Materie: | Appunti |
Categoria: | Filosofia |
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Punti da analizzare:
1) Collocare il dialogo nell'itinerarium mentis di Platone, ovvero nello sviluppo cronologico delle opere.
2) Struttura del dialogo
3) Possibili interpretazioni delle dottrine esposte.
4) Conclusione
RELAZIONE:
1) Secondo la successione cronologica tradizionale degli scritti di Platone, fondata sull'analisi stilistica e contenutistica della stessa opera, il Fedro apparterrebbe al periodo mediano della produzione di questo illustre filosofo, ovvero all'età convenzionalmente riconosciuta come quella della maturità.
Approfondite e riconosciute ricerche del von Arnim hanno evidenziato, per la prima volta, la possibilità che questo importante dialogo entri a far parte dell'ultimo periodo della produzione platonica e cioè a quello posteriore non soltanto al Gorgia, al Fedone e al Convito ma anche alla Repubblica e al Simposio e che quindi si possa senza incertezze affiancare ai dialoghi rappresentanti per eccellenza il periodo della vecchiaia, quali il Parmenide, il Teeteto, le Leggi e il Sofista.
Il Fedro è un'opera molto complessa e comparativamente più difficile da leggersi che non altri dialoghi platonici pur fondamentali; tale complessità è dovuta sostanzialmente a due sue caratteristiche peculiari:
a) al fatto che Platone tratta qui molteplici argomenti (La dottrina dell'amore - La dottrina dell'anima - La dottrina della dialettica).
b) Alla sua attestata appartenenza, come chiarito sopra, agli scritti della vecchiaia che denotano la massima espressione dell'impegno dialettico dello stesso Platone, spinto ad approfondimenti ed a sottigliezze concettuali sconosciuti ai dialoghi precedenti.
Gli studiosi che, inoltre, solo sulla base delle affinità d'argomento e della coincidenza dei protagonisti descritti, ritenessero il Fedro semplicemente come una sorta di continuazione del Convito, errerebbero giacché mancherebbero di considerare l'emergente problematica della dialettica che in quest'ultima opera non è affrontata.
2) L'aspetto morfologico, linguistico e strutturale del Fedro è pressoché semplice data la brevità dell'opera.
Colpiscono alcune tecniche sintattiche e retoriche utilizzate nel testo greco da Platone: in particolare nel capitolo XIII egli inizia ad usare il procedimento di istituire delle etimologie "arbitrarie", per stabilire dei collegamenti concettuali - spesso o quasi sempre inesistenti - tra parole diverse.
In questo caso egli collega l'aggettivo greco IIIII ("arguto", ma anche "ligio") col nome proprio , designante i Liguri.
Un altro analogo esempio è nel capitolo XXX, dove viene associato il termine UUUUU (ovvero "tumulo") al termine (ovvero corpo).
Per quanto concerne la vera e propria struttura del dialogo, essa si può semplicemente schematizzare così:
I / V ==> preludio al tema del dialogo
VI / IX ==> discorso di Lisia
X / XIV ==> dialogo tra Socrate e Fedro
XIV / XVIII ==> I° discorso di Socrate
XIX / XXI ==> dialogo tra Socrate e Fedro ed apparizione del demone
XXII / XXXVIII ==> 2° discorso di Socrate con palinodia (ritrattazione), dottrina dell'anima (descrizione e dimostrazione della sua immortalità).
XXXIX / LVIII ==> dialogo tra Socrate e Fedro e discussione della dialettica contrapposta all'arte meramente retorica ed utilitaristica dei Sofisti.
LIX / LXIV ==> discussione intorno al rapporto tra oralità e scrittura.
3) Il Fedro, come già detto, tratta le problematiche di tre argomenti fondamentali: l'amore, l'anima e la dialettica.
a) DOTTRINA DELL'AMORE:
Il dialogo, ovvero, secondo Platone, la più potente ed autorevole arma di conoscenza, scaturisce tra i due protagonisti, il grande maestro Socrate e Fedro, quando quest'ultimo riporta al filosofo un discorso presumibilmente tenuto da Lisia sul tema dell'amore: qui si dichiara che bisogna compiacere al non innamorato piuttosto che all'innamorato.
Il punto di partenza per le future contestazioni di Socrate è proprio questo: Lisia, artefice del primo dei tre più fondamentali monologhi del Fedro, personifica qui l'estrema e degradata posizione sofistica basata sul mero utilitarismo contestato fortemente e tenacemente dallo stesso Platone; emerge, infatti, altrettanto inconfutabilmente dal discorso del logografo il continuo preoccuparsi del possibile ricambio di benefici concessi durante il rapporto di amicizia, caratteristica che individua il tipico amore basato sull'utile e di cui Platone evidenzia la meschinità nel capitolo IX.
"…Conviene che anche degli altri si trattino bene non i migliori, bensì coloro che si trovano nella più grande angustia: poiché, essendo afflitti da grandissimi mali, essi serberanno la maggiore gratitudine. Così, .……, non si debbono invitare gli amici, bensì quelli che lo chiedono e che hanno bisogno di sfamarsi. Essi infatti E…… diverranno tuoi seguaci e staranno dinanzi alla porta e saranno massimamente disponibili alla cosa…". Lisia, insomma, sostiene egoisticamente che è meglio ed è preferibile rapportarsi e legarsi non agli innamorati, che spesso sono causa di discordia e contrasto, bensì alle persone dalle quali si può trarre semplicemente maggior beneficio e vantaggio per se stessi.
Il secondo discorso è, viceversa, tenuto da Socrate, ma solo come preludio al suo vero discorso, che sarà il terzo.
In questo secondo discorso Socrate si associa paradossalmente alla tesi di Lisia, superando, tuttavia, la posizione meramente utilitaristica di quest'ultimo e individuando il concetto di amore (eros) in una sorta di desiderio che ottiene il sopravvento sulla ragione nell'anima, prevaricando su quell'equilibrio (in Greco vvvvvvvvv, ovvero moderazione, assennatezza, saggezza) che costituisce invece il dominio della ragione sul desiderio.
Per semplificare e meglio schematizzare il concetto di anima, che è introdotto in questo capitolo (XIV), Platone prende in considerazione soltanto i suoi due aspetti estremi, quello razionale e quello della concupiscenza, trascurando la sezione intermedia che, secondo la sua psicologia, costituirebbe l'anima irascibile (in Greco ).
Importante, sempre dal punto di vista linguistico, in questo brano è il termine greco " ""che traduce la parola sfrenatezza, indicante a sua volta l'anima concupiscibile: non è da ignorare la scelta meditata di tale sostantivo, utilizzato nella cultura ateniese ed ellenica tanto per indicare sfrenatezza delle passioni quanto oltraggio alla giustizia e agli dei per desiderio di prevaricazione.
In un altro importante passo di questo secondo monologo Socrate, per impostare il problema secondo cui l'amicizia debba attuarsi tra persone simili o dissimili, riprende un celebre proverbio popolare citato dall'Odissea omerica (XVII, 218): > . Il filosofo a questo proposito obietta che il simile non può offrire all'altro simile nessuna cosa che quest'ultimo possa procurarsi da solo, al contrario di una situazione che vede coagire due esseri dissimili.
A questa stregua, traendo le conseguenze estreme della tesi, si giungerebbe al risultato che non solo il giusto dovrebbe essere amico dell'ingiusto, e l'ingiusto del giusto, ma anche che il nemico dovrebbe essere amico dell'amico e viceversa.
E' interessante notare come Platone sostenga il contrario "della sua verità" che esporrà solo più avanti, al fine di intaccare la credibilità del discorso di Lisia.
Il terzo discorso di Socrate è anticipato dal ritorno del concetto di ooooo (peccato verso gli dei) che si affianca alla prima presentazione, nel dialogo, del famoso demone che aleggia sulla vita quotidiana del filosofo, condizionando con i suoi consigli le scelte di quest'ultimo.
Socrate, fondamentalmente, in questo XX capitolo, è ammonito appunto da questo demone, da questa sua coscienza interiore per aver commesso una colpa che è, a sua volta, prontamente spiegata a Fedro: il peccato supposto è quello di aver urtato i sentimenti di Afrodite, dea dell'amore, avendo formulato, come egli stesso afferma, codesto discorso da sempliciotti.
Avviene quindi la cosiddetta palinodia ovvero la ritrattazione dialogica di quanto detto prima ed è quindi formulato il terzo importante discorso, dove è ritenuto migliore l'innamorato del non innamorato.
Emerge qui la concezione dell'amore inteso come divina mania, come qualcosa attraverso cui il filosofo diviene consapevole della vera realtà del mondo delle idee, come qualcosa che trascende l'uomo e sfiora il divino, come qualcosa che nobilita l'animo.
Sulle origini della concezione platonica della "divina mania" il più moderno studioso sull'argomento, E. Dodds, ha dimostrato come Platone sia partito da un iniziale razionalismo e, in un secondo momento, in seguito ai contatti personali coi pitagorici della Magna Grecia, egli abbia innestato sul terreno del suo primitivo razionalismo una nuova tendenza irrazionalistica e magica, ritenendo che, come afferma lo stesso Dodds, la ragione fosse una manifestazione attiva della divinità nell'uomo, un demone in sé e per sé, non elemento passivo in balia di forze nascoste.
b) DOTTRINA DELL'ANIMA:
La dottrina dell'anima, che occupa quasi tutto il secondo dei due discorsi di Socrate, secondo l'interpretazione di Armando Plebe, contrapposta a quella dello studioso H. W. Thomas, è di derivazione orfico - pitagorica.
Secondo la concezione omerica, esisteva da un lato un'anima vitale (in greco SSSS), che alla morte del corpo lo abbandonava: essa tuttavia non poteva né sentire né pensare e, per questo, veniva affiancata da un'anima senziente e pensante (in greco ), la quale però era del tutto legata e condizionata all'esistenza degli organi e delle funzioni fisiche del corpo.
In base a questa concezione non è possibile ipotizzare una discendenza dell'anima platonica da quella omerica.
Il primo esempio di essere senziente e pensante separato dal corpo è in Anassimene che nel VI secolo scrive così: