Diritto del lavoro

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Testo

DIRITTO DEL LAVORO
Capitolo 1
La normativa riguardante il diritto di lavoro fa riferimento, in primis, alla Costituzione:
art. 1: L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro
art. 3: Tutti i cittadini sono uguali... (uguaglianza formale). La Repubblica deve rimuovere gli ostacoli economici e sociali (uguaglianza sostanziale)
art 4: Tutti hanno diritto al lavoro secondo le proprie capacità per concorrere al progresso
art. 35: La Repubblica tutela il lavoro, cura la formazione
art.36: Diritto ad una retribuzione proporzionata e adeguata, al riposo settimanale, alle ferie retribuite
art 37.Tutela della donna e del minore
art. 38: L’organizzazione sindacale è libera
art. 40: Diritto allo sciopero
e allo Statuto dei lavoratori che sancisce la libertà di opinione del lavoratore, limita i poteri di vigilanza e indagine sul lavoratore da parte del datore (vedi dopo), disciplina il regime delle sanzioni disciplinari a carico del lavoratore (vedi dopo), sancisce i diritti sindacali di sciopero, riunione in orario di lavoro, elezione di RSU e di libera attività sindacale, il divieto di discriminazioni e la parità di trattamento. Vi sono poi altre leggi che disciplinano ambiti specifici. Potere territoriale e aziendale è conferito ai Sindacati di categoria che si occupano della stesura del CCNL che ha validità 4 anni per la parte normativa e 2 per la salariale. Il CCNL viene poi recepito dal Contratto Aziendale e dal Contratto Individuale che possono solo essere migliorativi per il lavoratore rispetto a quanto stabilito dal CCNL.
Il lavoratore subordinato è (art. 2094 C.C.) “colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro, intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Il datore di lavoro può anche non essere imprenditore come accade per partiti, sindacati, associazioni, ma tutti i datori sono responsabili dell’organizzazione, possono emanare provvedimenti, devono fornire mezzi e strumenti al lavoratore che ha invece l’obbligo di svolgere le proprie mansioni, nei tempi e modi stabiliti, dietro retribuzione. Al termine dell’opera assegnatagli non termina il suo rapporto con il datore. Il lavoratore può anche lavorare a domicilio pur essendo sempre subordinato al datore.
Il lavoratore autonomo è (art. 2222 C.C.) “colui che si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincoli di subordinazione nei confronti del committente”. A lui spetta la responsabilità di organizzare il lavoro, i mezzi, i tempi, il rischio del lavoro stesso e la sua prestazione termina con la consegna dell’opera.
Il contratto individuale di lavoro è stipulato tra un datore di lavoro (persona fisica, giuridica o ente dotato di soggettività) e un lavoratore, necessariamente persona fisica, per la costituzione di un rapporto di lavoro.
Le parti
Nell'ordinamento italiano, il contratto di lavoro è un contratto tipico e nominato (cioè disciplinato dalla legge e destinato ad un soggetto specifico), bilaterale e necessariamente oneroso che si costituisce attraverso il consenso delle parti (accordo). La capacità di stipulare validamente un contratto di lavoro da parte del prestatore si acquista al raggiungimento dell'età minima per l’ammissione al lavoro (di norma 16 anni, età abbassata a 14 per date attività,). Ciò costituisce un'eccezione rispetto alla regola generale, secondo la quale la capacità di concludere un contratto si acquista con il conseguimento della maggiore età (capacità d’agire).
La causa
La causa tipica del contratto di lavoro è lo scambio tra il lavoro (intellettuale o manuale), prestato in posizione subordinata, e la retribuzione. Ne derivano pertanto due obbligazioni speculari: quella del datore di lavoro di corrispondere la retribuzione dovuta, e quella del lavoratore subordinato di prestare la propria opera "alle dipendenze e sotto la direzione" del datore (art. 2094 c.c.).
La forma
L'ordinamento italiano non prevede una particolare forma per il contratto di lavoro, che può pertanto essere concluso anche oralmente. La forma scritta può tuttavia essere imposta dalla contrattazione collettiva o dalla legge (l’arruolamento di personale marittimo mediante atto pubblico; personale dell’aria, lavoro sportivo e per eventuale patto di prova e patto di non concorrenza forma scritta). Per il contratto a tempo determinato il termine deve risultare per iscritto (se non si rispetta la forma, il rapporto si intende a tempo indeterminato).
La forma scritta è imposta inoltre, seppur indirettamente, da altre norme, che di fatto la rendono indispensabile per assolvere a vari obblighi che il legislatore pone in capo al datore di lavoro a pena di sanzioni amministrative. A titolo di esempio si ricordano:
l'obbligo del datore di lavoro di comunicare per il tramite dei servizi telematici del Ministero del Lavoro l'avvenuta assunzione e il contenuto del contratto;
l'obbligo di consegnare al lavoratore, al momento dell'assunzione, un documento riportante i dati di registrazione nel libro matricola, la durata delle ferie, la periodicità della retribuzione, il termine di preavviso per il licenziamento e la durata normale giornaliera o settimanale di lavoro, oppure la copia del contratto di lavoro o ancora copia della comunicazione obbligatoria di assunzione.
L'oggetto
L'oggetto del contratto di lavoro è costituito dalla prestazione lavorativa (manuale o intellettuale) e dalla retribuzione che il datore di lavoro ha l'obbligo di corrispondere come controprestazione.
La concreta prestazione lavorativa è determinata contrattualmente, nel senso che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, mansioni che vengono specificate nella lettera di assunzione. L'oggetto del contratto, oltre ad essere determinato o determinabile, deve altresì essere lecito e possibile (artt. 1346 c.c.), pena la nullità del contratto (art. 1418 c.c.). La prestazione dedotta in contratto non può quindi risolversi in un'attività impossibile (di fatto o di diritto), né può porsi in contrasto con norme imperative, con l'ordine pubblico o con il buon costume. Quanto alla retribuzione, essa è normalmente quantificata, direttamente o indirettamente, dal contratto collettivo di lavoro di settore. L'art. 37 della Costituzione pone il divieto di discriminazione nei confronti di lavoratrici donne e lavoratori minori, stabilendo che, a parità di lavoro, spetti a questi soggetti la medesima retribuzione dei lavoratori adulti di sesso maschile.
Il termine
Il contratto di lavoro può essere stipulato sia a tempo indeterminato che a tempo determinato con la medesima retribuzione.
Il datore di lavoro può ricorrere al contratto a termine qualora sussistano ragioni di carattere tecnico (es. per assumere a termine personale con professionalità diversa da quella normalmente impiegata in azienda), produttivo e organizzativo (es. picchi di produzione, ecc.), sostitutivo (ad esempio per sostituire lavoratori assenti, ma non quelli in sciopero). Il termine deve risultare da atto scritto, nel quale devono essere inserite anche specifiche motivazioni sul motivo del termine, pena la conversione del contratto in contratto a tempo indeterminato. Alla scadenza del termine, il rapporto si conclude senza necessità di formale comunicazione.
La legge pone il divieto di assumere a termine quando il datore quando non abbia effettuato la valutazione dei rischi in azienda, o quando nell'unità produttiva si sia fatto ricorso negli ultimi 6 mesi a licenziamenti collettivi, cassa integrazione o riduzioni d'orario.
Possono sempre essere assunti a termine, a prescindere dalla sussistenza di ragioni particolari, i dirigenti (max 5 anni), gli iscritti a liste di mobilità (max 12 mesi), i disabili, i lavoratori che hanno differito il pensionamento (max 2 anni), i lavoratori del turismo (questi ultimi solo per servizi speciali e fino a tre giorni), i lavoratori del settore aereoportuale (max 4 mesi, 6 fra aprile e ottobre). La proroga è possibile solo per contratti di durata inferiore a tre anni, solo una volta e con indicazione delle ragioni. Nel caso in cui il lavoratore continui la sua prestazione oltre il limite prefissato e senza un accordo di proroga, egli ha diritto per un periodo di 20 giorni (30 per i contratti di durata superiore a 6 mesi) ad una maggiorazione retributiva (pari al 20% per i primi 10 giorni, al 40% dopo) e, oltre il ventesimo giorno, alla conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato.
È ovviamente vietato il ricorso a una pluralità di contratti di lavoro a termine stipulati a breve distanza l'uno dall'altro. Se il medesimo lavoratore è riassunto a termine entro 10 giorni dalla scadenza del precedente contratto (20 se il contratto scaduto aveva durata superiore a 6 mesi), il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.
Il recesso ante tempus senza giusta causa da un contratto a tempo determinato è fonte di obbligo di risarcimento del danno, sia per il datore di lavoro che per il lavoratore.
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Il contratto di lavoro a tempo parziale (in inglese part time) è quello in cui l'orario di lavoro, convenuto individualmente, risulta inferiore a quello del contratto a tempo pieno previsto dalla legge o dal contratto collettivo, vale a dire inferiore alle 40 ore settimanali.
La riduzione dell'orario di lavoro può avvenire secondo tre modelli:
tipo orizzontale: orario giornaliero ridotto;
tipo verticale: orario giornaliero a tempo pieno, ma riduzione dei giorni di lavoro;
tipo misto: combinazione di riduzioni verticali e orizzontali all'interno della settimana lavorativa.
Il contratto di lavoro a tempo parziale va stipulato con la forma scritta e deve inoltre contenere la precisa determinazione degli orari ridotti. L'orario però può essere determinato con clausole flessibili, con la possibilità di variare le ore lavorative giornaliere in caso di contratto a tempo parziale orizzontale, o clausole elastiche per cambiare il tipo verticale o misto.

Capitolo 2
L’assunzione
Scomparsi gli Uffici di collocamento, i datori hanno la possibilità di assumere direttamente il personale comunicandolo poi al Centro Territoriale per l’Impiego gestito da Regioni e Comuni. Agenzie autorizzate possono fare da intermediari fra domanda e offerta. Presso i Centri vi è inoltre un’anagrafe a cui possono iscriversi i disoccupati. E’ consentito anche il passaggio diretto da un’azienda ad un’altra a parità di mansioni. Al neo lavoratore viene consegnata dal datore una scheda con il numero di matricola, le mansioni per cui è stato assunto. Le mansioni indicano l'insieme dei compiti e delle specifiche attività che il prestatore di lavoro deve eseguire nell'ambito del rapporto di lavoro. Le mansioni costituiscono l'oggetto specifico dell'obbligazione lavorativa e sono individuate nel contratto di lavoro per cui (art. 2103 c.c.) «il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto», ma anche alle mansioni corrispondenti alla categoria o livello superiore che abbia successivamente acquisito (con aumento della retribuzione) oppure a mansioni equivalenti a quelle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Inoltre, al fine di tutelare il lavoratore che abbia acquisto una professionalità l’assegnazione a mansioni superiori diviene definitiva, se la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. In particolare l’art. 2103 del Codice civile pone il divieto di assegnare il lavoratore a mansioni inferiori (cd. mobilità verso il basso), a meno che non si sia in presenza di esigenze straordinarie sopravvenute e temporanee, oppure per tutelare la salute del lavoratore o il suo interesse alla conservazione del posto di lavoro (è il caso della lavoratrice madre). Oltre questi casi, il lavoratore può rifiutarsi di svolgere mansioni diverse da quelle per le quali è stato assunto.
Ai lavoratori sono assegnate quattro categorie in relazione a cui si specificano le mansioni:
dirigenti: collaborano con l’imprenditore. Hanno responsabilità di parti o dell’intera azienda e piena autonomia
quadri: hanno poteri direttivi, ampie responsabilità, ma non sono autonomi
impiegati: per attività intellettuali di attuazione delle direttive del datore (i. di concetto) o attività esecutive (i.d’ordine)
operai: mansioni manuali
Categorie protette
Permane comunque per i datori di lavoro l’obbligo di assumere lavoratori disabili (persone in età lavorativa con deficit superiore al 45%, invalidi del lavoro superiori al 33%, non vedenti, sordomuti, invalidi di guerra) in caso di nuove assunzioni nella misura di
- 1 lavoratore se si hanno da 15 a 35 dipendenti
- 2 lavoratori se si hanno da 36 a 50 dipendenti
- 7% oltre
Il patto di prova
Il contratto di lavoro può prevedere un periodo di prova, durante il quale ciascuna parte può recedere senza obbligo di preavviso. La legge richiede la forma scritta. Oggetto del patto è la verifica delle capacità professionali e della personalità del lavoratore, mentre il datore ha l'obbligo di permettere l'effettivo svolgimento della prova.
Durante il periodo di prova non trova applicazione la disciplina sui licenziamenti: il recesso è discrezionale, e non deve essere motivato. Va però precisato che l’unica ragione per cui si può licenziare è il mancato superamento della prova. Di conseguenza, il licenziamento è illegittimo se il datore non ha consentito l'esecuzione della prova o se ha licenziato per una ragione discriminatoria
La legge prevede un triplice regime in caso di licenziamento illegittimo intimato durante il periodo di prova:
in un normale rapporto di prova, ad esempio per l'incongruità del periodo, è previsto il solo risarcimento;
in un rapporto di prova con l’avviato invalido è prevista la reintegrazione nel posto di lavoro qualora l’esperimento non sia stato effettuato “con mansioni confacenti alla menomazione dell’invalido”;
nel caso di recesso nullo per motivo discriminatorio è stabilito l'obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro.
La durata del patto è stabilita dal contratto collettivo, che solitamente pone il limite di 6 mesi. Il periodo di prova è calcolato come periodo di lavoro effettivo per cui la retribuzione è uguale a quella degli altri lavoratori regolarmente assunti.
Diritti non patrimoniali dei lavoratori
La Costituzione italiana sancisce i diritti assoluti del lavoratore come la libertà di pensiero con cui il lavoratore può manifestare liberamente le proprie idee nei luoghi dove presta la sua attività lavorativa. Ogni tentativo del datore di lavoro di limitare questo diritto, con atti discriminatori nell'assunzione o durante il rapporto di lavoro o di indagine per appurare le opinioni politiche, religiose, sociali e sindacali, è punito penalmente. Il diritto di libertà di opinione non può essere giustificazione per il totale o parziale inadempimento dell'obbligazione lavorativa, giacché ogni manifestazione di pensiero deve comunque non ledere il datore di lavoro. Anche il divieto di indagini è derogato nel caso in cui i fatti oggetto dell'indagine siano pertinenti all'attività del lavoratore e siano ed abbiano rilievo per valutare la capacità e la formazione effettiva del lavoratore da assumere o per l'esecuzione di determinati incarichi.
Ogni lavoratore ha diritto ad un riposo giornaliero di almeno 11 ore consecutive e a pause di non meno di 10 minuti durante l'attività lavorativa per occupazioni che richiedono più di 6 ore di lavoro.
Il riposo settimanale deve essere concesso ogni 7 giorni, durare almeno 24 ore consecutive in coincidenza con la domenica. È ammesso lo spostamento del giorno di riposo ad un altro giorno settimanale soltanto per attività che non possono essere sospese la domenica, ma in tal caso il lavoratore deve godere delle maggiorazioni retributive (non valide ad esempio nel settore ospedaliero dove si creano turni di lavoro e di riposo particolari). La legge prevede inoltre 11 festività infrasettimanali, disciplinando anche il trattamento economico nel caso non vengano godute o coincidano con la domenica o con il giorno destinato al riposo settimanale.
Le ferie invece hanno carattere anche ricreativo, pertanto non devono in genere durare meno di quattro settimane in modo possibilmente continuativo. Sono incompatibili con lo stato di malattia del lavoratore e non possono essere godute durante il preavviso di licenziamento.
Obblighi del lavoratore
In capo al lavoratore, vi è un'obbligazione strettamente personale che non ammette (salvo rarissime e peculiari eccezioni) l'adempimento da parte di sostituti o la cessione del contratto. Il lavoratore deve inoltre prestare la propria opera nel luogo e nei tempi indicati dal datore. Il luogo di lavoro può essere cambiato unilateralmente dal datore di lavoro: tale potere non ha limiti se il trasferimento avviene all'interno della stessa unità produttiva, ma può essere effettuato soltanto per ragioni tecniche, organizzative o produttive se avviene in diverse unità produttive. Il lavoratore ha inoltre obbligo di fedeltà cioè deve prendersi cura degli interessi del datore di lavoro, astenendosi da atteggiamenti che possano pregiudicarli. Il divieto principale riguarda la concorrenza ai danni del datore di lavoro (sia sleale, vietata a chiunque in qualsiasi forma, sia leale).
L’art. 2125 del Codice civile consente al datore di lavoro di tutelarsi anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro, prevedendo la possibilità di stipulare (all’atto dell’assunzione, nel corso del rapporto o al momento della sua cessazione) in forma scritta, con il lavoratore, un apposito patto di non concorrenza, in forza del quale il datore di lavoro si obbliga a corrispondere una somma di denaro al lavoratore e questi, a sua volta, si obbliga a non svolgere attività concorrenziale con quella del proprio datore una volta cessato il rapporto. Devono anche essere indicati limiti di oggetto, di tempo e di luogo. La durata massima del patto di non concorrenza è stabilita in cinque anni per i dirigenti ed in tre per gli altri prestatori di lavoro (quadri, impiegati e operai).
Il lavoratore, invece, può stipulare altri contratti di lavoro che non danneggino il datore.
Il datore di lavoro ha l’obbligo di prendersi cura della sicurezza del lavoratore (vedi dopo), ma il lavoratore deve porre attenzione al proprio comportamento e alle conseguenze su altre persone, informando l’azienda di eventuali malfunzionamenti. Il lavoratore quindi non è soggetto passivo degno di tutela, ma deve collaborare col datore di lavoro per l'adempimento degli obblighi imposti dall'autorità.
Capitolo 3
Gli obblighi del datore di lavoro
La retribuzione è la principale obbligazione in capo al datore di lavoro. In ambito di retribuzione interviene addirittura la Costituzione: l'art.36, comma 1, infatti stabilisce che il lavoratore deve essere retribuito proporzionalmente al lavoro svolto (come quantità e qualità) e sufficientemente per poter aver una "esistenza libera e dignitosa" proporzionata anche alle concrete esigenze del singolo lavoratore e della propria famiglia. La proporzionalità è determinata, salvo qualche valutazione affidata alla discrezione della parti, dalla disciplina sindacale. La giurisprudenza infatti ritiene sufficiente la retribuzione quando questa è pari o superiore ai minimi tabellari contenuti nei contratti collettivi. La retribuzione è stabilita, nei limiti predetti di proporzione sufficienza, dalla contrattazione collettiva e, in senso migliorativo, dai contratti aziendali e da quelli individuali. La retribuzione non è mero corrispettivo dell'adempimento dell'attività, ma dell'impegno profuso personalmente nell'attività, tant'è vero che spesso il lavoratore viene retribuito anche quando non adempie all'obbligazione (ferie, permessi, gratifica natalizia, tredicesima, indennità di anzianità, ecc).
L'art. 2099 del c.c. stabilisce che la retribuzione deve essere effettuata "con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito", possibilmente quindi sul posto di lavoro, in denaro e periodicamente (solitamente mensilmente). È prevista tuttavia anche, del tutto o in parte, la retribuzione in natura. La modalità di percepimento inoltre rende possibile individuare quattro tipi di retribuzione:
La retribuzione a tempo prevede che l'ammontare del pagamento retributivo sia proporzionato alla durata dell'attività lavorativa.
La retribuzione a cottimo invece è relazionata al risultato conseguito da un singolo lavoratore (cottimo individuale) o da un gruppo di lavoratori (cottimo collettivo) in termini di prodotti realizzato; il compenso unitario che spetta al lavoratore può essere riferito al numero di unità prodotte (cottimo puro) o alla quantità di lavoro realizzato e al tempo impiegato (cottimo a tempo). Solitamente i contratti collettivi preferiscono disciplinare una retribuzione che non sia interamente a cottimo, ma che preveda una maggiorazione su una base comunque certa stabilita in ragione del tempo (cottimo misto). Il cottimo è vietato durante il tirocinio, in quanto l'apprendista non ha solitamente le capacità per rendere in modo sufficiente. È obbligatorio invece in quegli ambiti lavorativi dove va mantenuto un certo ritmo di produzione e per i lavoratori a domicilio. Spetta alla contrattazione collettiva stabilire retribuzioni e i rami del lavoro dove è obbligatorio questo tipo di retribuzione.
La retribuzione a premio è commisurata a determinati risultati raggiunti (ad es. il volume di vendite raggiunto), per es. per un rappresentante può essere rappresentato dalle provvigioni.
La partecipazione agli utili è corrisposta sulla base del risultato economico conseguito dall'azienda, ed è una forma aggiuntiva di retribuzione in quanto è legata al rischio di impresa.
Il lavoratore può essere retribuito anche con retribuzione variabile, ovvero con la partecipazione, in tutto o in parte, agli utili o ai prodotti dell'impresa in cui lavora.
La busta paga è suddivisibile in quattro parti:
1 – retribuzione diretta formata da paga base (prevista dal CCNL), superminimo (definito a livello aziendale o individuale), EDR (elemento distinto della retribuzione che sostituisce con un’una tantum la contingenza), scatti di anzianità, lavoro straordinario, festivo, notturno, premio di produttività, assegni familiari;
2 – retribuzione indiretta con ferie e festività
3 – retribuzione differita TFR
4 – trattenute previdenziali
5 – trattenute fiscali
Il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la sicurezza personale del lavoratore. In particolare, secondo il codice e la Corte di Cassazione, il datore è tenuto ad applicare nell'ambito dell'impresa ogni innovazione che risulti dal campo della scienza ancor prima che sia in effettiva diffusione e che ne sia stata verificata l'effettività. Ultimamente è stata recepita la disciplina comunitaria, che ha introdotto, a tutela della prevenzione dei pericoli per la salute del lavoratore, l'obbligo per il datore di valutare anticipatamente quali possano essere i fattori di rischio da inserire in un documento di valutazione dei rischi, insieme alle forme di precauzione adottate e a un programma di costante miglioramento di quest'ultime. Il datore inoltre deve informare e formare il lavoratore sui rischi connessi alla propria professionalità e deve nominare un Responsabile per la Sicurezza
I poteri del datore di lavoro
In caso di violazione, da parte del lavoratore, dei doveri di osservanza, diligenza e fedeltà il datore di lavoro può predisporre di un potere disciplinare con cui può irrorare sanzioni proporzionate (e stabilite in sede di CCNL) solo in caso di effettivo inadempimento dell'obbligazione lavorativa purchè, all'interno dell'azienda, vi sia un codice disciplinare con le infrazioni e relative sanzioni. Le sanzioni comminabili sono esclusivamente quelle previste dalla legge: richiamo verbale, ammonizione scritta, multa, sospensione e licenziamento“disciplinare”. In nessun caso sono utilizzabili in prospettiva sanzionatoria gli istituti attinenti alla normale gestione del rapporto di lavoro (trasferimento, mutamento di mansioni, ecc.). Il datore di lavoro deve, in secondo luogo, rendere pubblico il codice disciplinare, mediante affissione dello stesso in luogo accessibile a tutti i dipendenti. La multa non può essere superiore a quattro ore di retribuzione e la sospensione dal lavoro a dieci giorni. Le sanzioni (sempre impugnabili) non possono mutare definitivamente il rapporto di lavoro. L’onere della prova in ordine alla sussistenza del fatto spetta al datore e il lavoratore deve dimostrare le ragioni della non imputabilità (es. cause di forza maggiore, imputabilità a terzi ecc.) .
Il datore è tenuto a contestare immediatamente per iscritto e in modo preciso e puntuale l'addebito al prestatore. Inoltre il fatto risultante dalla contestazione non può essere successivamente modificato. Il datore di lavoro deve inoltre consentire l'esercizio del diritto di difesa da parte del prestatore, che deve essere sentito qualora ne faccia richiesta. In ogni caso, le sanzioni più gravi del rimprovero verbale non possono essere irrogate prima che siano trascorsi 5 giorni dalla contestazione. La legge non prevede un termine massimo entro cui il datore può procedere ad irrogare la sanzione, termine che è però previsto da alcuni contratti collettivi (ad es. quello dei metalmeccanici). La sanzione eventualmente comminata dal datore può essere impugnata, a scelta del lavoratore, con ricorso al Giudice del lavoro (entro cinque anni) o davanti ai collegi arbitrali (eventualmente previsti dal contratto collettivo) o davanti ai collegi di conciliazione e arbitrato costituiti in seno alle Direzioni provinciali del lavoro (anche su richiesta del sindacato, nel termine di 20 giorni dalla comminazione della sanzione). L'impugnazione avanti ai collegi arbitrali comporta la sospensione della sanzione fino alla definizione della procedura.
Spetta poi al datore di lavoro il potere direttivo in cui rientra anche la superiorità gerarchica dell'imprenditore e dei suoi collaboratori sul lavoratore nell'ambito dell'organizzazione dell'impresa e della specificazione di modi e tempi della prestazione lavorativa e il potere di vigilanza cioè il controllo sulla prestazione lavorativa. I limiti generali all'esercizio del potere direttivo del datore di lavoro sono specificati soprattutto dalla Statuto dei lavoratori, che pone dei fondamentali diritti dei lavoratori subordinati, i quali non possono essere compressi dal potere direttivo come, ad esempio, il divieto di discriminazione, il divieto di compiere indagini sulle opinioni del lavoratore, il diritto del lavoratore di esprimere liberamente il proprio pensiero anche sul luogo di lavoro, i divieti di utilizzo di guardie giurate e di forme di sorveglianza a distanza, i divieti di effettuare accertamenti medici diretti ovvero ispezioni corporali sui lavoratori (salvo che a campione e come concordato coi sindacati per motivi di sicurezza del patrimonio aziendale).
L’orario di lavoro
L'orario di lavoro è disciplinato solitamente dalla contrattazione collettiva e il d.lgs. n.66 del 2003, che cambia il limite tassativo precedente di orario fisso giornaliero, stabilendo che il lavoratore ha sempre e comunque diritto ad almeno 11 ore di riposo ogni 24 ore. L'orario settimanale, invece, si divide in normale (40 ore lavorative, sempre riducibili dalla contrattazione collettiva) e massimo (variabile a seconda della contrattazione collettiva). Il ricorso al lavoro straordinario è consentito (2 ore al giorno) nei limiti della disciplina sindacale e, ove manchi, soltanto col consenso del lavoratore per un massimo annuale di 250 ore. La prestazione straordinaria è dovuta al datore in particolari situazioni di esigenza tecnica-produttiva che rendono impossibile l'assunzione di ulteriore personale o per cause di forza maggiore, grave pericolo e simili. Il lavoro straordinario, come quello notturno, deve essere necessariamente retribuito con una maggiorazione del salario prevista dai contratti collettivi, sostituibile o integrabile soltanto da riposi aggiuntivi. Per quanto riguarda i minorenni non possono lavorare più di 8 ore al giorno e 40 la settimana.
Capitolo 4
Legge Biagi
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La legge 30/2003, chiamata anche legge Biagi, "Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro" è una legge di riforma del mercato del lavoro. Ad essa ha fatto seguito il D. Lgs. 276/2003 "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30" e le sue successive modifiche.
La legge Biagi introduce una serie di novità la cui portata è paragonabile allo Statuto dei lavoratori. Diversamente da quest'ultimo, però, l'intento del legislatore parte da due presupposti:
1) la flessibilità in ingresso nel mercato del lavoro è il mezzo migliore, nella attuale congiuntura economica, per agevolare la creazione di nuovi posti di lavoro
2) la rigidità del sistema crea spesso alti tassi di disoccupazione.
Pregi Le aziende che hanno deciso di introdurre le nuove tipologie contrattuali per le assunzioni, hanno beneficiato di sconti contributivi e fiscali nonché di un maggiore fattore di ricambio del personale. Le forme contrattuali previste (i cosiddetti contratti atipici di lavoro) sono considerevolmente aumentate per meglio venire incontro alle molteplici esigenze di un mercato del lavoro eterogeneo e globalizzato. I primi anni di attuazione della legge Biagi hanno visto una generale riduzione del tasso di disoccupazione e inoltre sembra, che col tempo, la situazione lavorativa di coloro che sono entrati nel mondo del lavoro con un contratto c.d. flessibile tenda a stabilizzarsi ed a concretizzarsi in un contratto a tempo indeterminato. La legge Biagi introduce inoltre un obbligo in solido di appaltatore (es. FIAT) e società appaltatrice (es ADECCO) per il pagamento delle retribuzioni;
Difetti Alla prevista flessibilità non ha fatto seguito una riforma perpendicolare sugli ammortizzatori sociali, tramutando di fatto una situazione di lavoro flessibile in una situazione precaria, e soprattutto un contesto economico nel quale è facile e rapido il ricollocamento nel mondo del lavoro. Dovendo poi le aziende versare minori contributi, i lavoratori precari hanno un accantonamento pensionistico inferiore ai loro colleghi con contratti tipici. Questa situazione, combinata al progressivo invecchiamento dei componenti del nostro paese, ha fatto emergere un dibattito sull'opportunità di integrare le pensioni statali (gestite dall'Inps) con un fondo pensione privato (il cui rischio ricade però totalmente sul sottoscrittore). L'elevato numero di forme contrattuali previste ha, in molti casi, disorientato le società (soprattutto quelle medio-piccole), spingendole a sfruttare solo una piccola percentuale dell'ampio ventaglio di soluzioni messo a disposizione. Nel mercato del lavoro, le retribuzioni e i livelli di qualifica non sono proporzionate al livello di istruzione crescente delle ultime generazioni. Esiste inoltre una forte differenza di salario, a parità di mansioni, tra operaio, quadro e impiegato di concetto, fra i differenti contratti nazionali.
Il lavoro precario inoltre crea delle situazioni economiche complicate per i dipendenti con in contratti "atipici" che in quanto precari, non sono in grado di poter fornire garanzie reali di un salario nel lungo periodo, lasciandoli in evidente difficoltà nel momento in cui sono costretti, anche in età avanzata, a richiedere agli istituti di credito del denaro per far fronte alle piccole spese quotidiane o per l'acquisto della casa nella quale andare ad abitare.
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Contratto di lavoro ripartito
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Il contratto di lavoro ripartito, o job sharing, è una tipologia di contratto di lavoro con il quale due lavoratori si impegnano ad adempiere solidalmente ad un'unica e identica obbligazione lavorativa. La forma prevista è quella scritta e l'atto deve contenere la percentuale temporale del lavoro che deve essere svolto da entrambi i lavoratori (nel caso non fosse indicato, ognuno dei due soggetti resta responsabile solidalmente nei confronti del datore) con le eventuali penali che scattano se non è assicurato il servizio pattuito. Se uno dei contraenti è assente da luogo di lavoro, anche per cause di forza maggiore, quali sciopero o malattia, gli altri sono obbligati in solido a coprire il relativo turno di lavoro, senza maggiorazioni per lavoro straordinario. Eventuali sostituzioni da parte di terzi, nel caso di impossibilità di uno o di entrambi i lavoratori coobbligati, sono vietate a meno che il contratto lo preveda. I contraenti possono invece modificare e scambiarsi i propri turni di lavoro, e in questo caso, il trattamento economico è riproporzionato in base alla durata e collocazione oraria (festivo, notturno, etc.) della prestazione. Il lavoratore è privato di diritti e tutele quali lo sciopero, la copertura per malattia e assicurativa, rischiando il pagamento di penali. Nel caso di recesso o estinzione da parte di uno dei due contraenti, il rapporto di lavoro cessa anche per l'altro.
Contratti formativi
I contratti di lavoro con funzione formativa sono contratti di lavoro subordinato che consentono la formazione professionale dell'individuo e la possibilità di accumulare esperienza e conoscenze in un determinato settore. Si dividono in:
1) contratto di apprendistato: patto fra datore di lavoro e dipendente, in base al quale l'apprendista accetta condizioni contrattuali peggiori (in termini ad esempio di retribuzione, di durata del rapporto, di ammortizzatori sociali) in cambio di una formazione specializzata tale da garantirgli una cospicua crescita professionale. Se ne prevedono tre tipologie:
a) apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione per giovani di età fra i 16 e i 18 anni e una durata massima di tre anni;
b) apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale (per soggetti da 18 a 29 anni) e durata dai 2 ai 6 anni. Il contratto deve descrivere l’eventuale qualifica che potrà essere acquisita al termine del rapporto di lavoro sulla base degli esiti della formazione aziendale od extra-aziendale. Il datore di lavoro ha possibilità di recedere dal rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, ma non anticipatamente. La regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante e' rimessa alle Regioni, d'intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro nel rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi: a) previsione di un monte ore di formazione interna o esterna alla azienda di almeno centoventi ore per anno; b) rinvio ai contratti collettivi di lavoro nazionali, territoriali o aziendali per la determinazione delle modalità di svolgimento delle 120 ore; c) riconoscimento sulla base dei risultati conseguiti della qualifica professionale ai fini contrattuali; d) registrazione della formazione effettuata nel libretto formativo; e) presenza di un tutor aziendale con formazione e competenze adeguate.
c) apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione (per l'attivazione dei profili formativi le Regioni e Province autonome devono coinvolgere anche le Università) es. POLIS.
Il rapporto di lavoro sorto dall'accordo fra le parti è di tipo misto comportando un onere anche per il datore di lavoro sia per l’effettiva formazione professionale ed il trasferimento di competenze tecnico-scientifiche sia per l'affiancamento pratico per l'apprendimento di abilità operative, nonché la retribuzione per il lavoro svolto. L'assunzione di apprendisti richiede la stipula di un contratto di lavoro in forma scritta con allegato il Piano Formativo Individuale, mentre il numero degli apprendisti assunti non può superare quello dei lavoratori dipendenti qualificati effettivi. I contratti collettivi determinano la durata del rapporto di apprendistato, comunque per legge non inferiore a due anni e non superiore a sei anni.
2) contratto di formazione e lavoro: contratto scritto a tempo determinato con l'obbligo per il datore di lavoro di fornire, oltre alla retribuzione, una formazione lavorativa specifica. Pur essendo molto simile al contratto di apprendistato, se ne differenzia per la durata (12 o 24 mesi) e per la stipulabilità soltanto da datori di lavoro che, al momento della richiesta di avviamento, abbiano mantenuto in servizio almeno il 60% di coloro che avevano un contratto identico nei 24 mesi precedenti. Per alcuni ambiti, è stato sostituito dal
3) contratto di inserimento: Vai a: Navigazione, cerca
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contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, "diretto a realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l'inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro". La finalità del legislatore è quella di agevolare la difficile collocazione di soggetti disoccupati o inoccupati: giovani tra i diciotto e ventinove anni, disoccupati ultra cinquantenni, disoccupati di lunga durata di età da 29 a 32 anni, donne di qualsiasi età residenti in zone ad alto tasso di disoccupazione femminile, persone con grave handicap. La durata può oscillare fra i 9 ed i 18 mesi, elevabili a 36 per portatori di handicap. Il contratto non è rinnovabile fra le stesse parti, ma può essere prorogato nel rispetto della durata massima complessiva. Vige il divieto di stipulare tali contratti negli stessi casi nei quali è vietato il lavoro a termine, nonché qualora nei 18 mesi precedenti il datore di lavoro non abbia effettuato la trasformazione del 60% dei "contratti di inserimento" in contratti a tempo indeterminato. Il datore di lavoro è fortemente incentivato alla conclusione di tali contratti in quanto: gli è concesso inquadrare il lavoratore in una categoria fino a due livelli inferiore a quella corrispondente alla qualifica da conseguire; tali lavoratori sono esclusi dal computo dell'organico ai fini della soglia dimensionale necessaria per l'applicazione di alcune tutele legali e collettive (es. assunzioni disabili); sono previste le medesime riduzioni contributive previste per il Contratto di formazione e lavoro.
Segue Capitolo 4
Contratto a progetto
Il contratto di lavoro a progetto (co.pro.) è stipulato, in forma scritta, fra datore e lavoratore (senza l’intervento e la tutela del sindacato) e deve essere ricondotto ad uno o più progetti specifici o a programmi di lavoro oppure a fasi di un programma di lavoro che deve essere gestito autonomamente dal lavoratore a progetto in funzione del risultato. Il lavoro a progetto è dunque configurabile come un lavoro autonomo. Non esiste un salario base e la "clausola di preavviso", di solito inserita nei contratti a progetto, autorizza il datore a licenziare con uno o più mesi di preavviso il lavoratore, senza specificare il motivo e senza giusta causa. Ciò annulla le tutele del lavoratore che può subire la cessazione del rapporto contrattuale, per qualunque assenza dal lavoro. I giorni di assenza non sono retribuiti, anche in caso di impossibilità a svolgere il servizio, dovuta a cause indipendenti dal lavoratore (come ad es. improvvisa chiusura del luogo di lavoro, cause di forza maggiore etc.). Inoltre il contratto deve prevedere l’indicazione della durata che deve essere determinata o determinabile. E’ stata prevista l'espressa sanzione della conversione a tempo indeterminato se il giudice accerta la mancanza del progetto e dei requisiti di autonomia lavorativa propri della fattispecie legale, fatta salva la situazione dei contratti di collaborazione in essere presso enti della pubblica amministrazione. Il salario è spesso legato, in tutto o in parte, al raggiungimento degli obiettivi, e non al monte ore speso nel rapporto di lavoro. Esso quindi si avvicina più al modello del compenso proprio del prestatore d'opera, che allo stipendio dovuto al lavoratore per lo svolgimento della sua attività; in questo senso può non essere corrisposto laddove l'obiettivo non risulti raggiunto. Inoltre la riconducibilità del modello legale al rapporto di lavoro autonomo implica la possibilità del datore di lavoro di determinare liberamente la periodicità della corresponsione del salario. Il contratto a progetto, infatti, contiene un compenso lordo comprensivo di tasse, contributi INPS e assicurazione, e la modalità di erogazione non è necessariamente mensile, ma lasciata alla libera determinazione delle parti. Il compenso può riguardare anche un anno di lavoro e può essere erogato in una singola tranche, a conclusione del rapporto di lavoro. Non vengono corrisposte, pertanto, mensilità ulteriori come la c.d. tredicesima, ovvero il trattamento di fine rapporto; ogni forma di compenso viene inclusa nell'unica somma complessiva concordata fra le parti al momento della stipula del contratto. Il contratto a progetto non prevede l'esclusività del rapporto di lavoro fra datore e lavoratore, salvo diverse previsioni contrattuali. La possibilità di rinnovare infinite volte il contratto è spesso utilizzata dai datori di lavoro per eludere le forme e gli adempimenti propri del contratto di lavoro a tempo indeterminato; il lavoratore a progetto si trova altresì, in questo modo, in condizione di costante precarietà. La stessa tutela della maternità assume aspetti problematici, nell'ambito del lavoro a progetto, perché se da una parte è espressamente prevista la facoltà (non l'obbligo) per la lavoratrice in stato di gravidanza di astenersi dal lavoro durante i canonici 5 mesi prima e dopo il parto, godendo della sospensione del contratto e del mantenimento del posto di lavoro, nella maggior parte dei casi tuttavia la brevità del contratto e la grande disparità di potere contrattuale fra datore e lavoratore pone la lavoratrice nella necessità di celare la gravidanza o comunque di non abbandonare il posto di lavoro finché le è materialmente possibile. Va inoltre ricordato che l'indennità di maternità delle lavoratrici a progetto è di norma piuttosto ridotta, ammontando all'80% del salario complessivamente ricevuto nei 365 giorni precedenti all'inizio del periodo di maternità, a condizione che la lavoratrice abbia versato contributi per almeno 3 mesi nell'anno precedente. Ciò rende piuttosto difficile la condizione di quelle lavoratrici che svolgono lavori a progetto solo per alcuni periodi dell'anno. Per le lavoratrici a progetto, inoltre, e i loro coniugi o conviventi, non è disponibile il diritto ai congedi parentali e all'astensione facoltativa.
Come gli altri lavoratori autonomi e dipendenti, i co.co.pro versano, parzialmente tramite i datori di lavoro, contributi (che consistono all'incirca nei 2/3 della ordinaria contribuzione INPS, di cui 1/3 a carico del lavoratore e 2/3 a carico del datore di lavoro) a una cassa mutua di categoria (c.d. gestione separata, attualmente non cumulabile con eventuali altri contributi pagati ad altri fondi INPS) e pagano assicurazioni antinfortunistiche. Per ricevere un premio dell'assicurazione o una indennità di malattia è necessario che il lavoratore chieda alcuni giorni di sospensione del rapporto di lavoro; poiché questo può spingere il datore a cessare il rapporto, ciò di fatto impedisce al lavoratore di utilizzare servizi e contributi, per i quali ha subito delle trattenute.
Contratto di lavoro intermittente (o a chiamata)
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Contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore per lo svolgimento di una prestazione di lavoro "su chiamata". Vale per settore turistico e spettacolo, custodi, guardiani, portinai, personale di sorveglianza, Call center, receptionist di albergo, addetti alle pompe di carburante. Tali limiti non operano in caso di contratto stipulato con lavoratori di età inferiore a 25 anni o superiore a 45 (anche se già pensionati). È inoltre ammesso il ricorso al lavoro intermittente durante i fine settimana, le ferie estive e le vacanze pasquali e natalizie.
Il contratto può essere concluso anche con lavoratori già occupati, anche a tempo pieno, purché siano rispettati i limiti in merito al riposo settimanale obbligatorio. Uno stesso lavoratore può concludere più contratti, purché non siano incompatibili.
Non si può ricorrere al lavoro a chiamata nei seguenti casi qualora il datore di lavoro non abbia effettuato la valutazione dei rischi o al fine di sostituire lavoratori in sciopero o nel caso in cui il datore abbia proceduto a licenziamenti collettivi nei sei mesi precedenti l'assunzione o nel caso di cassa integrazione guadagni. Il contratto di lavoro deve necessariamente precisare: le esigenze che giustificano il ricorso al lavoro a chiamata; la durata del contratto (che può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato); l'indicazione dei tempi e delle modalità con cui il datore può richiedere la prestazione; i tempi e le modalità di corresponsione della retribuzione ; le eventuali misure di sicurezza specifiche.
Al lavoratore "intermittente" deve essere garantito, a parità di mansioni svolte, il medesimo trattamento normativo, economico e previdenziale riconosciuto ai colleghi di pari livello. Il trattamento deve ovviamente essere ridotto in proporzione al minore impiego del lavoratore, specie con riferimento alla retribuzione. Sono proporzionatamente ridotti anche i trattamenti per malattia, infortunio, maternità e congedi parentali. Spettano invece per intero al lavoratore intermittente sia l'assegno per il nucleo familiare che l'indennità di disoccupazione (per i periodi non lavorati).
Qualora il lavoratore si impegni a restare a disposizione del datore in attesa della chiamata (garantendo quindi la sua prestazione lavorativa in caso di necessità), il datore è tenuto a corrispondergli mensilmente una c.d. indennità di disponibilità. In questi casi, il contratto deve altresì precisare: il preavviso per la chiamata ; l'importo e le modalità di pagamento dell'indennità di disponibilità (il minimo è fissato dai CCNL). Il lavoratore che, per malattia o altra causa, si trovi nell'impossibilità di rispondere alla chiamata deve informare tempestivamente il datore di lavoro.
Se è stata assicurata la disponibilità a chiamata, il lavoratore non può rifiutare di fornire la prestazione senza fondato motivo, pena la perdita dell'indennità e il risarcimento del danno eventualmente arrecato al datore.
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Somministrazione di lavoro
Prevede il coinvolgimento di tre soggetti: il somministratore, (un'Agenzia per il lavoro autorizzata dal Ministero del Lavoro che stipula un contratto con un lavoratore); l'utilizzatore (un'azienda pubblica o privata che necessita di tale figura professionale) e il lavoratore.
Tra questi tre soggetti vengono stipulati due diversi contratti: il contratto di somministrazione di lavoro, concluso tra somministratore e utilizzatore, e il contratto di lavoro concluso tra somministratore e lavoratore. In ogni caso, il rapporto lavorativo instaurato è tra il lavoratore e l'Agenzia per il lavoro, che per legge dovrà retribuire il lavoratore in maniera non inferiore a quella dei lavoratori dipendenti dal soggetto utilizzatore, e a corrispondere i contributi previdenziali (sono obbligati in solido il somministratore e l'utilizzatore).
I lavoratori, per stipulare il contratto di somministrazione, non versano alcun corrispettivo all'Agenzia, salvo per alcune professioni particolarmente sofisticate.
L'agenzia per il lavoro può offrire solitamente: contratti a tempo determinato part time o full time. Tali contratti sono della durata massima di 12 mesi. Ogni contratto può essere oggetto al massimo di quattro proroghe della durata massima di 6 mesi ciascuna.
Capitolo 5
Sospensione e Cessazione del rapporto di Lavoro
La sospensione avviene nel caso di infortunio, malattia, gravidanza e puerperio. Il lavoratore ha diritto ad un’indennità sostitutiva (non nel caso di sciopero, servizio militare o cariche pubbliche elettive) a carico degli Istituti Previdenziali cui sono stati versati i contributi e alla conservazione del posto. Se le cause di sospensione sono esterne all’azienda (guerre, alluvioni, ecc.) o interne (crisi) il lavoratore ha diritto
- alla CIG ordinaria ( in casi di difficoltà temporanea per tre mesi, massimo 1 anno) o alla CIG straordinaria (da 1 a tre anni) con l’80% della retribuzione (pagata con fondi statali e contributi versati dal datore)
- alla mobilità se terminata la CIG straordinaria l’azienda non riassume. La retribuzione è nuovamente pari all’80% per 12 mesi, ma si può essere assunti in altre aziende o enti.
- contratti di solidarietà per cui diminuiscono le ore di lavoro per evitare la CIG
La cessazione avviene per obiettiva impossibilità sopravvenuta (morte, chiusura dell’azienda ecc.), scadenza del contratto a tempo determinato; recesso unilaterale dovuto a dimissioni (con prevviso da parte del lavoratore non dovuto se conseguenti ad un trasferimento ingiustificato o a gravi inadempienze del datore) o licenziamento. Il licenziamento è l'atto con il quale il datore di lavoro recede unilateralmente dal contratto di lavoro con un suo dipendente. Nella maggior parte dei casi, il licenziamento del lavoratore dipendente è possibile solo in presenza di specifiche motivazioni socialmente giustificate e debitamente motivate al lavoratore (non devono essere motivati i licenziamenti di lavoratori domestici, in prova, con più di 65 anni e diritto alla pensione di vecchiaia, dirigenti. Le situazioni in cui si configura il licenziamento sono:
a) la situazione in cui si trova l'azienda (licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato in forma scritta), per una riorganizzazione del lavoro o per ragioni relative all'attività produttiva (innovazioni tecnologiche, modifica dei cicli produttivi che riducano il personale necessario ecc.), ovvero per una crisi aziendale o la chiusura dell’azienda o l’affidamento di servizi ad imprese esterne. Se il licenziamento interessa cinque o più lavoratori nell'arco di 120 giorni, il datore è tenuto ad osservare la speciale disciplina prevista per i licenziamenti collettivi.
b) o a causa della condotta del lavoratore (licenziamento disciplinare cioè comportamenti colposi o dolosi del lavoratore). In relazione alla gravità della condotta, nel diritto italiano si distingue fra licenziamento disciplinare
1) per giusta causa cioè un comportamento talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto neppure a titolo provvisorio (in sostanza neppure per il tempo previsto per il preavviso di licenziamento). In queste ipotesi, il datore può licenziare in tronco, senza dare alcun preavviso. A titolo esemplificativo, possono costituire giusta causa di licenziamento: rifiuto ingiustificato e reiterato di eseguire la prestazione lavorativa/insubordinazione contrattuale; rifiuto a riprendere il lavoro dopo visita medica che ha constatato l'insussistenza di una malattia; lavoro prestato a favore di terzi durante il periodo di malattia, se tale attività pregiudica la pronta guarigione e il ritorno al lavoro; sottrazione di beni aziendali nell'esercizio delle proprie mansioni (specie se fiduciarie); condotta extralavorativa penalmente rilevante ed idonea a far venir meno il vincolo fiduciario (es. rapina commessa da dipendente bancario). Sono casi talmente gravi non sostituibili da nessuna sanzione.
2) per giustificato motivo soggettivo: è un'ipotesi meno grave di inadempimento degli obblighi contrattuali, che giustifica il licenziamento ma con l'obbligo da parte del datore di lavoro di concedere il preavviso previsto (ovvero di pagarne il relativo ammontare). Possono costituire ipotesi di giustificato motivo soggettivo: l'abbandono ingiustificato del posto di lavoro; minacce, percosse; reiterate violazioni del codice disciplinare di gravità tale da condurre al licenziamento
La condotta del lavoratore dipendente deve comunque essere valutata sia con riguardo alle modalità concrete del comportamento (tipo di rapporto, grado di affidamento fiduciario, gravità intrinseca della condotta, ecc.) sia all'elemento soggettivo (intensità del dolo, grado della colpa, motivazioni, circostanze di fatto, effetti dell'atto).
Il lavoratore da licenziare deve essere scelto secondo correttezza e buona fede secondo i criteri concordati con le associazioni sindacali (es. minore anzianità di servizio, minore carico di famiglia, età, ecc.). In ogni caso è ovviamente vietato scegliere il lavoratore da licenziare sulla base di motivazioni discriminatorie (razziali, di sesso, di orientamento sessuale, ecc.). Prima di procedere al licenziamento, il datore di lavoro ha l'obbligo di verificare che il lavoratore non possa essere adibito, nella medesima azienda, a mansioni equivalente in altro posto di lavoro. Una presunzione di illegittimità del licenziamento si ha qualora il datore assuma, nei mesi successivi al licenziamento, nuovi lavoratori (anche a termine) per ricoprire le stesse mansioni in precedenza esercitate dai dipendenti licenziati.
Sotto il profilo della procedura da seguire, si deve distinguere il licenziamento disciplinare (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo) da quello non disciplinare (giustificato motivo oggettivo). Quest’ultimo dispiega i suoi effetti quando la lettera con cui è intimato perviene all'indirizzo del lavoratore (articolo 1335 c.c.). Il licenziamento disciplinare, che non può prescindere dalla pubblicazione in azienda del codice disciplinare con le relative sanzioni, va immediatamente contestato al lavoratore con l’elenco puntuale delle motivazioni in modo da dare al lavoratore la possibilità di difendersi.
Il licenziamento non sorretto da giusta causa o giustificato motivo, o intimato senza rispetto della prescritta procedura, o contrario a norme imperative (es. perché discriminatorio, o comminato nei periodi in cui non è possibile recedere per tutela della lavoratrice madre) può essere impugnato.
L'impugnazione è di norma proposta dal lavoratore personalmente, ovvero dal sindacato cui questi è iscritto o da un legale munito di procura speciale. Per impugnare il licenziamento, entro 60 giorni, è sufficiente qualsiasi atto scritto (di norma una lettera) con cui il lavoratore comunichi al datore di lavoro la sua intenzione di contestare la legittimità del provvedimento espulsivo. Impugnato per tempo il licenziamento, il lavoratore ha cinque anni di tempo (termine prescrizionale) per iniziare la causa contro il datore di lavoro.
TFR
Ne ha diritto qualsiasi lavoratore al termine del rapporto di lavoro (nel caso in cui il datore sia insolvente lo paga l’INPS)
Tutela della lavoratrice madre
La Costituzione afferma che la tutela del lavoro minorile e femminile è un dovere sociale e che vale per questi soggetti il principio di parità di diritti e doveri.
I soggetti titolari del rapporto previdenziale sono tutte le lavoratrici subordinate, autonome, libere professioniste, lavoratrici sospese, assenti dal lavoro, disoccupate (entro uno specifico periodo successivo alla cessazione dell’attività lavorativa), quelle impiegate in lavori socialmente utili, lavoratrici precarie del settore pubblico, dirigenti. Titolare del rapporto è anche il padre, cui la legge riconosce il diritto di assentarsi dal lavoro in sostituzione della madre sia durante il periodo di astensione obbligatoria, sia durante quello di astensione facoltativa. L'evento maternità comprende anche quello che si realizza mediante adozione e affidamento preadottivo. Il diritto all’astensione rimane anche se il bambino nasce morto o avviene un aborto dopo 180 giorni.
La protezione riguarda:
- il periodo di astensione obbligatoria: nei due mesi precedenti la data presunta del parto e nei tre mesi successivi la data effettiva è prevista la sospensione dal servizio. Con autorizzazione del medico, peraltro, è possibile far decorrere i cinque mesi di sospensione dall’inizio dell’ultimo mese di gravidanza. Non esiste obbligo di astensione per le lavoratrici autonome;
- il periodo di astensione facoltativa successiva al parto: essa è riconosciuta ad entrambi i genitori nei primi otto anni di vita del bambino, per un periodo complessivo, anche contemporaneo, di 10 mesi. E’questo il cosidetto congedo parentale di cui il padre puo’ usufruire fin dalla nascita del figlio, mentre la madre è in congedo obbligatorio.
- i permessi per l’allattamento: nel primo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre ha diritto a due ore giornaliere di permesso cd. allattamento, equiparato alle ore lavorate.
- i periodi di assenza del lavoro per le malattie del bambino: ciascun genitore ha diritto di astenersi durante le malattie del bambino di età inferiore ad otto anni (cinque giorni l’anno se il bambino ha più di tre anni).
Per tutto il periodo di astensione obbligatoria la prestazione consiste, per il lavoro subordinato, in un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione globale media giornaliera percepita nel periodo precedente a quello in cui ha avuto inizio l’astensione. In tutte le ipotesi di astensione facoltativa, l’importo è pari al 30% della retribuzione per un periodo massimo di 6 mesi entro il compimento del terzo anno del figlio; l’importo dell’indennità corrisposta per le due ore giornaliere di permesso cd. allattamento è pari all’intero ammontare della corrispondente retribuzione. Possono rimanere a casa non retribuiti fino a tre anni del bambino. Il beneficio accessorio più significativo è rappresentato dall'accredito di contribuzione figurativa riconosciuto per i periodi di astensione obbligatoria e facoltativa determinatisi in costanza di rapporto di lavoro. Vale inoltre il divieto di licenziamento della donna a causa di matrimonio, gravidanza e fino a un anno di vita del bambino. Durante la gravidanza e per 7 mesi dopo il parto non possono essere adibite a lavori faticosi e insalubri e possono rifiutare il lavoro notturno fino a tre anni del bambino.
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Esempio



  


  1. anto

    lo sciopero, struttura forme e limiti

  2. DINORA NECI

    sto cercando gli appunti della filosofia del diritto. sostengo l'esame alla facolta di esperto legale in sviluppo ed inernazionalizzazione delle imprese.Università Uninettuno di Roma