò e scrisse La Fenomenologia dello Spirito. Divenne poi preside del liceo di Norimberga. Qui si sposò e dal matrimonio ebbe tre figli di cui una femmina, che gli morì poco dopo la nascita. A Norimberga pubblicò anche opere importanti come La scienza della logica. Nel 1816 iniziò la sua carriera universitaria, prima ad Heidelberg, dove pubblicò l'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817), e poi dal 1818 a Berlino, dove portò avanti il suo lavoro di professore universitario con un consenso straordinario da parte degli studenti.
Il suo successo sembrò essere quello della filosofia stessa; l'entusiasmo che il pensiero hegeliano suscitava sui giovani dimostrava la capacità della filosofia di appagare le loro speranze. Con Hegel la filosofia tedesca acquistò fama europea ed egli venne ad incarnare l'essenza stessa del filosofo per quanto ciò fosse umanamente possibile.
Il primo aspetto che colpisce è la radicale distanza da lui sempre voluta fra il suo pensiero e la sua vita personale. Per Hegel la dignità della filosofia, la sua epistemicità, richiedeva un sapere oggettivo, impersonale, assoluto, una razionalità pura. Egli arrivò a dire: "Ciò che di personale si trova nei miei scritti è falso". Ma il suo contemporaneo Schopenhauer, che invece vedeva nei professori universitari un pericolo per la filosofia, gli rispose: "Chi non parla di sé, parla di nulla".
Un altro aspetto del suo pensiero che colpì maggiormente fin dall'inizio è il suo deduttivismo estremo per cui tutto ciò che è importante, è anche deducibile razionalmente. Come nota Rosenkranz, uno di quegli aspetti accidentali della storia, che egli aveva sempre disprezzato come non importanti, non significativi all'interno del movimento dello spirito, e quindi non deducibili, fu comunque decisivo per la sua vita. Infatti nel 1831 egli prese il colera e morì.
Ha fatto molto discutere la sua dottrina della coincidenza fra l'essere e il dover essere: se l'esistente coincide con la sua razionalità, come si colloca il problema del male? Per Hegel il male è la conoscenza stessa, o meglio «la rappresentazione del male è che l'uomo diviene cattivo attraverso la conoscenza». La conoscenza è fonte del male perché essa per esistere ha bisogno di separare, di dividere, di contrapporre; è necessaria la contrapposizione soggetto–oggetto, quella fra spirito e materia e così via. E la separazione è la dimostrazione che l'uomo non è completo, che in lui c'è una scissione, che è alienato. Il male è quindi nell'individualizzarsi, nel rimanere staccato dall'universale. Ma la consapevolezza che ciò è male è anche la strada per il suo superamento, perché di qui inizia il processo dello spirito che per la via della riconciliazione riporta all'unione con l'universale. Afferma Hegel: «La scissione è la sorgente del male; ma essa è anche il punto d'origine della riconciliazione. È l'origine della malattia, ma anche la sorgente della salute». Questa per lui è la spiegazione razionale del mito biblico del peccato originale, di quel versetto della Genesi in cui Dio afferma che è proibito per l'uomo cibarsi dei frutti dell'albero del bene e del male. Dalla disubbidienza a Dio inizia per l'uomo la storia del male, ma anche la storia della conoscenza. Si tratta di un male che è anche bene, e quella dei nostri progenitori diventa una felix culpa.
Compreso razionalmente nella sua radice profonda, il male non fa più paura. Hegel pone il male della vita e della storia nel momento antitetico della dialettica, dove esso svolge una funzione positiva importantissima. Egli non ha nessun bisogno di sminuirlo o di censurarlo, come avevano fatto gli illuministi che avevano accettato volentieri il mito del buon selvaggio e che avevano preferito dare alla società tutte le colpe. Nel sistema filosofico hegeliano per quanto male ci sia stato (e ci sarà) nella storia, esso è sempre stato (e sempre sarà) perché così doveva essere, quindi a fin di bene, per il progresso dello spirito umano. La realtà nel suo insieme coincide con la razionalità; i casi individuali non interessano la filosofia!
Oggi possiamo affermare che la pretesa di Hegel di far coincidere reale e razionale si sia risolta in una sconfitta clamorosa della stessa filosofia. Per rendercene conto basta riflettere sul fatto che se qualcuno commentasse Auschwitz con gli schemi della filosofia hegeliana passerebbe per un provocatore e la frase "ciò che è reale è razionale" sarebbe scambiata per un insulto. Come abbiamo già sottolineato a proposito dell'Illuminismo, vero e verosimile (quindi razionalmente accettabile) non sempre coincidono. E ciò va ribadito soprattutto quando si tratta della storia umana, in rapporto alla quale la ragione mostra maggiormente i suoi limiti. Ciò che è avvenuto nel nostro secolo, così lontano da quanto razionalmente era stato previsto, e le reazioni scomposte alle smentite della storia ci dimostrano che il desiderio della philosophia di diventare sophia (scienza, wissenschaft), quando si trasforma nella certezza che una conoscenza non dubitabile e non criticabile (cioè epistemica) è stata raggiunta, come nel caso della filosofia hegeliana, porta poi facilmente a negare o passare sotto silenzio (in quanto accidens e non substantia) tutto ciò che non rientra negli schemi prefissati.

Storia e totalità

La sua "filosofia della storia" è di un fascino straordinario. Nella polemica con gli storici di professione, che gli rinfacciavano di soffocare la storia nei suoi pregiudizi filosofici, Hegel dopo aver osservato che nessuno studia la storia senza pre-giudizi, aggiungeva che il punto di vista del filosofo è quello di comprendere il razionale che c'è nella storia, quel senso della storia che compare quando la si intende nella sua globalità. Egli poi osservava che chi si accosta alla storia con la propria soggettività (i pregiudizi degli storici), la trova inevitabilmente conforme ad essa. E così si perde completamente il vero senso della storia. Solo il filosofo, che si pone dal punto di vista della totalità, è in grado di determinare ciò che è essenziale e ciò che non lo è, di superare le situazioni singole, che sono proprie del campo dell'astrazione, le quali ci fanno apparire tutto caduco e nulla di stabile.
Solo la filosofia è in grado di elevarsi alla forma del concetto, cioè all'universale («il vero è l'intero»), di fronte al quale gli aspetti particolari acquistano il loro vero significato. Per il filosofo i grandi fatti storici sono l'espressione dei modi con cui la Provvidenza orienta la storia verso i suoi fini, che sono razionali e quindi accessibili alla comprensione della ragione: «La realtà è tale solo perché è specchio del concetto». Hegel osservava anche che il punto di vista del filosofo è in sintonia con l'opinione del popolo, perché nell'ingenuità della fede la forma della verità si manifesta come Provvidenza divina.
Interpretazioni
Fra i primi interpreti del pensiero di Hegel abbiamo i suoi scolari, ed in particolare i filosofi della Sinistra hegeliana il cui giudizio va dalla posizione di Ruge a quella di Bauer. Ruge nell'opera I nostri ultimi dieci anni afferma che «Hegel ha dato davvero forma sistematica a tutto il mondo spirituale che lo ha preceduto ed il suo sistema è la conclusione del protestantesimo, in cui il cristianesimo ha trovato la sua estrema espressione». Bauer invece mette in evidenza, dietro all'apparente conformismo, il significato profondamente sovversivo del pensiero hegeliano e nell'opera La tromba del giudizio universale contro Hegel ateo e anticristo. Un ultimatum arriva ad affermare «Con Hegel l'Anticristo è venuto e si è rivelato». Fra i più autorevoli interpreti di Hegel nel nostro tempo, K. Löwith nell'opera Da Hegel a Nietzsche lo definisce "l'ultimo filosofo cristiano prima della rottura fra filosofia e cristianesimo".
Infine, per il notevole interesse che ha destato, riportiamo l'interpretazione di E. Voegelin. Egli ha messo in rilievo il ritorno della gnosi (un ramo della filosofia antica che riteneva che la salvezza derivasse dalla conoscenza) nel pensiero moderno. Rifacendosi all'opera di Christian Baur del 1835 Gnosticismo antico e filosofia moderna della religione, Voegelin interpreta l'illuminismo ed in particolare l'idealismo tedesco come una manifestazione di questo ritorno della gnosi, che nell'epoca moderna ha acquistato anche una grande rilevanza sociale, esprimendosi come spirito rivoluzionario. Hegel stesso poi suggerirebbe un'interpretazione gnostica del suo pensiero con alcune affermazioni, presenti nelle sue opere, del tipo: l'uomo singolo, come individualità, deve morire, perché «l'uomo è immortale solo per la conoscenza».
Voegelin considera soprattutto la filosofia della storia di Hegel ed osserva che egli è convinto che la rivelazione di Dio in essa sia pienamente comprensibile e quindi ne esclude totalmente l'imprevedibile, il mistero. Secondo questa filosofia della storia la venuta di Cristo è stata un momento cruciale per la rivelazione del lógos, la quale però non è stata completa. Il compito di portarla a termine è assegnato da Hegel alla filosofia ed in definitiva a se stesso. Ciò è reso possibile perché nel sistema hegeliano il lógos umano, venendo a coincidere con il Lógos-Gesù Cristo, rende pienamente comprensibile l'intera storia dell'universo e dell'uomo: «Grazie alla dialettica hegeliana la rivelazione di Dio nella storia perviene alla sua pienezza» (E. Voegelin, Il mito del mondo nuovo).
Al di là delle interpretazioni una cosa appare ormai certa, che dopo Hegel la filosofia non fu più la stessa. Se con lui assistiamo al trionfo di quel sapere come epistéme, che in qualche modo costituisce l'alveo entro cui, come un grande fiume, la storia della filosofia si è più o meno mantenuta, dopo di lui essa apparirà piuttosto come quell'immagine heideggeriana di un bosco pieno di sentieri che vanno in tante direzioni, ma che non conducono da nessuna parte

1) Puro essere
a)Essere 2) Nulla
3) Divenire
A)Qualità b)Essere determinato
c)Essere per sé
I)Dottrina dell’essere B)Quantità
C)Misura
A)Essenza come ragione dell’esistenza
LOGICA II) Dottrina dell’essenza B)Fenomeno
C)Realtà in atto
a) Concetto come tale
A) Concetto soggettivo b) Giudizio
c)Sillogismo
a) Meccanicismo
III) Dottrina del concetto B) Oggetto b) Chimismo
c)Teleologia
a) La vita
C) Idea b) Il conoscere
c) L’idea assoluta
I)Meccanica
FIL. NATURA II) Fisica
A) Natura geologica
III) Fisica organica B) Natura vegetale
C) L’organismo animale
A)L’antropologia. L’anima
1) certezza sensibile
a)La coscienza 2) percezione
3)intelletto
1) signoria e servitù
I)Spirito soggettivo B) La fenom. La coscienza b) L’autocoscienza 2) stoicismo e scetticismo
ccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccc) ebraismo
3)Coscienza infelice 1. devozione
Cristianesimo 2. fare
3. mortif.di sé
Rinascimento
RRRRRRRRRRRRRRRRRnatura
1) ragione osservativa mondo organico
mmmmmmmmmmmmmmmmmmpsicologia
pppppppppppppppppppppppppppiacere e necessità
c)La ragione 2) ragione attiva legge del cuore
virtù e corso del mondo

regno animale dello spirito
3) Individualità in sé e per sé ragione legislatrice
ragine esamin. di leggi
a) Lo sp. teoretico
C) Psicologia. Lo Spirito b) Lo sp. pratico
c)Lo sp. libero

a)La proprietà
A) Il diritto b)Il contratto
c)Il diritto contro il torto
FIL. SPIRITO
a)Il poposito
II) Spirito oggettivo B) La moralità b) L’intenzione e il benessere
c)Il bene e il male
a) La famiglia
C) L’eticità b) La società civile
c)Lo stato
A) L’arte
III) Spirito assoluto B) La religione rivelata
C) La filosofia
Hegel: glossario e riepilogo

Per idealismo Hegel intende la teoria dell'idealità (= non-realtà) del finito, ossia la propria dottrina della risoluzione dialettica del finito nell'infinito: «La proposizione che il finito è ideale costituisce l'idealismo... L'idealismo della filosofia consiste soltanto in questo: nel non riconoscere il finito come un vero essere» (Scienza delta logica).
L'Assoluto è l'Infinito (v.), il Soggetto (v.), l'Idea (v.), la Ragione (v.), lo Spirito (v.), cioè Dio, idealisticamente e panteisticamente inteso come realtà immanente nel mondo, come un infinito-che-si-fa-mediante-il-finito.
L'infinito è l'Assoluto, in quanto Totalità autosufficiente in cui si risolve ogni realtà finita. Hegel distingue fra una «falsa» infinità, che, pur dichiarando «contraddittorio» il finito, esprime soltanto l'esigenza o il «dover-essere» del suo superamento (v. Fichte), ed una «vera» infinità, la quale consiste nella «unità del finito e dell'infinito», o meglio, visto che in questa formula il finito appare ancora «come lasciato intatto» e «non viene espressamente espresso come superato» (Enc., par. 95), con la totale e completa risoluzione del finito nell’infinito.
Il Soggetto è l'Assoluto, concepito non come una Sostanza statica (alla maniera di Spinoza), ma come una realtà in divenire che produce se stessa e che soltanto alla fine si rivela come ciò che è veramente, ossia come Spirito (v.): «tutto dipende dall'intendere e dall'esprimere il vero non come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto» (Fen.), «il soggetto è questo: che esso si dà a se stesso l'esser altro e che mediante la negazione di sé ritorna a se stesso, ossia produce se stesso» (FiI. Rel.).
Per Idea (Idee) in generale Hegel intende l'Assoluto («l'assoluto è l'idea», Enc., par. 213), concepito come Ragione (v.) in atto, ovvero come unità dialettica di pensiero ed essere, concetto e cosa, ragione e realtà, soggetto e oggetto, infinito e finito ecc.: «L'idea è il vero in sé e per sé, l'unità assoluta del concetto e dell'oggettività» (ivi), «L'idea può esser concepita come la ragione... come il soggetto-oggetto, come l'unità dell'ideale e del reale, del finito e dell'infinito...» (Enc., par. 214). Hegel tuttavia parla di idea anche in un significato più ristretto, che è quello dell'idea «pura» o idea «in sé e per sé» (v.).
Per Ragione (Vernunft) Hegel intende non la ragione finita dell'individuo, ma la realtà stessa in quanto idea (v.), ossia in quanto unità fra pensiero ed essere:«La ragione è la certezza della coscienza di essere ogni realtà» (Fen., I, p. 194), «L'autocoscienza, ossia la certezza che le sue determinazioni sono tanto oggettive, - determinazioni dell'essenza delle cose, - quanto suoi propri pensieri, è la ragione» (Enc., par; 439).
«Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale». Con questa formula Hegel intende dire: 1) che la razionalità non è pura idealità, astrazione, schema, dover-essere, ma la sostanza stessa di ciò che esiste, poiché la Ragione «governa» il mondo; 2) che la realtà non è una materia caotica, ma il dispiegarsi di una struttura razionale (Idea) che si manifesta in modo inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell'uomo.
Panlogismo (dal gr. pàn, tutto, e logos, ragione) è un termine coniato dal filosofo tedesco .E. Erdmann (1805-1892) per indicare la dottrina hegeliana della identità fra reale e razionale. Dottrina che fa dell'hegelismo una forma di ottimismo metafisico corroborato dalla teoria dialettica (v.) del negativo come momento del farsi del positivo.
Giustificazionismo. E’ un termine usato dai critici per indicare l'atteggiamento generale di Hegel dì fronte alla realtà e, in particolare, la sua dottrina della filosofia come giustificazione della necessità e razionalità sostanziale del mondo.
Necessità. È la modalità fondamentale dell'esistente: «la vera realtà è necessità: ciò che è reale è in sé necessario». Tale necessità si manifesta nella struttura processuale ed ascendente del mondo, che è composto di una serie di gradi o momenti che rappresentano, ognuno, il risultato obbligato di quelli precedenti ed il presupposto obbligato di quelli seguenti.
L' «Idea pura»(Enc., par. 19) o «Idea in sé e per sé» (Enc., par. 18) - accezione ristretta del termine generale di Idea (v.) - è l'Assoluto considerato in se stesso, cioè a prescindere dalla sua concreta realizzazione nella natura e nello spirito. In altre parole, l'idea «pura», oggetto specifico della Logica (v.), si identifica con il programma o l'ossatura logico-razionale della realtà. N.B. in questa accezione ristretta, il termine hegeliano tende ad avvicinarsi alla concezione tradizionale dell'idea come archetipo o modello del mondo. Tant'è vero che Hegel parla talora dell'idea pura come del «mondo delle essenzialità semplici, liberate da ogni concrezione sensibile». Ovviamente, nel caso di Hegel, il modello archetipo del mondo non è trascendente il mondo (come avviene nella metafisica platonico-cristiana), bensì immanente ad esso.
La Natura (Natur) è l'idea «fuor di sé» o l'idea «nella forma dell'esser altro» (Enc., par 247), ossia l'estrinsecazione alienata dell'idea nelle realtà spazio-temporali del mondo.
Lo Spirito (Geist) è l'idea che, dopo essersi alienata nella Natura, torna presso di sé nell'uomo: «lo spirito è essenzialmente questo: che, fuori dal suo esser altro e con il superamento di quest'esser altro, perviene a se stesso mediante la negazione della negazione» (Fil. ReI.). E poiché l'Assoluto è «risultato», in quanto «soltanto alla fine esso è quel che è in verità», Hegel vede nello Spirito il senso ultimo dell'Assoluto: «l'assoluto è lo spirito: questa è la più alta definizione dell'assoluto» (Enc., par. 384).
In sé (An sich) e Per sé (Für sich). Con il termine «in sé» Hegel intende, in generale, ciò che è astratto, immediato, implicito, possibile, privo di sviluppo e di relazioni, inconsapevole ecc. Al contrario, con il termine «per sé» intende ciò che è concreto, mediato, esplicito, attuale, effettuale, relazionato, consapevole ecc. Talora, l'in sé viene fatto corrispondere al primo momento della dialettica (la tesi), il per sé al secondo momento (l'antitesi) e l'in sé - per sé al terzo momento (la sintesi). N.B. L'uso hegeliano di questi termini non è univoco e tende a mutare a seconda dei contesti.

Dialettica e fenomenologia
Il concetto di dialettica, nella tradizione filosofica ha ricevuto significati diversi, variamente imparentati fra di loro, ma irriducibili l'uno all'altro. In Platone la dialettica è la scienza delle idee, che procede secondo il metodo dicotomico. In Aristotele denota il procedimento dimostrativo che parte da premesse probabili, cioè generalmente ammesse. Negli Stoici e nei medioevali è sinonimo di logica. Per Kant è l'arte «sofistica» di costruire ragionamenti capziosi, basati su premesse che sembrano probabili, ma che in realtà non lo sono. In Fichte è «la sintesi degli opposti per mezzo della determinazione reciproca». In Hegel la dialettica è, al tempo stesso, la legge di sviluppo della realtà e la legge di comprensione della medesima. Globalmente e sinteticamente considerata, la dialettica consiste: 1) nell'affermazione o posizione di un concetto «astratto e limitato» che funge da tesi; 2) nella negazione di questo concetto come alcunché di limitato e di finito e nel passaggio ad un concetto opposto, che funge da antitesi; 3) nella unificazione della precedente affermazione e negazione in una sintesi comprensiva di entrambe. Sintesi che si configura come una riaffermazione potenziata dell'affermazione iniziale (tesi), ottenuta tramite la negazione della negazione intermedia (antitesi). Hegel denomina questi tre momenti, rispettivamente, «astratto o intellettuale», «dialettico o negativo-razionale», «speculativo o positivo-razionale».
Per intelletto Hegel intende un modo di pensare «statico» ed «astratto» che, attenendosi al principio di identità e di non-contraddizione, «immobilizza» gli enti nelle loro determinazioni «rigide» e reciprocamente escludentisi. All'intelletto si contrappone la ragione (v.) in senso stretto.
Per ragione Hegel intende quel modo di pensare che, fluidificando la fissità e la rigidezza delle determinazioni intellettuali, riesce a cogliere la concretezza vivente del reale. Il sopraccitato momento «dialettico» o «negativo-razionale» consiste appunto nel negare le determinazioni astratte dell'intelletto e nel metterle in rapporto con le determinazioni opposte, mentre il momento «speculativo» o «positivo-razionale» consiste nel cogliere l'unità delle determinazioni opposte ed il positivo che emerge dalla loro composizione sintetica. La ragione speculativa rappresenta quindi l'organo attraverso cui avviene quella risoluzione del finito nell'infinito che rappresenta l'alfa e l'omega della filosofia hegeliana. N.B. «Intelletto, ragione negativa, ragione positiva sono distinzioni che non vanno intese come facoltà mentali diverse. Sì tratta, in fondo, della stessa ragione, in differenti fasi o funzioni. L'intelletto non è che la ragione che, dimenticando il suo compito più alto, s'irrigidisce nelle distinzioni...» (G. de Ruggiero).
Aufhebung (superamento) è un termine tecnico adoperato da Hegel per indicare il procedimento della dialettica, che abolisce, e nello stesso tempo conserva, ciascuno dei suoi momenti: «La parola superamento, scrive Hegel nella Scienza della logica, ha nella lingua (tedesca) un duplice senso per cui significa da un lato conservare, ritenere, e dall'altro far cessare, metter fine. Il conservare racchiude già in sé il negativo, che qualcosa sia tolto alla sua immediatezza... Così il superato è insieme un conservato il quale ha perduto soltanto la sua immediatezza ma non perciò è annullato». L'Aufhebung allude di conseguenza ad un progresso che ha fatto proprio quello che c'era di vero nei momenti precedenti della tesi e dell'antitesi, portandolo, nel contempo, alla sua migliore e più alta espressione.
Contraddizione. A differenza della filosofia tradizionale, che escludeva la contraddizione dall'ambito della realtà e della ragione, Hegel scorge in essa il pungolo o la molla grazie a cui la realtà sì sviluppa e dalla tesi si passa all'antitesi. Infatti, secondo Hegel, la proprietà del finito è quella di auto-contraddirsi e quindi di sollecitare la propria risoluzione nell'infinito. La scoperta del valore della contraddizione e del cosiddetto «travaglio del negativo» rappresenta una delle idee più interessanti e storicamente influenti dell'hegelismo.
Per fenomenologia (dal gr phainòmenon, «fenomeno », «apparenza», e lògos, «discorso», «dottrina») si intende la descrizione o la scienza di ciò che appare. Il termine, che è stato probabilmente coniato nell'ambito della scuola wolfiana, presenta molti significati. Oggigiorno indica il programma della corrente che fa capo ad E. Husserl (1859-1938). In Hegel denota l'apparire progressivo dello spirito a se stesso e fa tutt'uno con il concetto di «fenomenologia dello spirito» (v.).
Per fenomenologia dello spirito Hegel intende la storia romanzata della coscienza che, dalle sue prime manifestazioni sensibili, giunge ad apparire a se stessa nella sua vera natura, cioè come Coscienza infinita o universale. In questo senso, la fenomenologia dello Spirito coincide con il «divenire della scienza o del sapere» e si configura come la via attraverso la quale il singolo individuo ripercorre i gradi di formazione dello Spirito universale come figure (v.) già deposte o tappe di una via già tracciata e spianata. La prima parte della Fenomenologia hegeliana si divide in coscienza, in cui predomina l'attenzione verso l'oggetto, autocoscienza, in cui predomina l’affezione verso il soggetto, e in ragione, nella quale l'individuo arriva a scorgere l'unità profonda di soggetto ed oggetto, io e mondo, sintetizzando in tal maniera i momenti della coscienza e dell'autocoscienza.
Le figure di cui parla la Fenomenologia non sono né entità puramente ideali, né entità puramente storiche, ma entità ideali-e-storiche al tempo stesso, in quanto esprimono delle tappe ideali dello Spirito che hanno trovato una loro esemplificazione tipica nel corso della storia (come è stato osservato da taluni studiosi, Hegel, nella Fenomenologia, ha voluto delineare una filosofia trascendentale della coscienza e, simultaneamente, una storia complessiva dello sviluppo culturale dell'umanità). Inoltre, le figure rappresentano un materiale eterogeneo che riflette o rimanda ai settori più disparati della vita dello spirito (gnoseologia, società, storia della filosofia, religione, politica ecc.).
Coscienza infelice. L’intero ciclo della fenomenologia si può vedere riassunto in una delle sue figure particolari, che non per nulla è diventata la più celebre: quella della coscienza infelice. La coscienza infelice è quella che non sa di essere tutta la realtà e che perciò si ritrova scissa in differenze, opposizioni o conflitti dai quali è internamente dilaniata (come accade nella coscienza religiosa medioevale) e dai quali esce solo tramite «la certezza di essere ogni realtà».
Logica e filosofia della natura
La logica è la scienza dell'idea «pura» (v.) o dell'Idea «in se e per sé», cioè lo studio dell'idea considerata nel suo essere implicito e nel suo graduale esplicarsi, ma a prescindere dalla sua concreta realizzazione nella natura e nello spirito. In quanto tale la logica esamina i «concetti» (v.) o le «categorie» (v.) che formano il programma o l'impalcatura originaria del mondo. Essa si divide in logica dell'essere, dell'essenza e del concetto.
I concetti o le categorie di cui tratta la logica di Hegel non sono pensieri soggettivi, ai quali la realtà rimanga estranea e contrapposta, ma pensieri oggettivi, che esprimono la realtà stessa nella sua essenza.
L'identità fra logica e metafisica discende dalla posta equazione ragione = realtà (v.). Equazione in virtù di cui lo studio del pensiero (logica) equivale di fatto allo studio dell'essere (metafisica): «La Logica coincide perciò con la Metafisica, con la scienza delle cose poste in pensieri; i quali pensieri perciò appunto si tennero atti ad esprimere le essenze delle cose» (Enc., par 24).
Suddivisioni della logica. Hegel articola la sua logica in tre momenti fondamentali: la dottrina dell'essere (v.), la dottrina dell'essenza (v.) e la dottrina del concetto (v.).
La dottrina dell'essere parte dall'essere, che è il concetto più povero ed astratto, e studia le categorie di qualità, quantità e misura.
La dottrina dell'essenza prende in considerazione l'essenza, che rappresenta l'auto-ripiegarsi e l'auto-riflettersi dell'essere su se medesimo, ovvero quell'essere mediato e approfondito che Hegel definisce come «la verità dell'essere» (Logica).
La dottrina del concetto prende in esame il concetto, cioè l'essere, che dopo essersi auto-riflesso nell'essenza, si pone come soggetto o spirito. In altri termini, il concetto di cui parla Hegel non è il concetto dell'intelletto, diverso dalla realtà e opposto ad esso, ma il concetto della ragione, ossia «lo spirito vivente della realtà» (Enc.).
La filosofia della natura é quella «considerazione teoretica, e cioè pensante, della natura» (Enc.) che ha come oggetto di studio l'idea nella sua estrinsecazione spazio-temporale. Essa si divide in meccanica, fisica e fisica organica.
Filosofia dello spirito
La filosofia dello spirito, che Hegel definisce «la più concreta delle conoscenze, e perciò la più alta e difficile» (Enc.), è lo studio dello Spirito (v.) considerato come libertà (v.) e secondo la triade di spirito soggettivo (v.), oggettivo (v.) e assoluto (v.).
Libertà. È «l'essenza dello spirito» (Enc.), in quanto essere indipendente ed auto-producentesi: «Lo spirito... è proprio questo avere il suo centro in se stesso... La materia ha la sua sostanza fuori di sé; lo spirito invece è l'esser presso di sé, e ciò appunto è la libertà...». «L'occupazione dello spirito è quella di prodursi, di farsi oggetto di sé, di sapere di sé; così esso è per se stesso. Le cose della natura non sono per se stesse; perciò esse non sono libere. Lo spirito produce, realizza se stesso in conformità del suo sapere di sé: esso fa sì che ciò che esso sa di sé, anche si realizzi» (Lez. di fil d. storia, I). Ovviamente, dire che lo Spirito è libertà significa anche dire (v. Fichte) che esso è sforzo di auto-liberazione, ossia lotta contro gli ostacoli che ne limitano l'attività.
Lo spirito soggettivo è lo spirito individuale, considerato nel suo lento emergere dalla natura e nel suo progressivo porsi come libertà. Lo spirito soggettivo si articola in anima (oggetto dell'antropologia), coscienza (oggetto della fenomenologia) e in spirito in senso stretto (oggetto della psicologia, che studia l'uomo come conoscenza, azione e libertà).
Lo spirito oggettivo è lo spirito fattosi «mondo» a livello sociale, ossia in quell'insieme di determinazioni sovra-individuali che Hegel raccoglie sotto il concetto di diritto (v.) in senso lato.
Diritto (Recht). In Hegel questo termine «è adoperato per indicare tanto una parte del sistema - il diritto astratto, che è poi il diritto propriamente detto, il diritto, per intenderci, dei giuristi -' quanto il sistema nel suo complesso, comprendente, oltre il diritto in senso stretto, tutte le materie tradizionalmente comprese nella filosofia pratica (ovvero, economia, politica e morale). Quando Hegel dice che "il sistema del diritto è il regno della libertà realizzata" usa il termine in senso ampio e improprio, tanto da comprendervi, oltre il diritto in senso proprio, la moralità e l'eticità. "Diritto" dunque indica, secondo i contesti, ora una parte ora il tutto» (N. Bobbio).
Il Diritto astratto (abstrakte Recht) o «formale» concerne l'esistenza esterna della libertà delle persone, concepite come puri soggetti astratti di diritto e si identifica con il diritto privato e con una parte di quello penale (mentre il diritto di famiglia, altri elementi del diritto penale, il diritto pubblico e quello internazionale rientrano nella sfera dell'eticità). Il diritto astratto si articola nei momenti della «proprietà», del «contratto» e del «diritto contro il torto».
La moralità (moralität) è la sfera della volontà soggettiva, quale si manifesta nell'azione. Secondo Hegel il dominio della moralità è caratterizzato dalla separazione fra la soggettività, che deve realizzare il bene, ed il bene che deve essere realizzato. Da ciò la contraddizione fra essere e dover-essere che è tipica della morale, soprattutto di quella kantiana, che Hegel critica per la sua formalità ed astrattezza, cioè per la sua mancanza di contenuti concreti e per la sua impotenza a realizzarsi nella realtà.
Per eticità (Sittlichkeit, da Sitte = costume, corrispondente al gr. ethos, costume) Hegel intende la moralità sociale, ovvero la realizzazione del bene in quelle forme istituzionali che sono la famiglia (v.), la società civile (v.) e lo Stato (v.). Essendo la più alta manifestazione dello spirito oggettivo e della volontà di libertà che ne sta alla base, l'eticità rappresenta «il concetto della libertà divenuto mondo sussistente e natura dell'autocoscienza» (Lin., par. 142).
La famiglia è il primo momento dell'eticità, quello in cui il rapporto immediato e naturale fra i sessi assume la forma di un'«unità spirituale» fondata sull'amore e sulla fiducia. La famiglia si articola nel matrimonio, nel patrimonio e nell'educazione dei figli.
La società civile (bügerliche Gesellschaft) è il secondo momento dialettico dell'eticità e si identifica con quello spazio intermedio fra l'individuo e lo Stato che coincide, di fatto, con la sfera economico-sociale e giuridico-amministrati-va del vivere insieme, ovvero con il luogo di scontro, ma anche di incontro, di interessi «particolari» e «indipendenti», i quali si trovano a dover coesistere fra di loro. Infatti Hegel, pur parlando della società civile come di un «sistema dell'atomistica», la definisce come una «connessione universale e mediatrice di estremi indipendenti e dei loro interessi particolari» e come uno «Stato esterno» (Enc.), ovvero come un sistema di interessi privati regolati da organi pubblici che si impongono dall'esterno e nell'ambito di una universalità ancora «formale» (Enc.). Stato «esterno» che il filosofo, per sottolineare il carattere dì frazionamento e di scissione che è tipico della società civile, chiama anche della «necessità» o dell'«intelletto» (come si è visto, quest'ultimo è l’organo della «separazione»).
N.B. 1)Per evitare una serie di equivoci interpretativi che gravano tuttora su tale concetto, è bene tenere presenti le seguenti puntualizzazioni di N. Bobbio: «Sulla società civile è stato versato in questi ultimi anni dopo quasi un secolo di abbandono un profluvio di scritti. Ma sulla scia di un celeberrimo passo di Marx che identifica la società civile di Hegel con l'insieme dei rapporti materiali dell'esistenza e propone di cercare nella economia politica l'anatomia della società civile, si è finito per vedere nella nuova categoria della società civile soprattutto l'espediente di cui Hegel si servì per introdurre nel sistema i problemi dell'economia Ma l'analisi dei bisogni, del lavoro e delle classi occupa, com'è noto, solo la prima parte della sezione. La seconda, che è oltretutto la più lunga, e anche la terza, trattano temi in gran parte giuridici. La società civile hegeliana non è tanto la descrizione del sistema dell'economia borghese e dei rapporti di classe, quanto piuttosto la descrizione del modo con cui nello stato borghese i rapporti economici sono giuridicamente regolati». Detto altrimenti: «l'identificazione tra società civile e luogo dei rapporti economici, o, che è lo stesso, la distinzione tra società civile e stato come distinzione tra società economica e società politica è opera di Marx e non di Hegel: riferita, come accade spesso, a Hegel, è puramente e semplicemente una deformazione del suo pensiero».
N.B. 2) Nel pensiero anteriore ad Hegel, in particolare nel giusnaturalismo, la società civile si contrapponeva a «società naturale» ed era sinonimo di «società politica» e quindi di «Stato». Nel Sei-Settecento per società civile si comincia anche ad intendere la società «civilizzata», in antitesi alla società «selvaggia». Uso che diviene predominante in Rousseau. Come si vede, si tratta di significati distanti da quello hegeliano, il quale possiede dunque una sua spiccata originalità.
Lo Stato (Staat) è il momento culminante dell'eticità7 ossia la ri-affermazione dell'unità della famiglia (tesi) al di là della dispersione della società civile (antitesi). Esso rappresenta quindi una sorta di famiglia in grande, nella quale l'ethos di un popolo esprime consapevolmente se stesso, superando i particolarismi della società civile in vista del bene comune: «Lo Stato è la sostanza etica consapevole di sé, la riunione del principio della famiglia e della società civile» (Enc.).
Per Stato etico si intende abitualmente la concezione hegeliana dello Stato come incarnazione suprema della moralità sociale e promotore del bene comune. Concezione che si differenzia storicamente da quella liberale e da quella democratica e che si configura come una forma di organicismo (v.).
Per concezione organica dello Stato si intende la prospettiva anti-atomistica ed anti-individualistica che è propria della filosofia politica di Hegel, secondo cui «lo stato è un'unione e non un'associazione, un organismo vivente e non un prodotto artificiale, una totalità e non un aggregato, un tutto superiore e anteriore alle sue parti, e non una somma di parti indipendenti tra loro» (N. Bobbio). In virtù di questa prospettiva, il filosofo tedesco - il quale si compiace in più luoghi di riprendere l'affermazione aristotelica che «secondo natura il popolo [nel testo greco è polis] è precedente al singolo» - ritiene che non sia l'individuo a fondare lo Stato, ma lo Stato a fondare l'individuo.
Per Costituzione Hegel intende «l'organizzazione dello Stato» (Lin., Enc.). Organizzazione che, a suo giudizio, non è il frutto di una elucubrazione a tavolino, ma un'entità che sgorga dalla vita storica di un popolo. Hegel identifica la costituzione «razionale» con la monarchia costituzionale moderna, ossia con un organismo che prevede una serie di poteri distinti, ma non divisi, tra di loro. Tali poteri sono: il legislativo, il governativo e quello principesco.
La storia del mondo (Weltgeschichte) è «lo svolgimento dell'idea universale dello spirito» (Enc.) attraverso una serie di gradi razionali e necessari che obbediscono ad un piano provvidenziale immanente. In concreto, la storia, che ha come soggetto lo Spirito del mondo incarnato nei vari «spiriti dei popoli» (Volksgeister), è una successione di forme statali che tendono alla realizzazione della libertà. I tre momenti fondamentali di essa sono il mondo orientale (dove uno solo è libero), il mondo greco-romano (dove alcuni sono liberi) e il mondo cristiano-germanico (dove tutti sono liberi, ossia soggetti di diritto).
Astuzia della Ragione (List der Vernunft). È forse il concetto più caratteristico della filosofia della storia di Hegel. Con esso, il filosofo ha voluto alludere al fatto che l'Idea universale fa agire nella storia le passioni degli uomini come suoi strumenti e le fa logorare e consumarsi per i propri fini: «L’ldea paga il tributo dell'esistenza e della caducità non di sua tasca ma con le passioni degli individui. Cesare doveva compiere quello che era necessario per rovesciare la decrepita libertà; la sua persona perì nella lotta ma quello che era necessario restò...» (Fil. d. storia).
Lo spirito assoluto è il momento in cui l'idea giunge alla piena coscienza della propria infinità o assolutezza (cioè del fatto che tutto è Spirito e non vi è nulla al di fuori dello Spirito). Tale auto-sapersi assoluto dell'Assoluto avviene attraverso l'arte (v.), la religione (v.) e la filosofia (v.).
L'arte è il momento in cui lo Spirito acquista coscienza di se medesimo nella forma dell'intuizione sensibile (figure, parole, musica ecc.), vivendo in modo immediato ed intuitivo quella fusione fra soggetto ed oggetto, spirito e natura che la filosofia idealistica teorizza tramite la mediazione dei concetti. Ciò accade perché di fronte all'esperienza del bello artistico (si pensi ad es. ad una statua greca), spirito e natura vengono recepiti come un tutt'uno, in quanto nella statua l'oggetto (il marmo) è già natura spiritualizzata, cioè la manifestazione sensibile di un messaggio spirituale, ed il soggetto (l'idea artistica) è già spirito naturalizzato, ovvero concetto incarnato e reso visibile. A seconda che vi sia squilibrio oppure equilibrio fra contenuto e forma, ossia fra messaggio spirituale e forma sensibile, Hegel distingue fra arte simbolica (squilibrio per povertà di contenuto), arte classica (perfetto equilibrio) e arte romantica (squilibrio per eccesso di contenuto).
La religione è il momento in cui lo Spirito acquista coscienza di se medesimo nella forma della rappresentazione, intendendo per quest'ultima un modo di pensare: 1) che sta a metà strada fra l'intuizione sensibile ed il concetto: «le rappresentazioni in genere possono essere considerate come metafore dei pensieri e concetti» (Enc.); 2) che procede in modo a-dialettico, ovvero giustapponendo le proprie determinazioni, quasi fossero indipendenti le une dalle altre. Ad es. la rappresentazione cristiana di Dio-Padre che crea il mondo è la rappresentazione, ossia l'ipostatizzazione metaforica (frutto di immagini giustapposte) del fatto che la natura costituisce un momento dialettico della vita dello spirito. Lo sviluppo della coscienza religiosa inizia con le religioni naturali e culmina nel cristianesimo, religione «assoluta» in cui Dio appare finalmente come puro spirito, sia pure ancora nella forma imperfetta della rappresentazione.
La filosofia è «l'idea che pensa se stessa» (Enc.) e «la verità assoluta e intera» (ivi), cioè il momento in cui l'Assoluto acquista coscienza di sé in forma concettuale. Per questa sua natura, la filosofia ha i propri oggetti in comune con la religione «perché oggetto di entrambe è la verità, e nel senso altissimo della parola - in quanto cioè Dio, e Dio solo, è la verità', anche se essa, a differenza della religione (v.), «manifesta l’esigenza di mostrare la necessità del suo contenuto» e di «provare l'essere e i caratteri dei suoi oggetti». In quanto «considerazione pensante degli oggetti», la filosofia ha come fine specifico e scopo supremo la dimostrazione della razionalità del reale: «Comprendere ciò che è, è il compito della filosofia, poiché ciò che è, è la ragione» (Lin., Pref.). Di conseguenza, essa risulta simile alla nottola di Minerva, che «inizia il suo volo soltanto sul far dei crepuscolo» (ivi). N.B. Vista in rapporto all'epoca in cui sorge, la filosofia può essere definita come il proprio tempo «appreso in pensieri» (ivi). Tempo di cui essa rappresenta «il fiore più elevato» (Lez. sulla fil. d. storia, lntrod.).
La storia della filosofia è l'insieme delle tappe necessarie attraverso cui, dai Greci ad Hegel, la verità dell'idea è andata progressivamente manifestando se stessa. Infatti, al di là della molteplicità apparentemente caotica e accidentale delle filosofie, vi è l'auto-costituirsi di quell'unica vera Filosofia che procede dallo Spirito e in cui lo Spirito perviene finalmente alla propria compiuta consapevolezza: «l'artefice di questo lavoro di millenni è quell'Uno spirito vivente, la cui natura pensante consiste nel recarsi alla coscienza ciò ch'esso è», «La storia della filosofia mostra, da una parte, che le filosofie, che sembrano diverse, sono una medesima filosofia in diversi gradi di svolgimento; dall'altra, che i principi particolari, di cui ciascuno è a fondamento di un sistema, non sono altro che rami di un solo e medesimo tutto. La filosofia, che è ultima nel tempo, è insieme il risultato di tutte le precedenti e deve contenere i principi di tutte; essa è perciò -beninteso, se è davvero una filosofia -,la più sviluppata, ricca e concreta» (Enc.).

Esempio