Henri Bergson

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia

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Testo

HENRI BERGSON
Filosofo francese della seconda metà dell’Ottocento, la cui pubblicazioni più importante è Saggio sui dati immediati della conoscenza del 1889, nel quale persegue il suo ideale di filosofia come scienza rigorosa e Durata e Simultaneità del 1922, con il quale invece Bergson intende criticare la teoria della relatività einsteiniana. Nonostante la riprovata fedeltà all’etica della scienza, Bergson viene considerato un filosofo dell’ondata irrazionalistica, vitalistica e anti-scientifica di fine Ottocento e inizio Novecento.

Per Bergson la filosofia non è una teoria generale, bensì una pratica, un’attività di chiarificazione atta a dissolvere in modo preciso la metafisica tradizionale, che si presenta come un insieme di problemi angoscianti, insolubili ed eterni. Per questo la filosofia può essere considerata una terapia che mostra come questi problemi siano in realtà pseudo - problemi, dovuti alla sovrapposizione all’esperienza di schemi appresi dal linguaggio.
Bergson critica l’illusione che si genera dallo scambio dei miraggi costruiti dal linguaggio per reali contenuti d’esperienza.
L’esperienza, per la sua continuità, può essere paragonata ad una melodia, che non è mai conclusa finché siamo in vita, ed è sempre volta al futuro come al suo senso fondamentale. L’illusione metafisica consiste allora nella sua riduzione a partitura scritta. Si assume un punto di vista estraneo al processo e lo si contempla dal di fuori come se fosse qualcosa di dato ( c.f.r. alienazione).
Ciò che trae in inganno della metafisica è lo scambio dell’astratto con il concreto. Per Bergson, ciò che è soltanto l’effetto di un’analisi e che quindi ha valore di simbolo della cosa, viene preso per una parte componente della cosa stessa.
Bergson sostiene che la filosofia debba essere una scienza rigorosa, che elabora un metodo per descrivere, nel modo più preciso possibile, le cose stesse. Inoltre essa ha un interesse puramente speculativo, che implica lo scarto del sapere apparente per tornare ai dati immediati dell’esperienza. Se la metafisica tradizionale consiste nel superamento dell’esperienza sensibile, quella bergsoniana è un ritorno al’esperienza originaria.

Un esempio di concretezza riguarda la concezione del tempo. La natura del tempo è un problema che affascina Bergson per tutta la vita. Secondo l’autore, il tempo altro non è che la sua configurazione spaziale. Proiettato nello spazio – quando ad esempio è misurato con un orologio – il tempo perde la sua natura specifica per divenire una serie omogenea di istanti tra loro disgiunti. Bergson riprende da Kant l’idea di spazio come forma a priori della nostra sensibilità, ma interpreta quel a priori in modo concreto: spazializzare, permette di porre i confini nella realtà fluida dell’esperienza, di ordinarla, classificarla e nominarla. È l’operazione specifica dell’intelligenza dovuta alla necessità biologica di adattarsi a un ambiente ostile e di dominarlo.
Nel Saggio, il filosofo evidenzia come il tempo vissuto non coincida con il tempo omogeneo fatto di istanti puntuali ed esteriori tra loro che si susseguono. Egli non nega la necessità funzionale di questo tempo spazializzato, ma non ritiene che sia un mezzo vuoto, una quantità e così chiama durata il tempo vissuto, differente per natura dal tempo omogeneo. La durata è qualitativa ed è una continuità irreversibile nella quale il presente, che apporta nuovi elementi che mutano continuamente la natura dell’insieme, si amalgama con il passato.
Bergson chiama eterogeneità il cambiamento innato all’essere della durata e vi scorge l’aspetto creatore del tempo.
La vocazione di Bergson è dunque quella di correggere e riformare la fisica del proprio tempo, liberandola dal meccanicismo che ne viziava le descrizioni.

La differenza tra tempo omogeneo e durata corrisponde alla differenza tra due tipi di molteplicità:
• numerica – o attuale, che si può dividere senza che la divisione implichi un cambiamento della loro natura;
• non numerica – o virtuale, sono irriducibili al numero, che dividendosi cambiano natura.
Le molteplicità numeriche sono estranee alla durata e sono ad esempio un insieme dato, costituito da numerosi elementi che non dipendono dall’atto soggettivo.=>La realtà è data e l’intelligenza dell’uomo deve semplicemente scoprire gli elementi che la compongono. L’atto soggettivo della scoperta non introduce nulla di nuovo nella realtà. L’interazione fra il soggetto conoscente e l’oggetto da conoscere non fa nulla.(tutto è già dato indipendentemente dal soggetto che lo analizza)
Le molteplicità virtuali sono delle durate, quindi tutto ciò che riguarda la vita. Ad esempio il sentimento:se una persona che prova amore verso un’altra persona ad un certo punto realizza un senso di dipendenza o di pietà, la natura di quel sentimento cambierà, perché la dipendenza non era un elemento compreso nell’amore, bensì qualcosa che si è creato nel tempo.(dipende dall’atto soggettivo che lo ha posto in essere).
La distinzione fatta da Bergson anticipa alcune delle tesi contemporanee: se si considera il processo conoscitivo una molteplicità virtuale, il soggetto che conosce non può essere considerato uno spettatore imparziale degli sviluppi della natura, ma egli è parte in causa del processo, è coprotagonista.

Per Bergson il concetto di memoria è contenuto nel concetto di durata. L’essere è cambiamento e il cambiamento è indiviso, è divisibile solo astrattamente. Ne consegue che in un cambiamento indivisibile il passato fa corpo con il presente.
Bergson sostiene che l’essere come tale, nella sua universalità, è durata creatrice e quindi memoria. Ciò implica che l’esistenza del passato non ha bisogno di nessuna spiegazione perché esso perdura nel presente. Solo per un essere cosciente il presente può essere differente dal passato e solo per un essere cosciente si dà anche la possibilità di un futuro inteso come novità rispetto al passato.
Un ulteriore distinzione va fatta nell’ambito della memoria:
• abitudine, spiega il modo d’essere della materia;
• immagine, spiega il modo d’essere della coscienza o dello spirito;
anche se un essere partecipa contemporaneamente a diversi piani di memoria e di durata. L’uomo concreto è spirito, ma è anche attraversato da correnti di materialità e può sempre ricadere allo stato di cosa. Inoltre un soggetto cosciente può ricadere allo stato di cosa, nei comportamenti automatici o nelle abitudini, nei quali l’uomo si limita a ripetere, perciò il suo modo d’essere non si distingue più da quello delle cose (fenomeno di reificazione).Bergson allarga questa teoria distinguendo: società chiuse e religioni statiche (prevale memoria abitudine, tradizionaliste, dogmatiche ed autoritarie) da società aperte e religioni dinamiche (memoria immagine, si rapportano al passato e se ne liberano, sono aperte al futuro e al progresso).

La coscienza è presente dove si danno degli esseri caratterizzati da un’insufficienza particolare: ricerca e riflessione si attivano solo quando si insinua il dubbio. C’è spirito dove gli automatismi della natura vengono meno e compare un margine di indeterminazione, esso incarna lo sforzo di interpretazione cui è costretto in essere radicalmente finito, che è alle prese con un mondo che non domina.

Nell’ Evoluzione Creatrice Bergson distingue tra istinto e intelligenza, finalizzate all’adattamento dell’organismo all’ambiente. L’istinto è la capacità di servirsi di strumenti già organizzati, opera inconsciamente, è specializzato e preciso. L’intelligenza è la capacità di costruire strumenti artificiali che sopperiscano alla deficienza di quelli naturali, è riflessa, consapevole, universale (si applica ad ogni circostanza rendendo l’uomo capace di sopravvivere in ambiente ostili e diversi).
L’intelligenza inoltre è simbolica in quanto scompone l’oggetto in concetti che sono designati da simboli -nomi. Essa però sgarra quando pretende di mostrare la verità delle cose. L’intuizione non è una terza facoltà, ma è il metodo grazie al quale l’intelligenza, rimanendo tale, raggiunge la precisione dell’istinto.

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