Paradiso. Canto XI.

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Testo

CANTO XI
Ci troviamo nel quarto cielo, quello del Sole, in cui si trovano gli “spiriti sapienti”.
Il canto inizia con l’invettiva di Dante contro gli uomini che, in diversa misura, si affannano nella ricerca di falsi beni, trascurando la gloria celeste.
S.Tommaso riprende a parlare leggendo in Dante due dubbi: il primo riguarda ciò che S.Tommaso, nel canto precedente aveva detto, accennando all’ordine domenicano, “ù ben s’impingua, se non si vaneggia” ” “dove ci si arricchisce spiritualmente, se non ci si perde in cose vane”; il secondo dubbio si riferisce a quando, parlando di Salomone, aveva detto che “non surse il secondo” in saggezza.
Si accinge, quindi, a risolvere il primo dubbio, affermando che la Provvidenza divina, per aiutare la Chiesa nel suo arduo e sacro cammino, decise di porle a sostegno due grandi santi, S.Francesco e S.Domenico.
Dopo aver fatto un alto elogio di S.Francesco, del quale narra rapidamente la vita, S.Tommaso passa a biasimare la decadenza dei domenicani, che invece di seguire l’esempio del santo fondatore, corrono dietro a falsi beni e a falsi interessi mondani.
S.Tommaso conclude il suo ragionamento, affermando che ciò che è stato detto risolve il primo dubbio di Dante: “ù ben s’impingua” si riferisce alla regola domenicana, secondo la quale ci si arricchisce spiritualmente, a patto di non «vaneggiare», cioè di non inseguire piaceri vuoti ed effimeri.
Intelligenze motrici ==> potestà

VERSIONE
O dissennati affanni degli uomini,
quanto sono errati i ragionamenti
che vi tengono legati alle cose terrene!
Chi si affrettava (sen giva) dietro al diritto (iura), chi agli studi medici (amforismi),
chi dandosi alla carriera ecclesiastica,
chi a regnare con la forza e col potere (sofismi),
chi al furto e chi agli affari pubblici,
chi si affannava immerso nel piacere della carne
e chi si lasciava andare all'inerzia,
mentre io, liberato da tutte queste cose vane,
insieme a Beatrice ero lassù in cielo
tra tanta gloriosa beatitudine.
Dopo che tutti ritornarono nella
posizione della corona in cui si trovavano prima,
si fermarono, come la candela nel candeliere.
( la similitudine è appropriata, poiché questi dotti furono ardenti e risplendenti agli altri)
Ed io udii dall’intimo di quell’anima luminosa
che già aveva parlato,
( S. Tommaso, nel canto X aveva presentato a Dante gli spiriti che compongono la prima schiera di sapienti)
incominciare a dire con voce gioiosa, e diventando più splendente:
«Come io risplendo del suo raggio,
così, guardando nella luce eterna,
apprendo da dove traggono origine i tuoi pensieri.
( i beati vedono in Dio i pensieri di Dante, senza bisogno che egli li esprima a voce)
Tu dubiti, e vuoi che chiarisca meglio
con un discorso così manifesto e così ampio
le mie parole, da essere intelligibile (si sterna) alla tua mente,
dove prima ho detto “Ú ben s'impingua”,
( S. Tommaso, presentando se stesso, si era detto appartenente all'ordine di S. Domenico, ed aveva aggiunto che chi segue la strada indicata dal grande santo ben s’impingua, cioè si arricchisce spiritualmente, a patto che non si «vaneggi», cioè non ci si perda dietro a piaceri mondani. E su questo che Dante desidera una chiarificazione)
e quando ho detto “Non nacque il secondo”;
( parlando di Salomone, S. Tommaso l’aveva definito personaggio di tanta saggezza che nessuno nacque pari a lui)
e a questo punto è necessario che si chiarisca bene.
La Provvidenza divina, che regola l'universo
con tale saggezza che da essa ogni intelligenza
creata viene vinta prima di averne attinto la profondità,
affinché la sposa (a la Chiesa) di colui () Cristo) che tra alte grida
la sposò con il suo sangue benedetto,
procedesse verso il suo Amato,
salda in se stessa e a lui ancora più fedele,
dispose in suo aiuto due capi (S. Francesco e S. Domenico),
che la guidassero uno da una parte (quinci), l'altro dall’altra (quindi).
Il primo (s. Francesco) arse di carità come un Serafino;
il secondo (s. Domenico) rifulse sulla terra come
un Cherubino per la sua sapienza.
( è la distinzione tradizionale fra “Serafini”, primo ordine angelico della carità, e i “Cherubini”, secondo ordine angelico della sapienza)
Parlerò del primo, poiché elogiandone uno
si parla di tutti e due, qualunque si scelga,
poiché le loro azioni mirarono ad uno stesso fine.
Fra il fiume Topino (in Umbria) e il fiume che scende
dal monte scelto dal beato Ubaldo,
( Ubaldo, prima di diventare vescovo di Gubbio, si era ritirato in eremitaggio sul monte di Gubbio),
degrada il fertile versante di un’alta montagna,
da dove Perugia riceve, sul lato di Porta Sole, il gelo invernale ed il calore estivo; e dall’altro versante le città di Nocera e di Gualdo Tadino
soffrono per l’incombere del massiccio (giogo).
Su questo versante, nel punto in cui esso spezza
maggiormente la sua ripidità (rattezza), sorse per tutti gli uomini un sole (Francesco d’Assisi),
come questo sole fisico sorge talvolta dal Gange.
Perciò chi parla di questo luogo,
non lo chiami Assisi, poiché sarebbe incompleto,
ma Oriente, se vuole esprimersi appropriatamente.
( S. Francesco nasce in Oriente, l’Occidente sarà invece il luogo natio di S. Domenico, così i due santi, dagli opposti estremi, comprendono idealmente l’intero mondo abitato)
Non era ancora passato molto tempo dalla nascita (orto),
che egli iniziò a far sentire al mondo
i benefici della eccelsa virtù;
perché per questa donna (a la povertà), egli ancora giovinetto, si mise
in lotta col padre, alla quale nessuno, come alla morte,
apre la porta con piacere,
e davanti al tribunale ecclesiastico della sua città
e di fronte al padre, si unì a lei,
poi di giorno in giorno l’amò con più ardore.
Questa donna, privata del suo primo marito (Q Cristo),
per più di mille e cento anni restò, disprezzata e trascurata (scura),
( dalla morte di Cristo alla vocazione di Francesco)
senza nessuno che la desiderasse, fino a costui (D. Francesco);
non servì sapere che colui che a tutto il mondo incusse timore (nCesare),
la incontrò insieme al pescatore Amiclate
tranquilla e sicura nell’ascoltare le sue parole,
e non servì essere fedele e fiera,
al punto da soffrire insieme a Cristo fin sulla croce,
là dove anche la Madonna restò giù.
Ma affinché io non prosegua in modo troppo oscuro,
tu interpreta ormai nel mio esteso discorso
questi due amanti come Francesco e la Povertà.
La loro concordia e i loro gioiosi aspetti,
il loro amore e la dolcezza del loro riguardarsi
facevano nascere puri pensieri;
al punto che il venerabile Bernardo
( Bernardo da Quintavalle, di nobile e ricca famiglia di Assisi, fu il primo degli undici discepoli originari di s. Francesco, che lo seguì scalzo dopo aver donato tutti i suoi averi ai poveri)
si scalzò per primo, e corse dietro a una così grande felicità,
( la regola dei frati minori è di andare scalzi)
e, correndo, gli sembrò di essere lento.
O sconosciuta ricchezza! O bene fecondo!
Tanto piace la sposa (la Povertà), che per seguire lo sposo (Francesco),
si scalza Egidio, si scalza Silvestro.
Poi, si avvia (sen va) egli, padre e maestro,
con la sua donna e con quel gruppo
che già era cinto da una semplice corda (capestro).
( insieme al camminare scalzi, una delle prime regole della vita ascetica fu quella di vestirsi di un saio grezzo cinto da un pezzo di corda, che divenne presto segno di riconoscimento per i discepoli di Francesco)
La viltà d'animo, non gli fece chinare la fronte
per il fatto di essere figlio di Pietro Bernardone,
né per apparire alla vista tanto spregevole da suscitare meraviglia;
ma lecitamente manifestò ad Innocenzo III
la sua intransigente regola, e da lui ottenne
per il proprio ordine monastico la prima approvazione.
Quando i poveri si moltiplicarono
dietro costui, la cui santa vita sarebbe più degna di essere cantata a celebrare la gloria di Dio,
il pio proposito di questo pastore (archimandrita)
( termine derivato dal greco, che significa «capo di mandrie, di greggi», quindi «pastore», passato come termine elevato ad indicare i pastori d'anime, i pastori del gregge cristiano)
fu coronato di una seconda gloriosa approvazione
dallo Spirito Santo attraverso papa Onorio III.
Dopo che, per desiderio di martirio,
alla presenza fastosa del sultano,
predicò i precetti di Cristo e degli apostoli,
e per aver trovato quel popolo ancora molto immaturo
e per non stare là inutilmente,
ritornò alla fruttuosa terra italiana,
dove su quello scosceso monte (Verna) posto tra il Tevere e l'Arno,
ricevette da Cristo l’estrema approvazione
che il suo corpo portò impresso per due anni.
Quando Dio, che lo destinò (sortillo) ad una vita tanto santa,
decise di chiamarlo in cielo per il premio
che egli si era guadagnato per essersi fatto piccolo (pusillo),
affidò ai suoi confratelli, come suoi legittimi eredi (rede),
la donna da lui più amata
e ordinò che la servissero fedelmente (a fede);
e volle che la sua purissima anima,
tornando alla patria celeste,
prendesse il volo dal grembo di lei,
( dalla terra, grembo della Povertà, sulla quale egli chiese di essere posto moribondo)
e non volle una diversa bara alle sue spoglie.
( S. Francesco volle essere seppellito poveramente e direttamente nella terra)
Pensa a questo punto (oramai) che grande (qual) uomo debba essere stato colui che fu suo degno compagno
nel mantenere salda la nave (n Chiesa)
in acque tempestose sulla giusta rotta;
e questi fu il nostro padre fondatore (patriarca);
( S. Domenico, fondatore dell’ordine dei domenicani; “nostro” in quanto S. Tommaso appartenne a questo ordine)
per cui chi segue lui, nel modo da lui dettato,
puoi ben capire che si carica di preziose mercanzie.
Ma il suo gregge è diventato
voglioso di nuovi cibi, cosicché non può non avvenire
che esso non si disperda nei più disparati pascoli;
e quanto più le pecore da lui si allontanato (remote)
più ritornano all'ovile prive di latte.
Certo ce ne sono alcune che temono il male
e restano attorno al loro pastore; ma sono talmente poche,
che è sufficiente poca stoffa per confezionare le loro cappe.
Ora, se il mio discorso non è stato oscuro,
se il tuo ascolto è stato vigile
se richiami alla mente quanto ti ho detto,
il tuo desiderio di sapere sarà parzialmente soddisfatto,
poiché avrai capito da dove l’Ordine domenicano (la pianta) inizia a corrompersi (scheggia),
e avrai capito la correzione che spiega (argomenta) la frase
“U' ben s’impingua, se non si vaneggia”.
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