Divina Commedia (Paradiso - Canto I)

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Testo

PARADISO CANTO I
Luogo: Paradiso Terrestre: sfera del fuoco
Tempo: Mezzogiorno del 13 aprile 1300
(Mercoledì di Pasqua)
Beati:
Visione:
Intelligenze motrici:
Dante incontra:
Sequenze narrative: 1-12 Proemio: protasi
13-36 Proemio: invocazione ad Apollo
37-81 Transumanazione di Dante e
ascensione ai Cieli con Beatrice
82-93 Primo dubbio di Dante
94-142 Secondo dubbio di Dante e
chiarimento di Beatrice (teoria
dell'ordine universale)
RIASSUNTO
Dante dice di essere stato nell'Empireo, dove maggiormente rifulge la gloria di Dio, e di aver visto cose che non sa, né può ridire, perché l'intelletto, appressandosi a Dio, vi s'immerge tanto che la memoria non lo può seguire. Pertanto dirà solo quel poco che ricorda.
All'ardua materia del suo canto non sono più sufficienti le Muse, invoca quindi il loro duce, Apollo, perché l'aiuti a compiere opera tale, che gli meriti la corona di alloro.
Il sole, che si trovava nella costellazione dell'Ariete, nel Purgatorio risplendeva in pieno mezzogiorno e Dante, vedendo Beatrice intenta a fissare l'astro, la imita, e dopo un po' gli sembrò che il cielo fosse adorno d'un altro sole. Fissa allora i suoi occhi in quelli di Beatrice, e si sente subito trasumanare, quasi come Glauco che gustando una certa erba si sentì trasformare in dio marino. Ascolta poi l'armonia delle sfere celesti e gli sembra di trovarsi in un lago di fuoco. Beatrice s'accorge del suo desiderio di conoscere la ragione di quel suono e di quella luce e gli dice: "Tu non ti trovi più in terra, ma stai salendo verso il cielo con la velocità della folgore". A questo punto Dante viene preso da un nuovo dubbio: come può egli, corpo pesante, attraversare corpi leggeri, quali l'aria e il fuoco?
Beatrice spiega: Nell'ordine mirabile, che Iddio ha dato all'universo, tutte le cose create sono disposte rispetto al loro ultimo fine in condizione diversa, essendo alcune più, altre meno vicine a Dio, e si muovono ai loro fini secondo l'istinto, che le guida. In grazia di questo istinto il fuoco tende in alto, gli animali bruti agiscono, la terra occupa il centro del mondo e gli Angeli e gli uomini si sentono attratti dal loro istinto. L'anima umana tende quindi all'Empireo, sede di Dio e solo per il libero arbitrio può dirigersi al male, confuso però come bene. Ora Dante è purificato, libero da ogni colpa, nessuna meraviglia che salga al cielo, meraviglia sarebbe il contrario.
Detto ciò Beatrice "rivolse inver lo cielo il viso".
ANALISI

Nel canto I è presente la tematica, costante in tutta la cantica, di due esperienze culturali medievali: la mistica e la razionalistica.
La prima, propria degli ordini monastici contemplativi (benedettini, cistercensi, camaldolesi), insiste sulla incapacità dell'uomo di spiegare con la ragione l'esperienza religiosa (tale incapacità diventa di conseguenza anche incapacità di parola); la seconda, propria dei domenicani e di S. Tommaso, offre una spiegazione logica, ordinata, razionale del viaggio del poeta.
Infatti tutto il discorso di Beatrice verte sulla consapevolezza che le verità di fede si possono spiegare con la ragione.
Nel canto poi è presente il tema dell'ordine universale in contrapposizione ad una società terrena che vive nel disordine, nella corruzione, proprio perché non è più capace di inserirsi e vivere nella trama di leggi, norme e obblighi proprio di una società ben organizzata.
Ecco perché continuamente nel Paradiso Dante farà il paragone fra l'ordine che regna nei cieli e gli interessi terreni, le passioni, le lotte che continuamente funestano la società terrena.
Queste tensioni si configurano come l'eterna lotta fra il bene e il male, di cui Dante intravede naturalmente la vittoria finale del bene e vorrebbe una vita ordinata e felice come ordinato e felice è il Paradiso.
La storia è vista come momenti (l'infinito mare dell'essere con l'immagine che ognuno per vie diverse raggiunge il porto) che pur distaccati e a volte incomprensibili rispondono ad un unico fine: quello della volontà di Dio che è ordine.
Occorre però una guida per l'umanità, affinché non svii dalla giusta strada, e questa guida nel Paradiso è Beatrice, che è sì figura poetica, ma nello stesso tempo è bellezza, filosofia, realtà, simbolo, impegno didattico.
Anche dal punto di vista metrico il canto presenta un più ricco e sostenuto impegno, nel senso che una terzina singola non basta più a spiegare un concetto, ma ne occorrono tre, quattro, cinque; segno questo di maggior impegno contenutistico.

TESTO E PARAFRASI
1 La gloria di colui che tutto move
2 per l'universo penetra, e risplende
3 in una parte più e meno altrove.

La gloria di Dio (colui che tutto move) penetra in tutto l'universo e risplende di più in alcuni luoghi (una parte) e meno in altri.
4 Nel ciel che più de la sua luce prende
5 fu' io, e vidi cose che ridire
6 né sa né può chi di là sù discende;
7 perché appressando sé al suo disire,
8 nostro intelletto si profonda tanto,
9 che dietro la memoria non può ire.

Io sono stato nel Cielo che più assorbe (prende) la sua luce ed ho visto cose che chi discende di lassù non sa né può raccontare (ridire), perché il nostro intelletto, avvicinandosi (appressando sé) all'oggetto del suo desiderio (suo disire), cioè a Dio, si addentra tanto (profonda) nella visione di Lui che il senso comune (la memoria) non può più seguirlo (dietro...ire).
10 Veramente quant'io del regno santo
11 ne la mia mente potei far tesoro,
12 sarà ora materia del mio canto.

Ad ogni modo (Veramente) quel tanto del Paradiso (regno santo) che io ho potuto conservare come tesoro nella mia memoria (mente) sarà ora oggetto (materia) del mio racconto.
13 O buono Appollo, a l'ultimo lavoro
14 fammi del tuo valor sì fatto vaso,
15 come dimandi a dar l'amato alloro.

O eccellente Apollo, durante questo ultimo impegno (lavoro) rendimi (fammi) come un vaso tanto pieno (si fatto) del tuo valore poetico quanto (come) tu stesso ritieni necessario (dimandi) per concedere (a dar) l'alloro da te amato.
16 Infino a qui l'un giogo di Parnaso
17 assai mi fu; ma or con amendue
18 m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso.

Finora mi è stato sufficiente (assai mi fu) l'aiuto delle Muse abitanti su una delle due cime (gioco) del monte Parnaso; ma ora mi è necessario (m'è uopo) l'aiuto degli abitanti di entrambe le cime (con amendue) per affrontare (intrar) l'impresa (aringo) rimasta.
19 Entra nel petto mio, e spira tue
20 sì come quando Marsia traesti
21 de la vagina de le membra sue.

Entra nel mio petto ed ispirami (spira) tu (tue) come quando traesti Marsia fuori dalla pelle (vagina) che avvolgeva il suo corpo (membra) dopo averlo sconfitto in una gara musicale.
22 O divina virtù, se mi ti presti
23 tanto che l'ombra del beato regno
24 segnata nel mio capo io manifesti,
25 vedra'mi al piè del tuo diletto legno
26 venire, e coronarmi de le foglie
27 che la materia e tu mi farai degno.
O divina virtù, se mi concedi (presti) la tua grazia (ti) tanto che io possa esprimere (manifesti) la tenue immagine (ombra) del Paradiso (beato regno) ancora impressa (segnata) nella mia mente (capo), mi vedrai venire ai piedi della pianta d'alloro (legno) a te cara (diletto) per incoronarmi poeta con quelle foglie di alloro delle quali l'argomento trattato (materia) e la tua stessa grazia (tu) mi faranno degno.

28 Sì rade volte, padre, se ne coglie
29 per triunfare o cesare o poeta,
30 colpa e vergogna de l'umane voglie,
31 che parturir letizia in su la lieta
32 delfica deità dovria la fronda
33 peneia, quando alcun di sé asseta.
Così rare volte, o padre, si coglie l'alloro per celebrare i trionfi di un imperatore o di un poeta, per colpa e per vergogna delle passioni (voglie) umane, che quando le foglie d'alloro (fronda penea) sono ardentemente desiderate (di sé asseta) da qualcuno, ciò dovrebbe causare (parturir) gioia nel beato Dio venerato a Delfi (lieta delfica deità).

34 Poca favilla gran fiamma seconda:
35 forse di retro a me con miglior voci
36 si pregherà perché Cirra risponda.
Un grande incendio (gran fiamma) segue (seconda) una piccola favilla: forse dopo di me (di retro a me) poeti migliori (con miglior voci) invocheranno (si pregherà) Apollo (Cirra) affinché li aiuti (perché risponda).

37 Surge ai mortali per diverse foci
38 la lucerna del mondo; ma da quella
39 che quattro cerchi giugne con tre croci,
40 con miglior corso e con migliore stella
41 esce congiunta, e la mondana cera
42 più a suo modo tempera e suggella.
Il sole (lucerna del mondo) sorge per gli uomini (mortali) da diversi punti dell'orizzonte (foci), ma da quel punto (quella) in cui quattro cerchi si intersecano formando tre croci, esso sorge (esce) congiunto ad una migliore costellazione (con miglior stella), procedendo con influenze più benefiche (con miglior corso), e modella (tempera) e segna con la sua impronta (suggella) più efficacemente (a suo modo) la materia del mondo (mondana cera).

43 Fatto avea di là mane e di qua sera
44 tal foce, e quasi tutto era là bianco
45 quello emisperio, e l'altra parte nera,
46 quando Beatrice in sul sinistro fianco
47 vidi rivolta e riguardar nel sole:
48 aquila sì non li s'affisse unquanco.
Esso, sorgendo da quel punto dell'orizzonte (tal foce), aveva fatto mattino (mane) nel Paradiso Terrestre (di là) e sera nel mondo abitato (di qua): quell'emisfero là era quasi tutto illuminato (bianco) e l'altra parte buia (nera), quando vidi Beatrice rivolta verso sinistra (sul sinistro fianco) a osservare fissamente (riguardar) il sole: mai (unquanco) un'aquila lo aveva osservato (li s'affisse) così intensamente (sì).

49 E sì come secondo raggio suole
50 uscir del primo e risalire in suso,
51 pur come pelegrin che tornar vuole,
52 così de l'atto suo, per li occhi infuso
53 ne l'imagine mia, il mio si fece,
54 e fissi li occhi al sole oltre nostr'uso.
E come il raggio riflesso (secondo raggio) suole uscire dal raggio incidente (primo) e risalire verso l'alto (in suso) come un viaggiatore (pelegrin) ansioso di tornare, così dall'atto di Beatrice (suo), trasmesso (infuso) attraverso gli occhi nella mia facoltà immaginativa (imagine), si generò (si fece) anche il mio atto (mio) e fissai i miei ochhi nel sole al di là delle capacità umane (nostr'uso).
55 Molto è licito là, che qui non lece
56 a le nostre virtù, mercé del loco
57 fatto per proprio de l'umana spece.
Molte cose che qui sulla terra non sono consentite alle facoltà umane (nostre virtù) sono lecite nel Paradiso Terrestre (là), in grazia del luogo creato (fatto) come specifica dimora del genere umano.

58 Io nol soffersi molto, né sì poco,
59 ch'io nol vedessi sfavillar dintorno,
60 com'ferro che bogliente esce del foco;
61 e di sùbito parve giorno a giorno
62 essere aggiunto, come quei che puote
63 avesse il ciel d'un altro sole addorno.
Io non sostenni (soffersi) molto a lungo la vista del sole, ma neanche per così poco tempo (sì poco) da non vederlo (nol vedessi) risplendere (sfavillar) nel cielo circostante (dintorno) come un metallo (ferro) che esce incandescente (bogliente) dal fuoco; ed improvvisamente sembrò (parve) che la luce (giorno) fosse sommata ad altra luce, come se Dio onnipotente (quei che puote) avesse adornato il cielo con un altro sole.

64 Beatrice tutta ne l'etterne rote
65 fissa con li occhi stava; e io in lei
66 le luci fissi, di là sù rimote.
Beatrice stava con gli occhi fissi ai Cieli (rote) eterni; ed io fissai gli occhi (luci) in lei, dopo averli rimossi dal sole (di la sù).
67 Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
68 qual si fé Glauco nel gustar de l'erba
69 che 'l fé consorto in mar de li altri dèi.
Nel guardare in lei (nel suo aspetto) divenni (mi fei) dentro di me come (tal...qual) Glauco nel momento in cui mangiò (gustar) dell'erba che lo rese simile (consorto) agli altri dei marini.

70 Trasumanar significar *per verba*
71 non si poria; però l'essemplo basti
72 a cui esperienza grazia serba.
Il superamento della natura umana (trasumanar) non si può esprimere con le parole (per verba); perciò basti l'esempio di Glauco (l'essemplo) a chi la grazia divina riserva la possibilità di provare direttamente tale esperienza.

73 S'i' era sol di me quel che creasti
74 novellamente, amor che 'l ciel governi,
75 tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti.
Se io ero solo quella parte di me che creasti per ultimo (novellamente), cioè l'anima, lo sai soltanto tu, Dio (amor che 'l ciel governi), che con la tua grazia (tuo lume) mi hai fatto levare.
76 Quando la rota che tu sempiterni
77 desiderato, a sé mi fece atteso
78 con l'armonia che temperi e discerni,
79 parvemi tanto allor del cielo acceso
80 de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
81 lago non fece alcun tanto disteso.
Quando il movimento rotante (rota) delle sfere celesti, che tu fai girare eternamente (sempiterni) spinte dal desiderio che hanno di te (desiderato), attrasse la mia attenzione (mi fece atteso) su di sé (a sé) con l'armonia che tu, Dio, accordi (temperi) e distingui (discerni), allora mi apparve (parvemi) una così gran parte (tanto) del cielo illuminato (acceso) dalla fiamma del sole che mai la pioggia o un fiume ha reso (non fece) alcun lago tanto esteso (disteso).
82 La novità del suono e 'l grande lume
83 di lor cagion m'accesero un disio
84 mai non sentito di cotanto acume.
La straordinarietà (novità) del suono e l'intensa luce (grande lume) mi suscitarono (m'accesero) un desiderio (disio) di conoscere la loro causa (lor cagion) mai avvertito prima (non sentito) con tanta intensità (cotanto acume).
85 Ond'ella, che vedea me sì com'io,
86 a quietarmi l'animo commosso,
87 pria ch'io a dimandar, la bocca aprio,
88 e cominciò: “Tu stesso ti fai grosso
89 col falso imaginar, sì che non vedi
90 ciò che vedresti se l'avessi scosso.
Per cui Beatrice (Ond'ella), che vedeva in me come (sì com') me stesso (io), per appagare il mio animo turbato, prima che io incominciassi a chiedere, aprì la bocca ed iniziò a dire: "Tu stesso ti rendi (fai) ottuso (grosso) con la falsa supposizione di essere ancora sulla terra (col falso imaginar), cosicché non comprendi (vedi) ciò che potresti comprendere (vedresti) se avessi rimosso quella errata supposizione (se l'avessi scosso).
91 Tu non se' in terra, sì come tu credi;
92 ma folgore, fuggendo il proprio sito,
93 non corse come tu ch'ad esso riedi».
Tu non sei sulla terra, come credi; ma un fulmine (folgore), allontanandosi (fuggendo) dalla propria sede naturale (proprio sito), cioè la sfera del fuoco, non corse tanto velocemente (corse) come te (tu) che ritorni (riedi) all'Empireo, tua sede naturale (ad esso).

94 S'io fui del primo dubbio disvestito
95 per le sorrise parolette brevi,
96 dentro ad un nuovo più fu' inretito,
97 e dissi: 98 di grande ammirazion; ma ora ammiro
99 com'io trascenda questi corpi levi».
Se io fui liberato (disvestito) dal primo dubbio grazie al breve discorso (parolette brevi) pronunciato sorridendo (sorrise), fui irretito maggiormente da un nuovo dubbio e chiesi: "Già mi sono acquietato (requievi) soddisfatto in riferimento a ciò che mi suscitava grande meraviglia (di grande ammirazion); ma ora mi meraviglio (ammiro) di come io possa salire attraversando (trascenda) questi corpi leggeri (levi)".

100 Ond'ella, appresso d'un pio sospiro,
101 li occhi drizzò ver' me con quel sembiante
102 che madre fa sovra figlio deliro,
Per cui Beatrice (ella), dopo (appresso) un sospiro pietoso (pio), rivolse (drizzò) lo sguardo (li occhi) verso di me con quell'atteggiamento affettuoso (sembiante) che la madre riserva (fa sopra) al figlio delirante (deliro).
103 e cominciò: “Le cose tutte quante
104 hanno ordine tra loro, e questo è forma
105 che l'universo a Dio fa simigliante.
e cominciò a dire:" Tutte le cose create hanno tra di loro un ordine armonico (ordine) e questo ordine (questo) è il principio essenziale (forma) che rende (fa) l'universo somigliante a Dio.
106 Qui veggion l'alte creature l'orma
107 de l'etterno valore, il qual è fine
108 al quale è fatta la toccata norma.
In questo ordine universale (Qui) le creature superiori (alte creature) colgono (veggion) il segno (l'orma) di Dio (etterno valore), il quale è il fine ultimo (fine) per cui (al quale) è stato creato (è fatta) l'ordine (norma) accennato (toccata).
109 Ne l'ordine ch'io dico sono accline
110 tutte nature, per diverse sorti,
111 più al principio loro e men vicine;
Nell'ordine di cui io parlo (dico) tutte le cose create (tutte nature), secondo la diversa condizione avuta in sorte (per diverse sorti), hanno la stessa inclinazione (sono accline) verso Dio (al principio loro) più o meno vicino;
112 onde si muovono a diversi porti
113 per lo gran mar de l'essere, e ciascuna
114 con istinto a lei dato che la porti.
per cui (onde) tutte si muovono verso destinazioni (porti) diverse, attraverso il grande mare dell'esistenza (essere) e ciascuna di esse è guidata dall'istinto a lei assegnato affinché la conduca alla meta (la porti).
115 Questi ne porta il foco inver' la luna;
116 questi ne' cor mortali è permotore;
117 questi la terra in sé stringe e aduna;
Questo istinto (questi) solleva (porta) il fuoco verso il cielo della luna; questo istinto muove e regola le funzioni vitali (è permotore) negli animali (ne' cor mortali); questo istinto tiene unita e condensa (stringe in sé e aduna) la terra;

118 né pur le creature che son fore
119 d'intelligenza quest'arco saetta
120 ma quelle c'hanno intelletto e amore.
né questo istinto simile ad un arco (quest'arco) scaglia verso la meta (saetta) soltanto (pur) le creature irrazionali (che son fore d'intelligenza), ma anche quelle che hanno intelligenza e volontà (amore).

121 La provedenza, che cotanto assetta,
122 del suo lume fa 'l ciel sempre quieto
123 nel qual si volge quel c'ha maggior fretta;
La provvidenza, che ordina (assetta) tutto il creato (cotanto), appaga (fa...quieto) eternamente (sempre) con la sua luce il Cielo Empireo ('l ciel) all'interno del quale ruota (si volge) il Primo Mobile (quel) che ha maggiore velocità (fretta);
124 e ora lì, come a sito decreto,
125 cen porta la virtù di quella corda
126 che ciò che scocca drizza in segno lieto.
e ora all'Empireo (lì) come a luogo predeterminato (decreto), ci porta la forza (virtù) di quell'impulso (corda) che indirizza ad una meta (segno) di letizia (lieto) tutto ciò che lancia (scocca).

127 Vero è che, come forma non s'accorda
128 molte fiate a l'intenzion de l'arte,
129 perch'a risponder la materia è sorda,
130 così da questo corso si diparte
131 talor la creatura, c'ha podere
132 di piegar, così pinta, in altra parte;
E' vero che come molte volte la forma esteriore (forma) non corrisponde (s'accorda) all'intenzione dell'artista (arte) perché la materia non è adatta (è sorda) a realizzarla (a risponder), allo stesso modo talvolta l'uomo (la creatura) si allontana (diparte) da questa via (corso) perché egli ha il potere di deviare, pur così spinto verso il cielo, in altra direzione (in altra parte);
133 e sì come veder si può cadere
134 foco di nube, sì l'impeto primo
135 l'atterra torto da falso piacere.
e così come si può vedere il fulmine (foco) cadere dalla nube, così l'istinto (impeto primo) spinge l'uomo a terra (l'atterra) traviato (torto) dai falsi piaceri.
136 Non dei più ammirar, se bene stimo,
137 lo tuo salir, se non come d'un rivo
138 se d'alto monte scende giuso ad imo.
Non devi più meravigliarti, se ben ragiono (stimo), del tuo salire verso il cielo, come non ti meraviglieresti di un ruscello che da un alto monte scende giù a valle (ad imo).
139 Maraviglia sarebbe in te se, privo
140 d'impedimento, giù ti fossi assiso,
141 com' a terra quiete in foco vivo>>.
142 Quinci rivolse inver' lo cielo il viso.
Fenomeno straordinario (Maraviglia) sarebbe nei tuoi confronti (in te) se, privo di peccati (impedimento), tu fossi rimasto (assiso) sulla terra (giù), come cosa meravigliosa sarebbe in terra la quiete in una fiamma viva". Dopo aver detto ciò (Quinci) rivolse lo sguardo verso il cielo.
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