Il petrolio nelle società moderne

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Testo

Tesi
IL PETROLIO

L’USO NELLE SOCIETÀ MODERNE
Industrie petrolifere, Iran
Da questo stabilimento, che si trova sull'isola di Kharg, nel Golfo Persico, parte tutto il petrolio iraniano destinato a essere esportato nel mondo. Collegato alla terraferma da un oleodotto, il terminal produce circa 5 milioni di barili al giorno.
Nelle moderne società industrializzate, la gran parte dei derivati del petrolio viene utilizzata come carburante per motori a combustione interna e, in diverse forme, come combustibile per il riscaldamento domestico, per gli impianti industriali, per la produzione di energia elettrica. I derivati del petrolio costituiscono anche buona parte delle materie prime impiegate nell'industria delle materie plastiche e nell'industria chimica in generale, per la produzione di fertilizzanti, materiali da costruzione, fibre tessili, vernici e coloranti, sostanze e additivi alimentari.
L'attuale civiltà industriale dipende in larga misura dai derivati del petrolio: l'insediamento delle comunità suburbane intorno alle grandi città è il risultato della mobilità permessa dai mezzi di trasporto moderni, e quindi della disponibilità di grandi quantità di petrolio a basso costo. Anche le principali strategie economiche dei paesi in via di sviluppo, mirate a sfruttare le risorse naturali per fornire derrate alimentari alle popolazioni in rapida crescita demografica, sono basate sul presupposto della disponibilità di petrolio. Solo negli anni Settanta quando, in seguito ai conflitti in corso nei paesi arabi, le forniture petrolifere si fecero molto più ridotte, i paesi industrializzati hanno iniziato a cercare prodotti alternativi al petrolio, sia nel settore della produzione di energia, sia in quello industriale. Al sensibile aumento del prezzo del petrolio greggio venutosi a determinare in quel periodo seguì, dopo alterne vicende, un periodo – verso la fine degli anni Ottanta – di forte ribasso dei prezzi, fino all’assestamento intorno ai 10 dollari al barile, che era di poco inferiore al prezzo odierno. Oggi, nonostante la relativa abbondanza di petrolio, le politiche dei governi di tutto il mondo, volte a reperire fonti alternative di energia e di prodotti primari per l’industria non si sono arrestate, anche alla luce di numerosi altri problemi (inquinamento atmosferico e la provata tossicità di alcuni derivati) che si sono rivelati connessi all’uso del petrolio.
Tutti i tipi di petrolio sono costituiti principalmente da una miscela di idrocarburi (sostanze chimiche organiche, le cui molecole sono formate esclusivamente da atomi di carbonio e di idrogeno, variamente legati fra loro), anche se solitamente contengono anche zolfo, in quantità variabile dallo 0,1% al 5% circa, e ossigeno. I costituenti del petrolio sono liquidi e solidi, in varia percentuale: la consistenza dei derivati è dunque molto variabile, e va da liquidi fluidi, come la benzina, a liquidi densi, come il bitume, spesso di difficile manipolazione. Nel petrolio si trovano disciolte anche quantità rilevanti di particelle gassose, specialmente quando il giacimento petrolifero è associato a un giacimento di gas naturale.
Per comodità si distinguono tre classi principali di petroli, a seconda del tipo di idrocarburo prevalente:
• i petroli a base paraffinica, costituiti prevalentemente da paraffine (idrocarburi a catena aperta saturi, detti anche alcani);
• quelli a base naftenica, costituiti prevalentemente da nafteni (idrocarburi a catena chiusa saturi, detti anche cicloalcani); e quelli a base mista, nei quali le percentuali dei due tipi precedenti di idrocarburi sono pressoché uguali.
• Molto più rari e pregiati sono i petroli della "quarta classe", detti a base aromatica perché costituiti prevalentemente da idrocarburi aromatici (formati da uno o più anelli benzenici, detti anche areni).
COME SI FORMA?

Il petrolio si forma sotto la superficie terrestre per decomposizione di organismi marini e di piante che crescono sui fondali oceanici, oppure, in misura minore, di organismi terrestri, poi trasportati in mare dai corsi d'acqua. I resti della decomposizione si mescolano con le sabbie finissime e con il limo del fondo del mare, in zone non caratterizzate da forti correnti, formando sedimenti ricchi di materiali organici.
La formazione del petrolio è un fenomeno iniziato molti milioni di anni fa, quando esisteva un'abbondante fauna marina, e che continua ancora oggi. I sedimenti depositati sul fondo degli oceani, accrescendo il loro spessore e dunque il loro peso, sprofondano nel fondale marino; a mano a mano che altri sedimenti si accumulano, la pressione su quelli sottostanti aumenta considerevolmente e la temperatura si alza di diverse centinaia di gradi. Il fango e la sabbia si induriscono trasformandosi in argillite e arenaria, il carbonio precipita, le conchiglie si induriscono trasformandosi in calcare, mentre i resti degli organismi morti si trasformano in sostanze più semplici composte da carbonio e idrogeno, gli idrocarburi appunto, per dare origine al petrolio greggio e al gas naturale.
Il petrolio ha densità minore dell'acqua salmastra che riempie gli interstizi dell'argillite, della sabbia e delle rocce di carbonati che costituiscono la crosta terrestre: tende dunque a risalire verso la superficie, passando dai microscopici pori dei più grossi sedimenti sovrastanti. Frequentemente il petrolio e il gas naturale incontrano uno strato di argillite impermeabile o di roccia più compatta, che impedisce la salita: rimangono dunque bloccati e danno origine a un giacimento che viene detto "trappola". Generalmente, la maggiore quantità del petrolio che si forma non incontra impedimenti e risale lentamente verso la superficie terrestre o il fondale marino, creando giacimenti superficiali; questi giacimenti comprendono anche laghi bituminosi e gas naturale che sbocca spontaneamente dalla superficie terrestre.
Pozzo petrolifero e perforatrice
Un pozzo petrolifero viene scavato dalla perforatrice per mezzo della batteria di sonda, costituita da una serie di tubi rotanti e sostenuta dal derrick. Mentre la trivella scava la roccia per accedere al giacimento, il fluido fangoso viene estratto da una pompa. I giacimenti naturali si formano da depositi organici sotterranei mescolati a sabbia e sottoposti ad altissime pressioni, in un processo lungo migliaia di anni. Quello illustrato in figura è confinato da un duomo salino e da pareti di roccia non porosa: non avendo altra via di espansione, all'apertura del pozzo il gas e il petrolio grezzo fuoriescono violentemente dal canale aperto dalla perforatrice.
LA RAFFINAZIONE
Una volta estratto, il petrolio viene trattato con sostanze chimiche e calore, per eliminare l'acqua e le particelle solide in esso contenute, e per separare il gas naturale residuo; in seguito è immagazzinato in serbatoi di smistamento, da dove viene trasportato alle raffinerie mediante tubazioni continue (oleodotti), o con navi opportunamente attrezzate (navi cisterna, o petroliere), o con speciali autoveicoli (autocisterne) e carri ferroviari (carri cisterna).
DISTILLAZIONE

La distillazione rappresenta la prima fase della raffinazione del greggio. Il petrolio inizia a vaporizzare a una temperatura leggermente inferiore ai 100 °C: prima si separano gli idrocarburi a più basso peso molecolare, mentre per distillare quelli a molecole più grandi sono necessarie temperature via via crescenti. Il primo materiale che si estrae dal petrolio greggio è la frazione destinata a diventare benzina, seguita dal gasolio e dal cherosene. Nelle vecchie raffinerie, il rimanente veniva trattato con soda o potassa caustica e con acido solforico, e quindi distillato in corrente di vapore, ottenendo oli combustibili e oli lubrificanti dalla parte superiore della colonna di distillazione, e paraffina solida e asfalto da quella inferiore.
Nel 1920 i prodotti ricavati dal petrolio greggio erano: benzina (26%), cherosene (13%), gasolio e oli combustibili leggeri (48%), oli combustibili pesanti (13%). Negli anni più recenti, la resa del petrolio si è modificata in: minimo 50% benzina, 7% cherosene, 21% gasolio e oli combustibili, poco meno del 10% oli lubrificanti e circa il 12% residui pesanti.
PRODUZIONE E RISERVE
Il petrolio greggio è forse la materia prima più utile e versatile in assoluto. Verso la metà degli anni Ottanta, nel mondo si producevano 53,4 milioni di barili al giorno; l'Unione Sovietica era il maggiore produttore mondiale di petrolio, con circa 11,8 milioni di barili al giorno, seguita dagli Stati Uniti e dall'Arabia Saudita.
Le riserve mondiali di greggio, ovvero la quantità di petrolio che gli esperti sono certi di potere estrarre dal sottosuolo con tecniche redditizie, ammontano a circa 700 miliardi di barili, di cui 360 miliardi sono situati nel sottosuolo del Medio Oriente.
PROIEZIONI E ALTERNATIVE
Lo sfruttamento di nuovi giacimenti, che saranno presumibilmente scoperti nei prossimi anni, e l’incremento della percentuale di petrolio estratto dalle riserve già note, che verrà reso possibile dal miglioramento delle tecnologie, fanno ritenere che il petrolio estratto sarà sufficiente a soddisfare i fabbisogni energetici dell'umanità fino ai primi decenni del XXI secolo. Gli esperti sono però scettici riguardo al fatto che l’entità dei nuovi giacimenti, o l'invenzione di tecnologie particolarmente innovative per il loro sfruttamento, possano consentire di superare considerevolmente tale data.
Le riserve disponibili e le previsioni del fabbisogno petrolifero mondiale futuro suggeriscono che l'umanità abbia urgentemente bisogno di trovare fonti alternative di energia. Le opportunità a disposizione sono relativamente limitate, confrontate all'ingente fabbisogno energetico che caratterizza le società industrializzate. Gli esperimenti relativi alla raffinazione dell'argillite petrolifera e alla produzione di petrolio sintetico non hanno dato i risultati sperati, e rimangono seri dubbi riguardo alla competitività dei costi e ai volumi di produzione che si potrebbero ottenere con queste "nuove" fonti energetiche.
Tenendo conto dei problemi sollevati dall'impiego di fonti energetiche alternative, quali l'energia solare e l'energia nucleare, allo stato attuale l'unico combustibile alternativo al petrolio, capace di soddisfare l'enorme fabbisogno energetico della società moderna, resta il carbon fossile, disponibile in tutto il mondo in quantità relativamente abbondanti
INGEGNERIA PETROLIFERA
Ingegneria petrolifera e` il settore dell’ingegneria che si occupa delle varie operazioni relative alla ricerca e allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi.
SONDAGGI

Per individuare i giacimenti sotterranei, si cerca un bacino sedimentario, dove argilliti ricche di materiali organici siano rimaste sepolte per un tempo sufficientemente lungo affinché il petrolio abbia potuto formarsi (il lasso di tempo può variare da decine di milioni a un centinaio di milioni di anni). Le condizioni dell'ambiente, inoltre, devono aver permesso al petrolio di raggiungere strati rocciosi permeabili, ma delimitati da strati impermeabili, capaci di trattenere una grande quantità di liquido. I geologi dispongono di molti strumenti per identificare le zone potenzialmente interessanti. Uno di questi è il rilevamento degli affioramenti superficiali di strati sedimentari, che permette di dedurre le caratteristiche del primo strato del sottosuolo; queste informazioni, a loro volta, possono essere integrate dai dati ottenuti perforando la crosta terrestre e prelevando campioni degli strati di roccia attraversati (vedi Carotaggio). Inoltre, tecniche sismiche sempre più sofisticate, quali la riflessione e la rifrazione di onde d'urto inviate nel terreno, rivelano dettagli importanti sulla struttura e sull'interrelazione dei vari strati rocciosi sottostanti la superficie terrestre. In ultima analisi però, l'unico modo per provare inconfutabilmente la presenza di una trappola petrolifera in una zona determinata è il trivellamento di pozzi esplorativi. Un giacimento petrolifero può comprendere diversi bacini, che sono in genere situati uno sopra l'altro, separati da strati di roccia impermeabile, generalmente a una profondità compresa tra poche decine e diverse centinaia di metri. I bacini possono estendersi su una superficie di poche decine di ettari o coprire decine di chilometri quadrati; tuttavia è da notare che la maggior parte del petrolio sfruttato su scala mondiale viene estratto da un numero relativamente limitato di giacimenti molto estesi.
TRIVELLAZIONE IN MARE APERTO
Gli impianti di trivellazione in mare aperto (off shore) sono installati su speciali piattaforme, capaci di resistere alla forza delle onde e del vento, sia galleggianti, sia poggiate su piloni piantati nel fondale marino, a profondità di diverse centinaia di metri. Come negli impianti di trivellazione tradizionali, il derrick serve sostanzialmente a sostenere e far ruotare la batteria di perforazione, alla cui estremità è fissata la trivella stessa. Alcuni pozzi petroliferi trivellati da piattaforme di questo tipo raggiungono profondità di oltre 6500 m sotto la superficie dell'acqua.
ESTRAZIONE TRAMITE POZZO
Nella maggior parte dei casi, i pozzi petroliferi vengono trivellati con il metodo "a rotazione" (rotary) brevettato in Gran Bretagna nel 1844 da R. Beart. L'elemento più appariscente di un impianto di perforazione è l'alta struttura a traliccio detta torre di trivellazione, o derrick, che a circa tre metri dal suolo sostiene una piattaforma sulla quale sono montati la "tavola rotante" e il relativo apparato motore.
Entro un foro a sezione quadrata della tavola rotante (orizzontale) scorrono verticalmente, ricevendo da questa un moto rotatorio, le aste tubolari (pure a sezione quadrata) della batteria di perforazione, che vengono avvitate una sull'altra man mano che penetrano nel terreno. La prima asta, che provvede alla perforazione del terreno, è dotata di una testa tagliente (denominata "scalpello"), generalmente costituita da tre ruote dentate coniche ad assi concorrenti, con i denti di acciaio temprato o di altro materiale adatto a frantumare la roccia. All'interno della batteria di perforazione, che penetra nel terreno spinta dal suo stesso peso, viene pompato fango molto fluido: questo, raggiunto lo scalpello, ritorna in superficie (portando con sé i detriti del terreno scavato) passando nell'intercapedine situata fra le aste della batteria e le pareti del foro (il diametro dello scalpello infatti è maggiore di quello delle aste).
Il petrolio grezzo contenuto nelle trappole sotterranee è solitamente sotto pressione e salirebbe fino alla superficie se non fosse bloccato da uno strato di roccia impermeabile; così, quando la trivella penetra in questi bacini petroliferi "pressurizzati", il petrolio fluisce immediatamente nella zona di bassa pressione costituita dal foro di trivellazione, che è in comunicazione con la superficie terrestre. Il pozzo, via via che si riempie di liquido, esercita a sua volta una contropressione sul bacino petrolifero: in teoria l'afflusso di nuovo liquido nel pozzo dovrebbe dunque cessare molto presto. In pratica, intervengono altri elementi a sostenere il flusso: fra questi, l'elevata quantità di gas contenuto in soluzione nel petrolio greggio, che si libera durante l'afflusso nel pozzo di trivellazione, causando una spinta del liquido verso l'alto, o la pressione dell'acqua freatica, che pure si traduce in una spinta del petrolio verso la superficie.
RECUPERO SECONDARIO
A mano a mano che si estrae greggio dal giacimento, la pressione all'interno del bacino e la percentuale di gas disciolto nel liquido diminuiscono, e dunque la quantità di petrolio che sale in superficie si riduce; a questo punto, per continuare l'estrazione è necessario ricorrere all'azione di una pompa aspirante. Quando il flusso di petrolio è diventato esiguo, tanto che pomparlo in superficie sarebbe troppo costoso (il che accade, generalmente, quando si è estratto circa il 25% della riserva del bacino), si fa ricorso a tecniche diverse, dette di recupero secondario. Allo stato attuale i sistemi di recupero secondario più usati sono due: l'iniezione di acqua e l'iniezione di gas o di vapore.
INIEZIONE DI ACQUA
Per coltivare un giacimento petrolifero di grandi dimensioni, è possibile trivellare numerosi pozzi a distanze comprese tra i 60 e i 600 m, in relazione al tipo di trappola nella situazione specifica. Pompando acqua all'interno di alcuni dei pozzi, si riesce a mantenere a un livello pressoché costante (oppure ad aumentare) la pressione interna del bacino. In questo modo si incrementa la percentuale di recupero del petrolio greggio, sfruttando anche il fatto che l'acqua lo sposta fisicamente, facilitandone il recupero. In alcuni bacini molto uniformi e caratterizzati da un basso contenuto di argilla, l'iniezione di acqua può inoltre aumentare considerevolmente l'efficienza del pozzo.
INIEZIONE DI GAS O VAPORE
Attraverso un foro obliquo rispetto alla direzione del foro di estrazione si inietta gas o vapore alla maggiore profondità possibile, in modo che questo spinga il petrolio verso l'alto e inoltre, miscelandosi a esso, ne diminuisca parzialmente la densità.
L'iniezione di vapore è impiegata soprattutto nei giacimenti che contengono tipi di greggio molto densi e viscosi, che fuoriescono lentamente (vedi Bitume). Il vapore non solo fornisce energia necessaria a spostare il petrolio ma, innalzando la temperatura del bacino, ne riduce in modo significativo la viscosità, permettendo una fuoriuscita più rapida.
INQUINAMENTO DA PETROLIO
Inquinamento da petrolio Contaminazione dell'ambiente (del suolo, dell'aria e soprattutto dell'acqua) causata da ogni genere di idrocarburi liquidi, ovvero dal petrolio greggio o dai suoi derivati.

INQUINAMENTO MARINO
L'inquinamento da idrocarburi può essere sistematico o accidentale. Quello accidentale è prodotto, nella maggior parte dei casi, dal riversamento in mare di ingenti quantità di petrolio da petroliere coinvolte in incidenti di navigazione (collisioni, incagliamenti, incendi, esplosioni, naufragi) ed è causa di considerevoli danni agli ecosistemi marini e litorali. Tra gli incidenti più gravi verificatisi negli ultimi decenni si ricordano quello della Torrey Canyon, che nel 1967 riversò nelle acque al largo della Cornovaglia 860.000 barili (107.000 tonnellate) di petrolio, e quello della Exxon Valdez, che nel marzo del 1989 contaminò l'intera baia di Prince William, in Alaska, con ben 240.000 barili (30.000 tonnellate) di greggio. Il più grave in assoluto fu, tuttavia, quello verificatosi nel 1979 al largo di Trinidad e Tobago: la collisione di due superpetroliere, la Aegean Captain e l'Atlantic Empress, provocò allora la fuoriuscita di circa 2.160.000 barili (270.000 tonnellate) di petrolio.
Solo il 10% degli idrocarburi che contaminano i mari proviene, tuttavia, da riversamenti accidentali. Il resto proviene da fonti croniche, quali la ricaduta di particelle inquinanti dall'atmosfera, infiltrazioni naturali, dilavamento degli oli minerali dispersi nell'ambiente, perdite di raffinerie o di impianti di trivellazione su piattaforme in mare aperto e, soprattutto, lo scarico a mare di acque di zavorra da parte di navi cisterna e petroliere. A causa del sabotaggio degli impianti petroliferi, durante la guerra del Golfo, nel 1991, furono riversate nel golfo Persico 460.000 tonnellate di greggio; sempre nel golfo Persico, nel 1983, si andarono a riversare 540.000 tonnellate di greggio fuoriuscite dalla piattaforma petrolifera Nowruz (il più grave incidente mai occorso a una piattaforma).
La fonte principale dell'inquinamento marino da idrocarburi (20% dell'inquinamento totale) rimane, tuttavia, lo scarico in mare di acque contaminate nel corso di operazioni di lavaggio delle cisterne. Una volta consegnato il proprio carico alle raffinerie, le petroliere pompano nelle cisterne acqua che serve da zavorra per il viaggio di ritorno e che viene scaricata in mare prima di giungere ai terminali di carico, contribuendo, così, a produrre un tipo di inquinamento sistematico, o cronico, spesso molto più grave di quello accidentale. I grumi di catrame che si depositano sulle spiagge nelle località balneari derivano perlopiù dai residui contenuti nelle acque di zavorra scaricate in mare. L'impiego di questa tecnica di lavaggio è stato limitato, a partire dagli anni Settanta, da una serie di convenzioni internazionali, che hanno imposto la realizzazione di petroliere progettate in modo tale da rendere minima la fuoriuscita di greggio in caso di incidente, l'installazione a bordo di sistemi per la separazione dei residui di petrolio dalle acque di zavorra e di lavaggio pompate in mare, l'adozione di dispositivi per il controllo del grado di inquinamento delle acque di zavorra e l'installazione di impianti per la raccolta e il trattamento delle acque contaminate presso i terminali di carico del greggio e i porti di scalo.
INQUINAMENTO DEI SUOLI
Anche i giacimenti di petrolio su terraferma possono provocare gravi danni all'ambiente. In questo caso, le fuoriuscite nocive sono dovute, nella maggior parte dei casi, alla cattiva progettazione, gestione e manutenzione degli impianti. Nell'Ecuador, ad esempio, il grave e diffuso inquinamento del suolo e dei corpi idrici di alcune zone è causato soprattutto da improvvise "eruzioni" di petrolio dai pozzi durante le operazioni di trivellazione, dalla dispersione abusiva del petrolio meno pregiato e dal cattivo funzionamento dei sistemi per la separazione del petrolio dall'acqua. Il grave inquinamento da idrocarburi di alcune regioni della Russia è dovuto a cattiva manutenzione degli oleodotti. Nell'ottobre del 1994 nei pressi di Usinsk, non lontano dal Circolo polare artico, da una falla apertasi in un oleodotto fuoriuscirono 60.000-80.000 tonnellate di greggio che devastarono i delicati ecosistemi della tundra e della taiga. Alle alte latitudini, i naturali processi di degradazione del greggio si svolgono con molta lentezza e ciò contribuisce ad aggravare l'impatto di episodi come questo. Anche nelle regioni tropicali, tuttavia, i danni causati dal petrolio non sono indifferenti. Gli oleodotti che attraversano la regione del delta del Niger, in Nigeria, sono obsoleti e molto usurati; le perdite sono frequentissime e i tentativi di risolvere il problema bruciando i residui dispersi sul terreno o lasciando che il petrolio disperso finisca con il degradarsi al calore del sole hanno ottenuto un effetto deleterio: sui terreni si è formata una crosta sterile di un paio di metri che ha reso tali terreni praticamente inutilizzabili.

CONSEGUENZE E RIMEDI
Di norma il petrolio scaricato in mare viene degradato naturalmente dall'ambiente attraverso processi fisici, chimici e biologici. Galleggiando sull'acqua, il greggio si allarga rapidamente in un'ampia chiazza, disponendosi in strati di vario spessore, che le correnti e i venti trasportano a grandi distanze e dividono in "banchi", disposti parallelamente alla direzione dei venti prevalenti. Le frazioni più volatili del petrolio evaporano nel giro di pochi giorni, perdendo in poche ore una notevole porzione della propria massa. Alcune componenti penetrano negli strati superiori dell'acqua, dove producono effetti molto nocivi sugli organismi marini e lentamente vengono ossidate biochimicamente a opera di batteri, funghi e alghe. Le frazioni più pesanti vagano, invece, sulla superficie del mare, fino a formare grumi difficilmente degradabili che affondano lentamente fino a raggiungere il fondo marino.
I tempi richiesti da questo processo di degradazione variano a seconda delle condizioni del mare, delle condizioni meteorologiche, della temperatura e del tipo di inquinante. Quando, nel gennaio del 1993, la petroliera Brear fece naufragio al largo delle isole Shetland, le condizioni meteorologiche (forti venti spiravano da terra verso il mare aperto), quelle del mare (burrascoso) e il particolare tipo di petrolio trasportato (relativamente leggero) favorirono la dispersione di 680.000 barili di greggio, cosicché solo un'area molto localizzata delle coste subì danni di una certa rilevanza (a essere danneggiati furono, perlopiù, alcune acquacolture e le popolazioni locali di uccelli marini).
Il petrolio disperso in mare può causare gravi danni alle specie marine di superficie, soprattutto uccelli, ma anche mammiferi e rettili. Il piumaggio degli uccelli marini, imbrattato dal petrolio, viene spesso irrimediabilmente rovinato e gli uccelli stessi, nel tentativo di ripulirsi, ingeriscono notevoli quantità di petrolio che causa intossicazioni talvolta letali. Il petrolio che va a riversarsi sulle coste può distruggere interi ecosistemi particolarmente sensibili (barriere coralline, paludi salmastre, foreste di mangrovie) e provocare seri danni a svariate attività commerciali, quali la pesca e l'acquacoltura, o al turismo.
Una delle soluzioni più utilizzate in passato per rimediare all'inquinamento accidentale da petrolio consisteva nell'irrorare le pellicole oleose con sostanze emulsionanti. Le emulsioni risultavano, tuttavia, in qualche caso molto più dannose del petrolio stesso e tale tecnica è stata pertanto progressivamente abbandonata. Oggi si preferisce ricorrere a barriere galleggianti o a speciali imbarcazioni che raccolgono il petrolio effettuando una sorta di raschiatura sulla superficie del mare; le macchie di petrolio vengono ancora spruzzate con agenti emulsionanti solo nel caso in cui minaccino di raggiungere la costa. Il petrolio che si riversa sulle spiagge non viene sottoposto ad alcun trattamento: in genere si preferisce aspettare che a degradarlo provvedano i normali meccanismi di decomposizione. Nel caso in cui a essere colpite siano località balneari, si preferisce rimuovere gli strati superficiali di sabbia, piuttosto che ricorrere a solventi ed emulsionanti, i quali farebbero penetrare il petrolio più in profondità. I solventi vengono ancora utilizzati solo per ripulire impianti e attrezzature. Le pellicole oleose sono state in qualche caso irrorate con batteri capaci di degradare il petrolio. I risultati sono stati incoraggianti, anche se, per attivare i batteri e stimolarne la crescita, è necessario aggiungere alle colture nutrienti potenzialmente nocivi per gli ecosistemi litoranei e per la qualità delle acque.
Gianfranco Bologna
USO SOSTENIBILE DELLE
RISORSE AMBIENTALI

Negli ultimi anni ha fatto notevoli avanzamenti il dibattito relativo a questioni che potremo definire di etica ambientale. Il principio del rispetto e della cura di tutte le forme di vita e` divenuto uno degli obiettivi centrali delle strategie di conservazione elaborate a livello internazionale. Il documento prodotto da IUCN-UNEP-WWF. Individua tale principio come fondamentale per la costruzione di società umane sostenibili. Questo principio esprime il dovere del rispetto e del interesse per gli altri popoli e per le altre forme di vita , ora e nel futuro. Si tratta di un principio etico che sancisce il concetto che non deve aver luogo nessun tipo di sviluppo sociale ed economico a spese di altre popolazioni umane o di altre forme di vita presenti sulla Terra, ora e nel futuro. La nostra sopravivenza e,` ovviamente, legata all’utilizzo di altre forme viventi, ma tale uso non deve essere crudele o distruttivo. Lo scopo delle nostre società dovrebbe essere quello di dividere equamente i costi e i benefici dell’uso sostenibile delle risorse ambientali e quindi dalle altre forme di vita, tra le differenti comunità tra poveri e ricchi, tra la nostra generazione e quelle che verranno dopo di noi. La base etica e` estremamente importante perche` sappiamo che quello che la gente fa dipende da quello in cui crede. Oggi la transizione verso società sostenibili rispetto ai limiti delle capacità di carico della nostra Terra ci impone cambiamenti nel modo di considerare gli altri esseri umani, le altre forme di vita e la terra stessa, cambiamenti nella valutazione dei nostri bisogni e delle priorità e susseguenti cambiamenti nei nostri comportamenti. Ciascuno dovrebbe farsi carico della responsabilità del proprio impatto sulla natura, contribuendo a salvaguardare i processi ecologici e le diversità della vita, utilizzando ogni risorsa con moderazione e efficienza ed accertandosi che l’uso che fa delle risorse rinnovabili venga mantenuto nei livelli sostenibili. Spreco e consumismo devono essere abbandonati. Ogni generazione dovrebbe consegnare a quella futura un mondo la cui naturale produttività sia stata mantenuta e che contenga una diversità biologica almeno pari a quella ereditata dalla precedente generazione.
STORIA DEL PETROLIO
I giacimenti superficiali furono ignorati dagli esseri umani per migliaia di anni; per lungo tempo essi vennero utilizzati solo per scopi limitati: ad esempio, il calafataggio delle barche e l'impermeabilizzazione dei tessuti. Nel Rinascimento si iniziò a distillare il petrolio greggio dei giacimenti superficiali per ottenere lubrificanti e prodotti medicinali, ma il vero e proprio sfruttamento del petrolio ebbe inizio solo nel XIX secolo.
All'epoca, la rivoluzione industriale e i conseguenti cambiamenti sociali stimolarono notevolmente la ricerca di nuovi combustibili, in particolare di oli per lampade di buona qualità ed economici, che si rendevano necessari a causa delle crescenti richieste, da parte della popolazione, di fonti di illuminazione per lavorare e leggere anche dopo il tramonto. I combustibili del tempo non erano soddisfacenti: l'olio di balena era estremamente costoso, le candele di sego emanavano un odore sgradevole, mentre i becchi a gas erano disponibili solo nelle abitazioni più moderne delle aree urbane. La ricerca di un combustibile migliore per le lampade determinò un netto aumento della richiesta di petrolio greggio, e verso la metà del XIX secolo numerosi scienziati iniziarono a studiare e mettere a punto tecniche per produrre e commercializzare sostanze capaci di soddisfare le esigenze popolari.
Nel 1852 il fisico e geologo canadese Abraham Gessner brevettò un procedimento per ricavare dal petrolio greggio un combustibile per lampade di costo limitato, che venne chiamato petrolio illuminante, o cherosene; tre anni dopo il chimico statunitense Benjamin Silliman pubblicò uno studio in cui elencava la vasta gamma di prodotti utili che potevano essere ricavati dalla distillazione del petrolio.
Da quel momento ebbe inizio la corsa ai rifornimenti di greggio. I primi pozzi petroliferi veri e propri furono trivellati in Germania nel 1857-1859. Tuttavia, l'avvenimento del tempo che ebbe risonanza mondiale fu la trivellazione di un pozzo nei pressi di Oil Creek, in Pennsylvania, a opera del colonnello Edwin L. Drake: nel 1859 questi effettuò numerosi sondaggi con lo scopo di trovare l'ipotetica "sacca madre", da cui dovevano provenire tutte le infiltrazioni di petrolio della Pennsylvania occidentale. In realtà il giacimento trovato era profondo solo 21,2 m, ma il petrolio era di tipo paraffinico, molto fluido e facile da distillare, e il successo di Drake segnò l'inizio della moderna industria petrolifera.
Presto il petrolio suscitò l'interesse della comunità scientifica e furono sviluppate ipotesi plausibili riguardo alla sua formazione. Con l'invenzione del motore a combustione interna e con il crescente fabbisogno energetico causato dallo scoppio della prima guerra mondiale, l'industria petrolifera divenne una delle basi della moderna società industriale.
GUERRA DEL GOLFO
Guerra del Golfo Conflitto che nei mesi di gennaio e febbraio del 1991 contrappose le truppe dell'ONU, composte in modo preponderante da forze armate statunitensi, all'Iraq. Il conflitto nacque con l’aggressione che l’esercito iracheno compì il 2 agosto 1990 contro il vicino Kuwait, e con la proclamazione (8 agosto) dell’annessione da parte di Saddam Hussein, che rivendicava l'appartenenza storica del Kuwait al territorio iracheno. In seguito a una energica protesta internazionale, il Consiglio di sicurezza dell'ONU approvò una serie di risoluzioni con le quali imponeva all'Iraq il ritiro dal Kuwait entro il 15 gennaio 1991.
L’OPERAZIONE “DESERT STORM”
A causa del mancato rispetto da parte di Hussein delle ingiunzioni internazionali, venne costituita, sotto l'egida dell'ONU, una forza multinazionale di circa 500.000 uomini, in prevalenza statunitensi, ma con contingenti anche di Arabia Saudita, Egitto, Siria, Gran Bretagna, Francia e Italia. Scaduto l'ultimatum, la coalizione dell'ONU, guidata dal generale statunitense Norman Schwarzkopf, avviò l'operazione denominata Desert Storm (Tempesta nel deserto), consistente in una massiccia offensiva aerea contro obiettivi militari in Iraq e in Kuwait.
Gli attacchi della forza multinazionale erano volti alla neutralizzazione dei centri di comando iracheni, concentrati a Baghdad e a Bassora; all'interruzione delle linee di trasporto e di comunicazione tra Baghdad e le truppe sul campo; alla neutralizzazione dell'artiglieria irachena, trincerata lungo il confine tra Arabia Saudita e Kuwait, e della Guardia repubblicana, composta da un'élite di 125.000 uomini dislocati nell'Iraq sudorientale e nel Kuwait settentrionale. La difesa irachena utilizzò rampe mobili per lanciare missili Scud contro Arabia Saudita e Israele (che pur approvando l’intervento della forza multinazionale non prese parte alle operazioni militari), nella speranza di mobilitare l'opinione pubblica araba contro la coalizione: questa rispose con missili Patriot e con incursioni aeree che avevano per obiettivo le rampe degli Scud.
LA RESA
A metà febbraio, di fronte all'aumento delle perdite civili e militari, l'Iraq fu costretto ad annunciare il ritiro dal Kuwait, a fronte di alcune condizioni di cui si fece garante l'Unione Sovietica ma che vennero respinte dagli Stati Uniti. La coalizione ONU sferrò quindi un decisivo attacco con cui sfondò la linea difensiva irachena e avanzò rapidamente attraverso l'Iraq meridionale, tagliando ogni via di ritirata alla Guardia repubblicana. Nel giro di pochi giorni, la capitale del Kuwait fu liberata; decine di migliaia di soldati iracheni vennero catturati o uccisi. Le perdite nella coalizione internazionale furono relativamente limitate: il 28 febbraio, quando l'attacco fu sospeso, i soldati alleati uccisi erano 149 e i feriti 513. Il Kuwait subì notevoli danni, anche perché durante la ritirata le forze irachene saccheggiarono la capitale e incendiarono un centinaio di pozzi petroliferi.
Il 6 aprile l’Iraq si arrese, accettando di pagare al Kuwait il risarcimento dei danni, di rivelare l'ubicazione e l'entità delle proprie riserve di armi chimiche e batteriologiche e di smantellare i propri arsenali. In seguito, però, gli ispettori dell'ONU lamentarono che il governo di Baghdad ostacolava il loro lavoro di controllo in merito all'adempimento delle condizioni di pace: l'ONU decise perciò l'embargo economico contro l'Iraq, che in seguito, pur con lievi attenuazioni, avrebbe comunque condotto il paese sull'orlo del collasso. La minoranza religiosa sciita, che godeva dell'appoggio dell'Iran, e quella etnica curda, priva di appoggi internazionali, cercarono di approfittare dell'indebolimento di Saddam Hussein per ribellarsi, ma subirono una dura repressione senza che la comunità internazionale intervenisse, se non per costituire per la popolazione curda un'area di sicurezza nell'Iraq settentrionale.
SVILUPPI RECENTI
In questi anni, in diverse occasioni l’Iraq è stato accusato di ostacolare il lavoro degli osservatori delle Nazioni Unite incaricati dello smantellamento degli impianti di produzione di armi chimiche e del controllo degli arsenali iracheni. Dal suo canto, l’Iraq ha ripetutamente accusato i paesi occidentali e l’ONU di violare gli accordi di pace, disattendendo le clausole che prevedono il progressivo ritiro delle sanzioni economiche. La situazione di stallo ha provocato dei momenti di forte crisi, di cui il più grave si è verificato nel dicembre 1998, quando un ulteriore intervento militare contro l’Iraq è stato scongiurato all’ultimo momento dall’intervento del segretario generale dell’ONU Kofi Annan, che recatosi in visita a Baghdad ha raggiunto un accordo con Saddam Hussein sulla ripresa delle ispezioni a patto di una revisione del programma delle sanzioni. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, stavolta senza l’approvazione di altri paesi occidentali o di quelli arabi (che anzi hanno deplorato l’iniziativa), avevano infatti predisposto un’altra massiccia operazione aerea chiamata Desert Thunder (Tuono nel deserto). Sebbene il pericolo di una nuova guerra sia per ora scongiurato, la situazione nella regione è molto tesa, anche per le incursioni sul territorio iracheno degli aerei statunitensi e britannici, che dall’inizio del 1999 hanno ripreso a colpire obiettivi militari e industriali.

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