Vittorio Emanuele II

Materie:Appunti
Categoria:Storia
Download:540
Data:12.12.2001
Numero di pagine:7
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
vittorio-emanuele-ii_1.zip (Dimensione: 9 Kb)
trucheck.it_vittorio-emanuele-ii.doc     34.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

VITTORIO EMANUELE II RE D'ITALlA (1820-1878)

Vittorio Emanuele II nacque il 14 marzo 1820 nel Palazzo Carignano in Torino da Carlo Alberto, principe di Carignano, e Maria Teresa, figlia di Ferdinando III di Lorena, Granduca di Toscana. Sfuggì, nel 1822, miracolosamente alla morte: la sua culla si era incendiata e la nutrice, Teresa Zanotti Racca, diede la vita per salvarlo.
Fu educato come un futuro re, con severità e impegno, anche perchè non dobbiamo dimenticare che il padre di Vittorio Emanuele era il malinconico e severo Carlo Alberto. Vittorio Emanuele mostrò da subito il suo carattere: non era un mostro di intelligenza e non si può dire che si consumasse sui libri,ma aveva un temperamento vigoroso, deciso e una volontà veramente di ferro.
Fin da giovane mostrò di essere un vero "fanatico" degli esercizi violenti:la caccia, l'equitazione e gli piaceva stare alla larga dalla corte, un po' tetra, del padre.

Il matrimonio.
Nel 1840, a vent'anni, il giovane principe, che era un giovanottone prestante, con baffi e pizzo biondi, conobbe la cugina Maria Adelaide, figlia dell'arciduca Ferdinando III di Lorena e di una
sorella di Carlo Alberto.
Vittorio Emanuele era un uomo dalle soluzioni rapide: decise di sposare la graziosa giovinetta. I preliminari a "livello" reale furono lunghi, ma infine il matrimonio fu solennemente celebrato il 12 aprile 1842 nella Cappella Reale del Castello di Stupinigi, non lontano da Torino. La famiglia principesca divenne in breve numerosa: nacquero otto figli, fra cui, nel 1844, Umberto Biancamano, il futuro re Umberto I.
Intanto, grandi eventi si preparavano per il nostro paese. Carlo Alberto, molto geloso delle sue prerogative reali ( solo a lui spettava il diritto di decidere degli affari dello Stato) teneva il figlio lontano dagli affari pubblici. Ma Vittorio Emanuele e il fratello Ferdinando seguivano con interesse appassionato i preparativi per la guerra. Possiamo immaginare come dovesse fremere Vittorio Emanuele, con il carattere impetuoso e battagliero che aveva!
Re in un momento tragico.
"Ecco il vostro re, mio figlio Vittorio!". Con queste parole, che Carlo Alberto pronunciò la sera del 23 marzo 1849 in una sala del Palazzo Bellini a Novara, Vittorio Emanuele divenne Re di Sardegna a ventinove anni. Il momento era tragico, con l'esercito sconfitto e in rotta, gli Austriaci incattiviti ed arroganti, gli Italiani delusi e quasi ostili.
Ma Vittorio Emanuele non era certo tipo da disperarsi: accettò tranquillamente la spaventosa responsabilità e il giorno dopo saltò a cavallo e andò ad incontrarsi con il comandante nemico, il vecchio Radetzky. E gli fece subito assaggiare la sua durezza.
Il giorno 27 il nuovo re rientrava a Torino, accolto con freddezza dal popolo e dai deputati. Era un uomo marziale, deciso, già maturato nel dolore. E subito si dedicò a quelli che sarebbero stati i due grandi scopi della sua vita: fare più grande e forte il suo regno, conquistare l'indipendenza per l'Italia.
Il Re e il ministro.
Nell'ottobre 1850, il primo ministro Massimo D'Azeglio (galantuomo e ottimo politico) propose al re di affidare il Ministero dell' Agricoltura, dell'Industria e del Commercio ad un abilissimo deputato, il Conte Camillo Benso di Cavour. Cavour divenne ministro: e cominciò così quella... movimentata collaborazione Vittorio Emanuele-Cavour; che divenne addirittura celebre e che diede splendidi frutti.
Per dieci anni il Sovrano e il Ministro (dal 1852 Presidente del Consiglio) lavorarono assieme, burrascosamente, se vogliamo, ma con lo stesso grande scopo: fare l'Italia. I due si criticavano continuamente e ciascuno proclamava l'altro insopportabile; i loro litigi erano famosi; ma in fondo non potevano stare l'uno senza l'altro e alla fine scoprirono che si erano voluti bene e che quella agitata collaborazione era stata il grande affare ed il grande onore della loro vita.

Il “grido di dolore”.
Nel 1855 ci fu la spedizione in Crimea e l'accordo con Napoleone III, ( e il re, in borghese e confuso tra la folla, andò alla stazione ad applaudire Cavour reduce da Parigi). E finalmente il 10 gennaio 1859 Vittorio Emanuele, all'apertura del parlamento, tenne il famoso discorso del "grido di dolore":
"Confortati dall'esperienza del passato, andiamo risolutamente incontro all'avvenire...; e mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi". Queste parole commossero ed entusiasmarono alla follia i Piemontesi e tutti gli Italiani. Re Vittorio Emanuele rischiava la sua vita, il suo trono, il suo Stato nella difficile lotta per l'indipendenza italiana.

Vittorio Emanuele re d'Italia.
Il Re, in guerra alla testa delle sue truppe si batteva come un leone.
A San Martino, trascinando le sue truppe all'assalto, gridò, in dialetto piemontese ( che era la sua vera lingua), un incoraggiamento che è rimasto celebre:"Fioeui, o i piuma San Martin o i auti an fa fe San Martin a nui!", cioè:"Ragazzi, o prendiamo San Martino o fanno fare San Martino a noi!".
Alludeva all'abitudine diffusa in Piemonte di cambiar casa il giorno di San Martino. San Martino fu presa, e, come tutti sappiamo, la guerra finì con l'armistizio di Villafranca. Vittorio Emanuele fu capace di rassegnarsi, non così Cavour che fece con il re una storica litigata e se ne andò sbattendo la porta (ma poi tornò).
Due anni dopo (14-3-1861) Vittorio Emanuele, a Torino, fu proclamato re d'Italia.
Dopo dieci anni pieni di avvenimenti (la terza guerra per l'indipendenza, le annessioni, la Spedizione dei Mille, la presa di Roma), nel giugno 1871 il governo si trasferiva a Roma Il 2 luglio Vittorio Emanuele entrava nella capitale, accolto con enorme entusiasmo dalla popolazione, e poneva fa propria sede nel palazzo del Quirinale. L'Italia aveva allora il suo primo re, nella sua definitiva capitale.

Gli ultimi anni del re.
Vittorio Emanuele ebbe una grande fortuna, ma anche molte sventure: oltre a veder morire il padre in esilio, neI1885 perse la madre, l’adorata moglie Maria Adelaide, un figliolino appena nato e il duca di Genova,il fratello più caro. Durante i suoi anni di regno vide morire i migliori amici e collaboratori .Cavour, il Manzoni, Domenico Guerrazzi Urbano Rattazzi, Massimo D’Azeglio e Alfonso Lamarmora. Il re a Roma lavorava sodo e tutti gli storici sono d'accordo nel notare stupiti come un uomo irruento e deciso come lui, sapesse usare un garbo e un tatto da fine diplomatico nei rapporti politici ; ma quando si arrabbiava erano guai. A Roma il Re non viveva volentieri: il suo cuore era rimasto nel suo Piemonte, dove si recava spessissimo. La Valle d' Aosta poi era la sua vera "casa": là egli compiva lunghi soggiorni e si dedicava con passione alla caccia ai camosci sul Gran Paradiso. Fino ad alcuni anni fa vivevano in Val d' Aosta alcuni vecchi che ricordavano d'aver conosciuto il Re che,vestito alla buona o in panni da cacciatore, si intratteneva con loro: era dei loro. Alla domenica, il Re arrivava a Cogne o a Valsavaranche, per ascoltare la Messa. Faceva mettere due carabinieri ai Iati dell'altare, per rendere omaggio a Dio, e ascoltava in piedi la Messa. Poi usciva e si fermava nella piazza a chiacchierare in dialetto piemontese con i valligiani, distribuendo sigari. Infine se ne andava, con le sue gambe un poco arcuate per il continuo stare a cavallo.
Nel 1877 la salute del Re cominciò a declinare: era tormentato da una febbre reumatica che gli danneggiava il cuore. Il 5 gennaio 1878, di ritorno da una passeggiata in carrozza, le sue condizioni si aggravarono bruscamente. Si mise a letto; i medici accorsi capirono che non c'era più nulla da fare. Nella notte fra l'otto ed il nove gennaio la fine si avvicinò; il re, ancora lucido, salutò i figli e le persone presenti, poi mormorò, nel suo amato dialetto piemontese le sue ultime parole:"Oh mi povr'om c'am dispias lasse l’Italia in cust pastis” ( Povero me, come mi dispiace Iasciare l'Italia in questo pasticcio!).
Così, con il suo ultimo pensiero rivolto all'Italia, a soli 58 anni mori Vittorio Emanuele II. Egli venne chiamato il Re Galantuomo, il Padre della Patria;. era un uomo semplice e un po' rozzo, con molti difetti, ma pieno di calore umano, generoso e coraggioso, che sentì sempre come un vero re il senso del proprio dovere.

Ricapitolando.
14-3-1820: nascita.
12-4-1842: matrimonio con Maria Adelaide.
23-3-1849: viene proclamato re di Sardegna
Tappe gloriose:
1855: guerra di Crimea;
1859: seconda guerra di indipendenza;
1860: spedizione dei mille;
14-3-1861 : viene proclamato re d'Italia.
2- 7-1871 : si stabilisce aRoma.
9-1-1878 : morte.
Alcuni aneddoti.

Il re galantuomo.
Un dì l' Azeglio disse al Re;"Ce ne sono stati così pochi nella storia di re galantuomini, che sarebbe veramente bello il cominciarne la serie".
"Ho da fare il galantuomo?" chiese sorridendo senza ridere Vittorio Emanuele.
"Vostra Maestà ha giurato fede allo Statuto, ha pensato all'Italia e non al Piemonte. Continuiamo di questo passo a tener per certo che a questo mondo tanto un re quanto un individuo oscuro non hanno che una sola parola, e che a quella si deve stare.
"Ebbene il mestiere mi par facile," disse sua Maestà. "E il re galantuomo l'abbiamo," osservò D'Azeglio. Vittorio Emanuele si compiacque sempre di avere e di meritare quella denominazione. Pregato ad iscriversi in fin d’anno nel registro del censimento della popolazione torinese, alla colonna che ha per rubrica le professioni, scrisse di suo pugno: Re Galantuomo. Era il mestiere che a lui pareva tanto facile.
(Giuseppe Massari)
Il re del popolo.
1. Talvolta amava confondersi con la folla per sentirne i giudizi direttamente, per esser libero di esprimerli egli stesso. Nel primo anniversario dello Statuto, travestitosi da popolano, il che gli riusciva facilmente con i suoi abiti da cacciatore entrò di sera non riconosciuto, in una birreria di Piazza San Carlo. Alcuni popolani che erano nel locale inneggiavano alla ricorrenza e gridavano:"Viva il Re!Viva lo Statuto!". Il Re, si sedette ad un tavolo ordinò, bevve in fretta e poi, prima di uscire, si volse verso i popolani gridando:"Viva la Repubblica!". Successe un parapiglia;
stentava ad uscirne, ma un operaio ne prese le difese da ultimo e, poichè non riusciva a quietare i compagni, si rivolse loro, dicendo come avesse fatto una trovata:"Ma non vedete che è matto?".
2.Amava annullare in se la regalità a cui teneva tanto di fronte ai grandi, scomparire, essere uno dei tanti, parlar da pari a pari cogli uomini comuni, sentirne le idee, i bisogni, le ansie, i timori. Ciò gli accadeva molto spesso quando si recava a caccia sui monti o nei boschi. Non sempre lo riconoscevano subito ed egli amava stuzzicare l’espressione spontanea dei sentimenti popolari. Un giorno, tutto vestito da fustagno ed accompagnato da un aiutante nello stesso costume, andava in cerca di selvaggina nei dintorni di Moncalieri. Un contadino lo vede passare lo ferma, gli parla di una maledetta volpe che gli insediava spesso il pollaio, lo prega di liberarlo mostrando la sua abilità di cacciatore. Il re, che aveva ascoltato sorridendo imponendo il silenzio aIl'aiutante, messo di puntiglio e solleticato nel suo amor proprio di cacciatore prese la cosa sul serio,ci si mise con tutto l'impegno, riuscì ad ammazzare il molesto animale.
Il contadino non finiva più di ringraziarlo, di esaltarne le qualità venatorie:non aveva mai visto un cacciatore così bravo e, levatosi di tasca uno scudo. volle assolutamente che l'accettasse. E Vittorio Emanuele se lo mise tranquillamente in tasca, dicendo all'aiutante mentre si allontanavano: "Volevate che lo rifiutassi? Sono i primi denari che mi sono vera,ente guadagnato!".
(Leo Pollini)

Bibliografia.
-Encicl. Conoscere, vol. XV, F.Ili Fabbri Ed.
-L. Aimonetto, Il Risorgimento, Ed. Lattes, Torino.
-Giuseppe Massari, La vita e il regno di Vittorio Emanuele Il di Savoia, Ed. Treves. Milano.
-Leo Pollini, Il padre della patria, Ist. Studi politica inter. Milano.

Esempio