La sfera della distribuzione

Materie:Riassunto
Categoria:Economia Politica

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Testo

LA SFERA DELLA DISTRIBUZIONE
1. Teorie Alternative Sulla Distribuzione Del Reddito
Il problema della distribuzione del reddito è sempre stato al centro di un notevole dibattito: per gli aspetti politici e sociali ad esso connessi, si può dire che è il tema più importante e più controverso dell’economia.
Definizione: Per distribuzione del reddito si intende il modo in cui il flusso di ricchezza prodotto in un sistema economica viene ripartito fra i soggetti che hanno collaborato a produrlo.
Nel corso della storia si sono succedute varie teorie per spiegare la distribuzione del reddito:
• Teoria Classica: secondo questa teoria il salario è fissato al livello di sussistenza e il profitto è il residuo che resta all’imprenditore dopo che ha pagato tutti gli altri fattori produttivi.
• Teoria Neoclassica: elaborata dai marginalisti, afferma che il salario, l’interesse, il profitto e la rendita dipendono dal contributo specifico che ciascun fattore (lavoro, capitale, organizzazione e terra) dà il processo produttivo.
• Teoria Neokeynesiana: sostiene che, una volta determinato il livello degli investimenti e il relativo tasso di sviluppo del sistema economico, il salario e non il profitto è un residuo: infatti il saggio di profitto raggiungerà un livello sufficiente a finanziare gli investimenti, mentre ciò che resta andrà ai salari.
2. Il Salario
Definizione: il salario è la remunerazione che il lavoratore riceve per il lavoro prestato nell’impresa.
Nel linguaggio ordinario viene chiamato salario la retribuzione dell’operaio, e stipendio quella degli impiegati; in economia, invece, il termine salario comprende entrambe le categorie e anche i dirigenti.
A seconda del criterio di misurazione il salario può essere:
• A Tempo, se è misurato dalla durata del lavoro (un tanto al giorno, alla settimana, al mese);
• A Cottimo, se dipende dalla quantità di beni prodotta dal lavoratore;
• Progressivo, se risulta da una combinazione dei due precedenti criteri: in questo caso il salario è costituito da un minimo garantito, oltre ad una parte variabile che dipende dalla quantità di beni prodotta dal lavoratore.
È opportuno introdurre una distinzione concettuale, relativa al potere di acquisto dei salari. Possiamo quindi distinguere:
• I Salari Nominali, costituiti dalla quantità di moneta che il lavoratore riceve in una unità di tempo;
• I Salari Reali, commisurati alla quantità di beni e servizi che il lavoratore può acquistare sul mercato.
I salari nominali coincidono con i salari reali quando il livello dei prezzi non muta nel tempo, cioè quando un sistema è caratterizzato da stabilità monetaria. Se invece il potere di acquisto della moneta subisce una diminuzione nel tempo, viene meno la coincidenza fra i valori del salario nominale e del salario reale.
Il salario reale si ottiene dividendo i salari nominali per l’indice dei prezzi al consumo.

Il Costo Del Lavoro
Il salario netto ottenuto dal lavoratore è uguale al salario lordo, al netto delle some per:
• Trattenute Fiscali, costituite dalle imposte che in Italia sono versate al fisco direttamente dall’imprenditore.
• Oneri Sociali a favore degli enti previdenziali e assistenziali (INPS, INAIL) per pensioni, malattie, invalidità, disoccupazione; come i prendenti questi contributi sono versati direttamente dall’imprenditore, anche per conto del lavoratore, agli enti previdenziali.
Per l’impresa il costo del lavoro risulta quindi molto più alto del salario netto percepito dal lavoratore, essendo costituito dalla somma di:
salario netto (al lavoratore)
trattenute fiscali (allo Stato) +
oneri sociali a carico del lavoratore +
= salario lordo
oneri sociali a carico dell’imprenditore+
= costo del lavoro
Il Mercato Del Lavoro
Nel mercato del lavoro si incontrano la domanda di lavoro (Stato), e l’offerta di lavoro (Lavoratori).
In tale mercato la contrattazione avviene su base collettiva, tra i sindacati che rappresentano i lavoratori e i sindacati che rappresentano le imprese. Se la contrattazione non porta ad un accordo, il contrasto fra lavoratori e imprenditori può sfociare in uno sciopero, indetto dai sindacati dei lavoratori a sostegno delle richieste salariali.
3. Il Profitto
Definizione: il profitto è il reddito percepito dall’imprenditore per la sua attività di organizzazione e gestione dell’impresa. È costituito dalla differenza tra i ricavi e i costi di produzione.
Il profitto si può distinguere secondo una classificazione introdotto da Marshall, cioè:
• Profitto Normale, che è la parte del costo di produzione che spetta all’imprenditore per la sua attività di organizzazione: è perciò il livello di reddito al di sotto del quale egli rinuncia a svolgere la sua attività;
• Extraprofitto, che è l’eccedenza fra il ricavo realizzato dalle vendite e il costo di produzione: esso è percepito dall’imprenditore in situazioni di mercato particolarmente favorevoli.
Il profitto normale si può teoricamente distinguere nei seguenti elementi costitutivi:
• Profitto Come Salario Di Direzione, che remunera l’attività organizzativa dell’imprenditore;
• Profitto Come Interesse Sui Capitali Investiti, che remunera i capitali investiti nel processo produttivo;
• Profitto Come Premio Per Il Rischio, che remunera l’imprenditore per il rischio affrontato.
Il Saggio Di Profitto
Definizione: il saggio di profitto è il rapporto percentuale fra il profitto e l’ammontare del capitale investito nell’impresa.
Se, ad esempio, il capitale impiegato in un’impresa è di 10 miliardi e il profitto è stato di 1 miliardo, il saggio di profitto sarà:
Il profitto è un importante indicatore economico di efficienza, in quanto riflette la scarsità relativa di risorse nei diversi rami produttivi. Rappresenta quindi un incentivo, che spinge gli imprenditori a esplorare nuove possibilità, migliorare l’efficienza dell’impresa, ecc.
4.L’Interesse
Definizione: l’interesse è il compenso corrisposto da chi prende a prestito una somma di denaro a chi effettua il prestito. Può anche essere definito come il prezzo pagato per l’uso temporaneo del risparmio (prezzo d’uso del capitale).
Viene normalmente espresso in percentuale su base annua: il tasso di interesse è dato dal rapporto fra la somma pagata a titolo di interessi e la somma prestata. Così, se per avere da un banca in prestito la somma di € 10.000 si devono pagare interessi alla banca stessa di € 1000, significa che il saggio di interesse sarà il 10%.
È importante la distinzione in Interesse nominale e in Interesse reale, cioè quest’ultimo tiene conto del diminuito potere di acquisto della moneta. (Es. l’interesse nominale è pari al 10%. Se nel corso dell’anno il livello dei prezzi è aumentato del 6%, il tasso reale di interesse sarà 4%). Per questo, in momenti di tensione inflazionistica i tassi di interesse aumentano; altrimenti i mutuanti incorrerebbero in perdite notevoli.
È opportuno distinguere i due elementi ideali costitutivi del saggio di interesse:
• L’Interesse Netto, che è la remunerazione che il mutuante riceve dal mutuatario per l’uso del risparmio, che tende ad essere uguale per i vari tipi di prestito;
• L’Assicurazione per il rischio del mutuante di non ricevere alla scadenza le somme prestate: questa parte è soggettiva a variazioni in relazione alla solvibilità del mutuatario, alla durata del prestito, ecc.
Esistono varie teorie sul’interesse:
• Teoria Neoclassica: il risparmio dipende dal saggio di interesse, in quanto all’aumentare del saggio di interesse aumenta il risparmio; gli imprenditori, d’altra parte, richiedono capitali da investire in relazione al loro costo, che è rappresentato dal saggio di interesse: quindi la loro domanda è funzione inversa del saggio di interesse.
• Teoria Keynesiana: secondo Keynes, invece, il saggio di interesse esercita un’influenza trascurabile sul risparmio: la quantità di risparmio dipende dal livello di reddito, stante la sua natura di residuo, cioè di reddito non consumato. D’altra parte, il saggio di interesse non influisce in misura notevole sul livello degli investimenti, che invece dipendono principalmente dalle aspettative di profitto. Keynes dice che i risparmiatori sono liberi di conservare le loro ricchezze in forma liquida, oppure di investirle in titoli o nell’acquisto di beni. La ricchezza conservata in forma monetaria consente al risparmiatore di acquistare subito nel mercato beni e servizi.
I motivi per cui il risparmiatore preferisce detenere la ricchezza in forma liquida sono:
• Motivo Delle Transazioni, chiamato anche motivo degli acquisti correnti. Sia per le imprese, sia per i consumatori, non vi è coincidenza nel tempo fra incassi e pagamenti. Quindi è necessario detenere una riserva monetaria in contanti per far fronte alle spese man mano che si presentano.
• Motivo Precauzionale, ogni soggetto detiene mezzi di pagamento liquido non solo per fronteggiare le spese previste ma anche per eventi eccezionali che richiedono spese improvvise.
• Motivo Speculativo, possibilità di utilizzare la liquidità oltre che per pagare le varie spese, anche per acquistare titoli in borsa.
Se esiste sul mercato un’alta preferenza per la liquidità, solo un elevato tasso di interesse può spingere i risparmiatori a rinunciare alla liquidità stessa.
4. La Rendita
Definizione: è il reddito che affluisce ai proprietari di beni strumentali non riproducibili (terreno, miniera, sorgente, ecc.), e pertanto disponibili in una quantità fissa, non suscettibile di aumento.
Il prezzo che si forma sul mercato non dipende dal costo di produzione, ma è determinato esclusivamente dalle variazioni della domanda.
Aumento della domanda – aumento dei prezzi
Diminuzione della domanda – diminuzione dei prezzi (rendita negativa)
Si deve distinguere fra:
• Rendita Differenziale, è chiamata così perché nasce dalla differenza fra i costi di produzione: esse decresce a misura che si passa dal terreno più fertile al terreno meno fertile, oppure dal terreno più vicino alla città a quello più lontano. Nella terra meno fertile, o più lontana dal centro di consumo, l’imprenditore non gode di alcuna rendita, in quanto il prezzo di mercato è uguale al costo di produzione. Questa terra è detta marginale.
• Rendita Assoluta, compete invece ai titolari di beni non riproducibili ogni volta che la domanda è superiore all’offerta. Così, i proprietari di terreni agricoli godono di questa rendita quando la domanda aumenta e tutte le terre coltivabili sono ormai state messe a cultura. In tal caso anche la terra marginale gode di una rendita assoluta. La rendita assoluta è uguale per tutte le terre; le più favorite, poi, assommano a questa anche la rendita differenziale.
LA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO IN ITALIA
5. I Diversi Tipi Di Distribuzione
Esistono 4 tipo di distribuzione:
Distribuzione Funzionale: riguarda la ripartizione del reddito fra i fattori produttivi, in termini di salari, interessi, rendite e profitti.
Teoricamente è possibile distinguere le categorie “pure” di reddito: salari, interessi, rendite e profitti. In pratica, però, molti soggetti godono di redditi misti e non è possibile distinguere l’apporto di ciascuna categoria di reddito all’entrata totale. Si pensi ai commercianti, artigiani,ecc. i cui redditi insieme derivano da lavoro, capitale, attività direttiva e organizzativa. Per tali soggetti non è quindi possibile distinguere la quota dell’entrata totale attribuibile alle singole categorie “pure”. Dal punto di vista statistico, proprio per questo problema, il reddito nazione viene suddiviso in due categorie:
• Redditi Da Lavoro Dipendente (costo sostenuto dai datori di lavoro per i dipendenti)
• Altri Redditi (sono compresi sia i redditi di puro capitale le rendite di proprietà immobiliari, interessi, sia gli utili non distribuiti dalle società, ecc.).
Distribuzione Personale, riguarda la ripartizione del reddito fra le persone o le famiglie, qualunque sia la fonte da cui il reddito stesso proviene.
Per stimare la distribuzione personale del reddito e le sue variazioni nel tempo, l’Istat e la Banca d’Italia effettuano periodiche indagini campionarie. Da essere risulta che in Italia la distribuzione dei redditi è molto disuguale, anche se è rilevabile una certa tendenza alla riduzione della disuguaglianza.
Dove le forza di mercato non realizzano spontaneamente un’equa distribuzione della ricchezza, lo Stato interviene attraverso trasferimenti alle categorie sociali più svantaggiate (pensioni sociali, indennità di disoccupazione, ecc.).
Distribuzione Settoriale, che viene suddivisa in 3 settori:
1. Settore Primario (Agricoltura), che comprende le attività connesse ai processi naturali (coltivazione dei fondi agricoli, allevamento, ecc.)
2. Settore Secondario (Industria), che comprende le attività di trasformazione delle materie prime in prodotti finiti, mediante l’impiego di lavoro e macchine. Si classifica in:
a. Comparto manifatturiero, trasformazione delle materie prime e semilavorati in prodotti finiti (industrie alimentari, tessili,ecc).
b. Comparto estrattivo, estrazione delle materie prime (minerali, petrolio,ecc.).
c. Comparto delle costruzioni, che realizza case, dighe, scuole,ecc.
3. Settore Terziario (Servizi), che comprende attività di commercio, assicurazioni, trasporti, pubblica amministrazione,ecc.
IL PRODOTTO E IL REDDITO NAZIONALE
Ogni anno entro il 31 marzo, il Governo deve presentare al Parlamento la Relazione generale sulla situazione economica del Paese, una vera e propria radiografia economica dell’Italia, che espone i risultati conseguiti l’anno precedente dal nostro sistema economico ed offre importanti informazioni sul suo funzionamento. Questa conoscenza è possibile attraverso la
Contabilità economica nazionale, un insieme di conti che descrive in forma quantitativa l’attività di un sistema economico in un certo periodo di tempo (normalmente un anno).
Essa si bassa sulla raccolta e registrazione dei dati relativi al flusso di scambio fra gli operatori del sistema (famiglie, imprese, stato,ecc.). Mediante la contabilità nazionale è possibile calcolare il valore dei diversi aggregati, allo scopo di:
• Conoscere struttura ed evoluzione dell’attività economica nel tempo;
• Confrontare i risultati di un sistema economico nel tempo e nello spazio.
L’affermarsi della contabilità nazione è dovuto principalmente a:
• Al riconoscimento della necessità dell’intervento pubblico nell’economia. La politica economica richiede scelte tempestive e coordinate fra i diversi centri decisionali, possibili solo se si ha una conoscenza sufficientemente attendibile delle grandezze dell’economica;
• Al progresso della ricerca scientifica, che ha permesso di elaborare i dati statistici relativi ai diversi fenomeni economici, raggiungendo nel complesso risultati apprezzabili.
Con il passare degli anni diversi paese introdussero sistemi di contabilità nazionale e ben presto, con l’accentuarsi delle relazioni economiche e politiche fra i diversi Stati, si è sentita la necessità di una
Standardizzazione dei conti, consistente nell’unificazione delle classificazioni e dei metodi di calcolo usati nei diversi paesi al fine di consentire corretti confronti internazionali e il coordinamento delle politiche economiche internazionali.
6. Il Prodotto Nazionale (residenza)
Gli aggregati più importanti calcolati dalla contabilità nazionale sono il prodotto nazionale e il reddito nazionale.
Il Prodotto Nazionale Lordo (PNL) è costituito dalla soma di tutti i beni e servizi finali prodotti in un anno sia all’interno che all’estero, dagli operatori residenti in un determinato paese.
Nel calcolo del PNL si considerano solo i beni e i servizi finali. Le materie prime e i combustibili, non possono entrare nel calcolo, altrimenti verrebbero calcolati due volte. Per questa stessa ragione occorre eliminare dal calcolo il valore dei beni e servizi intermedi (Es. una certa quantità di filato di cotone viene impiegata per ottenere il tessuto, nel computo del PNL entra solo il valore finale del tessuto).
Il PNL consiste, quindi, nel valore di tutti i beni prodotti durante l’anno dalle imprese, dalle famiglie, dallo Stato, previa detrazione del valore dei beni intermedi impiegati nella produzione
PNL = Produzione lorda vendibile – Beni intermedi
Per i beni e servizi prodotti dallo Stato, sorge il problema della loro valutazione, dato che non hanno un prezzo di mercato (essendo offerti gratuitamente senza un corrispettivo diretto). In base ad una convezione, il loro valore è uguagliato alla somma degli stipendi pagati ai dipendenti pubblici impiegati nella loro produzione.
Dato che i beni e serivizi finali prodotti sono eterogenei fra loro:
• per calcolare il PNL è necessario moltiplicare le quantità prodotte per i rispettivi prezzi, e sommare successivamente i valori monetari ottenuti.
Ma il calcolo può basarsi anche sul valore aggiunto; infatti:
• il PNL può ottenersi anche sommando, per ciascuna impresa, la differenza fra il valore dei beni che si vende (fatturato dell’impresa) e quello dei beni che ha acquistato dalle altre imprese (materie prime e beni intermedi).
Questa differenza, che prende il nome di valore aggiunto, misura l’incremento di valore che le imprese aggiungono al costo dei beni intermedi. Si considerano intermedi tutti i beni acquistati da altre imprese e impiegati nella produzione.
Per tener conto del logorio dei beni durevoli è necessario calcolare delle quote di ammortamento, atte a ricostituire il valore dei beni capitali quando questi siano giunti al termine della loro vita produttiva:
• Se dal PNL si detraggono gli ammortamenti, si ha il Prodotto nazionale netto (PNN)
PNN = PNL – Ammortamenti
Dal prodotto nazionale lordo va distinto il Prodotto interno lordo (PIL) oggi molto usato nella contabilità delle organizzazioni internazionali. Il PIL non considera la nazionalità degli operatori ma il territorio entro cui avviene la produzione.
PIL: è il valore, ai prezzi di mercato, dei beni e servizi finali prodotti in un anno dalle unità economiche che operano nel territorio di un determinato paese, sia che appartengano a residenti, sia che appartengano a stranieri.
Se si detrae dal PIL l’ammortamento, ossia la perdita di valore dello stock di capitale esistente, si perviene al Prodotto Interno Netto.
PIL pro capite: nei confronti internazionali fra paesi viene spesso utilizzato il PIL pro capite, che si calcola dividendo il PIL per il numero di abitanti di ciascun paese.

7. Il Reddito Nazionale
Il reddito nazionale è relativo alla distribuzione del prodotto fra i soggetti che hanno concorso a produrlo: è quindi formato da tutti i redditi che affluiscono ai portatori dei fattori produttivi, e cioè da salari, profitti, interessi, rendite.
Il Reddito Nazionale (RN) è costituito dall’insieme di tutti i redditi guadagnati dai soggetti residenti in un certo paese in un determinato anno.
Non rientrano nel calcolo del RN le pensioni, i sussidi di disoccupazione, invalidità, ecc.
Sottraendo dal RN quella parte di reddito che si deve versare allo Stato a titolo di imposte dirette, il risparmio delle imprese (profitti non distribuiti) e aggiungendo i trasferimenti alle famiglie (pensioni e sussidi) si ottiene il reddito disponibile, cioè le risorse a disposizione delle famiglie per il consumo e il risparmio.
Il RN è uguale alla somma dei seguenti aggregati:
• Consumi: rappresentano la quota del RN impiegata direttamente per il soddisfacimento dei bisogni. Si distinguono in Privati (alimentari, vestiario, ecc.) e in Pubblici (difesa, istruzione, ecc.).
• Investimenti: sono costituiti da beni che vengono impiegati per la produzione di altri beni (macchinari, impianti, ecc.). Esistono anche gli investimenti Pubblici, effettuati dallo Stato (ferrovie, strade, ecc.).
• Saldo Della Bilancia Commerciale: può essere attivo se il paese ha accumulato riserve valutarie, passivo se si è indebitato verso l’estero.
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8.Il Reddito Nel Periodo Breve e Nel Periodo Lungo
Il livello di equilibrio del reddito nazionale può essere studiato secondo due diversi tipi di analisi:
• Analisi Di Periodo Breve: Nel periodo beve la capacità produttiva del sistema è data e non può essere aumentata; il problema è quindi quello di utilizzare nel modo migliore la capacità produttiva esistente. In questa analisi, quindi, si studiano le cause che determinano il livello di utilizzo degli impianti e delle forze di lavoro disponibili.
• Analisi Di Periodo Lungo: nel periodo lungo le capacità produttive possono essere aumentate, e quindi questa analisi studia come il sistema economico si sviluppa. I problemi affrontati sotto questo profilo riguardano l’accumulazione del capitale, il ruolo del progresso tecnico, l’addestramento di una manodopera qualificata, ecc, essenziali nel determinare lo sviluppo.
Reddito Nazionale Effettivo e Potenziale, questi due tipi di reddito possono essere analizzati a livello microeconomico e macroeconomico:
• Microeconomico: in un’impresa siderurgica possono distinguere due differenti concetti di prodotto:
1. Prodotto Potenziale, che è dato dalle tonnellate di acciaio ottenute in un anno nel caso in cui l’impianto venisse utilizzato a pieno ritmo;
2. Prodotto Effettivo, che invece è costituito dalle tonnellate di acciaio effettivamente prodotte dall’impianto. Questo prodotto al massimo potrà essere uguale al Prodotto Potenziale, ma molto spesso sarà inferiore a causa di fari fattori che penalizzano l’impresa (scioperi, caduta della domanda, ecc.).
• Macroeconomico: il medesimo scherma di ragionamento può essere applicato anche qui: il reddito nazione , che corrisponde alla quantità di beni e servizi prodotti dall’intera economia, dipende dalla quantità di fattori produttivi impiegati. Quindi il livello di reddito è funzione diretta della quantità di fattori impiegati.
Possiamo dire che:
1. il Reddito Nazionale Potenziale è quello che la collettività produce quanto tutti i fattori produttivi sono impiegati.
2. il Reddito Nazionale Effettivo è quello realmente prodotto nel periodo considerato.
Anche a livello macroeconomico il RNF può, al massimo, raggiungere il valore del RNP. In termini di reddito nazionale effettivo e potenziale si può dire che:
• L’analisi del RN nel periodo breve indaga le cause che determinano il livello del reddito effettivo, nel presupposto che la capacità produttiva sia data e non possa essere aumentata;
• L’analisi del RN nel periodo lungo si occupa invece delle cause che determinano il livello del reddito potenziale, nel presupposto che la capacità produttiva possa essere aumentata.
9. La Teoria Classica Del Reddito e Dell’Occupazione
Secondo questa teoria il sistema in regime di libera concorrenza raggiunge automaticamente la piena occupazione dei fattori produttivi. La teoria classica è sintetizzata dalla legge di Say, detta anche legge degli sbocchi, secondo cui l’offerta crea la propria domanda. Non sono possibili crisi di sovrapproduzione, perché i movimenti dei prezzi assicurano l’equilibrio del mercato. Il livello del reddito nazionale dipende dall’offerta dei beni, dato che, qualunque sia il volume dell’offerta, i beni prodotti saranno completamente venduti
La Grande Crisi del 1929-1932 fa però crollare l’ottimismo della scuola classica e neoclassica.
10. La Teoria Keynesiana
Secondo Keynes i salari non sono flessibili, ma rigidi verso il basso, in quanto i sindacati dei lavoratori non accettano una diminuzione dei salari al di sotto di un certo minimo. Ma anche supposto che i rappresentanti dei lavoratori accettino una diminuzione dei salari, ciò non basta a far raggiungere al sistema l’equilibrio di piena occupazione. Infatti la diminuzione dei salari determinerebbe un fenomeno di deflazione, ossia una diminuzione del livello generale dei prezzi, con la conseguenza che anche quando il salario monetario diminuisse, il salario reale resterebbe costante. Pertanto, il salario reale non può diminuire fino al livello da assicurare la piena occupazione.
Keynes osserva inoltre che una diminuzione del salari non favorisce necessariamente nuove assunzioni, in quanto gli imprenditori possono essere indotti a ridurre comunque la produzione se hanno aspettative pessimistiche sul futuro dell’economia.
Secondo keynes, l’equilibrio di piena occupazione era solo un caso particolare, difficilmente realizzabile nella realtà. La teoria keynesiana rovescia completamente la legge di Say.
Secondo keynes, per assicurare il pieno impiego dei fattori produttivi, in particolare del lavoro, occorre agire sulla domanda aggregata mediante opportuni interventi pubblici. Se la domanda aggregata, costituita dall’insieme delle spese per consumi e investimenti, è alta, le imprese aumentano la propria produzione, facendo così aumentare l’occupazione.
In sintesi si può dire che per keynes:
il reddito nazione dipende dal livello della domanda aggregata: in un sistema economico si realizza la piena occupazione solo se tale domanda sarà tanto elevata da rendere conveniente l’impiego di tutti i fattori produttivi.
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